Doriana e Dario
Che fossi una delle ragazze più capricciose del mondo, era un dato di fatto che tutti davano per acquisito; e dovevo ringraziarne parenti, amici, corteggiatori e conoscenti vari che si facevano in quattro perché ogni mio desiderio fosse realizzato prima ancora che l’avessi espresso; in cambio, c’è da dire che ero bellissima ed ammiratissima, che tutti provavano immenso piacere ad avere a che fare con me e che riuscivo a tenere allegri un po’ tutti; dovunque mi trovassi, diventavo presto un punto di riferimento e mi facevo ammirare per le mie forme, per il carattere dolce e per la simpatia che sprizzavo da tutti i pori.
Quando conobbi Dario, ne fui subito colpita; ma, più di tutto, mi affascinava l’assonanza dei nostri nomi; trovavo che Doriana e Dario fosse un’accoppiata bella anche onomasticamente e che pertanto non poteva esserci che grande sintonia tra noi due, al punto che, appena provò, in macchina, a ‘farmi la festa’ lo lasciai fare senza nessuna esitazione e senza pentimenti; quando si accorse che mi aveva sverginato, fu lui a farsi tutta una serie di problemi e a considerare estremamente grave e ‘da incoscienti’ esserci lasciati andare così oltre; a me della breve fitta quando mi aveva infilato la mazza nella vagina, non era rimasto neppure il sentore, sopraffatta come ero stata dal piacere immenso che la mia ‘patatina’ aveva provato quando il bastone di carne aveva forzato il canale vaginale ed era andato a sbattere contro la testa dell’utero.
Fui io a doverlo rassicurare che non ci sarebbero state conseguenze indesiderate e che era solo il momento per aprirci ad esperienze più ricche ed interessanti; decidemmo che potevamo andare a convivere senza nessun problema di formalizzazione del rapporto, forti solo della nostra gioventù e dell’amore che ci legava; poiché lui aveva uno stabilimento abbastanza avviato, di lavorazione di laminati plastici, ci organizzammo immediatamente per andare a vivere nel suo appartamento in centro, facendo aggio sulle sue entrate che erano abbastanza alte da consentirci una vita serena, anzi piuttosto agiata; prima di trasferirci definitivamente, Dario più volte tentò di convincermi a cercarmi un lavoro per non dover dipendere economicamente totalmente da lui; ma l’idea di mettermi a lavorare, di avere orari fissi e lunghe ore impegnate senza potermi dedicare a me stessa, mi ripugnava e gli dissi apertamente che a me interessava solo che lui mi amasse e mi coccolasse.
Anche i miei genitori cercarono più volte di farmi presente che la dipendenza economica dal maschio limitava totalmente la mia libertà e mi esponeva al rischio che, se qualcosa fosse andato storto, essendo lui largamente dominante economicamente, avrei potuto trovarmi in pessime acque, non essendo prevista nessuna garanzia in caso di rottura; naturalmente, mi rifiutavo di prendere in considerazione anche la più lontana ipotesi che lui potesse lasciarmi in mezzo ad una strada; Dario doveva fare ed avrebbe fatto sempre e soltanto quello che io gli chiedevo perché era sempre stato così e niente poteva cambiare le nostre abitudini; mio padre, in particolare, appariva molto turbato da questi discorsi ed io finivo per stroncarli dicendo semplicemente che turbavano la mia calma e la mia serenità.
Per un anno circa, le cose andarono secondo i miei desideri e potei fare la ‘bambola di porcellana’ viziata e coccolata dal suo ‘amorino’ che si faceva in quattro per non farmi mancare nulla; al minimo disagio, ritardo, disguido, fraintendimento o incomprensione, piantavo una bizza che si placava solo quando ottenevo quel che pretendevo, qualunque cosa fosse; mi era impossibile entrare nella logica che Dario dovesse occuparsi del lavoro e non sopportavo l’idea che almeno due volte la settimana, la sera, dopo cena, piuttosto che uscire con me per andare al bar, al pub o in discoteca, dovesse passare ore a discutere con individui grigi e pallosi di temi che non capivo da dove piovessero, produzione, contratti, commesse ed altre cose del genere che non esistevano in nessuno dei miei vocabolari.
Che la tempesta fosse nell’aria risultava abbastanza facile da leggere, ma il mio compagno, preso dalla realtà del suo lavoro, non si accorse del broncio che gli piantavo progressivamente e nemmeno si diede conto che per quasi due settimane, accampando scuse molto improbabili, mi rifiutai di fare sesso con lui; addirittura, me ne andai a dormire nella camera degli ospiti per non disturbare le sue elucubrazioni sui processi lavorativi in atto; arrivare a decidere di uscire da sola per andare al bar, dopo la cena, fu una conseguenza quasi automatica; l’unica cosa che mi disse Dario, fu.
“Attenta a non tirare troppo la corda; se la fai spezzare, ti trovi in mezzo a una strada; visto che non hai voluto cercare di renderti autonoma con un lavoro, finiresti male. Sei avvisata!”
Per tutta risposta, sollevai il medio della mano destra e me ne andai al bar, dove mi sprofondai letteralmente nei goliardici bagordi dei miei giovani amici più o meno occasionali; uno, in particolare, mi colpì, un ragazzo di una trentina di anni, biondo, occhi chiari, bello come un arcangelo, che mi corteggiò con molta eleganza, chiedendomi chi fosse l’incosciente che mi lasciava andare in giro per locali a quell’ora; scherzai molto sulla stupidità di Dario che non si curava di me e si predisponeva in tal modo a prendersi una sporta di corna; la battuta mi suonò molto infelice e rabbrividii all’idea di tradire Dario; ma quando Stefano mi propose un giro in macchina, non so perché, non riuscii a rifiutare, benché tutti gli amici del gruppo insistessero perché non tirassi troppo la corda.
Ormai non ero padrona di me e galleggiavo sognando in una nuvola rosa, sostenuta dalle adulazioni di Stefano che mi colmò di complimenti mentre si dirigeva in periferia e si andava a fermare nel parcheggio di un centro commerciale a quell’ora vuoto; quando mi abbracciò e mi baciò, dimenticai Dario e tutta la mia vita e mi lasciai andare al piacere della sua lingua che mi perlustrava tutta la bocca; mi piaceva un sacco, il ragazzo, e me lo gustavo con tutti i sensi, con le labbra, con le mani e con il sesso; percorsi tutto il suo corpo soffermandomi sul carapace, frutto di lunghe sedute in palestra, che seguii fibra per fibra, mentre sentivo la sua mano infilarsi sotto la gonna, percorrere le calze fino allo slip ed infilarsi infine nella vulva con un dito che mi artigliò sapientemente il clitoride e mi provocò un orgasmo feroce; urlai tutto il mio piacere e squirtai con forza; misi le mani sulla patta, aprii la cerniera ed entrai nello slip; non aveva un gran membro, certamente inferiore a quello di Dario; ma era lì e l’avevo tra le mani; lo manipolai a lungo sentendolo crescere notevolmente e godendo al contatto con la pelle serica che portavo su e giù scappellando.
Quando mi mise una mano dietro la testa, capii che voleva una fellatio e mi chinai docilmente e prendere in bocca il sesso che ingoiai immediatamente fino ai peli del pube; era piccolo, in confronto a quello del mio compagno; e con lui ero abituata a lunghe e laboriose fellazioni che molto spesso mi provocavano addirittura conati di vomito, specialmente quando pompava e me lo spingeva duramente fin dentro l’esofago; non avevo più modo, ormai, di uscire da una voragine nella quale mi ero fiondata da sola; capivo che stavo mettendo a rischio la mia stessa vita; ma ormai avevo fatto il passo, anche se sbagliato, e la mia natura capricciosa e testarda mi impose di continuare; presi quindi a succhiare con foga e in pochi colpi lo sentii eiacularmi in bocca; non riuscii neanche a godere, tanto era stato rapido; e sentii l’amaro della delusione per una copula insignificante e demolitrice di tutte le certezze.
Lo invitai a riportarmi alla mia auto; ma lui obiettò scusandosi per essere venuto troppo presto, ‘per eccesso di desiderio’ mi disse, e notai anche che il suo arnese si era già rimesso in resta; glielo manipolai un poco e sentii che si rinvigoriva; avvertii che il sedile si rovesciava indietro e mi trovai distesa supina con lui che si affannava a piegarsi tra le mie cosce e a sfilarmi lo slip; lo aiutai e fui nuda dalla cintola in giù; si chinò sull’inguine e cominciò a leccarmi la vulva con grande impegno; dopo pochi colpi, urlavo e squirtavo di nuovo con grande lussuria; mi montò sopra e si accostò intenzionato a penetrarmi; trovai il tempo di chiedergli.
“Ce l’hai un preservativo?”
“No, e tu?”
“Neanche per idea; allora non puoi entrarmi in vagina, non sono protetta … “
“ … E dietro?”
“Dietro!?!?!? Non l’ho mai fatto e non so se voglio farlo mai!”
“Vedrai, ti piacerà!”
Mi aveva già sistemata ginocchioni sul sedile, si era piantato alle mie spalle e mi leccava accuratamente il forellino; mi sentii molto troia e infedele; per mesi l’avevo negato a Dario, ed ora un ragazzo visto una sera al bar mi stava per sverginare dietro; sapevo di farla grossa, di essere sporca, di andare contro ogni legge terrena e divina; sapevo che dovevo ribellarmi; ma invece decisi di ribellarmi a Dario che mi trascurava, secondo me, e che preferiva il lavoro all’amore con me; lo lasciai fare e a malapena sentii il pisello che mi violava lo sfintere; ero così eccitata e vogliosa che anche una violazione considerata da tutte difficile mi risultò quasi naturale; lo sentii eiaculare dentro con la massima disinvoltura senza provare nessun piacere; usai dei fazzolettini per pulirmi, rimisi lo slip e gli imposi di riportarmi al bar dove avevo lasciato l’auto.
