A cinema

  • Scritto da geniodirazza il 13/05/2023 - 07:21
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A cinema

La rinuncia comincia a pesarmi.

Dopo l’incidente, non è stato molto difficile accettare l’idea che i danni riportati dal mio compagno ne hanno impedito le funzioni sessuali, per non so quale complicazione; l’empatia, la lunga convivenza, una certa abitudine rendono anche abbastanza agevole non pensare alla sua verga.

In fondo, ho vissuto il sesso sempre con un certo distacco fisico, molto più coinvolta mentalmente che con autentici pruriti materiali.

Eppure, ho fatto sesso abbastanza frequentemente, sia durante la relazione matrimoniale, prima, che durante quella di coppia, dopo la separazione.

Con mio marito tutto si è svolto all’insegna del decoro, del buonsenso, della civiltà; ed anche quelle poche copule che ho azzardato ‘extra’ si sono realizzate nella ristretta cerchia delle amicizie e delle frequentazioni abituali.

Farsi possedere dal più stretto collaboratore di mio marito sul ‘talamo coniugale’ con a fianco i figli piccoli che giocano sulla stessa coperta dove io mi prendo un membro quidam per il solo gusto della trasgressione, è stato il massimo dell’azzardo.

Col mio nuovo compagno, le cose hanno avuto un taglio un po’ più disinvolto, anche se, in fondo, hanno percorso lo stesso sentiero degli amici e dei conoscenti stretti; alcune ‘deviazioni’, rapporti plurimi, scambio di coppie, copule al buio e simili, sono risultate quasi un corollario decorativo del rapporto ‘bohemien’ che ha caratterizzato il nostro quotidiano.

Naturalmente, l’incidente ha segnato la linea di demarcazione tra il ‘prima’ e il ‘dopo’ a cui si commisura tutto quello che avviene all’interno della coppia.

Sono passati anche un bel po’ di anni e molte energie si sono decisamente affievolite; per questo, nei primi tempi, accettare con serenità la nuova situazione sembra non solo inevitabile ma anche corretto, prudente, giusto insomma.

Ad avvertire il peso della nuova condizione è naturalmente lui, che mal sopporta l’idea di vivere con una borsetta di pelle tra le cosce priva di vita, di vigore e di senso.

Tenta di trasferire nel voyeurismo, audiovisivo e letterario, il suo antico interesse smodato per il sesso; ma la consistenza assai fittizia della soluzione appare chiara in ogni momento e a ogni lettura, a ogni visione di video, a ogni risposta in chat.

Ne consegue una crisi depressiva che a stento riusciamo a controllare insieme.

Comunque, nessuna tempesta si è mai profilata e solo occasionalmente ci siamo beccati su piccoli problemi marginali, come avviene normalmente nel caso di difficoltà di fondo che non trovano né soluzione né possibilità di manifestarsi nella loro vera natura.

Per alcuni anni, comunque, si può dire che tutto è filato sui binari di una normale convivenza, non del tutto pacifica ma animata quanto basta a tenerla viva.

Negli ultimi tempi, e specialmente nei mesi recentissimi, comincia a pesarmi la mancanza di sollecitazioni sessuali che possano consentirmi di scaricare anche certe altre tensioni che, invece, si caricano ancor più di significato; qualche amica più smaliziata mi suggerisce che è il caso forse di cercarsi una verga, proprio una qualsiasi per non caricarla di significati che aprano un nuovo fronte di polemica e di disagio.

L’ideale, dice lei, sarebbe un bel ragazzo in affitto, dei quali un’agenzia specializzata può fornire ampia campionatura.

Ma l’idea m’infastidisce di per sé; sembra proprio di andare al supermarket e comprare sesso a chili.

C’è da dire, poi, che l’età, forse, o il disuso, anche, e comunque il calo di libido hanno generato una secchezza vaginale e una difficoltà di azione che rende difficili e spesso inutili i tentativi di masturbarmi per mio conto.

Peggiore ancora mi appare l’idea di andare in un sexy shop per comprare un vibratore, un dildo o un qualsiasi strumento sostitutivo, penosamente consolatorio e quindi improponibile.

L’unico percorso, a mio avviso, è riuscire a catturare l’interesse di un maschietto col quale organizzarmi qualche sana copula nella maniera meno clamorosa possibile e, una volta tanto, tenerlo eventualmente nascosto al mio compagno che forse non la prenderebbe bene.

In quella direzione decido di muovermi, ma quasi immediatamente mi devo rendere conto che è facile dirlo, ma assai meno, al limite dell’impossibile, farlo.

Per evitare ‘incidenti diplomatici’ mi rivolgo a quella cerchia di conoscenze che non è comune a entrambi; ma mi accorgo che è assai esigua, vista la solidarietà con cui abbiamo vissuto; i troppo giovani mi sembrano marziani; non riesco a scambiarci due parole in fila, figuriamoci invitarli, in maniera garbata e allusiva, a fare sesso.

Per motivi opposti, mi riesce difficile dialogare con persone mature, che hanno di vista immediatamente una relazione lunga ed esclusiva.

