Adulteri

Adulteri 1; Elena

Elena, quarantenne titolare di una grossa agenzia di pubblicità, stava sfruttando la rara occasione che si concedeva di prendere un caffè in pace nel bar sotto l’ufficio; la frenesia degli impegni di lavoro e la passione che metteva nell’affrontarli avevano reso quasi illusoria quella occasione, piccola per molti; per venti anni ormai, da quando aveva iniziato, aveva sacrificato al lavoro tutta se stessa e non solo; anche la famiglia era stata trascurata o ignorata completamente.

Non era stato affatto così, prima del matrimonio, quando ancora viveva in provincia e l’unica preoccupazione erano i ragazzi con cui uscire a fare sesso; era diventata addirittura famigerata per la frenesia con cui li cambiava più spesso delle mutande; non era mai soddisfatta e non si accontentava di nessuno, finché un errore banale, non avere usato un preservativo al momento giusto, la mise nella necessità di sposare un amante occasionale, Lucio, di due anni più grande di lei, perché era rimasta incinta.

Non le marcò male perché lui, fresco laureato in architettura, era entrato nelle grazie di un famoso professore ed aveva avviato una rapida e brillante carriera professionale; per non essere la moglie nullafacente di un ricco consorte, entrò in un’agenzia di pubblicità e vi percorse la carriera che la portò rapidamente ai vertici; l’impegno però la assorbì totalmente; col suo carattere tenace e determinato, lasciò da parte ogni altra incombenza e si buttò anima e corpo nel lavoro.

La sua fortuna fu che il marito, il cui carattere al paese era definito ‘tre volte buono, quindi fesso’, accettò senza discutere tutte le sue decisioni, compresa quella di non allattare per non sottrarre tempo al lavoro e di demandare a lui, che poteva anche lavorare da casa, la cura dei figli; la conseguenza fu che non seppe niente della crescita e della vita di Roberto, nato per il famoso incidente , e di Francesca, venuta ancora per un errore di calcolo dei giorni fertili, sei anni dopo il primo.

Si trovò, a quarant’anni appena compiuti, con un figlio ventenne che si era iscritto ad Architettura per amore alla professione di suo padre che aveva praticamente assorbito dalla pelle con la lunga e intensa convivenza; e con una figlia quattordicenne, alunna del liceo cittadino, che era visceralmente legata a suo padre, da cui, come suo fratello, era stata accudita, in tutte le fasi della sua esistenza; per i due ragazzi, la madre era un ectoplasma che ogni tanto compariva a imporre dictat.

I rapporti con suo marito non erano mai stati idilliaci, sin dalle prime battute; era la fase in cui la sue ricerca del ‘principe azzurro’ era incessante e mai monotona; quando lo incontrò e ci fece sesso, flirtava già abbondantemente con Paolo, suo primo ragazzo al quale aveva concesso tutte le verginità possibili; l’incidente di percorso da cui era nato Roby, come affettuosamente tutti chiamavano Roberto, venne quando la fiamma della sua passione per Paolo era forse all’apice.

Non pensavano ad una relazione stabile e tanto meno a un matrimonio, ma scopavano volentieri, spesso e meravigliosamente; l‘esperienza con Lucio avrebbe dovuto essere solo una delle tante occasioni di trasgressione ma si rivelò fatale quando fu posta davanti alla necessità di sposarsi per rimediare all’errore giovanile, non si rifiutò ma non riuscì mai ad amare suo marito e lo tradì spesso, ma senza cattiveria e senza costruirsi storie alternative, solo per il gusto di dare sale alla sua vita.

Stava ripensando con sofferenza ai bei tempi dell’adolescenza, quando un uomo dal fisico saldo e compatto, elegante nell’abito e nei modi, le si accostò e le chiese se ‘per caso’ fosse Elena; gli saltò addosso e lo avvolse in un un abbraccio caloroso e tentacolare, quando si rese conto che era proprio il Paolo a cui in quello stesso momento stava pensando con intensa nostalgia; sentire il corpo vibrare delle stesse emozioni provate da adolescente fu una conseguenza irrazionale e involontaria.

Impiegarono meno di mezz’ora per comunicarsi i dati fondamentali della loro esistenza; lei confermò che era ancora sposata col Lucio che aveva interrotto la loro storia d’amore adolescenziale; che il figlio concepito in quella occasione aveva adesso vent’anni e che sua sorella ne aveva quattordici; che lavorava nell’agenzia di pubblicità del palazzo a fianco al bar; che non aveva problemi di danaro e che, in quanto a sesso, si rifaceva largamente per conto proprio della scarsa intesa che aveva col marito.

Paolo rivelò che aveva sposato Lucia, una ragazzotta coetanea di lei, dalla quale aveva avuto due figli, di dodici e dieci anni; che lavorava per conto di una banca locale e che era spesso in viaggio, ma che la sua sede primaria era la filiale lì vicino; la considerazione che lavoravano a due passi di distanza fece avanzare inevitabilmente l’ipotesi che potevano incontrarsi spesso; lei oppose le sue difficoltà a gestirsi momenti liberi, ma accennò anche al desiderio di una storia lunga e impegnativa.

Sull’onda dell’emozione per essersi di colpo ritrovati dopo vent’anni, Elena telefonò in ufficio e fece rinviare tutti gli appuntamenti tenendosi libero il pomeriggio di quel mercoledì; solitamente assai poco impegnato, lui non aveva bisogno di spiegazioni per essere libero tutto il pomeriggio; decisero di andare in una vicina trattoria a mangiare qualcosa insieme; subito dopo pranzo, presero la metropolitana, per evitare le noie del traffico, e raggiunsero un discreto e modesto hotel fuori mano.

Elena ottenne dal receptionist, che conosceva avendo più volte soggiornato lì con amanti occasionali, la camera più discreta e appartata, al secondo piano, con vista su un cortile interno; nel breve percorso fino all’ascensore, lungo la rapida salita e il corridoio fino alla porta della camera, ebbe la possibilità di sentire sul culo e sulle tette il tocco delicato di lui, che le risvegliò nei recessi più segreti della memoria le emozioni giovanili delle prime esperienze di sesso.

Erano ambedue completamente vestiti degli abiti funzionali al lavoro, lei in tailleur castigato, con la gonna fin sotto il ginocchio e la blusa che a stento raccoglieva il seno prorompente, e lui elegantissimo nel suo completo grigio fumo quasi obbligatorio per gli impiegati della banca che avessero rapporti col pubblico; si guardarono un attimo impacciati, prima di precipitarsi in un abbraccio di estrema passionalità, anticipo di quanto desideravano concedersi.

Elena lasciò cadere a terra il vestito e, nuda, corse ad abbracciarlo, lo strinse forte con le braccia attorno al collo e con un ginocchio che cercava di infilarsi tra le gambe; lui allargò le sue per farle posto, poi la abbracciò prendendole le natiche con le mani; era così che iniziavano un tempo; a lei piaceva il cazzo in erezione e a lui prendere il culo a piene mani; quando glielo permise, lei si inginocchiò per arrivare al cazzo col viso.

Le accarezzò la testa mentre lo baciava, lo vezzeggiava e ci giocava; poi finalmente lo prese in bocca e se lo infilò fino in gola più volte; ma non era il momento del pompino, non ancora; era solo un assaggio per portarlo a regime, ammesso che ne avesse bisogno; comunque, da adolescente, la prima cosa che voleva fare per cominciare era quella; e non lo aveva fatto solo con lui; dapprima col marito, poi con tutti gli amanti che si era procurata, esigeva comunque, prima del pompino, un gioco di leccate.

La lasciò gettarsi sul letto ad attenderlo; corse da lei, che non smetteva di guardarlo; non era proprio cambiata; le montò sopra stimolato da quegli approcci così vicini a quelli delle loro scopate da giovani, allargò le gambe e lo baciò; le ricambiò il bacio

“Scopami!” gli sussurrò lei nell’orecchio, infilandoci la lingua; puntò il cazzo e lei non volle aiutarlo con le mani perché sin da quelle prime esperienze amava che il cazzo si cercasse la strada da solo, magari sbattendo più volte sul clitoride prima di entrare.

Imboccata la figa, lui spinse dentro con lussuria, aiutandosi con i movimenti dei piedi; lei, man mano che cresceva la cavalcata, allargava di più le gambe, fino a incrociarle dietro la mia schiena; lui, come una volta, cominciò a penetrarla in tutte le maniere, dal faccia a faccia passò a metterla sul fianco, facendole raccogliere una gamba per sedersi su quella stessa e montarla così; sempre tenendola su un fianco, le raddrizzò la gamba e la alzò per montarla mentre faceva la spaccata.

Senza mai uscire, la girò pancia sotto e la scopò da dietro, nella posizione che preferiva, perché era come se la inculasse; sentire le sue natiche sbattere sul basso ventre era sempre stata una delizia; lei cominciò a sborrare e lui la sbatté con crescente veemenza, fino a sentirla ansimare e urlare l’orgasmo; rallentò il ritmo per farle prendere fiato, poi l’affondo; goderono insieme, lui si gettò di fianco, mentre lei rimase prona a somatizzare il piacere ricevuto.

Restarono esamini per qualche tempo; forse si appisolarono; lui si svegliò quando la sentì stimolare il cazzo con la bocca; lasciò fare soddisfatto e, senza ulteriore impegno, le sborrò in bocca, con intensi e numerosi fiotti; poi si lasciarono andare nuovamente, supini fianco a fianco; recuperarono dopo qualche minuto di relax e si trovarono con una voglia di nuovo crescente; la cercò con le gambe e lei rispose; si aggrovigliarono a forbice; giocarono un po’ con le bocche e i sessi, poi lei lo tentò maliziosamente.

“Sono forse anni che non lo prendo in culo!”

Il riferimento era chiaramente alla loro abitudine preferita, perché l’inculata, da ragazzi, era la pratica più frequentata e più apprezzata da tutti, maschi e femmine; quando erano morosi, Elena spesso contestava la sua voglia di metterlo nel culo come una sorta di perversione; ma le piaceva e non diceva mai di no, forse perché riteneva di avere anche lei la piccola perversione di desiderare di prenderlo nel culo; ma erano giovani e forse ne sapevano troppo poco.