Rientrai a casa sgusciando lungo le pareti come un ladro, cercando di non farmi sentire da Dario che a quell’ora doveva essere rientrato; andai in bagno per lavarmi e lo sentii alle mie spalle all’improvviso, mentre mi lavavo lo sperma dal retto.
“Ti sei fatta persino possedere analmente!?!?! … Complimenti; sei stata straordinaria. Potrei sapere chi è stato?”
“Non ti devo dire proprio niente! Non mi hai coccolato abbastanza e mi sono andata a cercare altre coccole. Peggio per te!”
“Adesso, chi ti ha dato le coccole ti deve garantire vitto e alloggio; tu domani te ne vai da questa casa e non voglio più vedere la tua fogna nei miei paraggi!”
Se ne andò e sentii che chiudeva la porta della camera a chiave; telefonai a mia madre, le raccontai per sommi capi, glissando solo sul particolare dello sverginamento anale; mi disse chiaro e tondo che, senza uno straccio di documento, non potevo pretendere che venisse riconosciuta nemmeno la convivenza, dal momento che risultavo domiciliata presso di loro e quindi la mia presenza nella casa di Dario era solo di passaggio e abusiva; se non trovavo immediatamente una fonte di reddito, dovevo andare a casa loro e riorganizzarmi una vita; non me la sentivo di aspettare senza fare niente fino all’indomani e decisi di bussare alla camera di Dario; dovetti insistere a lungo, perché fingeva di non sentire anche quando lo invocavo ad alta voce e minacciavo di svegliare tutto il condominio se non mi lasciava parlare; si decise infine ed aprì la porta.
“Di quale fallo pensi di potermi parlare? Di quello che ti sei preso stasera nel retto o quelli che ti sei presa da quando mi tradisci volgarmente?”
“Non ti permetto di offendermi. E’ vero; stasera ti ho tradito, ma è stata la prima ed unica volta; e l’ho fatto perché mi trascuri, da un mese ormai cerco di fartelo capire … “
“Ah … cerchi di farmelo capire, rifiutandoti di fare l’amore? Cerchi di farmelo capire rifiutandoti di renderti conto che bisogna lavorare per guadagnare e per vivere, che puoi fare la parassita e vivere da mantenuta a mie spese solo perché io mi faccio il sedere a lavorare mentre tu ti fai rompere il retto da sfaticati come te? Così me lo facevi capire? Beh, vai al diavolo, anzi torna e dare via il sedere, visto che con me ti sei sempre rifiutata e con un altro ci sei andata poco fa!!!! TE NE DEVI ANDARE!!!!!! Lo capisci l’italiano? Non ti voglio più!”
“Credevo che mi amassi … “
“Certo!!!! Ho amato alla follia una ragazza forse un po’ capricciosa, ma capace di controllare i suoi bassi istinti e di ricambiare il mio amore; non posso amare una troia che la dà via solo perché i suoi capricci non sono stati accontentati immediatamente come lei pretende; quella è una malafemmina che voglio fuori dalla mia vita … immediatamente!!!!! Ti è chiaro?”
“Ho sbagliato! Ho sbagliato H O S B A G L I A T O !!!!!!! Come vuoi che lo dica, come posso confessarlo? Come posso farmi perdonare? Mi vuoi perdonare? Ce la fai a perdonarmi questa volta?”
“NO NO NO NO NO Non posso, non voglio e non devo perdonarti; finché fai la parassita alle mie spalle e mi tradisci come un giuda, non posso non voglio e non devo perdonarti. Perdonati tu, se ci riesci; trovati un lavoro, vattene da questa casa e dimostra che sei in grado di vivere con le tue forze, senza farti mantenere da papà o da un imbecille innamorato di te!!!!”
“Riesci a sopportarmi almeno finché non trovo una soluzione lavorativa? Se non ce la faccio in due settimane, me ne vado dai miei e ti libero da ogni peso. Puoi?”
“Va bene; finché non trovo una donna che meriti di venire a stare con me in questa casa, puoi anche restare; in fondo, non mi pesi più di tanto.”
“Ti offendi se ti chiedo di farmi fare l’amore?”
“Perché finora cosa hai fatto?”
“Ho cercato di fare del sesso, ma è stato un totale fallimento; se ti va, mi puoi penetrare analmente e scoprire che quel poco che ho fatto non merita neppure l’appellativo di sesso e meno che mai di amore?”
“Che vuoi dire?”
“Che ho fatto un poco di sesso con un ipodotato, che sì, è penetrato nel canale rettale, ma lo ha solo solleticato; il tuo sesso è tutta un’altra cosa e non ho fatto che rimpiangerlo, se ti può consolare.”
“Non mi consola; non so se mi va di fare sesso con te; vieni a letto e, se ci riesci, mi lascio concupire … “
Per il momento mi bastava, perché conoscevo Dario e sapevo che, in fondo, mi amava anche se era livido di rabbia per la mia stupidata; entrai nel letto, mi accoccolai sotto le lenzuola e mi strinsi a lui con tutta la schiena, facendo aderire il mio sedere meraviglioso completamente al suo inguine, sentivo che il sesso gli si gonfiava e diventava enorme, proprio come lo ricordavo con nostalgia mentre davo il retto a Stefano; passai una mano tra le cosce, afferrai il suo randello e lo pilotai verso la vagina; se ne stava immobile, quasi fosse completamente estraneo a quanto avveniva tra le nostre cosce; ma il sesso vibrava e tremava come fosse scosso da pura elettricità, ed io sapevo quanta goduria provava in quel momento, quanto amore gli riempiva il cuore, il cervello, il ventre, il sesso che penetrava quasi violento nel canale vaginale e sembrava violarlo per l’ennesima volta.
“Ti voglio nel retto; violentami; te lo chiedo per favore; voglio che tu verifichi che sono ancora la tua vergine compagna e che anche questa verginità è tua; anche la vagina mi era stata stimolata da altri, prima che tu te ne appropriassi per sempre; con l’ano è la stessa cosa; un imbecille ci ha giocato, tu ti prendi la verginità, per sempre! Prendimi e non ti curare delle mie urla, se non reggerò il dolore; sfondami per piacere, fammi godere con il retto!”
Si staccò da me, mi fece ruotare e mi stese supina, spostò due cuscini e li collocò sotto le mie reni, venne tra le mie ginocchia e il suo randello, che mi apparve enorme, si ergeva minaccioso verso il mio ventre; capii che mi voleva possedere faccia a faccia e gli cinsi la vita con le gambe, me le spostò verso il collo e mi trovai abbarbicata a lui con il perineo esposto all’altezza del suo sesso.
“Ricordo ancora i tuoi occhi quando ti sverginai; c’era scritto tutto l’amore che provavamo per l’altro, tutto il timore del dolore, tutta la gioia di offrirti; voglio vedere se stasera leggerò le stesse cose mentre ti sfondo il ventre.”
“Ti amo, Dario; qualunque cosa sia successa, qualunque errore io abbia commesso, ti amo e ti ho sempre amato … e ti voglio, ti voglio dentro, anche dolorosamente; non può essere indolore una penetrazione con quella mazza meravigliosa che è mia; e voglio sentirti dentro tutto; se te lo chiedo, fermati ma non uscire e riempimi fino alla fine, voglio possederlo tutto il tuo sesso, nel mio intestino, nel mio cuore, nel mio amore.”
Mi stava ungendo l’ano con un lubrificante che da sempre teneva nel cassetto, sperando che cedessi, sentivo le sue dita spaziare nel canale rettale e prepararlo da padrone, sentivo i tessuti reagire con una partecipazione goduriosa sciogliendosi letteralmente ed aprendosi alla penetrazione; poi la punta del suo fallo si appoggiò all’ano e le pieghe si distesero a fare spazio al grande intruso, la cappella fu dentro, contro lo sfintere che si richiude restio; un colpo violento, la cappella passò ed io lanciai un urlo da animale squartato, anzi da vittima sacrificale sull’altare di Priapo; perché veramente era degno di Priapo il randello che mi sfondava l’ano e si spingeva per pochi centimetri nell’intestino.
“Amore, fermati; per favore, sosta un momento, fammi riprendere; aspetta … aspetta … ecco … adesso … adesso spingi e non badare se urlo ancora; adesso ce la faccio. Ti amo, Dario, ti amo con tutto il corpo, con tutta l’anima. Ti amo. Ti amo!”
Avevo le caviglie intrecciate dietro la sua testa e i glutei schiacciati contro il suo ventre, con il bastone di carne piantato fino in fondo nel retto; mi teneva per le natiche e non si muoveva ma sentivo che l’asta si gonfiava d’amore e raggiungeva dimensioni mai provate nemmeno nei momenti di massima eccitazione.
“Vorrei che mi baciassi. Ci riesci?”
Si abbassò col bacino e contemporaneamente sollevò il mio busto quel tanto che portava le labbra ad unirsi; stavo piangendo.
“Ti amo, Dario, ti amo da morire. Perdonami, se ti riesce; questo è l’amore; ad altri non darò mai niente di questo amore infinito, questo perdermi dentro di te, questo sentirmi tua, definitivamente tua. … Adesso, possiedimi, eiacula dentro di me e fammi godere come non ho mai fatto!”
Davvero mi sentivo portata in paradiso mentre mi sfondava le viscere con la forza della sua passione che si trasmetteva a me e mi esaltava fino a squirtare violentemente, come non ricordavo da tempo immemorabile; non riuscivo a smettere di sussurrargli il mio amore, di piangere come una fontana per la stupidaggine di una sera, per la paura di perderlo, per il terrore di restare sola e senza sostegni; lui mi montò a lungo, con amore, appassionatamente, spingendo con quanta meno fretta poteva; sentivo nettamente che fremeva dalla voglia di inondarmi le viscere e concludere meravigliosamente quel possesso che lo esaltava; ma si trattenne, anche per protrarre il piacere all’infinito; quando riuscii a succhiarlo con movimenti dei muscoli intestinali, sentii che si esaltava al massimo possibile ed infine mi esplose nella pancia la più lunga e intensa eiaculazione che io potessi ricordare; risposi alla pari, esplodendo con tutto il corpo ed emettendo liquidi, umori e non so che altro da tutto il corpo mentre intorno i fuochi di artificio sembravano esplodere per tutti e due; ci rilassammo un poco, stesi supini sul letto, vicini e toccandoci solo per una mano che sembrava trasmettere amore dall’uno all’altro.