Insomma, mi porto dietro i miei problemi e, per scaricarli, decido di andare a cinema come spesso faccio.

La multisala è la stessa di sempre e la pellicola abbastanza intrigante.

Per uno strano istinto, decido di andare in galleria e di collocarmi sulla poltrona esterna della fila, agli ultimi posti.

Non c’è grande frequenza e i pochi spettatori sono sparsi per la sala.

Mi rilasso sullo schienale e vago per un poco con i miei pensieri; mi accorgo a un tratto che, come dal nulla, è comparso un uomo dalla pelle scura, non giovanissimo ma ben piantato e, come capita ad alcune nazionalità in particolare, decisamente bello; veste con cura, anche se gli abiti non sono di sartoria né di recente fattura.

Lo guardo incuriosita e mi accorgo che ricambia lo sguardo con una certa intensa profondità, quasi mi scrutasse dentro; sorride per un attimo e il volto gli s’illumina per i denti messi in mostra ad arricchire l’intensità degli occhi.

Con un gesto di cui non saprei mai rendere conto, sollevo il soprabito che avevo appoggiato sulla poltrona alla mia destra e me lo poggio sulle ginocchia; picchio sulla seduta della poltrona ora vuota per scuotere invisibili granelli di polvere; lui interpreta diversamente il gesto; si muove deciso, mi passa davanti esponendomi il pacco enorme che gli gonfia il pantalone e si siede vicino a me.

Per un attimo sono tentata di alzarmi e allontanarmi per fargli capire che ha sbagliato tutto; poi il ventre mi si contrae per ricordarmi il bisogno a lungo rimandato; ed ho la sensazione che tutto sia predestinato, deciso, voluto.

Quando lui stende le lunghe gambe verso la fila anteriore, quasi senza rendermene conto sistemo il soprabito sulle ginocchia, mie e sue, quasi a coprire le reciproche intenzioni.

Subito dopo, infatti, sento la sua mano lunga e affusolata muoversi sotto il soprabito e tastarmi la coscia subito sopra il ginocchio; istintivamente sospiro e allargo leggermente le ginocchia; a quel punto credo che neanche l’esercito l’avrebbe fermato.

La mano scivola e spazia su tutta la coscia fino a raggiungere il bordo della gonna; facendo sempre in modo che dal soprabito si veda il minor movimento possibile, la carezza passa allo strato inferiore, quello delle autoreggenti che percorre fino al punto in cui la velatura cede il posto alla pelle nuda; al primo tocco delle sue dita sulla pelle, sento un fremito intenso partirmi dalla schiena, attraversarmi il ventre e scaricarsi sulla vulva; un primo piccolo orgasmo mi coglie subito.

Improvvisamente, la mano si ritira ed io mi sento di colpo orfana di un piacere che già pregustavo.

Ma è solo questione di attimi; la mano sinistra, ritirandosi, si solleva verso il seno scivolando sotto il mio braccio, per rimanere invisibile; e al suo posto si avanza la mano destra che va direttamente a carezzare l’interno coscia fino alla parte di pelle scoperta e si spinge ancora più su, fino al bordo del perizoma, che il dito aggira lateralmente per andare a inserirsi immediatamente tra le grandi labbra ormai tumide di desiderio e umide degli umori che i piccoli orgasmi hanno scaricato.

Quello che mi penetra, sembra un dito infinito, tanto è lussurioso, tanto è grande la voglia che ho di sentirmi penetrata.

E’ decisamente bravo, a masturbare; e in pochi colpi raggiungo un orgasmo che devo cercare di controllare per i movimenti scomposti che la scarica di elettricità impone a tutto il mio corpo; anche l’urlo che mi si scatena dal petto deve essere frenato e compresso, a stento, mordendomi le labbra.

Adesso non posso negarmi al piacere e, mentre la sua mano sinistra gioca col mio capezzolo, senza osare arrivarci dal vivo, per non sbottonarmi troppo apertamente la camicetta; mentre il medio della sua mano destra imperversa nella mia vagina strappandomi orgasmi in successione dal clitoride masturbato con sapienza, dalla vulva percorsa quasi fino all’utero e dalle piccole labbra carezzate lussuriosamente; io infilo delicatamente la mia mano sotto il soprabito.

Raggiungo il pantalone, abbasso la zip e m’impossesso del suo fallo straordinario.

Ho molte difficoltà a tirarlo fuori, in quella posizione; e, una volta all’aperto, ho ancora più disagio a masturbarlo senza mandare per aria tutto il soprabito, tale è la vela che si forma.

Ma adesso so che lo voglio dentro il mio corpo.

Per buona sorte, avevo acquistato dei preservativi e li porto ancora in borsa con me.

Sembra cogliere al volo e alza la testa a indicarmi una luce rossa che, con una freccetta, indica il WC.

Mollo il suo membro, sposto le sue mani dalla tetta e dalla vulva, arrotolo il soprabito, mentre lui rimette il membro nei pantaloni, mi muovo decisa nella direzione indicata dalla freccia; oltre la parete, esattamente alle nostre spalle, si apre il corridoio dei bagni; entro sicura in quello per le donne e lui mi segue come un’ombra.