Prese il flacone che aveva preparato sul comodino, si unse il medio e lo portò al buco del culo; lei si allargò il più possibile; le prese la figa con la mano sinistra e introdusse il medio nell’ano; al principio era molto irrigidita, ma poi l’ano si rilassò, fremette e si allentò sempre di più, fino a manifestare la voglia di sodomia; passò più volte il medio per il culo e lei cominciò a gemere; il dito fece posto al cazzo.

Si prepararono intendendosi a gesti, come un tempo; quando lei gli fece cenno annuendo con gli occhi chiusi e le labbra soddisfatte, le infilò il cazzo in figa e lei gli facilitò il compito, sapendo che serviva per lubrificarlo; subito dopo, infatti, la cappella si sfilò e si appoggiò all’ano; lei, sdraiata a pancia sotto con le gambe larghe, sapeva cosa avrebbe fatto e si stava godendo il tutto in maniera passiva e soddisfatta.

Spinse il cazzo con attenzione, facendo entrare la sola cappella; l’ano si strinse attorno alla base del prepuzio; era evidente che non era più abituata a farsi inculare; attese che l’ano si rilassasse e, quando lo sentì allentato, spinse ancora in modo che tutto il suo apparato fosse pronto a godere; lei allargò di più le gambe, come se in quella maniera si allargasse anche il buco; lui spinse deciso e lo infilò tutto nel culo.

Lei reagì godendosi il momento, inarcando indietro la testa, stringendo i pugni sulle lenzuola, sbattendo i piedi come una forsennata ed emettendo gridolini di piacere; il cazzo scivolava perfettamente e si godeva le pareti del retto, morbide e scivolose; iniziò a incularla come ricordava che piacesse ad entrambi; lo sfilava piano e lo rinfilavo tutto; ogni volta godevano di più; a lui sarebbe piaciuto guardare mentre la inculava, ma purtroppo non era facile e sapeva che lei non lo gradiva.

Allora si concentrò sull’azione che prese un ritmo crescente; lei strinse di più le gambe per godesi meglio la sodomia e lui la pompò finché non avvertì che stava per venire analmente; accelerò gli ultimi colpi ed esplose come un idrante nel suo retto; quando smise di eiaculare, si lasciò espellere dal retto e si buttò di lato col fiatone; lei si strinse al corpo amato e ritrovato, guancia sul petto e mano sul cazzo; presero fiato così.

Stettero in albergo fino a notte inoltrata; in quelle ore, non si risparmiarono nessuna delle vecchie voglie che continuamente emergevano nel ricordo e nelle pratiche sessuali; scoparono in tutti i buchi, in tutti i modi e da tutte le angolazioni; ciascuno dei due portò in quel pomeriggio di grande sesso le esperienze maturate in quei venti anni nei quali non si erano risparmiati niente, mossi da quella libidine che li aveva caratterizzati sin dall’adolescenza.

Da un lato, quindi, riemergeva la vecchia grande passione che suggeriva di ripercorrere le strade sempre battute anche se in forme ingenue e approssimate, dalle inculate alle masturbazioni, dalle fellazioni alle copule canoniche o a pecorina; dall’altro lato, sperimentarono quelle forme di piacere anche estremo o trasgressivo che avevano appreso da amanti occasionali, quelli da una botta e via, che avevano aperto loro gli orizzonti di un sesso più lussurioso e intenso.

Risultò chiaro che, dopo che si erano incontrati, non si sarebbero limitati ad un pomeriggio di sesso, per quanto meraviglioso, ma che avrebbero avviato un’autentica relazione adulterina che avrebbero fatto vivere il più a lungo possibile, cercando di risparmiare gli assetti familiari costituiti restando in casa con coniugi e figli; ma non avrebbero ancora messo in una teca della memoria uno scorcio importante della loro vita e lo avrebbero riproposto più intenso, affascinante e lussurioso.

Quando tornò a casa, Elena scoprì che il marito e i figli erano già a letto e dormivano della grossa; passò velocemente dal bagno per liberarsi delle scorie dalle scopate fatte con tanto gusto e si andò a sistemare nel lettino di emergenza che suo marito teneva nello studio, evitando di disturbarne il sonno col rischio di svegliarlo e di dovere rispondere ad eventuali domande che potevano metterla in imbarazzo, anche se sapeva perfettamente che non l’avrebbe mai fatto.

Il risveglio della famiglia seguì la prassi ormai radicatasi; l’unica variante fu la levata anticipata di Elena che neppure a colazione volle rischiare di incontrare gli sguardi dei familiari che non erano stati avvertiti del ritardo nel rientro a casa la sera precedente; aggrappandosi alla speciosa motivazione di dover recuperare i ‘buchi’ lasciati nel pomeriggio precedente, si precipitò in Agenzia assai per tempo e si impose di recuperare in parte il lavoro accantonato.

Da quella volta, il pomeriggio del mercoledì diventò, per lei e per Paolo, l’occasione per incontrarsi, rinverdire i giovanili entusiasmi e scopare come adolescenti in tempesta ormonale fino a tarda sera se non a notte fonda; l’unica accortezza fu di avvertire metodicamente suo marito che si sarebbe fermata in ufficio fino a molto tardi e che quindi non si preoccupasse se dormiva nello studio per non turbare il sonno dei familiari; lui le credette e la incoraggiò a lavorare al meglio.

Non provava nessun senso di colpa, la donna; anzi, nella sua logica, che per lei aveva il valore di Verità assoluta e incontrovertibile, subire le corna era il minimo che potesse capitare ad un imbelle che aveva accettato matrimonio e figli senza dare prova di nessuna reazione umana o di maschio dominante come sarebbe stato suo dovere; alla fine, si poteva tenere il palco di corna ed essere anzi contento che lo tradisse solo con un antico amante.

La sicumera che aveva raggiunto era ormai ad uno stadio di tale esaltazione che niente l’avrebbe fermata; e non poteva certo essere di ostacolo alle sue voglie il fatto che suo marito, che poteva benissimo lavorare da casa senza muoversi dallo studio, si dovesse prendere cura della casa e dei figli; lo aveva fatto per venti anni e non vedeva motivo per cambiare una situazione ormai incancrenita e di cui solo lei sentiva il peso e la noia.

Il livello di esagerazione fu tanto alto che non esitò a manifestare in pubblico, apertamente e incurante delle persone intorno, la sua passione per l’amante; molto spesso, quando erano fermi alla stazione ad attendere un convoglio della metropolitana, si abbandonavano ad effusioni inequivocabili; lei baciava il suo Paolo con tutto l’entusiasmo giovanile che cercava in quella relazione; lui stringeva, succhiava e palpava senza vergogna i seni e le natiche, quando non la masturbava da sopra la gonna.

Il diavolo, come è noto, fa le pentole ma non i coperchi; niente poteva coprire agli occhi di tutti la scena di lussuria volgarmente ostentata in attesa del treno; non si resero conto che, sul convoglio diretto in direzione opposta che si era fermato sul binario opposto, viaggiavano quel pomeriggio Roberto e Francesca, che tornavano a casa dall’Università dove avevano pranzato in mensa, come spesso facevano quando il padre aveva impegni.

Francesca sobbalzò e a stento il fratello le bloccò un urlo di dolore, quando scorse le figure trivialmente abbracciate sul marciapiede di fronte; prontamente, Roby tirò fuori il telefonino e, nei brevi momenti di sosta, riuscì a registrare un piccolo video e alcune immagini della madre che baciava lussuriosamente un amante, sotto gli occhi di tutti, in un spazio decisamente aperto al pubblico; lui stesso, come sua sorella, dovette asciugarsi una lacrima di fronte al fallimento della loro famiglia.

Il ragazzo avrebbe forse anche evitato di denunciare il fattaccio per sentire prima la versione della madre, della quale aveva già avuto molte notizie confuse di comportamenti assai libertini; ma Francesca era emotivamente assai più scossa e sconvolta; non appena Lucio tornò a casa, nel primo pomeriggio, si precipitò da lui, gli mostrò il materiale registrato dal fratello e pianse sulla spalla di suo padre per l’offesa che sentiva arrecata alla sua ingenuità.

Suo padre fece ricorso all’aplomb che in quei casi metteva in campo; riversò sul computer di casa il materiale registrato, preparò un paio di valigie con le sue cose e chiuse in una borsa assai capace tutti i documenti che teneva in cassaforte; telefonò allo studio e parlò con Flora, la sua assistente che era con lui sin dall’università, quando fu accolta come stagista dal famoso archistar a cui si era rivolta per essere seguita da un Mentore che ammirava.

Quando colse il senso delle scelte di suo padre, Roby chiamò a sua volta la sua ragazza, la diciannovenne Barbara, le spiegò per sommi capi il crollo della sua famiglia e le chiese se fosse disposta ad accettarlo a casa sua e di vivere insieme, in attesa di formalizzare la vita a due; l’altra gli chiese di aspettare che parlasse con sua madre; lo richiamò dopo una decina di minuti e gli comunicò che sua madre era disposta ad accoglierlo in casa ad alcune condizioni.

Licia era una quarantenne separata da anni e che viveva con un uomo, Ettore, un quarantacinquenne titolare di una impresa edile piuttosto nota, che amava sia lei che la figlia nata dal matrimonio con Claudio; poiché il suo amore era ricambiato dalle due donne con altrettanta intensità, non aveva problemi ad accettare come ‘genero anomalo’ il ragazzo della ‘figlia affettiva’, se veramente era intenzionato a ‘fare sul serio’ e non cercava solo un’avventura giovanile.

Roby, che era veramente animato dalle migliori intenzioni nei confronti di Barbara e che a quel punto desiderava defilarsi da una situazione assurda di famiglia ridotta a macerie, la rassicurò, mise in uno zaino poche sue cose e attese che suo padre facesse la scelta definitiva; non dovette aspettare molto; dopo cena, suo padre raccolse il suo bagaglio e scomparve; lui raccomandò alla sorella di non aspettare alzata sua madre e l’avvertì che si sarebbero sentiti per telefono; uscì soffocando un magone.