“Amore, è stato meraviglioso; non ti ho mai amato tanto come in questo momento e sento di essere stata amata quanto non si può di più. Grazie.”
“E’ vero che la tua verginità anale l’ho presa io; il tuo ano non era stato minimamente intaccato; ma mi hai fatto molto male lo stesso … ”
“Non intendo dire che è passato tutto. Intanto, da domani mi cercherò un lavoro vero e utile; spero che mi aiuterai anche tu, con il potere che hai; poi ti amerò come ti amavo prima, come ti amo adesso al di là della follia di una sera; ma intendo conquistarmela, la tua fiducia; e spero di farcela perché non ti voglio perdere e farò di tutto per restare sempre con te.”
Dormimmo abbracciati, per la prima volta dopo più di un mese; e mi sentivo quasi felice, rasserenata con me stessa.
Ma le nuvole si presentarono il giorno dopo; passai la mattinata a girare per uffici in cerca di quel lavoro che ormai era diventato la boa centrale della mia vita; non c’era molto da sguazzare, considerata anche la temperie del momento di piena crisi, che riduceva di molto le possibilità di occupazione; inoltre, non riuscivo ad adattarmi all’idea di un lavoro qualsiasi e la ricerca di quello che mi potesse piacere di più non era certo facile; verso l’ora di pranzo andai al solito bar, dove avevo dato appuntamento a Dario; sin da quando arrivai, mi resi conto che i commenti contro di me si sprecavano, soprattutto da parte di quelli che ammiravano molto Dario e vedevano la mia scelta della sera precedente assai azzardata e stupida; d’altra parte, non potevo certo mettermi a spiegare che avevamo fatto l’amore alla grande e che stavo cercando di ricucire lo strappo; il peggio si presentò quando fu Stefano ad affacciarsi nel bar ed a venire difilato al tavolo dove stavo seduta in attesa.
“Vedo che stai seduta male; forse qualcosa è successo ieri sera … “
Ironizzò; lo freddai immediatamente.
“Se fosse per te, non avrei proprio niente da ricordare; ma il mio uomo poi mi ha veramente violentato e con tutto il cuore mi sono fatta sverginare da una mazza vera e da amare.”
“Ah, hai scopato col cornuto? Adesso aspetti lui?”
Fu Sandra, la mia amica da sempre, che lo apostrofò dal tavolo vicino.
“Stefano, bada a come parli; sei sulla lama di un rasoio … “
“Io me ne fotto dei rasoi; non sai con chi hai a che fare … “
Si avvicinò il barista con un buttafuori comparso dal nulla.
“Doriana, questo signore ti dà fastidio?”
“Sto aspettando Dario, sa che ho fatto una stupidaggine e non credo che prenderebbe bene questa vicinanza … “
Proprio in quel momento entrò nel bar Dario che venne difilato da me, mi baciò e chiese.
“E’ lui l’ipodotato?”
Feci segno di si con la testa; Stefano tentò di alzarsi con veemenza, il buttafuori lo schiacciò sulla sedia.
“Calma, fratello; o qualcuno si farà male e sappiamo chi … “
“Chiedigli un po’ chi è.”
Suggerì Sandra a Dario; Stefano sentì e interloquì.
“Sono il nipote del prefetto, per vostra informazione.”
Dario lo guardò sorridendo sornione, prese il telefono e digitò un numero; il vivavoce ci mise tutti in condizione di ascoltare.
“Signorina, sono Dario Rossi, mi passi il prefetto.”
Si sentì qualche rumore di interni poi la voce del prefetto.
“Dario che c’è di tanto urgente?”
“C’è un imbecille che dice di essere tuo nipote; siamo al bar di Tony, in piazza; mandi una macchina a metterlo in salvo o te lo spedisco io a modo mio?”
“Dio, no, no, cosa dici, che ha fatto?”
“Ha fatto sesso con la mia compagna e mi ha chiamato cornuto in pubblico.”
“Oh, dio, Stefano, mi senti? Allontanati immediatamente, ti faccio venire a prendere da una macchina. Dario, ti prego, non fare niente di irreversibile; vieni nel pomeriggio e ne parliamo; penso io a questo citrullo … “
“Per ora sto fermo; se non ho soddisfazione, mi regolo a modo mio.”
Il ragazzo palestrato tentò di lanciarsi contro Dario; fu intercettato dal buttafuori e con un solo colpo si trovò schiacciato a terra; il buttafuori stava per colpirlo con un pugno, ma fu fermato dal mio amore che gli ordinò di calargli pantaloni e mutande; venne in luce in piena piazza il pisellino minimale di Stefano; Dario non si risparmiò l’ironia.
“E tu hai fatto follie per questo pistolino?”
Sandra ne approfittò.
“Perché tu cosa hai, un cannone?”
“Se vieni in bagno, ti faccio vedere, toccare, assaporare e assaggiare in profondità.”
“Così vengo anch’io e te lo taglio … “
“Beh, se io ho visto quello che ha sollazzato te, tu sei invitata a vedere come la tua amica sollazza me.”
“Dario, per favore; cerchiamo di buttarci dietro le spalle questa vicenda.”
Fra gli impegni parolai e la pratica quotidiana, nel caso di bambine capricciose come me, ci passa per lo meno un oceano; una settimana dopo che l’episodio di Stefano era stato archiviato come piccolo indicente di percorso, avevo già perso tutto l’entusiasmo a rifarmi una verginità cercandomi un lavoro; vista anche la difficoltà a trovare occupazione, cominciai a diradare gli appuntamenti per la presentazione di curriculum, i dialoghi di presentazione, insomma tutta la trafila inevitabile per cercare di entrare nella specificità di un’offerta di lavoro.
Considerato che stancarmi delle cose era la più normale delle mie attitudini, dopo una settimana ero indotta a passare le mattinate al bar, senza preoccuparmi di trovare occasioni per discutere con addetti al personale delle varie aziende del territorio; vivere a sbafo, alle spalle di Dario che continuavo ad accusare di preoccuparsi del lavoro più che di me, era diventato quasi connaturato alla mia esistenza e non era strano ormai che, di tanto in tanto, decidessi di fare un giro in macchina con qualcuno dei ragazzi del bar e fermarci in un parcheggio riparato a fare sesso.
Nella mia logica assurda, era la conseguenza naturale della distrazione del mio compagno, alla quale rispondevo con corna di pura qualità; quello che non avevo capito, perché ero ottusa, e la telefonata al prefetto avrebbe dovuto chiarirmelo ampiamente, era che Dario aveva un potere sotterraneo molto incisivo, che gli derivava forse dall’essere legato a qualche potente organizzazione semiclandestina, forse mafia o qualcosa del genere, che gli dava un potere enorme e gli consentiva di essere informato su tutto; il trattamento riservato dai buttafuori a Stefano non mi aveva insegnato niente, soprattutto che Dario aveva spie dappertutto e che era informato passo passo dei miei movimenti.
Difatti, aveva ripreso a ritirarsi in camera e a spedirmi nella stanza degli ospiti, rifiutandosi di toccarmi anche solo per caso; non me ne ero curata ed avevo trovato anche più sano non dover copulare con lui dopo essermi scatenata in una macchina spesso per un intero pomeriggio; uno dei ragazzi riuscì ad impossessarsi delle chiavi di un magazzino mezzo abbandonato che stava nella zona industriale e ne approfittammo per straordinarie sedute di sesso in cui spesso mi prendevano contemporaneamente in molti.
Per un paio di mesi ancora la situazione ristagnò in questa palude, finché lui non telefonò ai miei, in viva voce, per avvertirli che stava per cacciarmi di casa, stavolta senza remissione, e che se non volevano che finissi randagia sotto i ponti o su un marciapiede a battere dovevano venire a prendermi e a portarmi via; sentivo i singhiozzi di mia madre e la rabbia di mio padre che si scatenava in imprecazioni; intervenni a suggerire che aspettassero almeno quella settimana, poi sarei stata io stessa a prendere il treno per andare definitivamente a casa dei miei, visto che con lui ormai ci stavo malissimo.
A Dario, che mi chiese perché rinviare, feci presente che quel sabato la sua amica Elvira aveva organizzato una meravigliosa festa in maschera e non intendevo perderla; lui sapeva che le feste di Elvira culminavano sempre in un’orgia e capì anche che il mio obiettivo era passare un’ultima serata di sesso sfrenato e poi andarmene per sempre; con un’aria da oracolo premonitore, Dario mi ricordò l’episodio di Stefano e aggiunse con fare misterioso.
“Attenta alla vendetta; è sempre terribile; nel mio ambiente non si fanno prigionieri.”
Ancora una volta sollevai il medio della mano destra, a sorpresa, me lo afferrò, lo piegò fin quasi a spezzarlo.
“Questo sai bene dove te lo devi ficcare, troia! Ride bene chi ride ultimo; sarò spietato, sappilo!”
Non fu la frase, a farmi paura, ma il tono con cui la pronunciò e i sottintesi a cui forse non avevo badato; scappai via e mi rifugiai al bar, dove trovai la solita Sandra; le chiesi lumi, anche perché lei aveva detto qualcosa a Stefano che già mi aveva incuriosita.
“Perché dicesti a Stefano che correva sul filo del rasoio?”