Chiudo la porta dietro le nostre spalle e mi sento afferrare da due mani forti e delicate, lunghe e leggere, direi da pianista; il tempo di rigirarmi e incontro la sua bocca carnosa, piena, che afferra la mia come una ventosa e me la risucchia dentro; apro le labbra e lascio penetrarmi in bocca una lingua rugosa, dolce e salata al tempo stesso, morbida da accarezzarmi il palato e dura da penetrarmi fino all’ugola.

Giochiamo a combatterci con le lingue e ci scambiamo ettolitri di umori; mi succhia tutto il viso, dalla fronte al mento e, intanto, mi massaggia le tette da sopra alla camicetta.

Anche da sopra la stoffa e dal reggiseno che li contiene, i capezzoli urlano piacere e s’induriscono come l’acciaio.

Con una mano indirizza il suo mostro fra le mie cosce, sollevando la gonna; piantandosi stretto contro il perizoma, mi stimola tutta la vulva fino a farmi godere come una fontana rotta.

“Ti voglio dentro!”

Gli sussurro e, scavando nella borsa, gli passo un preservativo.

Lo tengo stretto per la testa e lo bacio su tutto il viso, mentre lui si prepara a penetrarmi; quando sento la punta dell’asta forzarmi il sesso depilato, per un attimo tremo, lo stringo e lo bacio con foga.

“Non temere; non ti farò male; avrai solo piacere!”

Mi sospira in un orecchio in un italiano corretto; poi, con un colpo di reni, quasi mi solleva dal pavimento e la sua cappella spinge con violenza contro la testa dell’utero.

Mi aggrappo a lui, alzo i piedi e glieli girò dietro le spalle; si appoggia alla parete e comincia a spingere.

“Non uscire molto!”

Quasi lo imploro e i suoi colpi si fanno più brevi e più frequenti.

Sto per urlare, quando il primo orgasmo mi prende; poi mi ricordo dove sono e afferro con la bocca le sue labbra sulle quali scarico l’urlo che mi sale dalla vagina.

Mi abbraccia con forza, mi lascia urlare e spinge con maggiore foga; io urlo, lui spinge e assorbe l’urlo.

Andiamo avanti così per qualche minuto o per qualche ora? Il tempo perde valore in quel caso.

Poi mi avverte.

“Sto per venire!”

Non posso stringerlo di più, non si può proprio, per un fatto fisico; siamo già totalmente appiccicati.

Sento i brividi del membro a ogni spruzzo che spara nel preservativo e, ogni volta, mi esplode nell’utero un orgasmo nuovo, diverso dal precedente.

Quando mi accorgo che comincia a cedere, abbasso i piedi a terra, ma restiamo ancora a lungo abbracciati, con il suo membro enorme che mi scivola via dalla vagina lentamente, assai lentamente, tanto che pare non volersene andare più.

Quando, per inerzia, esce via, lui si gira, prende con due dita il preservativo e lo scarica nel cestino; ho la sensazione che abbia espulso almeno un decilitro di sperma, da come il goldone è pieno; gli passo una salvietta umidificata e lui si deterge l’asta come può; io faccio lo stesso con la mia vulva.

Apre cautamente la porta ed esce alla chetichella; io m’intrattengo a rinfrescarmi il viso e a ravvivarmi il rossetto, poi torno nella sala.

Ha occupato stesso posto e mi siedo di nuovo vicino a lui.

“Grazie! E’ stato meraviglioso.”

Mi sussurra.

“Grazie a te; non sai da quanto tempo aspettavo un momento come questo!”

“Non lo so, ma l’ho sospettato. Si vede che non sei una che si butta, ma che avevi bisogno di amore, oltre che di sesso. Se ti ritornasse la voglia, a me non dispiacerebbe.”

“Come ti rintraccio? Io non credo di potermi ritenere soddisfatta da quella che, in definitiva, è stata una tipica sveltina. Se fosse possibile, vorrei incontrarti ancora, ma in situazioni più comode, per così dire.”

“Non posso permettermi di invitarti da qualche parte, mi pare che l’hai capito. Comunque, questo è il mio cellulare.”

E mi annota, sul retro del biglietto del cinema, un numero e il suo nome, Omar.

“Pensa che strano, Omar, è il tuo nome, vero?; prima facciamo sesso poi ci presentiamo. Io sono Anna. Non so chi sei né che fai. Se sei un professionista, non ho problemi a pagarti.”

“Sei matta? Io professionista? Ho fatto l’amore, con te, non un lavoro. E, se ti va, sono pronto a fare ancora l’amore con te. Ma sono povero e non posso prometterti niente.”

“Io non sono ricca ma non sono neanche povera e, se posso aiutarti, lo faccio con tutto il cuore. L’unica cosa che voglio chiederti è tanto sesso con un pizzico d’amore. Il mio compagno mi sommerge d’amore ma non può darmi sesso. Se tu puoi fare il contrario, innanzitutto posso preoccuparmi del dove, del quando, del come; e, ti ripeto, se posso esserti utile, da amica, lo faccio volentieri.