Quando Elena rientrò era quasi l’alba; stentò molto a rendersi conto e, più ancora, ad accettare la realtà che solo Francesca dormisse nel suo letto; di suo figlio e di suo marito nemmeno l’ombra; la colpì il portatile adagiato sul tavolo di cucina con una grossa freccia che lo indicava; lo aprì e la cartella ‘Elena’ le balzò agli occhi; impiegò i pochissimi minuti della ripresa a capire quello che era successo; le mancava l’autore del video, ma era chiaro che tutta la famiglia era al corrente delle sue ‘gesta’.

Tentò inutilmente di contattare per telefono Lucio e Roberto; ambedue i cellulari risultavano spenti; evidentemente almeno i suoi erano riusciti a dormire; lei, per la prima volta nella vita, si trovò impotente a reagire e non riuscì a prendere sonno, persa nel calcolo delle ipotesi che da quella situazione potevano derivare; di Lucio, sapeva che da anni era perso d’amore per l’assistente Flora; quasi certamente si era rivolo a lei; ma per suo figlio proprio non sapeva formulare idee.

Quando Francesca si svegliò, seppe che i suoi figli l’avevano vista limonare in metropolitana con Paolo; la ragazza l’aveva spiattellato al padre, che aveva anche riconosciuto il suo amante; da lì era scaturita la decisione di abbandonare di colpo il suo posto; la scelta di Roby di seguire suo padre era coerente con la solidarietà che da sempre c’era tra padre e figli; a Francesca, ancora minorenne, era stato imposto di rimanere casa della madre, assicurandole assistenza in ogni momento e in ogni caso.

Ormai solo per curiosità, Elena chiese a sua figlia dove pensasse che fosse andato il fratello; lei rispose che lo aveva sentito parlare con la sua ragazza; da quello che si erano detti, lui era andato a stare con lei e con sua madre; ad Elena la notizia che suo figlio avesse una ragazza da cui era andato a vivere scoppiò come una nuova mazzata che le diede, se mai ce ne fosse stato bisogno, la misura della sua estraneità alla vita dei figli; sperò di poter definire con calma la rottura con Lucio.

Adulteri 2; Lucio

Lucio, quarantaquattrenne architetto già ampiamente affermato, aveva una vita lineare e quasi soddisfacente, a determinare il ‘quasi’ era l’atteggiamento di sua moglie, Elena, quarantenne direttrice di un’agenzia di pubblicità, che non riusciva ad accettare né la famiglia, né il tempo che passava e che, principalmente, a tutti cercava di imporre la sua volontà e la sua personale visione delle singole cose; quello che lei riteneva giusto era Verità assoluta a cui tutti si dovevano inchinare.

Era stato così anche quando, più di vent’anni prima, Lucio si era imbattuto in lei, per sua disgrazia veniva fatto di dire; nella smania di partecipare ad una delle tante scorribande che la ‘banda’ dei ragazzi come lui organizzava per bar e discoteche, notò subito la più vivace del gruppo, quella che tutti additavano come disponile a qualunque esperienza; quando l’ebbe a portata di cazzo, non esitò a scoparsela; per sua sfortuna, fu l’unico a farlo senza preservativo.

Quando lei si rese conto irrimediabilmente di essere incinta e di poter solo fare ricorso con gravi rischi, ai maneggi di un aborto clandestino, avendo superato tute le fasi utili per quello terapeutico, inevitabilmente si vide costretto ad assumersi la responsabilità di quella maternità e ad accettare il matrimonio come soluzione praticabile; la decisione non lo spaventò perché il matrimonio era nei suoi progetti, la ragazza non gli dispiaceva e volle fare la sua parte con dignità.

Si era da poco laureato in architettura, aveva avviato un suo studio privato, mentre accompagnava, da assistente, un suo Professore all’Università; non solo godeva di una condizione economica forse invidiabile, ma poteva anche disertare spesso lo studio e lavorare da casa mentre ai tavoli da disegno si affannavano i ragazzi assunti come disegnatori o esecutori di plastici; quando sua moglie avvertì che non avrebbe allattato e lasciava la cura della casa a lui, accettò pazientemente di fare da solo.

Era nato Roberto, che curò amorevolmente per tutta la vita, dalle poppate agli studi universitari; a venti anni, suo figlio prometteva di ereditare dal padre non solo la creatività e il talento ma anche le scelte professionali; quando sua moglie, per la solita superficialità, rimase di nuovo incinta, Roby aveva sei anni e Francesca fu la perla di papà, la figlia attesa e desiderata, nella totale indifferenza della madre.

Elena sin dalla luna di miele aveva dichiaratamente manifestato il suo libertinaggio che mascherava da libertà e da impegno indefesso nel lavoro; suo marito si era abituato, e lo fecero anche i figli dopo, a restare in casa a fare il ‘mammo’ e il ‘massaio’, spesso fino alle ore piccole della notte; Elena appariva di tanto in tanto per imporre i suoi personali dictat; non c’erano documenti di corna fatte, ma era certo che la ragazzina che la dava a tutti non si era smentita dopo il matrimonio e le due maternità.

Il pomeriggio che, tornando a casa dallo studio, trovò Francesca piangente, cercò di consolarla raccomandandole di non far pesare troppo piccoli incidenti; la ragazza gli consegnò una chiavetta con una registrazione e Lucio scoprì che sua moglie aveva intrecciato una relazione adulterina col primo fidanzato adolescente, divenuto ora un bell’uomo di una quarantina d’anni; come i figli, ritenne che la misura fosse piena e che fosse il caso di sciogliere un nodo ormai insopportabile.

Chiamò l’ufficio da dove era appena arrivato e parlò con Flora, la giovane assistente che, entrata nello studio qualche anno prima come stagista che ambiva ad avere come Mentore l’archistar del momento, si era progressivamente ambientata e, presa dall’incanto per lui professionista, a mano a mano si era trovata impigliata in un reticolo d’amore assai difficile da districare, visto il matrimonio e la prole che lui accettava supinamente dimostrandosi ostile a qualunque idea di tradimento o di rottura.

Flora impiegò, orologio alla mano, due minuti per cogliere il senso del discorso appassionato e sofferto che le fece il suo idolo; lo avvertì che il suo amore non gli consentiva scampo; se decideva di lasciare la moglie, lei era pronta a portarlo a vivere con lei nel suo appartamento, ad essere la sua compagna e a trascorrere con lui tutta la vita, sicuramente a condizioni più leali e limpide della moglie; se davvero decideva di saltare il fosso, doveva solo fare le valigie.

Non era una scelta del momento; da mesi ormai Lucio accarezzava l’idea di abbandonare sua moglie alle sue esagerazioni e di fare una scelta nuova e diversa; l’ipotesi di concedersi alla devozione di Flora lo aveva sollecitato spesso, al punto che anche Elena ci aveva pesantemente e volgarmente scherzato quando se ne era resa conto; quando decise di andarsene, la sua assistente fu il primo pensiero che gli venne alla mente; non esitò a metterlo in atto, quando sentì la disponibilità di lei.

Roberto, suo figlio, quando vide il padre tirare giù dallo sgabuzzino le valigie e riempirle di vestiti, biancheria, documenti e quanto c’era di suo in quella casa, capì il senso del dialogo telefonico che aveva sentito a sprazzi; prese coscienza che anche lui non aveva prospettive e che forse doveva cercarsi una diversa collazione; l’unico riferimento utile risultava quello della ragazza con cui aveva una storia meravigliosa e con la quale avevano talvolta parlato di andare a vivere insieme.

Uscito dal suo appartamento, Lucio con determinazione andò direttamente a casa di Flora; anche se per anni aveva glissato sui sentimenti di lei che gli aveva più volte professato amore, stavolta era deciso a dichiararsi senza esitazione; uscire dall’appartamento matrimoniale era per lui uscire anche dalla prigionia del matrimonio e dalla vita di sua moglie; coi figli si sarebbe confrontato e avrebbero stabilito una possibile convivenza disarmata.

Ma Flora diventava quasi naturalmente il suo nuovo approdo di vita; sentiva che era giunto il momento di lasciarsi andare e di amarla come aveva sempre desiderato; quando lei gli aprì la porta, non pronunziarono nemmeno una sillaba; caddero letteralmente l’uno nelle braccia dell’altra e si trascinarono, baciandosi e accarezzandosi, fino alla camera da letto; anche Flora quasi non credeva a se stessa quando se lo trovò davanti e tra le braccia.

Appena la porta della camera si chiuse dietro le loro spalle, lo stava avvolgendo nell’abbraccio più caldo che avrebbe mai desiderato; si strinse contro di lui e gli fece sentire tutta la voglia del sesso rovente, desiderosa del suo che la sventrasse e le facesse toccare il paradiso che sperava da anni; sentì una mazza che si rizzava prepotente e la stimolava, da sopra i vestiti, e le procurava emozioni di piacere mai assaporate in vita; allungò una mano e lo sentì vivo.

Lui la portò quasi a forza fino al letto e le impose di sedersi; lei aprì il pantalone e glielo abbassò alle caviglie, insieme al boxer; il ‘mostro’ le apparve in tutta la sua possanza e lo amò, dal primissimo momento; lo prese a due mani e lo accarezzò, dal pube alla punta; allungò la lingua e saggiò il sapore delle gocce di precum che uscivano dal meato; lambì con le labbra la cappella e la spinse sulla lingua, contro il palato; lui fremette e le strinse le tempie in un gesto d’amore.

Prima che riuscisse ad ingoiare l’asta quanto desiderava, l’aveva sollevata in piedi e la stava spogliando; si liberò di pantaloni e boxer scalciandoli lontano e le sfilò la camicetta finché restò in reggiseno, abbassò la gonna e lei la scalciò via; poi gli sfilò giacca e camicia; fu nudo, tranne i calzini; lo bloccò e lo divorò con gli occhi; fu un attimo stupendo, lo amava ancora di più; prese a baciare la pelle di tutto il corpo, dal viso al petto e tentò di scendere più giù; la fermò e la stese supina.