“Cretina, non l’hai visto? Dario dava del tu al prefetto, lo minacciava apertamente, Stefano è stato picchiato, deriso, umiliato, è dovuto scappare perché rischiava la vita. Sei così stupida che vivi per un anno con un uomo e non ti rendi conto che è a capo di un’organizzazione criminale potentissima e pericolosissima, che detta legge a tutta la città; tu a quell’uomo hai fatto le corna e non sai che in quell’ambiente un’offesa come le corna si paga con la vita?”
“No, Dario non può essere un criminale! Sei tu che esageri!”
“Dario è un uomo di affari, un grande uomo di affari; ma tu sei così imbecille che non sai neanche startene zitta al tuo posto quando fa affari; gli hai messo il bastone fra le ruote, lo hai umiliato e offeso; a Stefano è andata bene perché ha lo zio potente che si è piegato al potere di Dario e l’ha fatto scappare, forse in Sudamerica; in cambio, il tuo uomo ha avuto autorizzazioni e vantaggi che lo hanno ulteriormente arricchito; i ragazzini con cui stai facendo sesso sono dei poveri imbecilli; i buttafuori, i baristi, i proprietari del bar sono tutti uomini di Dario, spie prezzolate che ci contano anche i peli della vulva e li vanno a riportare al loro capo; tu hai messo a rischio di morte i ragazzini con cui fai sesso; e neanche te ne accorgi.”
“Lo hai provato, poi, il sesso del mio uomo?”
“Dario non è più il tuo uomo da almeno un paio di mesi; da allora, puntualmente, ci faccio sesso due volte la settimana, il mio fidanzato lo sa e, poiché gli è debitore, accetta volentieri che io ci vada a letto, poiché a me piace; come fa l’amore lui non trovi nessun altro.”
“Conosci altre che vanno a letto con lui?”
“Ma sei proprio un’ingenua imbecille e sprovveduta; svegliati, Alice, il Paese delle Meraviglie non esiste; tutte le ragazze della città si spoglierebbero in piazza e si farebbero montare davanti a tutti per essere con quello che tu chiami il tuo uomo e che è solo un vecchio innamorato di te come eri prima di diventare imbecille irrecuperabile.”
“Dio mio, e ora cosa succederà?”
“Chi lo può sapere? L’unica previsione che sento di fare è che ve la farà pagare cara; preparati a pagare un prezzo che neppure immagini; se si è incavolato assai, vi fa ammazzare tutti e sette, tu e i sei cretini che si sono attaccati alla tua vulva; se lo trovi buono, potrebbe limitarsi a massacrarvi, a farvi tanto male che le cicatrici ve le troverete per il resto della vita; so di gente in carrozzella per avere scopato con la donna del capo, di altri evirati e insomma meglio non fare l’elenco; si preparano giorni brutti, per te e per loro.”
Mi sembrava di non avere scampo; l’unica possibilità che mi restava, per raffreddare la rabbia di Dario, era quella di lasciarlo immediatamente, di scappare dai miei genitori, come lui aveva chiesto, e sperare che la mia partenza potesse mitigare il suo istinto di vendetta e consentisse di risparmiare la vita dei sei ragazzi; decisi che la cosa migliore era parlarne a lui.
“Dario, ho deciso di partire, vado a casa dei miei e scompaio dalla tua vita … per sempre.”
“Bene … ottima decisione … quando parti?”
“Anche adesso stesso, se per te sta bene … ma tu che farai della vendetta che hai minacciato?”
“Io non ho minacciato nessuna vendetta … e poi a chi avrei dovuto minacciarla?”
“Beh, l’episodio di Stefano non lo ha dimenticato nessuno … “
“Stefano!?!? Di chi stai parlando?”
“Di quello col quale feci sesso qualche mese fa … “
“Senti, non so di che cosa vai vaneggiando … hai fatto sesso … con Stefano …. con Franco … sai quanto me ne frega … basta che te ne vai …”
“Puoi promettermi che non farai pagare a nessuna una colpa che è solo mia?”
“Primo, non so di che diavolo parli; secondo non so di che colpa stiamo discutendo; terzo, anche se fosse, in nome di che cosa dovrei farti una promessa? Quale impegno c’è tra me e te?”
“Non ce ne sono più, ma c’erano … “
“E chi li ha disattesi?”
“Io … “
“Quindi ... vattene e non ti curare di quel che lasci dietro di te; d’altronde, lo hai fatto, soprattutto con me … non hai nessuna idea di quel che ti lasci dietro, di dolore, di lacrime, di sofferenze, di delusioni!”
“Va bene, mi fermo fino a sabato, partecipo alla festa in maschera e me ne vado … ”
“Per favore, smettila, fai quel cavolo che ti pare, vai, resta, festeggia, non festeggiare. Io non ho bisogno di te, non ti voglio, non ti amo, non ti stimo, non ti rispetto più. Se te ne vai presto risparmi molte sofferenze a tanti; se tardi e fai ancora stupidaggini, semini solo guai.”
“Va bene, mi prendo quest’ultima soddisfazione e sparisco … “
La festa era prevista per venerdì sera, sarebbe stata in maschera nella enorme villa di Elvira e sarebbe stata un trionfo di sesso, di trasgressione, di divertimento puro; avevo avvisato i miei ragazzi che sarebbero stati tutti della partita e avevo deciso che avrei copulato con tutti e sei, separatamente e in gruppi più o meno numerosi; prima di abbandonare il campo, un’ultima esplosione di fuochi d’artificio era quello che ci voleva.
Su richiesta di Elvira, mi mossi assai per tempo, verso le 18 ero in villa con il mio costume da dama del settecento adattato in modo da sfilarsi in un attimo; sotto, ero ovviamente nuda; appena arrivata, Elvira mi spedì nel ‘salone rosso’ quello delle grandi copule, con un grande letto al centro e sedie intorno; quando entrai, lo trovai già occupato da un cavaliere in abito settecentesco che mi fece un delizioso invito; mi accostai e, senza profferir verbo, mi spinse sul letto denudandomi in un attimo; subito dopo era nudo anche lui e rivelò una mazza di tutto rispetto, pari solo a quella di Dario che, dopo le diverse esperienze, valutavo come certamente la più grossa che io avessi assaggiato.
Mi ci precipitai con la bocca e presi a leccarlo dalla base al vertice; mi prese la testa e mi obbligò a succhiare i testicoli grossi come albicocche; mi ci saziai all’infinito, leccandoli accuratamente e sentivo che la sollecitazione si trasmetteva all’asta che s’inalberava enorme sopra il mio naso; un empito di libidine mi spinse a prendere in bocca la cappella grossa come un fungo; lui mi spinse dalla nuca e mi costrinse a farla penetrare fino al fondo, provocandomi conati di vomito che solo quando succhiavo il sesso di Dario provavo frequentemente; si fermò al punto giusto e mi lasciò a succhiarla, mentre mi afferrava le tette e stringeva i capezzoli come in una morsa; anche in questo gesto ritrovavo una passione del mio compagno che amava stritolarmi i capezzoli mentre mi copulava in bocca.
Per non rischiare di soffocare, lo staccai dalla bocca e presi a leccare tutta l’asta delicatamente, dalla radice alla punta; capì che chiedevo requie e mi stese supina sul letto, piombò fra le mie cosce e sentii la lingua che si muoveva a spazzola sulla mia vulva, carezzava lussuriosamente le grandi labbra e inseguiva quelle piccole; quando prese fra le labbra il clitoride, spinse un dito in vulva e premette su un punto preciso che solo Dario conosceva benissimo, quello del mio punto G; urlai come un capretto scannato e squirtai come una fontana in piazza; insistette metodico e continuo, quasi feroce, a succhiarmi e a titillarmi facendomi esplodere cinque, sei volte; cominciai a perdere energie e a sentirmi sdilinquire; gli chiesi per favore di fermarsi un attimo; montò sul letto, mi venne sopra e mi piantò il manganello sulla vulva, strusciandolo con energia; continuavo a godere, ad esplodere e ad implorarlo di fermarsi, ma non se ne dava per inteso.
Poi mi penetrò violentemente; per la prima volta in vita mia, sentii il volume del sesso riempirmi il canale vaginale; non avevo copulato poco e con membri anche notevoli; ma quest’amante mi riempiva tutta e mi faceva godere al di là di ogni limite; le mie urla ormai erano un grido continuo che risuonava nella villa dappertutto; intanto, qualcuno era entrato nel salone, i ragazzi che aspettavo, e si erano andati a sedere sulle sedie lungo il muro, mentre lo sconosciuto mi sbatteva in tutti i modi facendomi vedere lo splendore del paradiso e le fiamme dell’inferno, quando usava la mazza per violentarmi in tutti i punti rimasti finora indenni; li guardavo rassegnata e gli facevo capire che dovevano aspettare che avessi finito con lo sconosciuto che, in tutto il tempo, non aveva detto una parola.
Quando mi fece poggiare carponi sul letto, col sedere alzato verso il suo ventre, ebbi la certezza che stava per violentarmi l’ano con una mazza spropositata; cercai di dirgli di no, ma mi tacitò chiudendomi la bocca con la mano, mentre la cappella affondava già nell’ano che mi veniva violentato con una forza indicibile; il mio urlo di dolore, anche soffocato dalla mano, giunse distintamente a tutti; i ragazzi accennarono a muoversi ma un buttafuori comparso dal nulla li bloccò; lo sconosciuto mi violentava l’ano come non sarebbe neppure immaginabile; la sua proboscide entrava ed usciva dal canale rettale con una frequenza e con una forza inaudite.
Godevo, contro ogni previsione, e squirtavo, violentemente e rumorosamente come scoreggiassi; lui non si fermava e imperterrito continuava a martellarmi il retto finché il manganello entrava ed usciva in assoluta libertà; improvvisamente, si staccò; mi passò davanti, mi piantò in bocca il bastone, neppure tanto pulito, e mi obbligò a succhiarlo; come all’inizio del nostro incontro, me lo sbatté in gola provocandomi frequenti ed intensi conati di vomito; alla fine, mi esplose in bocca una lunghissima eiaculazione.