Se trovo un accordo col mio compagno perché le cose siano chiare anche con lui, tu accetteresti comunque di vedermi e di fare l’amore con me? Io non vorrei tradirlo; gli parlerò chiaramente e, se sarà possibile, ci vedremo a casa mia; altrimenti, troverò io un posto per amarci.”

“OK. Per me va benissimo. Ora ti spiace se ci godiamo anche il film?”

Alla fine dello spettacolo, usciamo e vedo che Nicoletta, la cassiera, s’intrattiene amichevolmente con Omar; giro un po’ a vuoto e, quando lui si è allontanato, vado a salutare la mia amica e le chiedo del signore che è uscito prima di me.

“Chi? Omar? Ah, vedessi! Una persona meravigliosa, di quelli che sanno fare qualunque lavoro in casa e ti fanno il prezzo più basso della città; onesto, accurato, pulito, insomma un uomo veramente perbene, come ce ne sono pochi.”

“Dici che allora potrei chiamarlo se ho bisogno?”

“Sì. Lui si vergogna un poco, ma io ho dei biglietti da visita, fatti in economia naturalmente, e li distribuisco volentieri. Te ne do qualcuno, così lo passi a qualche amica.”

“Con piacere, Nicoletta. Grazie. Bel film, bella serata. Grazie.”

Torno a casa abbastanza agitata e trovo Mario, il mio compagno, fortemente impegnato in un suo lavoro al computer, per il quale lo sento più volte bestemmiare.

Gli chiedo cosa succede e mi risponde che non è facile da spiegare; mi basti sapere che non gli torna un calcolo difficilissimo di quelli che riempiono intere schermate e che si sta scervellando a capirci.

Vado in camera e provo ad alzare la serranda, ma non si muove; chiedo a Mario e mi dice che deve chiamare qualcuno che sappia lavorarci.

Gli porgo i biglietti che mi ha dato Nicoletta.

”Dicono che questo sia bravo ed economico. Prova a sentire se può venire presto, visto che abbiamo bisogno di azionare la serranda.”

Intanto, dopo essermi messa in vestaglia, mi avvio al bagno per lavarmi; guardo per un attimo nello studio e vorrei dirgli tutto, ma qualcosa mi frena inconsciamente; lui è concentrato sul computer.

Cincischio ancora, mentre mi siedo sul bidet e comincio a lavarmi intensamente, quasi a cancellare le tracce di quanto avvenuto.

La domanda mi coglie a bruciapelo.

“Hai fatto sesso?”

“Si”

“Lo ami?”

“Nemmeno per idea; è stato un attimo, un intervallo a cinema; mi è piaciuto, ho goduto molto e lo vorrei fare ancora. Ma l’unico amore della mia vita sei tu, al di sopra di tutto. Se ti fa male che io abbia desiderio di sesso, rinuncio ora stesso; se non ti fa male e il mio amore ti basta, sono anche disposta a vivervi insieme, prendendo il sesso da lui e l’amore da te.”

“Anche nello stesso letto?”

“Se in pieno accordo, senz’altro sì; ma con il consenso di tutte e tre.”

“Possiamo riparlarne?”

“Certo, quando vuoi.”

Non mi ha chiesto di chi si tratta e non so se è un segno buono o cattivo; posso solo aspettare.

Quasi meccanicamente forma il numero del biglietto; sento che parla con Omar; sono un poco sono agitata; ma, visto come sono andate le cose, penso che, alla fine, forse anche questo era scritto.

Omar assicura che l’indomani mattina sarebbe venuto a verificare se poteva intervenire.

La sera, naturalmente, appena ci siamo messi a letto, Mario riprende il discorso e mi chiede di raccontare tutto dall’inizio.

Gli spiego che da tempo sentivo sempre più vivo il desiderio di un membro che mi scuotesse tutto l’apparato, che ne avevo parlato con le amiche ricevendone suggerimenti vari, ma che avevo ignorato tutti e mi ero ‘rifugiata’ a cinema per non pensare; gli spiegai che spinte immotivate mi avevano fatto scegliere l’ultima poltrona della fila di fondo in galleria e che lì era venuto a sistemarsi un tale molto bello, ben piantato, che mi aveva sconvolto da subito.

Con gesti infantili e stupidi ma efficaci, gli avevo fatto intendere che volevo essere ‘molestata’, che lui l’aveva fatto e che poi eravamo finiti nei bagni delle signore dove mi aveva preso in piedi, senza neppure togliermi un capo d’abbigliamento, prudentemente indossando un preservativo, che mi aveva fatto godere infinitamente e infine aveva eiaculato.

Subito dopo, ci eravamo seduti di nuovo a guardare il film e c’eravamo lasciati con l’accordo che, se il mio compagno avesse accettato la situazione, ci saremmo rivisti per fare ancora sesso, ma in maniera più comoda e, se possibile, con la sua partecipazione.