La lingua che lambiva la vulva le scatenò scosse elettriche nel cervello; le mani le presero le caviglie e le distanziarono finché fu totalmente scosciata; la bocca che si strinse intorno al clitoride aveva la dolcezza di un bacio delicato e, quando cominciò a succhiare, le provocò fremiti d’orgasmo irresistibili; la lingua separò le grandi labbra, poi le piccole e infine lambì il clitoride che le labbra stavano succhiando; leccò e succhiò, contemporaneamente, il piccolo organo centro della libidine; la fece godere.

Gli orgasmi si susseguirono a ritmo serrato; gemette e godette continuamente; si abbandonò a lui, al maschio che stava chino sul ventre, a Lucio, l’uomo che amava da sempre.

“Amore, mi fai morire se vai avanti così; ti prego, non insistere!”

Lo prese per le tempie e lo costrinse a raggiungerla sul letto; rotolò verso il centro e lo portò con se; si accoccolò accanto al sesso e lo prese finalmente in bocca, costringendolo a stare fermo; leccò e succhiò senza sosta, senza fermarsi neppure quando gemeva quasi di dolore; spinse la cappella fino all’ugola e copulò in gola finché non esplose dentro la sua bocca; trattenne il sesso che spruzzava fiotti di sperma; li ingoiò ad uno ad uno; lui si rilassò e si godette la sua bocca.

Si sentì svuotata e si sdraiò al suo fianco, adagiandosi contro la sua figura imponente, gli baciò il capezzolo più vicino anche se, in quel momento, il titillamento lo disturbava; le prese la testa e portò la bocca sulla sua; si distese sulla sua figura massiccia e si sentì dominata dal suo amore; lui la baciava con intensità e sentivano che i corpi si risvegliavano; la mazza riprese a premere sulla vulva e la vagina piangeva lacrime di orgasmo.

“Flora, c’è chimica tra noi; ti amo come non ho mai amato in vita mia; ti desidero come solo una volta nella vita si può desiderare; sei la mia donna, lo sento; ti voglio, ti voglio tutta e non ti permetterò di andartene.”

“Non vado da nessuna parte, Lucio; lo so che sei l’uomo che volevo e non ti lascio andare neppure io; voglio appartenerti tutta, voglio darti quello che non ho mai dato a nessuno; ora so che ti amo davvero, tanto; adesso prendimi, voglio sentirti dentro e voglio andare in paradiso con te, a costo di farmi sventrare dal tuo mostro meraviglioso … ”

Passarono quella notte, che per loro era quasi una luna di miele anomala, scopando, anzi facendo tanto amore, senza porsi né obiettivi né limiti, solo preoccupandosi di incontrarsi e di conoscersi, come la Bibbia opportunamente mistifica gli amplessi; Lucio scoprì nella sua assistente una donna calda e appassionata, capace di empiti straordinari di passione e pronta a sperimentare qualunque forma di sesso le venisse proposta; lei finalmente aveva il suo uomo nudo nel letto.

Non impiegarono molto tempo ad assestarsi nella nuova dimensione di coppia di fatto; una consuetudine quasi decennale a convivere nello spazio dello studio e ad amarsi in silenzio, nel rispetto di un matrimonio rivelatosi molto effimero ed ipocrita, aveva già determinato un’intimità che, uscito dai limiti della vita coniugale, Lucio trasformò rapidamente in convivenza amorosa molto calda ed appassionata.

La sorpresa venne, inaspettatamente, dalla piccola Francesca che rivelò un’abitudine, di vecchia data, a riferirsi a Flora come ad una sorta di sorella putativa; rimasta da sola a ‘sorbirsi’ le irrequietezze di sua madre, dopo la ‘fuga’ del padre e del fratello, spiegò a Lucio che da molti anni per i piccoli e grandi problemi che si pongono normalmente ad una ragazza della sua età e della sua crescita, aveva trovato nella sua assistente l’amica del cuore.

Non avendo mai potuto fare affidamento su sua madre, perennemente uccel di bosco, e non potendo coinvolgere suo padre in vicende che riguardavano la sua crescita e le sue emozioni adolescenziali, aveva trovato in Flora le orecchie pronte ad ascoltare e la voce disposta a spiegare, suggerire, consigliare; di fronte alle perplessità di suo padre che non capiva, gli precisò che era corsa dalla sua assistente quando si era spaventata alla vista del primo sangue mestruale.

Gli ricordò episodi da lui dimenticati, come la meraviglia di lui davanti al conto pagato ad un negozio di intimo dove Flora le aveva fatto acquistare il primo reggiseno, lo slip coi cuoricini, il bikini e gli indumenti ‘osè’ che aveva cominciato ad usare per essere più ‘femmina’; Flora era stata per lei la madre assente, la sorella putativa, l’amica del cuore e la consulente per i problemi di cuore quando aveva avuto i primi palpiti strani per il compagno di classe.

Divenne facilmente consuetudine, per lei, andare allo studio, uscendo da scuola, pranzare col padre e con la sua compagna, fermarsi a studiare nello studio dove i due lavoravano e trattenesi fino a cena; solo a sera l’accompagnavano a casa, dove si gestiva la solitudine mentre la madre impazzava tra i suoi amorazzi; non erano poche le volte che si fermava a dormire da loro, su un divano nella sala comune, finché suo padre non le attrezzò una cameretta che divenne sua.

Francesca manteneva suo padre aggiornato sui fatti che interessavano Roberto, suo figlio, che aveva trovato una sistemazione assai convincente a casa di Barbara, la sua ragazza, con la quale conviveva in casa di sua madre, Lucia, che ospitava anche Ettore, un imprenditore edile già noto a Lucio che aveva collaborato alla realizzazione di un quartiere residenziale alla periferia della città; Ettore aveva anche assunto il giovanotto come disegnatore part time assicurandogli uno stipendio modesto ma utile.

Elena non sapeva molto delle vicende di casa e, come aveva sempre fatto, neppure se ne curava; ottenuta la sentenza di separazione e l’affidamento della figlia con l’assegno previsto che, insieme ai suoi guadagni, le consentiva di vivere nell’agio, se non nel lusso, si dedicava unicamente al suo lavoro accanito ed ai sollazzi che volentieri si prendeva da amanti occasionali, incurante della sofferenza di sua figlia davanti alla processione di maschi in mutande nella camera di sua madre.

Un giorno Francesca, nauseata, se ne lamentò con Flora e insieme organizzarono un blitz che avrebbe sconvolto gli assetti; una sera che, dopo accurati studi, la ragazza era certa che sua madre avrebbe passato la notte con un caprone che una volta a settimana andava a scoparsela a casa sua, dopo le undici si recò a casa con suo padre e con un suo amico avvocato che aveva curato la parte legale della separazione dei coniugi.

La lunga, insistente e nervosa scampanellata annunciò subito ad Elena che non si trattava di buone notizie; uscì dalla camera e andò ad aprire coperta appena da una vestaglia trasparente che non nascondeva niente delle sue forme giunoniche; quando si trovò di fronte alla figlia, sbalordì non poco.

“Francesca, perché non sei a letto? ... C’è anche tu padre ... Perché? ... O dio, anche l’avvocato?!”

“Elena, domani fatti trovare in tribunale!”

“In tribunale?!? Perché mai?”

“Perché chiederò al giudice di sottrarti l’affidamento d nostra figlia; Non ti sei neanche accorta che non era in casa ... “

“Aspetta; è stato un caso unico ... “

“Mamma, ci sono testimoni che dichiarano che normalmente non torni a casa prima delle tre di mattina e che non sai mai né dove sono né cosa faccio; i miei professori possono venire a testimoniare che non ti hanno mai visto in tutti gli incontri con le famiglie; chi è adesso il caprone che gira per la casa in mutande, visto come sono scostumati ed incivili gli amanti che ti porti in casa senza nessun rispetto per me? Domani al giudice e agli assistenti sociali racconterò queste cose ... ”

Proprio in quel momento un individuo anonimo si affacciò dalla sua camera, in mutande, ed uscì per andare in cucina; Lucio usò il telefonino per scattare un’istantanea di lei in vestaglia, di lui in mutande e della figlia tra loro.

“Questa è la ‘pistola fumante’ se capisci cosa intendo!”

“Va bene; cosa vuoi, figlia ingrata?”

“Me ne vado, troia; seguo l’esempio di mio padre e di mio fratello; ti lascio alle tue copule smodate e incontrollate; vado a fare famiglia con chi mi merita. Domani vai dal giudice e comunica che rinunci all’affidamento; se non lo fai, ti perseguito e ti mando in galera, te lo giuro!”

“Va bene; visto che avete fatto sempre così, quadrato contro di me, vattene anche tu e non rompetemi più le scatole; finalmente forse potrò essere giovane e libera da zavorre inutili!”

“Francesca, metti in un valigia poche cose veramente indispensabili e andiamo via da questo letamaio; signora delicatissima, sappia che con la perdita dell’affidamento lei rinuncerà anche all’assegno che le era stato concesso; stia bene attenta a come spende e spande, se non vuole trovarsi male, prima o poi.”

Alzò il medio della mano destra e chiuse la porta alla sue spalle, quando la figlia si presentò con una valigia pronta; la sua sicumera era però destinata a sgonfiarsi lo stesso giorno seguente, praticamente dopo poche ore, quando la sentenza del giudice le rese la sua indipendenza ma una discutibile autonomia economica, visto che anche tutto il lavoro dell’agenzia di pubblicità aveva fatto aggio per anni sul capitale personale di suo marito, sul quale adesso non poteva più contare.