Pensavo, credevo e speravo che avesse concluso la sua performance e mi apprestavo ad affrontare i ragazzi che certamente sarebbero stati veramente dolci, dopo la violenza che lo straniero misterioso mi aveva imposto; stavo per chiamare il primo, quando la porta si aprì per lasciare entrare Elvira, che fermò con un gesto tutto e chiese.
“Che devo fare, Dario?”
“Dario?!?!?! Tu sei Dariooooo?????”
“Neanche il mio sesso riesci più a distinguere quando ti massacro a letto; sei una grande troia!!!!!!”
“Oh, mio dio, adesso che succederà?”
“Elvira, questi imbecilli affidali a Nicola e digli di pensarci lui … “
“Nooooooo!!!!!!! Nooooooo!!!!! Per pietà, no no no!!!! Prenditela con me, solo io sono colpevole; loro sono dei poveri ragazzi che hanno incontrato una ninfomane da copularci; io devo pagare; loro non c’entrano con la tua vendetta …. “
“Intanto, decidi cosa vuoi fare; tu stasera a casa mia non ci vieni; se non trovi immediatamente una soluzione, finisci sotto i ponti … “
“Dario, ormai è chiaro che questa è una piccola troia ninfomane a caccia di sesso; tu sai che il Calabrese è sempre in cerca di vulva; se l’affidi a lui, lo fai felice per tante ragioni, perché è una gran bella donna, perché le piace tanto copulare, perché è stata la tua donna; credo che sarebbe arcifelice di prenderla come amante fissa e sistemarla.”
“Hai ragione … Doriana, che ne dici di diventare l’amante fissa di un imprenditore ricco che ti potrebbe sistemare al meglio?”
“Scusa, ma tu non sei un imprenditore ricco?”
“Sì, ma, intanto, io sono alquanto diverso … in secondo luogo ti ho già sopportato troppo a lungo … infine, non ti vorrei neanche se fossi l’ultima donna rimasta sulla terra … devi andartene … ora!”
“Dario è un signore, il Calabrese è una bestia; Dario ti ha sempre rispettato, il Calabrese non rispetta niente e nessuno; insomma, per lui tu saresti una bambola di stracci da farci sesso come e quando gli va; pensa che ha una moglie e una carretta di figli, un paio di amanti fisse e gira in cerca di vulva continuamente.”
“E se andassi a stare dai miei?”
“Non lo devo decidere io; loro ti hanno già detto di sì; Elvira ti regala qualcosa per vestirti, Nicola ti accompagna alla stazione, tu te ne vai ed io sono libero. Se ti va, si fa ora stesso.”
“Se non fossi Doriana ma una qualsiasi amica, cosa mi suggeriresti?”
“Ormai è chiaro che il sesso è una componente essenziale della tua personalità; a casa dei tuoi non ci resisti una settimana, perché hai già bisogno di sesso e ti ho appena sventrata davanti e dietro sopra e sotto; quindi andare dai tuoi è molto pericoloso; se si stancano loro, sei morta. Il Calabrese ti sventrerà perché ha la mazza di un asino e non la usa con la testa ma coi testicoli; però i tuoi tessuti sono molto elastici, lo so bene; e tra un anno, quando non avrà più voglia di te e ti caccerà, ti resterà il posto di lavoro che mi accerterò che ti sia assegnato coi crismi della legalità; lui stasera ti dovrà ospitare in uno dei tanti monolocali che ha in giro in città; se ti fai furba e te lo fai intestare come regalo, quando sarà passata la ‘tempesta calabrese’, ti potresti trovare con una casa tua e un lavoro soddisfacente …”
“In sostanza, mi suggerisci di prostituirmi … “
“Se avessi fatto questo, invece di riempirmi di corna, forse avremmo fatto altri discorsi; o credi che aver copulato solo per offendermi sia più dignitoso che farlo per sistemarti?”
“Elvira, mi dai qualcosa per vestirmi senza questo costume?”
“Non partecipi più alla festa?”
“No, grazie, la festa me l’hai fatta tu, davanti e dietro, sopra e sotto … Adesso affrontiamo quest’altra avventura … “
Scendemmo nella sala delle feste e nessuno si rese conto che non indossavo costume; il leggins di Elvira mi fasciava così sensualmente le gambe e i fianchi che diventarono una vera calamita per tutti; la camicia a scacchi annodata in vita e lasciata quasi sbottonata apriva una vista sul mio seno abbondante che nessuno poteva sottrarsi alla tentazione di dare almeno uno sguardo; ci eravamo appena seduti che un tipo tracagnotto, scuro di pelle e nero di capelli si avvicinò e guardò Dario con aria di sfida.
“Salve, padrino; finalmente ho l’onore di vedere dal vivo la fata che ha stregato il grande Dario; sei bellissima, forse la più bella del mondo.”
“Doriana, questo signore lo chiamiamo il Calabrese per le sue origini; è un mio caro amico e grande avversario; lei è la mia ex compagna.”
“Ex compagna!?!? Vuoi dire che avete rotto la vostra relazione?”
“Perché? Ti interessa prendere il mio posto?”
“Io sono molto amato dalle donne che conosco, ma so anche aspettare che si dichiarino disponibili prima di parlare di ‘posto’ come stai facendo tu.”
“Beh, lei non ha un lavoro e non ha un reddito suo; anche per questo, deve trovarsi qualcuno che la sostenga anche professionalmente, oltre ad innamorarsene.”
“E dov’è il problema? Dory, posso chiamarti Dory?, ti va di venire a lavorare nella mia fabbrica come supervisore alle vendite?”
“Intendi solo in fabbrica o anche … “
“ANCHE, naturalmente; se sei d’accordo, ho in centro un monolocale arredato molto elegante, che sicuramente si adatterà alle tue esigenze ed alla tua classe; ci possiamo andare anche subito, se vuoi.”
“Aspetta, Calabrese, io non mollo la mia ex se non vedo il contratto di lavoro …”
“Capo, come sei diffidente … Avvocato, ce l’hai un modulo di assunzione? … Bene, prenditi i dati e portamelo a firmare. Certo che sei un bel diffidente, però …”
“Guarda che fino a poco fa era la mia donna; voglio che le sia tutto garantito, anche il monolocale.”
“Calma, eh! Calma! Per il monolocale, voglio prima sperimentare la compatibilità; poi saranno affari miei, come trattare la ‘mia’ donna.”
“OK, mi fido. Doriana, buona fortuna; mi dispiace che sia finita; spero che con lui ti vada meglio … “
Non lo degnai neppure di una risposta; anzi, per provocarlo e, forse, offenderlo, mi attaccai al mio nuovo amore e gli piantai la vulva sul ventre mentre con le labbra succhiavo tutta la sua bocca nella mia e spingevo la lingua a perlustrargli fino alla gola; sentivo che si rizzava dal suo corpo una bestia che non prevedevo e che per un momento mi fece tremare; ad occhio e croce, era anche più grossa di quella di Dario e mi eccitava anche solo a pensarla dentro di me; Peppe, qualcuno mi aveva segnalato che il suo nome anagrafico era Peppe, mi abbrancò per le natiche e mi tirò tutto su di sé facendomi partecipare con tutto il corpo ad un lussurioso strusciamento che mi provocò un orgasmo vero; lui mi sussurrò all’orecchio.
“Sei una bomba, Dory; ce ne andiamo di sopra o vuoi visitare la tua nuova casa?”
“Portami a casa e fammi fare tanto amore. Ho voglia di sentirti dentro, dappertutto, anche se mi dovessi fare molto male, con questa tua meravigliosa bestia!”
Un attimo dopo averla ‘sparata grossa’ mi ero già pentita amaramente della mia irrazionalità; considerato il volume della mazza che avevo sentito tra le cosce del Calabrese e, ricordandomi solo dopo che meno di mezz’ora prima Dario mi aveva largamente maltrattato davanti e dietro, sopra e sotto, era abbastanza semplice osservare e capire che un incontro con il mio nuovo amante quella sera stessa poteva rappresentare un autentico pericolo per la mia incolumità; guardai implorante nella direzione di Dario e il mio sguardo che chiedeva pietà gli fece cogliere subito la situazione; anche Elvira si era voltata dalla mia parte ed aveva capito tutto; ci fu fra i due uno sguardo di intesa e vidi che lei andava verso il suo studio; quando uscì, mi venne vicino con aria apparentemente molto affettuosa, anche se invece ce l’aveva a morte con me, e mi sibilò con rabbia in un orecchio.
“Imbecille, prega dio che riusciamo a risolvere; se non ce la facciamo, stasera son proprio ca … voli tuoi!”
“Mi dispiace; non ci ho proprio pensato!!!”
“Il giorno che penserai, prima di fare una delle tue tante imbecillità, ci sarà un terremoto!”
Intanto, vedevo Dario che parlava con l’avvocato del Calabrese, quasi trattasse uno dei suoi tanti affari; ma l’oggetto che agitavano era il contratto di lavoro per me; evidentemente, lui stava ancora insistendo per avere la garanzia che mi mettevano in regola con il lavoro; non riuscivo assolutamente a capire se stava cercando di rinviare il più possibile il mio incontro faccia a faccia col Calabrese, con le conseguenze che potevano venirne soprattutto alla mia salute; se stava davvero trattandomi come una schiava polemizzando sulle clausole della mia cessione al subalterno; se invece fosse veramente innamorato di me e non avesse nessuna intenzione di cedermi sul serio.