“E’ quello della serranda?”

Mi chiede ed io gli dico di sì, precisando che i biglietti me li aveva davvero forniti la cassiera che cercava di aiutare una ‘persona perbene’ ma bisognosa d’aiuto perché immigrato non sapevo quanto regolare.

“E’ un nero, quindi?”

“Sì, nigeriano.”

“Ed anche bello e ben dotato, immagino.”

Non rispondo ma mi stringo a lui con amore.

“E’ solo sesso; il mio amore è un’altra cosa ed è solo per te.”

Riusciamo in qualche modo a dormire e ci svegliamo un po’ storditi dagli eventi, ma innamorati come sempre; questo mi rende particolarmente felice e glielo dico.

Suonano alla porta e Mario, che era lì vicino, va ad aprire; io mi nascondo quasi in cucina.

Gli spiega il problema e l’altro garbatamente dice che è cosa da pochi minuti; chiede chi gli ha fornito il numero.

“La cassiera del Multisala ha dato alcuni biglietti da visita alla mia compagna.”

Risponde Mario distrattamente; in quel momento esco dalla cucina e i nostri sguardi s’incontrano; per un attimo fremiamo e a Mario non sfugge, ma abbozza e tace.

“Devo ricordarmi di ringraziare Nicoletta per la pubblicità gratuita.”

E’ il commento di Omar che si dedica immediatamente alla serranda.

In pochi minuti, ha finito e ci chiama; Mario lo invita nello studio; è evidente che sa; Omar lo affronta a viso aperto, com’è giusto che sia.

A un tratto sembra illuminarsi.

“Scusi, ingegnere; poi discuteremo di quello che le sta a cuore. Ma ritengo mio dovere avvertirla che in quel calcolo, quell’equazione è trascritta male.”

Mario lo guarda con sospetto, poi osserva con estrema attenzione la schermata, si batte la fronte e impreca.

”Ecco, i soliti imbecilli che neppure sanno trascrivere!”

Poi si ferma perplesso.

“Senti Omar, intanto diamoci del tu e tu sai anche perché; ma per ora quello che voglio sapere è come hai fatto a cogliere l’errore con una sola occhiata allo schermo.”

“E’ il mio vero lavoro. Sono laureato in ingegneria a Lagos, ma la mia laurea in Italia non vale una cicca.”

“Quindi, t’intendi di calcoli?”

“Sì e anche di disegni; quello a cui state lavorando è la torre di un ponte.”

“Perdio, ma come fa un genio come te a lavoricchiare?”

“Perché sono un immigrato ed anche semiclandestino in attesa di un’anima pia che mi offra un qualsiasi contratto di lavoro.”

Mario non si lascia mai crescere l’erba sotto i piedi.

Afferra il telefono e tempesta l’interlocutore di parolacce, gli dice che i super pagati assistenti non sanno neppure leggere uno schema e un immigrato costretto a lavoretti, pur con la sua laurea in ingegneria, trova l’errore con un solo colpo d’occhio.

Spiega poi che il lavoro era per uno studio d’ingegneria, dove lui fa solo da consulente, e che a gestirlo è un suo caro amico che si è già inventato di assumere Omar come giardiniere e di metterlo invece a lavorare al tavolo da disegno, con enormi vantaggi per Omar, che avrà un contratto a tempo indeterminato, ma soprattutto per lui che ha la facoltà di liquidare un paio d’ignoranti assunti per necessità di ufficio.

Risparmierà un fottio di soldi su paghe e tasse e, senza neppure saperlo, farà un favore a una cara amica che potrà tenersi accanto l’amante preferito col beneplacito del compagno.

Omar è senza parole e non riesce neanche a capire tutto fino in fondo.

Mario però è già sul piede di partenza, chiede il costo della riparazione e paga, mi rassicura che per almeno due o tre ore si tratterrà allo studio tecnico.

“Voi intanto fate pure tutto l’amore che volete e di cui avete bisogno; credo che una sveltina a cinema non fosse l’ideale. Quando torno, se mi facesse piacere di unirmi a voi, spero che non ci saranno obiezioni.”

Lo bacio con un’intensità che non ricordavo e cerco di trasmettergli così tutto l’amore che sento profondamente e che in quel momento si amplifica all’infinito.

Quando la porta si chiude dietro le sue spalle, abbraccio con foga Omar e lo avverto che sto per spiegargli qualcosa d’importante.

“Credi che faremo l’amore, adesso?”

“Sì, se vuoi.”

“Allora, per favore, dammi il tempo di fare almeno una doccia veloce; non vorrei vergognarmi di come mi sono trascurato di recente.”

Mi viene da sorridere e gli propongo di fare libero uso della doccia, volendo c’e anche la Jacuzzi, e di approfittare del guardaroba di Mario perché, anche se lui non l’ha ancora inteso, stiamo andando verso un’amichevole convivenza amorosa e sessuale.

Mi guarda basito, borbotta che si fida e va verso il bagno.

Ci ripenso e lo seguo, cominciando a spogliarmi ancor prima di aver varcato la porta di passaggio dalla sala al corridoio delle camere.