Adulteri 3; Roberto

Era stato sempre un problema, per Roberto, affrontare la situazione della sua famiglia, con un padre decisamente troppo buono, ridottosi a badare alle faccende domestiche, mentre cercava di fare fronte ai suoi impegni non indifferenti di archistar con progetti in mezza Europa; e, dall’altro lato, una madre mezza troia della quale era incerta la fedeltà al matrimonio ma era certo l’attaccamento al lavoro al punto di ignorare qualunque incombenza familiare.

Si era rassegnato all’idea che sua madre non avesse incontrato i suoi insegnanti per tutto il corso di studi, dalle elementari alla laurea in architettura, ormai vicina; con la sua ragazza aveva risolto parlandole lealmente; d’altronde, la boutique che sua madre dirigeva in centro era un riferimento imprescindibile per la borghesia ‘bene’ della città e centro di diffusione di tutti i pettegolezzi che in quell’ambiente circolavano, facendo arrivare le informazioni prima ancora che giungessero agli interessati.

Tutto era filato abbastanza liscio, organizzandosi per distribuire i tempi e gli impegni in modo da soddisfare tutte le esigenze, lavorative e familiari, sue, di suo padre e della sorella Francesca, di sei anni più piccola ma decisamente bisognosa si sentirsi circondata da affetto che solo padre e fratello le potevano garantire; tutto secondo copione, insomma, fino a quel maledetto pomeriggio, di ritorno a casa dalla mensa universitaria dove aveva pranzato con la sorella come facevano spesso.

Per una stramaledetta coincidenza, ad una fermata della metro in una stazione intermedia, Francesca notò sua madre che, ferma sul marciapiede della direzione opposta, abbracciava, con l’aria di una grande amante, uno sconosciuto; la ragazza sobbalzò e dovette tacitarla per non sollevare scandalo; poiché aveva in mano il telefonino scattò qualche foto e registrò un breve video delle effusioni della loro madre allo sconosciuto.

Ma la frittata vera e propria la realizzò Francesca che, a casa, si precipitò da suo padre per rivelargli ingenuamente le corna con il supporto delle immagini e del video; di colpo, la misura fu piena e si rese conto che suo padre decideva in quel momento, venuto meno anche l’appiglio della fedeltà che teneva unita la famiglia, di rompere un’ipocrita armonia familiare e di andarsene per la sua strada; Roby sapeva di una simpatia in atto tra Lucio e la sua assistente Flora; capì che suo padre se ne andava a stare con lei.

Non sopportava l’idea di restare in quella casa, condizionato da un madre irresponsabile ed anche un tantino puttana; decise che sarebbe andato via anche lui; l’unica persona a cui poteva chiedere ospitalità era Barbara, la sua ragazza, con la quale più volte avevano accennato alla possibilità di convivere nell’appartamento dove lei viveva con la madre Licia, divorziata da anni da suo marito, e con il suo compagno, Ettore, un imprenditore edile assai abile e disponibile verso i due ragazzi.

Barbara dovette consultarsi con la madre, per assicurarsene la disponibilità e, per correttezza, interpellò anche Ettore che fu ben felice di dare il suo assenso; anzi, propose, per alleggerire la loro posizione di dipendenza totale dalla madre di lei, di assumere part time il ragazzo come disegnatore nei suoi cantieri; la soluzione, neanche a dirlo, fu gradita a tutti; la parte peggiore per Roby fu comunicare la novità a Francesca che non la prese troppo bene.

Però, chiarito che rimaneva inalterata la possibilità, uscendo dopo le lezioni dal liceo che frequentava, di raggiungerlo per il pranzo, che poteva trascorrere anche interi pomeriggi allo studio di suo padre e risolvere con lui i problemi della cena, finirono per concordare una piattaforma soddisfacente, per cui la ragazza rimaneva affidata a sua madre per evitare una lite giudiziaria ma viveva di fatto col padre e col fratello.

Non ebbe bisogno di molto tempo né di molti discorsi, Roberto, per adeguarsi alle abitudini della casa di Licia; conoscevano le possibilità della camera della ragazza dove già talvolta avevano scopato, all’insaputa di sua madre che comunque non faceva problemi per i loro rapporti sessuali; eppure, quella loro prima volta in maniera inequivocabile e incontestabile si sentirono alquanto diversi; quella fu per loro la notte di una anomala ‘luna di miele’ che consumavano da coppia di fatto.

Per la particolarità della situazione, si sentirono come ad un primissimo incontro, travolti dalla bellezza del momento, dalla delicatezza della situazione e soprattutto dal desiderio di darsi completamente; Barbara era più entusiasta e determinata; lui non fece in tempo a chiudere la porta che si sentì avvolto da un abbraccio tentacolare; avvertì con particolare intensità le mani sulle natiche che spingevano i ventri a congiungersi e il seno premere sul torace sensualmente.

Reagì spingendo il pube e la mazza, che era balzata di colpo contro quello di lei, si strusciò sul corpo e cercò la libidine in tutte le parti che si incontravano, dalle braccia alle gambe, ma soprattutto dal seno contro il torace agli inguini che quasi dolevano, tanto erano spinti l’uno contro l’altro; sistemò il cazzo all’altezza della figa e la scopò fra le cosce, da vestiti, come due ragazzini che stessero pomiciando e cercassero l’orgasmo nelle mutande.

La spostò verso il letto, la fece sedere e la spinse giù di schiena; si abbassò accosciato e le sollevò la gonna, solo davanti, fino a raggiungere il perizoma che sottolineava, senza coprirla, la figa adorata; si piegò in avanti e appoggiò le labbra sul monte di venere; fece scivolare la lingua verso la vulva e sentì che lei comincia a colare piacere e gioia; cercò le grandi labbra e le carezzò con la bocca; Barbara spinse in giù il perizoma e portò alla vita la gonna offrendosi tutta dalla figa in giù.

Roberto leccò golosamente il ventre, dall’ombelico alla figa; scese in basso, partì dalle ginocchia, per l’interno coscia, e leccò fino alle grandi labbra; sentiva che in lei l’eccitazione diventava irresistibile; sfiorò soltanto le piccole labbra e lambì il clitoride già ritto e duro; avvertì un primo orgasmo, direttamente sulla lingua, e assaporò con gusto gli umori che esplodevano; giocò un poco con le piccole labbra e leccò avidamente tutta la figa, dall’esterno all’interno, finché infilò la lingua in vagina.

Barbara si sentiva esplodere il ventre e avrebbe voluto tirarlo su, baciarlo e farsi penetrare; lui le fermò le braccia e la obbligò supina a ricevere le sue leccate; le portò le gambe in alto, lei lo favorì afferrando i polpacci ed aprendosi tutta alla sua leccata; la lingua che giocava nella vagina come un piccolo cazzo la mandava in deliquio; gemeva e borbottava impedendosi ad ogni costo di urlare, per timore di essere sentita dalla madre.

Sfruttando la posizione, Roberto si dedicò ai fori vicini e leccò la figa e il buco del culo, giocando a far entrare ed uscire la lingua da ciascuno, alternativamente; succhiò il clitoride con foga, finché lei non si lasciò sfuggire un urlo e squirtò sulla bocca e sul volto; lui bevve avidamente e golosamente tutto, rassicurandola con lo sguardo che non aveva smesso di tenere fisso nei suoi occhi per vivere con lei quel momento di infinita lussuria.

Di colpo, lei si divincolò, lo spinse via e lo sbatté letteralmente a fianco a sé sul letto; sfilò quasi con violenza pantaloni e boxer fino alle caviglie, si accosciò ai piedi del letto ed afferrò a due mani il cazzo ritto come un obelisco.

“Adesso tocca a te startene fermo e buono; fammi gustare la tua mazza, lascia che mi faccia soffocare, se mi va; fammi prendere da te tutto il piacere che puoi darmi!”

Roberto scherzosamente alzò le mani in segno di resa; si spogliò in un attimo e si stese al centro del letto; Barbara fu nuda ancora prima di lui e si inginocchiò a fianco, piegata con la testa sul suo inguine; afferrò il cazzo con una mano e portò l’altra a raccogliere i testicoli sfregandoli dolcemente; mentre iniziava una leggera masturbazione, andò a leccare le palle, una per volta, e più volte ne infilò una in bocca per titillarla con la lingua; spostò le labbra sull’asta e la percorse.

Arrivata alla cappella, strinse a forzare le labbra che la seguirono amorosamente; poi la lingua la accarezzò tutt’intorno e la guidò contro il palato, verso l’ugola; una mano manipolava l’asta fuori dalle bocca, l’altra scivolò tra le cosce ed afferrò il clitoride; masturbava contemporaneamente tutti e due, mentre succhiava con devozione il cazzo sulla punta; lui sentì l’orgasmo montargli e l’avvertì che, se continuava così, lei avrebbe ricevuto un fiume di sborra in bocca; ma lui avrebbe avuto difficoltà a ricominciare.

Barbara si fermò, senza mollare la presa né sul cazzo né sulla figa; si sdraiò al suo fianco, tenendo la bocca sul cazzo e portò la figa al viso di lui, che ruotò su un fianco e prese a leccare lei, tra le cosce e sulla figa; allentarono così la tensione e, nella voglia di leccarsi reciprocamente, si riempirono di piacere; ma la doppia funzione impediva gli orgasmi; Barbara non volle fermarsi e bloccava la fellazione, lasciando spazio a lui che la leccava entusiasta dall’osso sacro al monte di venere.

Quando si rese conto che lui si era rilassato abbastanza per riprendere, bloccò la testa fra le cosce e si dedicò amorosamente al cazzo che leccò e succhiò interamente, dalla cappella alla radice; il piacere che ne riceveva era per lei nuovo e infinito; sentì gli orgasmi accavallarsi e inseguirsi fino a che esplose in uno molto violento che lui assorbì e bevve interamente, con enorme soddisfazione; lei si fermò, si staccò e giacque inerte.

“Sei arrivata agli sgoccioli?”

“Maledetto, sai quante volte mi hai fatto venire?”

“Non sono un ragioniere; ho sentito che godevi e sono più che felice se sento che godi del mio amore e del tuo … Cosa pensi di fare adesso?”