Nella mia stupida visione da sogno, speravo che l’amore per me gli impedisse di condannarmi a diventare la schiava sessuale del suo amico erotomane e violento; ma troppi fatti anche recenti lasciavano capire che invece fosse il solito imprenditore che cercava di ricavare il massimo vantaggio da una transazione e che stava cedendo una sua schiava ad un concorrente trattando sul prezzo; non riuscivo assolutamente a capire se dovevo odiarlo ancora di più per essere trattata da schiava, se dovevo amarlo alla follia perché stava dimostrando di preoccuparsi per me o se semplicemente dovevo aspettare che qualcosa succedesse; per una volta tanto, scelsi di non decidere e stavo ad osservare gli eventi; per male che andasse, mi sarei trovata quella sera stessa a dover subire, in condizioni già precarie, gli assalti animaleschi di un amante violento; nelle mie condizioni, niente mi dava più motivo di ansia; e aspettavo.
Ad un tratto comparve una nuova ospite, che gettò lo scompiglio tra i presenti, al punto che il Calabrese lasciò cadere gran parte del contenuto di una bottiglia da cui stava versando del liquore in un bicchiere; il gesto che fece Dario, di andare verso la nuova venuta e salutarla con molta amicizia, baciandola sulle guance, mi fece capire che si trattava di una donna importante ma inattesa; quando Elvira si precipitò ad abbracciarla e la chiamò per nome, fu chiaro anche a me che era la moglie legittima del Calabrese, appositamente invitata da Elvira e precipitatasi alla villa; in tal modo, non era possibile per lui fermarsi con me come aveva promesso, o minacciato?; guardai i due con aria di gratitudine ma Elvira non mi risparmiò.
“Stasera ti fermi a dormire qui e cerchi di recuperare; ma domani ti darò in pasto a quell’animale e poi non voglio sapere più niente.”
Approfittai di un momento in cui Dario era da solo in un angolo per avvicinarlo.
“Visto che da domani divento proprietà dell’amico a cui mi hai ceduto come una schiava, mi faresti un ultimo regalo, mi faresti dormire con te questa notte?”
“Ho già detto e ribadito che a casa mia la tua fogna non ce la voglio vedere più!”
“Non a casa tua. Elvira mi ha detto che posso fermarmi qui. Non passeresti un’ultima notte con me?”
“Ma come fai a pensarlo se ancora ti muovi male per quello che ti ho combinato un’ora fa? … “
“Non voglio fare sesso. Voglio solo che mi fai dormire in braccio a te, come siamo riusciti a fare qualche volta quando ci amavamo davvero … “
“Non credo che girare il coltello in quella piaga faccia bene a nessuno. Rassegnati all’idea che domani sarai in balia della bestia e prega che duri poco.”
Non tentai neppure più di dialogare; capivo che dovevo andarmene e chiesi ad Elvira se potevo approfittarne per rilassarmi con un bagno; mi indicò quello più attrezzato, con una splendida Jacuzzi; mi mostrò gli armadi dove potevo trovare abiti per me e, per la prima volta in tutta la serata, mi accarezzò il viso con dolcezza.
“Povera ragazza; in fondo, mi fai solo tanta pena perché sei una bambina capricciosa incapace di capire il mondo.”
“Già! … peccato che quasi sempre lo capisco solo dopo … e troppo tardi per evitare gli errori o per rimediarvi. … “
Me ne andai nel bagno, mi immersi nella vasca, mi abbandonai al movimento dell’acqua e quasi mi addormentai; quando mi riscossi dalla catalessi che mi aveva provocato la Jacuzzi, mi asciugai con calma ed accuratamente, quasi a tirare tardi per non affrontare la realtà; mi truccai utilizzando il repertorio vastissimo di dotazioni del bagno, scelsi un vestitino leggero ed elegante, senza intimo, e indossai una mascherina che trovai come soprammobile su un cassettone; mi ripiombai nella realtà della festa, resistendo a tutte le avances e agli inviti a scatenarmi liberamente; paradossalmente, non feci sesso in una serata in cui tutti impazzano.
La giornata seguente la trascorsi a ciondolare tra le sale della villa e il giardino; trovavo molto strano che una figura secondaria come Elvira vivesse in tanto sfarzo, mentre un padrino come Dario si chiudeva in un appartamento in centro, senza dubbio bello e sfarzoso anche quello, ma comunque non della classe della villa; mi chiarì tutto il fido Nicola, che ormai riconoscevo come il braccio destro di Dario, il quale, intuendo la mia perplessità, mi spiegò che Dario si concedeva pochi lussi, ma che non impediva alle sue donne di scialare con tutte le sue disponibilità.
“Dici che avrei potuto essere io, a beneficiare di questi lussi, se non avessi commesso tanti errori?”
“Dario ti ha incontrato quando era all’inizio della sua ascesa; poi si è innalzato rapidamente; secondo me, era convinto che lo avresti accompagnato e saresti stata la sua ispiratrice; ci deve essere rimasto molto male, quando ha capito che non era così.”
“Stai dicendo che era tanto innamorato di me?”
“Non lo dico solo io; lo dicono tutti e, soprattutto, lo dicono i fatti; sei ancora la donna più importante per lui, anche se deve frenarsi per non farti fare una brutta fine, come meriteresti.”
“Anche tu mi odi?”
“Vista la mia fedeltà a Dario, non posso certamente amarti.”
Non potevo aggiungere altro e mi dovetti limitare ad attendere che Elvira mi accompagnasse dal Calabrese; nel pomeriggio, si accertò che lui fosse in ufficio e mi condusse in fabbrica; mi affidò ad una delle segretarie e se ne andò con una strana espressione tra il rammaricato e l’incavolato; era chiaro che non riusciva a perdonarmi di avere sprecato tutta la mia vita per un misero capriccio; mi indicarono una scrivania dove qualche volta avrei dovuto sedermi per ‘fare finta’ di controllare le attività e notai che non era molto vicina all’ufficio del ‘capo’ a cui in realtà ero destinata come concubina; in realtà, non incontrai lui per tutto il pomeriggio; a fine giornata, un ragazzo incaricato appositamente mi accompagnò in macchina ad un edificio del centro tutto occupato da piccoli appartamenti e mi consegnò le chiavi di uno al secondo piano.
Ci volle poco a visitarlo tutto, visto che era costituito da un soggiorno con angolo cottura e da una camera con un letto enorme che la occupava quasi per intero; in un armadio grande come tutta una parete, trovai un completo guardaroba della mia misura, dai vestiti all’intimo alle scarpe, tutto regolarmente firmato ed elegantissimo, all’ultima moda; mi sentivo adulata e vezzeggiata come piaceva a me e il mio orgoglio si inalberò fino a farmi ammirare quell’individuo rozzo che mi aveva acquistato come una bestia al mercato, ma che in compenso mi faceva sentire amata e coccolata come Dario aveva fatto solo poche volte; finì che lo aspettavo quasi con ansia e, quando entrò, mi lanciai ad abbracciarlo con un entusiasmo che lui scambiò per amore.
Riprese immediatamente i suoi costumi e mi abbrancò per i glutei stringendoli fino a farmi male; la velocità di recupero dei miei tessuti aveva spesso meravigliato anche i medici ed avevo ormai assorbito il dolore che mi aveva provocato lo strapazzo a cui il giorno precedente mi aveva sottoposto Dario quando mi aveva posseduto con rabbia feroce e cieca da tutte le parti; ma la presa del Calabrese era comunque assai forte e mi straziava le natiche e i fianchi; era evidente che desidera possedermi fino in fondo, fino all’anima, se necessario; mi abbandonai con lussuria, quasi fiduciosa, e cominciai a gustarmi la pressione della sua mazza enorme contro l’inguine.
Era evidente che aveva una voglia matta di possedermi in ogni modo, forse anche per una forma di rivalsa contro ‘il padrino’ di cui poteva finalmente maltrattare la donna che si era preso con pieno diritto; al tempo stesso, però, era quasi messo in soggezione dalla mia figura che riteneva superiore alle tante con cui si era rapportato; sicché, da un lato mi sentivo sbattuta quasi con violenza, prima contro una parete, nel soggiorno, e poi sul letto, quando mi trascinò, letteralmente, in camera; dall’altro lato, però, sentivo che mi spogliava come se scartasse un regalo prezioso, attento a non rovinare nemmeno un bottone o una piega dei miei vestiti, mentre mi accarezzava quasi con la bava alla bocca ogni centimetro di pelle che scopriva, passandoci poi le labbra e la lingua a leccare, succhiare, godersi i contatti col mio corpo che gli facevano rizzare l’arnese fino a dolergli, probabilmente.
Decisi di corrispondere alle lussuriose attese e presi a baciarlo anch’io, mentre lo spogliavo dei suoi abiti e mettevo a nudo il corpo decisamente tonico, muscoloso ed energico; mi piaceva sentire sotto le dita, sotto le labbra, sotto la lingua, i muscoli possenti del torace, specialmente quando prendevo in bocca i capezzoli e li succhiavo, uno per volta, scatenandogli dentro torrenti di piacere e di voglia; infilai la mano nei pantaloni e la sentii finalmente viva, calda, possente, la ‘mazza asinina’ di cui mi avevano parlato e contro la quale mi avevano prevenuto che poteva fare tanto male, se entrava troppo o troppo di colpo; sotto le mie dita agili, sembrava quasi morbida, dolce, carezzevole; e ne seguivo pacatamente e singolarmente le pieghe, le vene, lo spessore, enorme, e la lunghezza, meravigliosamente infinita; quando presi a masturbarlo metodicamente, sentii che vibrava in tutti i muscoli del corpo e che si sforzava in ogni modo di ricacciare indietro l’orgasmo che montava.
“Pensi di non farcela, a farne due di seguito?”
Gli chiesi provocatoria; con la determinazione che mi aspettavo, mi rimbeccò.
“Me ne faccio tante di fila da farti chiedere pietà, bella mia; perché vuoi farmi eiaculare?”
“Perché lo sperma che spruzza dal sesso mi eccita da morire; mi piace vederlo inondarmi le tette, il ventre, il viso, la bocca; dammi il tuo succo da leccare e mi farai felice.”