Entriamo insieme nel bagno ed io sono già in reggiseno e mutandine. In un attimo siamo nudi tutti e due ed io posso finalmente ammirare il suo corpo in tutto lo splendore.

Mentre l’acqua ci piove addosso, posso appiccicarmi in un bacio sensualissimo che coinvolge tutto il fisico e soprattutto i sessi che si trovano attratti e accomunati pur senza penetrazione; ma il piacere che mi dà sentirmelo scorrere fra le cosce, sotto la vulva che viene stimolata enormemente, è indicibile.

Cominciamo a lavarci veramente, insaponandoci dalla testa ai piedi, ma solo per accarezzarci in ogni anfratto del corpo e, soprattutto, per masturbarci io massaggiando il suo membro che sento vibrare e irrigidirsi a ogni tocco della mano, e lui titillandomi il clitoride dopo aver infilato il suo dito da pianista nel fondo della vulva.

Mentre mi succhia appassionatamente i capezzoli, gli insapono la testa e faccio correre l’acqua sul volto e sulla schiena, accompagnando il getto con la mia bocca che non si sazia di baciarlo.

Quando s’inginocchia e le sue labbra afferrano la mia vulva e la risucchiano quasi intera nella sua bocca, ho una sensazione di svenimento, tanto è forte l’orgasmo; poi la sua lingua scivola nella vagina e la percorre fino all’utero; io comincio a urlare di piacere e di gioia.

Non voglio che venga subito e lo freno; chiudo l’acqua e lo trascino fuori del box doccia, gli prendo un accappatoio pulito di Mario, anche se gli va un po’ corto, lo faccio coprire con quello, e lo trascino verso la camera da letto.

Si trattiene per un attimo, pensando di deviare nella camera degli ospiti; ma lo spingo.

”Va bene così; tra poco ci sarà anche Mario ed è giusto che facciamo tutto nel nostro letto.”

Piombiamo distesi supini sul letto, poi io mi sollevo in ginocchio e me lo godo tutto, prima con sguardo, poi con le dita che faccio scivolare su tutto il corpo, poi con la bocca e con la lingua che passo su ogni centimetro, dalla gola al pube; gioco a lungo col membro sul viso e sui seni, poi comincio a leccarlo dalla radice e alla fine, me lo faccio scivolare in bocca.

Ne entra solo poco più della metà e lui molto delicatamente evita di spingerlo troppo in fondo; raggiunge comunque le tonsille e va oltre, con qualche mio rigurgito e colpo di tosse.

Mi fa ruotare sopra di lui e, mentre io affronto il suo obelisco innalzato sul ventre, lui affonda la bocca fra le cosce e lecca tutto, dalle grinze dell’ano, attraverso il perineo fino alla vulva, dove cattura in bocca il clitoride e dà il via a una danza straordinaria che vede il mio ventre fremere di continue scosse di piacere, con le urla soffocate dall’asta in bocca; il clitoride gonfiarsi come un pene; le grandi labbra intumidirsi fino a dolermi; e alla fine il tutto esplodere in un orgasmo che in vita mia non ricordavo di aver provato.

Mi prende la testa e sposta la bocca dal membro, per non eiaculare.

Mi fa ruotare sul ventre e mi gira supina sotto di lui; a gambe divaricate, aspetto che mi penetri col suo ariete; intanto, sbrodolo fino a inondare di umori il letto come non avevo mai fatto.

Si colloca tra le mie cosce, in ginocchio, e mi guarda, con affetto se non con amore, dalla testa ai piedi, soffermandosi sul seno superbo, sui capezzoli irti e duri come lance e infine sul monte di venere gonfio e teso.

Finalmente accosta la cappella alla vulva; non posso fare a meno di ammirarne il volume quasi spaventoso rispetto alla mia non piccola fessura e, quando comincia a spingere, ne vedo e ne sento la lenta penetrazione in vagina.

I tessuti sono tesi e dolenti; la mazza si fa sentire, anche se non posso parlare di dolore; infine affonda e mi schiaccia sotto il suo corpo muscoloso; mi rannicchio sotto il suo ventre; gli passo le gambe intorno alla vita per stringerlo a me più profondamente, anche se la cervice dell’utero mi duole per la pressione; poi lo invito a montarmi; lo fa con garbo, quasi con cautela ed io comincio un concerto di urli che quasi non s’interrompe, tanto frequenti sono gli orgasmi che mi provoca.

Mi ricordo che non ha indossato preservativi e lo fermo.

“Non sei protetta?”

Mi chiede.

“Prendo la pillola; ma sono gli eventuali contagi che mi preoccupano.”

“Non devi. Se vuoi, ho tra i documenti il certificato sanitario, è dell’altro ieri, che attesta che non ho nessun problema di nessun genere; ma, se vuoi essere sicura, devi avere tu il preservativo. Io non ne ho.”

“Porca miseria; io neppure e non so come potrei fare per farti godere senza rischi. … “

“L’unica ipotesi che posso pensare è che tu mi faccia godere con le mani e che mi faccia scaricare sul tuo corpo, se ti piace vedere eiaculare.”