“Adesso il tuo mostro mi divora il corpo dall’interno, fino al cuore e al cervello; anzi, sarò io a succhiarmelo dentro e a farmi divorare tutta finché entrerò dentro di te e saremo un solo corpo … “

“Non ci sono mostri, qui; solo amore; non c’è nessun cannibalismo; adesso ci fondiamo in un unico indissolubile di amore e di desiderio, se ti va.”

La stese supina sul letto, le montò addosso e si appoggiò col corpo intero; lei prese il cazzo e lo portò alla figa; lui non si mosse, quasi a sfidarla; Barbara allargò le gambe e appoggiò la cappella alla vagina; lui le prese le gambe e le portò sulla schiena; lei intrecciò i piedi, fece forza sulla schiena e si spinse verso l’alto; sentì il cazzo che scivolava lentamente nel canale vaginale; aveva chiara la sensazione di essere lei a penetrarsi col membro che amava.

Quando sentì che oltre non poteva spingerlo perché la cappella urtava la cervice dell’utero, si rilassò e si appoggiò sul letto, lui la seguì e restarono uniti, senza muoversi.

“Non vuoi esercitare il diritto del maschio alfa a montarmi con tutta la violenza del caso?”

“Perché!?!? Mi pare che la tua figa faccia benissimo la sua parte; mi stai portando in paradiso; perché dovrei cavalcarti?”

“E’ vero, amore; sto impazzendo, probabilmente, mi sento persa in una nuvola strana … no, sono in un cielo azzurro e sento musiche celestiali … sto godendo , amore, vieni con me, ti prego, godiamo insieme … si ecco, stai spruzzandomi dentro il tuo amore … ti amo … Robyyyy … ti amo … godo … insieme a te …. È meraviglioso!”

Stavano godendo insieme, effettivamente, come non gli era mai capitato; entrambi avevano la sensazione di sprofondare in un abisso di miele; il languore che li colse fu assai simile alla ‘piccola morte’ di cui si parla talvolta; si fermarono svuotati e inerti per qualche minuto; poi lei si riprese e andò in bagno.

“Ci fermiamo?”

“Per ora sì, amore; mi hai fatto godere non so più quante volte; se mi dai ancora un orgasmo, non riesco più a muovermi da questo letto; domani ci aspettano gli impegni abituali; cerchiamo di riposare qualche ora; è stata una giornata lunga e difficile … “

Quella sera di amore senza limiti segnò l’inizio di un nuovo modo di rapportarsi alla vita ed alla realtà; Roberto sentì così caldo l’affetto della mamma del suo amore che le chiese addirittura se poteva chiamarla ‘mamma Licia’ anche se non si parlava ancora di matrimonio; lei non aveva problemi ad essere madre putativa del genero ‘in pectore’, a patto che lo evitasse di fronte ad estranei, per non risultare alla fine più vecchia della sua età; Roby osservò che sua madre aveva la sua stessa età.

“Posso anche essere simile a tua madre, ma mi offendi se mi paragoni in toto a lei!”

“Sai qualcosa che io ignoro?”

“Ragazzo mio, la boutique è come un porto di mare, dove tutti portano le novità del momento, quelle buone e quelle cattive, quelle vere e quelle false; sul conto di tua madre se ne dicono troppe; ti basti sapere che per molte ‘amiche’ è ‘Elena la Troia’ parafrasando la definizione della moglie di Menelao causa della guerra di Troia; d’altronde, se tuo padre se n’è andato e tu sei qui, è evidente che qualcosa non ha funzionato nei rapporti tra marito e moglie, tra madre e figlio!”

Ma Licia aveva troppo a cuore la serenità di sua figlia e del suo ragazzo; li accolse in un caldo abbraccio e si scusò per avere esagerato nei giudizi; Roby ricambiò l’abbraccio e le assicurò che la verità ormai non gli faceva più male; impararono a convivere e la madre fu larga di consigli alla figlia per reggere una vita di coppia serena e armoniosa; Ettore tenne fede all’impegno e assunse Roberto part time come disegnatore a paga sindacale.

Una qualche frizione si generò quando la cosa venne all’orecchio di Lucio, che aveva respinto quel desiderio di suo figlio, perché temeva che ne risentisse il rendimento all’Università, per lui impegno assoluto e non affiancabile ad altre attività; la tenacia di suo figlio, la determinazione dei ‘suoceri’ e i risultati positivi degli esami lo obbligarono a ricredersi; ma non volle interferire con l’operato, peraltro giusto, di un imprenditore che appezzava a stimava.

Roberto aveva mantenuto intatti i rapporti con sua sorella che si appoggiava a lui per pranzare alla mensa universitaria; quando seppe che si era scontrata con sua madre e si era trasferita definitivamente dal padre, espresse il desiderio che il genitore, con la compagna e la figlia, incontrasse la sua nuova famiglia; Licia suggerì un pranzo domenicale, per esibire la sua abilità culinaria col piatto forte, le lasagne al forno; i tre accettarono senza alcuna esitazione.

L’incontro tra i due nuclei familiari fu molto più disinvolto e interessante di quanto avrebbe potuto essere previsto; Ettore e i due architetti si erano conosciuti per avere collaborato a importanti progetti; Francesca da quasi un anno frequentava regolarmente la casa di Barbara ed aveva stretto amicizia con Licia e con Ettore; Flora aveva spesso bazzicato la bottega di Licia, anche se non era una delle sfaccendate che spesso vi si accampavano per spettegolare; Licia la stimava molto.

Barbara aveva incontrato spesso sia Lucio che Flora, provava per entrambi un sincero affetto ricambiato con calore; in buona sostanza, dopo qualche attimo di imbarazzo dovuto ad un’atavica educazione che faceva valutare scorretta la convivenza tra individui non ‘sanificati’ da un sacramento, l’idea di una famiglia allargata diventò di comune sentire e non turbò nessuno; i complimenti alla padrona di casa per il menù tradizionale e speciale si sprecarono.

Il pomeriggio si avviò allora con un dialogo ‘scamiciato’ tra tutti, con memorie, commenti, aneddoti e scherzi vari che erano utilissimi per conoscersi e stimarsi ancora di più; l’apice fu raggiunto quando Flora, pressata dalle sollecitazioni di Licia che aveva notato le sue frequenti visite al bagno, ammise con molta ritrosia di aspettare un figlio da Lucio; il primo slancio di gioia e di affetto fu di Francesca che si precipitò a sommergere nell’abbraccio la compagna di suo padre.

Il discorso si spostò inevitabilmente sulle tre coppie presenti e sulle rispettive aspettative di futuro; Lucio si preoccupava della presenza di una figlia quindicenne che ascoltasse temi scabrosi; Flora lo rimbeccò affermando convinta che nei bagni della scuola, tra amiche, i discorsi erano ben più liberi e azzardati; Francesca accarezzò sorridendo suo padre e lo rassicurò che lei, tra Flora e Barbara, le sue vere amiche fidate, aveva ottime suggeritrici.

Fu solo sfiorato il problema della ‘coppia giovane’, Roberto e Barbara; solo Licia si sbilanciò, affermando che non sarebbe dispiaciuto, a lei e a Ettore, il suo compagno, doversi dedicare a un nipotino; Lucio era naturalmente scettico perché desiderava che prima suo figlio si laureasse; i due ribatterono che la laurea doveva essere un impegno per entrambi i ragazzi ma che avrebbero volentieri aiutato i due a ‘fare famiglia’ senza demordere dal loro impegno.

Le cose rimasero in stallo; ma molta chiarezza fu fatta sugli assetti familiari e sulle prospettive; Lucio si raccomandò che l’assaggio di ricette antiche, frequentate solo in gioventù per le abitudini caserecce, fosse garantito dalle conoscenze di Licia e che l’invito a pranzo della domenica diventasse rituale; la donna assicurò che avrebbe ripercorso tutte le ricette della nonna solo per lui; Flora scherzò dichiarandosi offesa; in realtà, decidevano di essere ‘famiglia’ ampia con suoceri e nipoti.

Rimasti soli ed accingendosi a fare l’amore per l’ennesima volta, Barbara e Roberto si confrontarono sulla possibilità di interrompere l’anticoncezionale per avviare un ‘cantiere’ per un figlio che realizzasse i sogni di molti, da ‘mamma Licia’ a ’nonno Lucio’, da Flora a Francesca, la più accesa sostenitrice di un nipotino da Barbara, oltre che un ‘fratellino’ da Flora; l’unico nome che ormai era stato definitivamente espunto dal loro vocabolario era Elena.

Adulteri 4; Francesca

Elena aveva poco più di diciannove anni e aveva appena cominciato a lavorare in pubblicità; Lucio ne aveva ventitré e, dopo la laurea, trotterellava dietro il grande Maestro che lo aveva preso come assistente, quasi un semplice portaborse; in una delle veloci scopate che riuscivano a strappare al controllo genitoriale; commisero il grave errore di non usare il solito preservativo; la conseguenza fu imprevista e irrimediabile; lei si trovò incinta e decisero di sposarsi prima della nascita di Roberto.

Sin dai primi vagiti del bambino, lei dichiarò la sua intenzione di madre che non accetta di restare a casa; lui aveva già avviato la carriera che lo avrebbe portato ai vertici della professione di architetto; facendo leva sul tempo di cui poteva disporre, lavorando spesso da casa, e sopratutto su una sua indole da ‘buono come il pane’, secondo una versione, o da ‘tre volte buono, quindi fesso’ come suggeriva una deteriore interpretazione della sua mitezza, fu lei ad imporre il regime familiare.

Lei non accettava neppure per errore di rinunciare ai suoi impegni lavorativi, anche se e quando le imponevano lunghe ore di straordinario fino a sera tardi o ‘maratone’ interminabili in giro per l’Italia per catturare nuovi clienti e imporre il marchio che ora era suo; per conseguenza, la cura della casa e dei figli ricadeva tutta sulle spalle del marito che, lavorando a distanza, poteva occuparsi di tutto e, quando doveva andare in studio, si poteva organizzare alla meglio.