Non mi lasciò finire; mi afferrò il viso e mi baciò voluttuosamente mentre si muoveva nella mia mano come copulasse; aiutai la masturbazione con tocchi sapienti, abbassai la testa, guardai finalmente la cappella enorme che mi ingombrava la mano e vidi sprizzare dal foro in cima la cremina bianca che aspettavo, aprii la bocca e sporsi la lingua per ricevere direttamente lì il primo spruzzo e cogliere finalmente il sapore del suo sperma, acre, duro come il suo carattere, ma anche pieno, sapido, godurioso della gioia di vivere che rappresentava.
Raccolsi tutti i getti di sperma che produceva e capii rapidamente che potevo dominarlo perché le mie voglie, i miei capricci, le mie invenzioni lo spiazzavano facilmente e, in quelle condizioni, un uomo poteva facilmente dipendere da me, dal mio sesso, dalla mia capacità di utilizzarlo per piegarlo ad ogni mio capriccio; forse, senza volerlo, avevo trovato il giocattolo giusto per le mie piccole follie.
Prima che la sua erezione svanisse del tutto, lo rovesciai sul letto e, con la bocca ancora impastata del suo sperma, presi l’uccello tra le labbra, facendo enormi sforzi per fare entrare almeno la punta, e cominciai a succhiargli l’anima dai testicoli; mi implorò più volte di lasciargli un po’ di requie almeno per recuperare; mi prese il viso tra le mani e cercò di portare la sua bocca sulla mia; sapevo di avere la lingua ancora piena del suo sperma e non sapevo se gli potesse fare piacere.
Ma non avevo modo di ribellarmi e lo baciai voluttuosamente, passandogli la lingua sull’interno della bocca e spalmandogli il suo sperma dappertutto; partecipò con una passione da delirio e si lasciò andare al gusto del bacio con lo sperma che a mio avviso neppure conosceva.
“E’ pazzesco baciarti; sento la mazza che mi fa quasi male, tanto è dura; eppure ti ho appena inondato la bocca; ora voglio la vagina, poi ti romperò anche il sedere!”
“Cerca di andarci piano, per favore; non voglio negarti niente né sottrarmi a niente, ma cerca di tenere conto anche dei miei limiti di sopportazione; non vorrei che mi lacerassi qualcosa in maniera irreversibile; mi piace fare l’amore, con te può essere un delirio dei sensi, ma la tua mazza è molto minacciosa; rompimi tutto, ma con cautela e senza danni irreversibili.”
“Non ti farò nessun danno; non ne ho mai fatto; ma tu mi ecciti in maniera animalesca; non è facile fermare la violenza, quando mi ecciti da morire; voglio possederti sempre, in ogni momento, dovunque e comunque.”
“Sono pronta a darti tutto il piacere che chiedi; non ti negherò mai niente e mi prenderò sempre tutto quello che puoi darmi; non possiamo parlare d’amore, tra noi; ma di piacere, di gusto, di sesso godereccio, quello sì che possiamo permettercelo; adesso, per favore, cominciamo e basta con le chiacchiere!”
Non me lo fece ripetere; completò lo spogliarello strappandosi di dosso i pochi abiti che ancora non gli avevo tolto e mi strappò via reggiseno e slip, l’ultimo velo rimastomi; mi si stese addosso con tutta la mole dei suoi muscoli possenti ed io mi rannicchiai sotto di lui, cercando di ‘sentire’ su di me il calore intenso di quel corpo tonico, muscoloso, tutto da amare e da possedere, me lo sentivo addosso, sopra, dentro; ci baciammo come se dovesse essere l’ultimo momento della nostra vita.
Mi percorse tutta la bocca con una lingua calda, grossa, umida, lussuriosa; allungai una mano tra noi e sentii la mazza vigorosa, turgida; a malapena, riuscivo a tenerla tra indice e pollice, la guidai sul mio corpo verso la vulva, appoggiai la cappella all’imbocco della vagina; stavo colando come una fontana, una pozza di liquidi vaginali si era già formata sul lenzuolo, sotto le mie natiche, e tendeva ad allargarsi mentre gli umori grondavano senza sosta e lubrificano il canale.
La mazza cominciò il suo percorso per penetrarmi in vagina e sentivo che i tessuti soffrivano per un’invasione mai sperimentata, ma godevano della sollecitazione che ricevevano; gridai di gioia, di piacere, di sensualità, forse perfino d’amore, ma solo perché stavo pensando a Dario e ricordavo quando lui mi prese la prima volta; godevo, avevo continui orgasmi e sbrodolavo senza sosta, allagai la mazza che mi stava entrando nel ventre.
Sembrava infinito il percorso che doveva compiere dentro di me e sembrava eterno il tempo che impiegava ad attraversare tutto il canale vaginale fino ad urtare la cervice dell’utero, quando finalmente fu costretto a fermarsi perché veramente l’urto mi provocava fitte di dolore.
Il Calabrese non era così violento o rozzo come sembrava al primo impatto; a mano a mano che la sua mazza entrava, sembrava farsi più delicato, più attento, quasi più premuroso; mi baciava dolcemente il viso tutto, dalla radice dei capelli al mento; segnava con le labbra il profilo del viso e si soffermava a baciarmi gli occhi, la bocca; infilava nelle orecchie la punta della lingua e mi provocava intense emozioni che producevano orgasmi irrefrenabili.
Scese sul seno e mi succhiò i capezzoli come un neonato affamato; non picchiava con violenza col ventre sul mio, copulando con forza, ma mi accarezzava i fianchi con dolcezza, quasi seguendo il profilo con eleganza ed amore; poi partiva alla carica e mi montava con forza; sentivo l’asta sprofondarmi fin nell’anima, sventrarmi e violentarmi tutta ma lasciandomi sempre e dovunque il senso di un piacere infinito; la mia vagina si era adattata alla sua mole immensa ed ora la riceveva con gioia, se ne beava, la risucchiava fino in fondo.
Era amore, quello che provavo, perché anche con Dario avevo passato quell’esperienza, quando mi prese le prime volte ed io sentivo l’enorme differenza coi ragazzi che avevo incontrato fino a quel momento; la sensazione del corpo che si apriva e accoglieva in se il sesso enorme di quel maschio mi faceva sentire onnipotente; ed anche il sesso del Calabrese, dominandomi ma lasciandosi anche assorbire e possedere, mi dava un senso di immensità che mi gratificava.
Quando esplose in vagina la sua eiaculazione, fu un autentico tsunami che si scatenò nel mio ventre, con un’ondata che mi portò orgasmi a ripetizione sempre più intensi che mi fecero urlare di gioia e di piacere soddisfatto; abbracciai e mi tenni stretto il suo corpo rilassato che sembrava trasmettermi ancora più calore e passione; il tono della voce, le carezze languide e dolci, l’abbandono totale del corpo sul mio, con la mazza che restava impiantata nella mia vagina anche se perdeva due terzi del volume che aveva in entrata, tutto mi dava la sensazione di un piacere infinito che sapeva di tenerezza ed arriva a sfiorare l’amore.
Quella prima volta che facemmo sesso, Peppe mi distrusse, letteralmente; nell’intervallo tra la chiusura dell’ufficio e la riapertura del mattino seguente, riuscì a possedermi in vagina tre volte, sempre scatenandosi in movimenti anche strani per cercare nuove sensazioni e piaceri diversi; mi tenne l’asta in bocca per decine e decine di minuti, ogni volta chiedendomi di succhiarlo all’infinito senza mai arrivare all’orgasmo che rinviava strizzandosi i testicoli; la conseguenza fu che quasi mi slogavo la mandibola per tenere la bocca spalancata all’altezza di quella mazza enorme; infine, mi affondò nel retto due volte, ma nessuna delle due mi gratificò con un orgasmo; semplicemente, godeva a sentire la stretta dello sfintere e a pomparmi con foga fino allo sfinimento.
E ci arrivai sfinita, all’alba, quando lui dovette alzarsi per andare in ufficio ed io mi limitai a starmene a letto, non dovendo giustificarmi con nessuno; per farla breve, basta dire che quel ritmo resse per circa tre mesi, nel corso dei quali fu assai difficile capire chi dei due si logorasse di più in amplessi che duravano spesso dall’alba al tramonto e dal tramonto all’alba senza soluzione di continuità; dopo la prima settimana, la sua asta terribile diventò il bastoncino che usavo per solleticarmi la vagina e per avere i migliori orgasmi strusciandomelo sul clitoride.
Lui, invece, si vide costretto progressivamente a ridurre il rendimento, anche perché era pressato da altre amanti che vedeva nei ritagli di tempo e che pretendevano da lui prestazioni per lo meno accettabili, senza contare la moglie che non sembrava stanca di sfornare figli; schiavo ormai della mia vulva, Peppe cercava in ogni modo di accontentare la mia insaziabile voglia e i miei capricci infiniti che talvolta lo mettevano in difficoltà; su suggerimento di Elvira, che ogni tanto veniva a farmi visita, forse per riferire a Dario, un giorno gli chiesi di intestarmi il miniappartamento dove copulavamo; accettò e andammo dal notaio per l’atto ufficiale.
Quando cominciai a ‘sentire’ che Peppe si allontanava, forse, meglio, mi allontanava, cercai di avere un incontro con Dario per capire i suoi sentimenti; non accettavo l’idea che volesse dimenticarmi; io ne ero ancora innamorata come la prima volta; anche se mi rendevo conto di avere esagerato in tutte le mie stupide reazioni, non riuscivo a rinunciare all’ipotesi ‘marziana’ che potesse ancora provare qualcosa per me e che mi potesse tenere in un angolo della sua vita, per quanto piccolo, che mi desse la sensazione di ‘esserci’ anche per lui.