“Certo che mi piace! Ma mi piace anche di più sentirlo e, possibilmente, a pelle. Io provo a chiedere a Mario se ha qualche soluzione!”

Naturalmente, la telefonata è surreale; cercando di non far capire a chi per caso percepisca qualcosa della telefonata, è comunque in uno studio pieno di persone, Mario mi dice che di quelle cose non ne ha; mi chiede se lui sa di essere a rischio; gli parlo del certificato di due giorni prima.

Mi dice che, se non aveva avuto rapporti strani prima di quello con me, posso fare anche a pelle, che non ci sarebbero rischi.

Giro la domanda a Omar che mi fa leggere da cima a fondo il certificato, mi assicura che ha fatto sesso solo con me, e protetto.

Garantisce che posso possederlo in assoluta sicurezza.

E allora, al diavolo il rischio, mi ci impalo e me lo faccio sprofondare fino allo stomaco, a rischio di farmi squartare in due da una mazza meravigliosamente grande che mi stimola tutte le fibre del ventre e mi fa godere da pazzi.

Eiacula a lungo e ogni goccia del suo sperma è un godimento per me, sia come orgasmo vaginale sia come gioia del piacere provato.

Dopo che si è svuotato, si abbatte per un attimo su di me, sommergendomi sotto la sua montagna di muscoli; poi scivola lentamente di lato e si sdraia a fianco a me, lasciandomi la vagina improvvisamente vuota e ancora desiderosa.

Restiamo così un tempo assai lungo, a goderci il piacere dell’orgasmo appena raggiunto; e così ci trova Mario tornando a casa.

Mentre noi ci alterniamo in bagno per scaricare le scorie dalla vescica e per lavarci, Mario prepara alcune carte mentre intanto si spoglia nudo per essere ‘alla pari’ con noi.

Innanzitutto comunica a Omar che l’errore è originario nel testo e che l’editore offre riconoscimenti e un premio a chi individuasse errori sfuggiti in stampa.

Omar sa, ma sa anche che i compensi sono riservati agli studiosi riconosciuti; lui, se dichiarasse di aver trovato l’errore, si troverebbe con un pugno di mosche.

“Ma potrei dire che l’ho trovato io, visto che la scoperta è avvenuta sul mio computer!”

Osserva Mario.

“E’ vero e sarebbe anche giusto!”

Ribatte Omar.

“Col piffero!!! il merito è solo tuo e, se compenso deve esserci, che sia a te.”

Sono stufa dei giochetti intellettuali di Mario.

“Che diamine hai deciso, insomma?”

Sbotto. E lui, serafico.

“Il merito lo lasciamo a Nicola, l’amico ingegnere, che ci tiene un sacco, se ne farebbe bello in tutto il Paese e darebbe anche in beneficenza i cinquantamila euro del premio. Per la verità aveva proposto; a me le lodi, a Omar i soldi. Ma io ho rifiutato. Ho fatto male?”

“No; hai fatto esattamente quello che avrei fatto io! Non capisco però perché sei comunque tanto allegro, visto che non prendiamo niente né io né tu.”

“E qui ti sbagli. La tua laurea in Italia non vale come titolo equivalente. Ma se un ingegnere ne attesta la qualità, può esserti riconosciuta come diploma di disegnatore tecnico. Nicola, che è ingegnere ed anche benemerito, con questa storia dell’errore, s’impegna a far riconoscere il valore di diploma alla tua laurea; ti firma un contratto a tempo indeterminato come disegnatore tecnico con le relative garanzie legali e sindacali e tu, da domani, sarai un suo collaboratore, disegnatore stipendiato a tutti gli effetti. Sicuramente ti farà lavorare il doppio di quanto ti paga, ma certamente starai meglio.”

Omar è emozionato, sembra quasi voler piangere e si agita tutto alla ricerca di non so cosa.

Mario gli dà una pacca sulla spalla.

“Senti, parte fallica di me, non dimenticare questo!, adesso non stare a piangerti addosso, prendi il telefono e chiamala.”

Lo guardo con l’aria di chiedere ‘Chi?’, ma ha capito e si limita a obiettare.

“Ma costa un patrimonio!”

“Un patrimonio per te, una sciocchezza per me. Prendi il telefono chiama casa e fatti consigliare!”

Omar mi guarda.

“Sei sposato?”

Accenna di sì.

“Avete figli?”

Tre dita sono la risposta.

“Come si chiama lei?”

“Aishia.”

Mario scatta.

“Ma che ti frega se è la moglie, la fidanzata, la madre o l’amante? E’ chiaro che ha bisogno di sfogare la sua gioia; prendigli il telefono, perbacco, e fagli condividere la gioia con i suoi cari!”

Eseguo e gli vado a prendere il telefono. Mentre glielo consegno, ho l’aria di chiedere.

“Ed io, adesso?”

Mario, al solito, legge subito le situazioni; mentre Omar fa il numero, mi dice quasi sussurrando.