Roberto crebbe così, affidato al padre che lo seguiva con amore quasi patologico; sei anni dopo la sua nascita, un errore quasi fotocopia di quello iniziale costrinse i coniugi a prendersi cura di un’altra nascita imprevista e forse inopportuna; Francesca nacque quando Roby aveva già sei anni e da quando aprì gli occhi fu per Elena solo un problema in più e, per Lucio, un aggravio del lavoro a cui si doveva sottoporre per fare fronte a tutte le esigenze di una casa allo sbando.

Crescendo, la ragazza si rese conto di essere ‘diversa’ da tutte le compagne di scuola, perché non aveva una madre a cui riferirsi per i suoi piccoli problemi, ma un ‘mammo’ al quale non riusciva a parlare di certe cose imparate nei gabinetti della scuola; per sua fortuna, nello studio di papà lavorava Flora, una ragazza di una quindicina di anni più ‘vecchia’ con la quale riusciva ad aprirsi; nel corso degli anni, la elesse ‘amica del cuore’ o ‘sorellona insostituibile’ insomma faro di riferimento per tutto.

Fu con lei che si confidò quando, col menarca, si accorse di essere diventata ‘femmina’; fu sempre Flora a guidarla nei negozi del Centro Commerciale dove abbandonò le mutande di cotone dozzinale, che suo padre comprava senza distinzione al mercato, per i primi slippini che la facevano ‘signorina’ o i primi costumi a due pezzi, con la parte superiore che non doveva ancora reggere niente, in cambio di quelli approssimativi che suo padre acquistava nei negozi del paesetto di mare dove villeggiavano.

Diventata grandicella, cominciò a rendersi conto che, tra suo padre e Flora, c’era qualcosa di indefinibile che si materializzava in tocchi clandestini, carezze mistificate da gesti professionali o vaghi accenni di simpatia; ma non le capitò mai di vedere niente che andasse fuori dalla morale che le avevano imposto; d'altronde, niente aveva mai visto scattare tra suo padre e sua madre, le poche e rare occasioni in cui la ‘signora’ si era degnata di apparire in casa in ora compatibile con la loro presenza.

Naturalmente, non era una sprovveduta e l’insegnamento che nei bagni della scuola veniva da compagne assai più disincantate le suggeriva che solo qualche rumore notturno indicava tra i due un’attività sessuale che forse poteva indicarsi come amore coniugale; tra Flora e Lucio sperava che ci fosse almeno un amore adulterino, anche se alla sua morale il concetto stesso di adulterio ripugnava; in quel caso, forse lo avrebbe accettato ma era felice che non ci fosse.

Anche per questo, la volta che, ad una fermata della metropolitana, vide sua madre strusciarsi lussuriosamente su un altro uomo, scattò in lei una ribellione incontrollabile; le parve di vedere il cuore di suo padre sanguinare per l’offesa che la moglie gli portava con quel comportamento e provò grande empatia con Flora che riusciva a tenere sotto controllo i suoi sentimenti anche se, probabilmente, era molto più appassionata a suo padre di quanto sua madre lo fosse al marito o all’amante.

Da quando era andato all’università, Roberto aveva preso l’abitudine di portare Francesca a pranzo alla mensa universitaria per risparmiare a suo padre l‘onere della cucina; sua sorella, uscendo dal Liceo dove studiava, andava all’università, pranzavano e, se lui aveva il pomeriggio libero, tornavano insieme a casa; altrimenti, Francesca andava in studio dove si fermava a studiare e a cazzeggiare come nel suo habitat naturale; di solito, parlava molto, di tutto, con Flora che la guidava in tutte le scelte.

Quel pomeriggio stavano viaggiando verso casa quando, ad una fermata intermedia, Francesca notò sua madre che amoreggiava con uno sconosciuto; la mano di suo fratello sulla bocca frenò l’urlo che stava per lanciare; lui intanto riprendeva la scena con il telefonino; arrivati a casa, scaricò su un supporto esterno il video che la sorella guardò incredula più volte chiedendosi perché sua madre fosse arrivata a quell’eccesso.

Non riusciva a rasserenarsi, la ragazza, e, quando suo padre rientrò, ritenne doveroso informarlo; in silenzio gli consegnò la scheda che l’altro guardò inorridendo; fece una serie di telefonate; prese dallo sgabuzzino alcune sue valigie, le riempì di biancheria, vestiti e documenti e andò in camera di Roberto.

“Sono arrivato al capolinea; ho riconosciuto l’uomo del video e so che non è una storia né conclusa né recente; non posso più stare con una donna senza pudore né rispetto; io me ne vado; tu sei maggiorenne e scegli autonomamente se restare con tua madre, se venire con me o cercarti altri percorsi; ti garantirò il sostegno necessario; tua sorella è minorenne, sarà affidata senz’altro alla madre indegna; perdonatemi, se vi riesce, ma stavolta è finita davvero!”

Roberto, dopo che il padre fu andato via, fece anche lui una serie di lunghe telefonate, specialmente a Barbara, la sua ragazza; si accordò per andare a stare da lei; poi parlò con la sorella; le spiegò che lei doveva rimanere con la madre e cercare di organizzarsi; per rendere meno difficile la convivenza poteva sempre fare affidamento su di lui e, se lo desiderava, pranzare insieme alla mensa; poteva frequentare quando voleva lo studio di suo padre; la abbracciò con calore e uscì.

Rimasta sola, Francesca si chiuse nella sua cameretta e attese a lungo il ritorno della madre ma crollò nel sonno prima che lei, a tarda notte, rientrasse; quando trovò la casa vuota, Elena, senza alcun rispetto, svegliò la figlia e le chiese conto del padre e del fratello; Francesca, senza parlare, le indicò il tablet aperto sul tavolo di cucina; Elena guardò il video, non fece motto e mosse la mano nell’aria, quasi a scacciare qualcosa di fastidioso.

La ragazza sentì che trafficava sul cellulare alla ricerca di un contatto coi familiari, finché si rassegnò che avevano bloccato il suo numero e andò a letto; la mattina seguente non si scambiarono nemmeno il saluto; la figlia fece colazione, organizzò le sue cose e uscì di casa diretta a scuola; la madre cercò ancora tenacemente di contattare marito e figlio, ma dovette prendere atto che era fuori dalla loro vita e dalla famiglia; le restavano la casa e la piccola, ma non sapeva come regolarsi.

I mesi successivi furono un climax di dispetti e di offese più o meno aperte; Francesca imparò a frequentare suo fratello all’università e suo padre nello studio, più di quanto vedesse sua madre, in casa solo da notte fonda al mattino; per rompere il fastidio della tigna rispettiva, chiese a suo padre di accompagnarla una sera tardi a casa; ci andarono con un avvocato e sorpresero la madre a letto con l’amante; non si era neppure accorta che la figlia piccola non era in casa.

La conclusione fu che la madre rinunciò all’affidamento che passò al marito; Francesca si trasferì a casa di Lucio e Flora che l’accolsero con l’affetto di sempre; qualche tempo dopo, i tre andarono a fare visita a Licia, madre di Barbara, e ad Ettore, compagno della signora, che avevano accettato che i due ragazzi convivessero nel loro appartamento; l’incontro fu molto affettuoso; in quella sede, Flora rivelò che aspettava un figlio da suo padre; ne fu felice; Roberto e Barbara, assai vicini alla laurea, comunicarono che si sarebbero sposati ed avrebbero avuto anche loro un figlio, che avrebbero chiamato Lucio, come suo nonno.

Scivolarono dolcemente un paio di anni e Francesca fu sempre più legata a Flora, durante la gravidanza e dopo, per lo svezzamento del figlio; imparò da lei tutto quello che le sarebbe risultato utile nella vita e, soprattutto, il sesso che la compagna di suo padre, non sapeva proprio come indicarla, affrontava con disinvolta sicurezza e la invitava ad avere un atteggiamento simile per non cadere in stereotipi o moralismi inutili

Aveva diciassette anni e affrontava la maturità, prima della Facoltà di Lettere, quando avvertì Flora, come aveva fatto per le prime masturbazioni, le prime fellazioni e qualche gioco anale, che desiderava fare sesso completo col ragazzo del momento; non lo vedeva ‘principe azzurro’ come nei sogni delle coetanee; ma desiderava fare l’esperienza con un ragazzo a cui fosse intensamente legata; l’amica del cuore le suggerì che era la disposizione migliore, farlo per sé e per i suoi desideri.

Erano al mare, nella località dove ogni anno con suo padre, con Flora e con il bambino che avevano avuto, passavano almeno un paio di settimane in agosto; c’era anche Riccardo, un ragazzo molto simpatico, di venti anni, ben educato e serio al quale anche suo padre aveva aperto la fiducia e la casa; come tutti gli anni, la sera andava con lui a passeggiare sulla battigia e faceva il sesso limitato che si concedeva, fino a quel momento; erano molto tesi, tutti e due, quella sera di San Lorenzo, mentre percorrevamo il tragitto abituale; lungomare, fino all’ultima gelateria, poi dentro verso l’arenile sempre più deserto, sempre più buio.

Vicino a un pattino arenato, Riccardo stese un telo da spiaggia, la fece sedere, si sedette accanto a lei, si girò a baciarla; era un gesto ormai abituale, ma in quel momento divenne forte come non mai; la spinse supina sulla sabbia e le cadde addosso coprendola col suo corpo assai possente; le mani divennero tentacoli e cominciò a sentirsele dappertutto che le frugavano il seno, l’inguine, i fianchi, il sedere, le cosce; la baciava con vorace desiderio e le succhiava tutto, dagli occhi alle labbra, dai capezzoli alla gola.

Poi scese verso il ventre, sciolse il pareo che aveva usato per coprirsi e le sfilò lo slip del costume; allungò anche lei le mani e si impossessò del cazzo che era diventato praticamente enorme; per un attimo ebbe paura che, entrandole nel ventre, la squarciasse; poi sorrise delle sue fisime; Riccardo si sfilò il costume e i sessi si trovarono nudi e accostati; passò per un momento un dito nella vulva, quasi a liberarla dei peli del pube e accostò la cappella; la baciò delicatamente mentre si tratteneva dal penetrarla.