Non era facile strappargli un appuntamento, neanche sul posto di lavoro; riuscii a farmelo passare al telefono e gli chiesi se volesse incontrarmi in una pausa pranzo, a un tavolo di un bar o ad un bancone di rosticceria, perché avevo un bisogno quasi fisico, ormai, di vederlo, di stargli un attimo di fronte, di parlargli col cuore in mano; riuscii a strappargli un incontro ad ora di pranzo in un ristorante dove lui andava, vicino alla fabbrica.
Nei pochi minuti in cui riuscimmo a guardarci negli occhi, capii che mi era rimasto nel sangue, qualunque cosa fosse successa, ma che lui era ormai distante anni luce da me; se anche il Calabrese mi avesse lasciata libera, lui non avrebbe potuto riprendermi per non fare una figuraccia; sarei stata ‘ceduta’ a qualcun altro, perché era la prassi e lui potevo solo sperare di incontrarlo in momenti ufficiali, soprattutto alle feste, dove poteva dedicarmi qualche momento di attenzione e, perché no, di affetto, visto che quello neanche in lui si era spento del tutto.
Gli chiesi se non poteva trattarmi almeno come un cagnolino che tenesse da qualche parte ed ogni tanto andasse a trovare; mi ricordò che il peso dei suoi impegni quotidiani era stata la scintilla che aveva scatenato l’incendio che ci aveva distrutti, che la situazione da allora era peggiorata e che non aveva tempo neanche per una carezza a un figlio, se mai ne avesse avuto; sentii che soffriva a dovermelo dire, ma per la prima volta nella mia vita mi resi conto delle genesi dei miei errori; Nicola ci era stato vicino tutto il tempo, gli faceva anche da guardaspalle; mentre mi accompagnava fuori, mi sussurrò.
“Se vuoi, ho il tuo telefono; ti posso chiamare quando è in una pausa, in un ristorante, ad un ricevimento; tu puoi raggiungerlo e sono convinto che anche a lui momenti come questo fanno piacere; non sperare di tornare con lui; ma se hai bisogno di parlargli, di sentirlo vicino, posso aiutarti.”
“Sì, Nicola, è proprio così, voglio solo avere qualche briciola di tempo per guardarlo, per toccarlo, per amarlo da lontano; ti giuro che non farò mai niente che ti faccia pentire di aiutarmi. Grazie!”
Gli schioccai un bacio su una guancia e stavo per andarmene quando fu Dario a richiamarmi.
“A lui un bacio e a me neanche l’arrivederci?”
Mi precipitai indietro e gli piombai tra le braccia.
“A te anche la vita, il sangue, quello che vuoi. E’ tardi, ma forse qualcosa l’ho capito. Ti amerò sempre come ti amo ora, ma saprò stare al mio posto. Ciao, amore, a presto.”
Lo baciai sulla guancia e fu lui, all’ultimo momento, a girare il viso e baciarmi sulla bocca; me ne andai felice ma sconvolta.
Come era ormai chiaro, il Calabrese non resse più al ritmo forsennato a cui lo costringevo; e, per di più, era stanco anche di correre dietro ai capricci che io, avendo capito come incastrarlo, facevo diventare sempre più ingombranti e difficili da realizzare; la determinazione così di ‘passare la rogna’ a qualcun altro diventò ineluttabile e urgente; credetti che si consultasse con Dario, ma alla fine decisero di accontentare la richiesta di un vecchio capo, ormai quasi in disarmo, che voleva una donna ‘esperta’ per il figlio Francesco, del quale si arrivava a mettere in dubbio persino la mascolinità, visto che si teneva il più lontano possibile dagli ‘affari di famiglia’.
La decisione mi fece incavolare molto, visto che venivo trattata come un oggetto e costretta a concedermi a chiunque lo chiedesse non a me ma ai miei ‘padroni’; Elvira impiegò poco a frenare le mie bizze; e Nicola mi fece presente che gli sarebbe dispiaciuto molto dover eseguire un ordine contro di me, ma che non avrebbe esitato anche ad ammazzarmi, se gli fosse stato ordinato; capii che la mia libertà era andata a farsi friggere e che, se volevo sopravvivere, dovevo adattarmi; anche se l’idea stessa di ‘sopravvivere’ mi disturbava, decisi di stare al gioco.
Francesco era un bell’uomo, anche troppo fine per l’ambiente in cui viveva; amava leggere, specialmente poesia, e parlava con pacatezza e garbo; si occupava di tutto, dalla quotidianità ai grandi temi, e tutto trattava con eleganza; inutile dire che mi piaceva e che con lui cercavo di frenare la mia voglia di fare i capricci; mi dedicai piuttosto all’indagine che più mi interessava e della quale forse ero stata incaricata; verificare se e fino a che punto fosse disinteressato al sesso.
Per farlo, dovevo necessariamente frequentarlo spesso e in diverse condizioni, dai pranzi alle passeggiate lungo il fiume, dagli approcci più soft fino alle manovre osè per stimolare la sua voglia di possesso; in una serata in discoteca, mentre ballavamo cheek to cheek, ne approfittai per strusciargli il ventre sull’inguine e sentii che una bella bestia si alzava nei suoi pantaloni e mi si piazzava tra le cosce, titillandomi la vulva da sopra i vestiti; non riuscii a sottrarmi al piacere dell’ironia.
“Vedo che ti sei portato dietro un fratellino bello grosso!”
Il suo sorriso era sempre disarmante; in quel momento, distrusse ogni mio desiderio di ironia.
“Anche tu credi che io sia impotente o gay?”
“No, caro; io queste cose le verifico, prima di enunciarle; ed ora so già che sapresti darmi molte gioie, se lo volessi …”
“Perché, non lo vuoi?”
“Stupido, se lo volessi tu; io è da una settimana che ti tampino perché lo voglio … eccome …!!!!”
“E allora che aspetti a portarmi a casa tua? Hai bisogno di una liberatoria in cui dichiaro che sono consenziente e non mi stai facendo violenza?”
“Ho bisogno di sentire che mi vuoi anche tu, come io voglio te; anzi, io arrivo a dirti che in questo momento ti amo persino … !!!!”
“Chiarezza per chiarezza, io ti amo già da un bel poco, da quando ho capito che con te posso anche leggere poesie senza passare per effeminato … ”
“Andiamo a fare l’amore con tutti i crismi della serietà?”
“Agli ordini, signora; precedimi e insegnami tutto; di quello sì, non ho esperienza e tu invece puoi darmi lezioni … “
“OK, vieni; da questo momento sei l’amore mio; poi si vedrà … “
“Anche tu sei l’amore mio; e senza riserve. Se stiamo bene insieme, ti amerò anche tutta la vita … “
“Lo sai chi sono e come ci siamo conosciuti … “
“So tutto; e ti amo anche per questa tua lealtà; avresti potuto cercare di ingannarmi, ma tu sei il mio amore e sei leale. Ti voglio!”
“Lo sai che non c’è storia, tra noi … “
“Ce la fai a stare in un angolo sapendo di essere il mio amore vero?”
“Andiamo a casa, ti prego; comincio a bagnarmi e a fibrillare; adesso ti voglio … dentro!!!!”
Dopo mezz’ora eravamo sul mio letto e stavamo amandoci alla follia; era un grande amante, Francesco, e sapeva farmi godere meravigliosamente; dopo i primi approcci impacciati, tirò fuori l’istinto del maschio e la sua notevole mazza si impossessò dei miei buchi e li percorse tutti, più e più volte, facendomi sentire il vigore delle sue erezioni nella vagina fino alla cervice dell’utero, nel retto fino a toccare l’intestino, in bocca fino a soffocarmi con lo tsunami di sperma che vi scaricava dentro ogni volta che la sua passione per il coito orale raggiungeva l’apice; sentivo amore profondo, nelle sue copule lunghe, sapienti, vissute momento per momento con grande passione.
Ma non riuscivo a cancellare Dario dalla mia mente; avrei sacrificato la vita per tornare indietro ed imparare ad amarlo come stavo facendo con Francesco; sarebbe bastato questo, per evitarmi tante stupidaggini; ma ormai era fatta e dovevo anche onestamente confessare al mio nuovo amante che nella mia testa il mio primo amore non era scomparso mai e che ne ero sempre innamorata; mi confidò che sapeva benissimo e che apprezzava anche la mia lealtà ad un amore che non avevo saputo porre al centro della mia vita.
“Ti ho già avvertito che non potrai mai entrare nella mia famiglia con tutti i crismi della legge, perché i miei non approveranno mai come mia moglie una che ha la tua storia; dovrai sempre rimanere nell’ombra, il mio grande amore segreto; se a tua volta avrai un angolo per un altro e questo non turba nessuno, non sarò io a fartene una colpa. So per certo che puoi incontrare Dario solo in momenti ufficiali, in mia presenza. Se questi momenti li sfrutterai per dare qualche piccola soddisfazione al tuo amore clandestino, non sarò io a condannarti.”
Poiché, mentre parlavamo, eravamo effettivamente ad una cena tra boss, Dario era a capotavola; gli andai accanto e gli chiesi di parlarmi un momento in privato; mi accompagnò in una stanza riservata, con Nicola che faceva la guardia, e, prima che potesse reagire, lo stavo baciando con tutto l’amore del mondo; strabiliandomi, mi ricambiò con affetto; stavo piangendo, quando mi staccò dal suo bacio.
“Doriana, sai che tutto questo non può ripetersi spesso …”
“Lo so, amore; e Francesco è d’accordo con me; mi prendo solo questi minuti d’amore; poi torno a fare la concubina come tu vuoi; ma in questi minuti devi essere il mio amore ed io sono il tuo amore. Vuoi?”
La risposta fu forse il bacio più dolce ed appassionato che ci eravamo scambiati in tutta la nostra storia; poi tornammo in sala, ma io ero super eccitata; mi sedetti accanto a Francesco, gli presi una mano; lui me la infilò tra le cosce e mi masturbò lentamente.
“Perbacco, sei già bagnata fino al vestito; urge farti fare tanto amore!”
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