“Se tutto gli va benissimo, non potrà farli venire in Italia prima di tre o quattro anni, fidati; la burocrazia è lenta. Intanto, ti cerchi un sostituto all’altezza, sempre se c’è.

Per questi anni, ti amerà come se tu fossi Aishia; ormai si è legato a noi e mi piace l’idea di questa storia a tre; spero che funzioni abbastanza a lungo.

Adesso preparati, perché, dopo la telefonata, sarà un toro imbizzarrito pieno di voglia di Aishia e ci metterà poco a operare il transfert e chiamarti col nome di lei mentre ti possiede.”

“Ma tutti e tre sappiamo che io questo transfert l’ho già operato con convinzione dal primo momento.”

“Si; infatti, tocca solo a me, adesso, operare il transfert definitivo e suggerirgli di fare con te le cose che io vorrei, ma non posso.”

“Che intendi dire?”

“Poi lo vedrai nel concreto; ma, per farti intendere, voglio chiedergli di tenertelo a lungo dentro, prima di montarti, di prenderti analmente, quando mi verrà voglia; riesci a cogliere?”

“Certo! E ti dico che sarà ancora più bello quando lui possiederà me, mi chiamerà Aishia e copulerà con me seguendo tue indicazioni così che io saprò che sei tu che mi stai possedendo col suo membro. Non vedo l’ora!”

Intanto, osservo con curiosità e voglia il suo membro che diventa sempre più grosso e sempre più rigido a mano a mano che parla al telefono con la moglie dicendosi dolcezze che posso intuire ma che non capisco.

Alla fine, Omar ci ringrazia e ci trasmette la gioia e il ringraziamento anche di sua moglie.

“Adesso hai voglia di possedere la tua Aishia?”

Mi dice di si con gli occhi, col sorriso e poi con la voce.

“Lo sai che adesso sono io la tua Aishia, vieni a fare l’amore con me e fammene tanto da stancarmi.”

Guarda con un certo imbarazzo Mario poi mi abbraccia.

“Sì, Aishia, grande amore mio!”

In un attimo, il suo mostro è sparito nella mia vagina e mi sta montando veramente come un toro, come aveva previsto Mario.

Abbraccio mio marito con l’unica mano libera e lui mi stritola in una stretta passionale perfino feroce; ho il tempo di sussurrargli con le lacrime agli occhi.

“Sapessi quanto ti amo.”

Poi vengo avvolta da una nuvola di lussuria e d’amore che non so da dove derivi, se dallo sperma che il ‘mio membro’ mi sta spruzzando nell’utero, se dall’amore infinito che l’abbraccio del ‘mio adorato’ mi sta trasmettendo o se dall’amore immenso che io ho per il mio uomo diviso, amore da una parte e sesso dall’altro.

Omar si ferma, quasi a riprendere fiato, e Mario gli suggerisce.

“Adesso prendila nel didietro; è il momento di qualcosa di speciale!”

Lui non se lo fa ripetere, mi gira a pecorina e si abbassa a leccarmi l’ano; Mario lo spedisce verso la mia testa.

“Fattelo succhiare e lubrificare molto; all’ano ci penso io!”

Omar si sposta verso la mia testa e mi offre il membro davanti alla bocca.

Ho veramente la sensazione che sia Mario quello che sto succhiando, perché è lui che l’ha chiesto e voluto.

Per un poco mi perdo lussuriosamente tra il piacere della lingua che penetra nel canale anale fino in fondo allentando la tensione delle pieghette, e l’esaltazione di sentire scivolarmi nella bocca, fino alla gola, l’asta che tra poco mi violenterà le viscere; godo moltissimo ed ho frequenti piccoli orgasmi.

Poi Mario si sposta dalla mia parte, spinge via Omar e mi cattura la bocca in un bacio sensualissimo, mentre l’altro appoggia la cappella all’ano e spinge dentro il mostro che mi divora le viscere; urlo come un animale al macello; Omar si spaventa e mi chiede se deve fermarsi.

“Ad Aisha queste domande non le fai, entri e la possiedi perché così è giusto.”

Suggerisce Mario; l’altro spinge con dolce violenza e temo che mi spacchi qualcosa quando arriva al fondo; io non so più se Omar ha sfondato Aisha o se Mario ha stuprato violentemente Anna.

Ma siamo tutti e due all’apice della felicità.

Omar lavora per molti anni nello studio dell’ingegnere, felicissimo di averlo assunto; dopo cinque anni, ottiene il ricongiungimento in Italia per la sua famiglia e non ha più possibilità di frequentarci in quel rapporto strano e anomalo che per cinque anni ha tenuta viva una sorta di comunità d’amore con due uomini, un amante meraviglioso e un innamorato devotissimo, e una donna divisa tra due necessità equivalenti e opposte, un sesso senza limiti e un amore senza fine.

In seguito, e fin quasi all’attuale vecchiaia, qualche rara occasione si è riproposta, ma alla fine solo per accrescere l’immensa nostalgia per quel rapporto trino irripetibile.

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