Sollevò le gambe intorno ai fianchi, le portò dietro la schiena, spinse col bacino verso l’alto e senti il mostro entrare in lei; Riccardo a sua volta diede una spinta dall’alto in basso e fu tutto dentro; una fitta di dolore, quasi un’inezia, segnalò che l’imene era saltato; aprì gli occhi, vide una stella attraversare il cielo e si augurò una felicità eterna, poi lui cominciò a cavalcarla; e lei non riuscì più a connettere.

Sentiva solo il piacere infinito che dal ventre si irradiava a tutto il corpo; sentiva il suo desiderio di possederlo che si riempiva e si soddisfaceva di quel bastone di carne che le trivellava il ventre; sentì esplodere negli occhi, nel cuore, nella mente, nella fantasia, tutti i fuochi d’artificio del mondo, le sembrò di esplodere in mille pezzi di fuoco colorato; poi lui le scaricò nel corpo l’orgasmo e lei lo sentì tutto, spruzzo per spruzzo, goccia per goccia.

Capì finalmente la differenza tra tutto quanto avevo vissuto e quel momento di sublime, infinita dolcezza che dava il sentore vero del paradiso; rispose con altrettanti orgasmi, tutti violenti, tutti dolcissimi, tutti accompagnati da urla d’amore. Flora fu la prima ad essere informata che la sua amica del cuore aveva fatto finalmente l’amore e si sentiva felice e completa; cominciò a suggerirle comportamenti e scelte per controllare il piacere e coglierlo nella massima essenza; Francesca gliene fu grata per tutta la vita.

Anche Barbara aveva dato alla luce il suo bambino che Roberto volle chiamare Lucio, come suo padre, sperando che avesse gli stessi felici esiti nella vita e nel lavoro; dopo la laurea, aveva accettato il tirocinio nello studio del padre e scherzava con Flora su chi l’avrebbe ereditato; ma la felicità della scelta di collaborare in tre era evidente dagli ottimi risultati per commesse nelle quali interveniva volentieri Ettore con i suoi cantieri di lavoro.

Un piccolo disagio sembrò agitare la pacifica serenità dell’ambiente, quando Claudio, il padre genetico di Barbara, dopo anni di assoluta ignoranza della sorte di sua figlia, le comunicò che desiderava incontrare lei, il suo compagno e il bambino che sapeva essere nato dal loro rapporto per presentare una nuova situazione, con una donna di cui si era perdutamente innamorato e che intendeva sposare; farle conoscere la figlia, il nipote e il genero gli pareva doveroso.

Roberto, che aveva un’opinione assolutamente negativa di quell’uomo, avviò alcune sue misteriose ricerche e raggiunse risultati stravolgenti che non comunicò a nessuno; quando padre e figlia stabilirono che si sarebbero incontrati nel ristorante più famoso della città per una luculliana cena a base di aragosta, confabulò in segreto con Flora ed Ettore e riuscì ad organizzare che sarebbero andati all’appuntamento, ma tutti e otto; Claudio e la sua dama sarebbero arrivati più tardi, leggermente distanziati tra loro.

Nonostante molte riserve espresse dagli interessati, giunsero alla determinazione di accettare la ‘sorpresa’ che Roberto intendeva fare; la sera prevista, si prepararono al massimo dell’eleganza e andarono, fra le migliaia di domande inutili che petulantemente Francesca poneva per sapere in anticipo cosa sarebbe successo; Roberto fu tetragono nella determinazione e invitò tutti a prepararsi ad una scenetta assai piacevole e risibile.

Il tavolo riservato era in una stanzetta separata, quasi un separé, ed era apparecchiato per nove persone; c’era spazio anche per i passeggini che ospitavano i piccoli; presero posto e Roberto dovette resistere al fuoco di fila delle domande che tutti ponevano e che miravano soprattutto a capire cosa sarebbe successo; finalmente si aprì la porta ed entrò Claudio, molto elegante in un completo raffinato; si diresse immediatamente dalla figlia e la salutò con affetto.

Barbara era piuttosto restia ad esprimere i suoi reali sentimenti per quel padre assente per lungo tempo ed ora riapparso per conoscere il compagno di sua figlia; presentò tutti, indicando la relazione familiare, dal suo uomo al padre e alla compagna, dalla sorella al compagno di sua madre; Claudio fu stranamente espansivo e cordiale con l’ex moglie; finalmente annunciò che aveva deciso di crearsi una nuova famiglia e chiese se volevano conoscere la futura compagna; tutti assentirono.

Uscì dalla stanzetta e rientrò dopo poco seguito da una signora bella ed elegante; fu Roberto a rompere il ghiaccio.

“Ciao, mamma!”

La futura compagna del padre di Barbara era la madre di Roberto e di Francesca, ex moglie di Lucio, insomma la famigerata ‘Elena la troia’ su ci avevano spesso scherzato tra di loro; lei trasalì, davanti a figli, ex marito e compagna di lui; uscì in preda al panico.

Il suo aspirante compagno la rincorse mentre un brusio di rimprovero si levava contro Roberto; che spiegò di avere dedotto da un sito di chat l’intento dei due e di aver preparato l’incontro per dare una lezione alla madre che si proponeva con un profilo di moglie fedele cacciata dal marito ed al padre di Barbara che ostentava una fedeltà monogamica assurda; fu Licia a dare corpo al rimprovero facendogli presente che certe cose si discutono prima e non con colpi di scena assurdi.

Inaspettatamente, Elena rientrò, si sedette di fronte al figlio e diede la stura ad una sfilza di motivazioni, a metà tra il pentimento e il rimprovero, cercando di spiegare che era giunta alla determinazione di cambiare regime di vita; aveva voluto incontrare la figlia dell’uomo che amava per chiederle di essere testimone alle nozze, perché quell’impegno era per lei fondato e decisivo, dopo una vita di errori per mancanza di maturità e di determinazione.

In pratica, sosteneva di avere sbagliato a sposare Lucio senza amore; ma era rimasta fedele finché aveva potuto e aveva visto nascere due figli che amava, anche se non riusciva a manifestarlo; l’incontro col suo primo grande amore in un momento di difficoltà aveva scatenato la sua reazione ed aperto la strada ad errori più gravi; il compagno che aveva scelto sapeva quasi tutto di lei ma avevano voluto fare le cose con un certo mistero per dare vivacità all’incontro, sbagliando ancora una volta.

Chiedeva a tutti di offrirle un’ultima occasione per riscattarsi; loro erano tutti acquietati, anche se avevano oggettivamente sofferto per rasserenarsi; chiedeva di essere aiutata a cambiare regime per ritrovare un suo equilibrio; sapeva di rivolgersi a persone che la giudicavano male; ma aveva chiesto l’incontro con la figlia di Claudio proprio a questo scopo; visto che era la compagna, o forse la moglie, di suo figlio, chiedeva che fossero entrambi a farsi garanti delle loro intenzioni.

Roberto resisteva nella sua convinzione di escludere per sempre sua madre dalle loro vite; ma Francesca corse ad abbracciare la madre e le disse quasi piangendo che voleva averla di nuovo a fianco, perché, alla sua età, l’assistenza di Fora non era esaustiva ma doveva essere affiancata dalla madre naturale che lei avrebbe amato anche se si fosse coperta delle peggiori colpe del mondo; rimproverò a suo fratello un integralismo fuori luogo; Flora concordò con lei e invitò anche Lucio a sostenere le ragioni di Elena.

Alla fine, la donna si trovò di nuovo circondata dall’affetto dei suoi, che le perdonavano errori macroscopici; i figli interpellati accettarono di essere testimoni delle nozze, Roberto per Claudio e Barbara per Elena; seduti finalmente a cenare, i colloqui presero l’ordine naturale per le ‘rimpatriate’; Elena si informò sul lavoro e sulla vita di tutti; abbracciò finalmente la ‘nuora’ e il nipotino che ammirò molto; rimproverò al figlio di non avere già provveduto a sposare la sua donna che le appariva degna di stima e di fiducia.

Arrivarono persino a scherzare, lei e l’ex marito, sulle fisime di lui a controllare ogni cosa e scherzò con Flora definendola nuova vittima del rigore formale di Lucio; parlando delle ragazze, seppe che sua figlia aveva già il ‘principe azzurro’ al quale si era concessa e che Barbara sperava di trovare un lavoro fuori dalla scuola dove sarebbe stata destinata; in uno slancio di entusiasmo, saltò fuori che la sua agenzia poteva assumerla se si realizzava un ampliamento previsto e non completato.

Poiché tutto si riduceva ad una nuova sede più grande, Ettore si propose per farle avere, con opportune manovre di permuta e integrazione, una sede in un edificio di nuova costruzione; Roberto le chiese di lasciare a lui il compito di ristrutturare adeguando alla funzione gli spazi; Claudio garantì il contributo per coprire le spese necessarie; Lucio fece un poco il pesce in barile poi, pungolato da Flora, espresse la disponibilità a dare una mano per sua nuora e il nipotino, a patto che rispettassero il suo desiderio di matrimonio.

Mentre Elena abbracciava insieme, con profonda emozione, i figli e la nuora, Flora gettò il classico sasso nello stagno.

“Licia, c’è una cosa ancora incomprensibile, in quest’atmosfera di pacificazione; Lucio mi ha sposato appena divorziato, Roberto e tua figlia si impegnano a sposarsi presto, Claudio ed Elena si sposano; tu ed Ettore perché continuate a fare i ragazzini capricciosi? Lui non può neppure chiedere l’affidamento di Barbara e non può coccolarsi da nonno il piccolo Lucio; che aspettate a sposarvi? Di farlo solo in articulo mortis? O temete di scoprire, alla vostra età e dopo una lunga convivenza, che non siete fatti l’uno per l’altra?”

La risata fu generale; Ettore le andò vicino e le diede un bacio sulla guancia, perché aveva espresso quello che lui desiderava dire da molto tempo.

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