Al supermercato
Entrare in un supermercato per fare la spesa può diventare un’avventura dello spirito anche per una persona d’intelligenza medio - alta abituata ad affrontare problemi spesso gravi, se dell’incombenza si è sempre preoccupato qualcun altro.
Lei mi aveva fatto sapere che se ne andava mentre ero in giro per un reportage sul terzo mondo; quando rientrai a casa, mi piombò addosso una mole infinita di cose che non avevo mai pensato che esistessero, solo perché se ne occupava lei.
Tra le più rognose, quella di fare la spesa si rivelò forse la più umiliante, perché mise a nudo tutta la limitatezza di cui non ero cosciente.
Da quando, poi, avevano ‘inventato’ le confezioni per singoli, penso che la cosa fosse peggiorata, almeno per quelli che non erano abituati.
La vecchia signora arzilla per un po’ mi guidò paziente; ma poi aveva altro da fare e mi lasciò perplesso davanti a un mare di scatolette.
Per fortuna ci sono le anime pie; questa aveva le fattezze di una donna giovane e certamente bella, ma non abbastanza ricercata, o almeno curata, per far risplendere tutte le sue grandi doti, sicché il seno appariva costretto in un reggiseno troppo piccolo, il sedere e le gambe apparivano infagottati in un pantalone fuori misura; insomma, diceva subito dell’immigrata, creata bella da mamma natura ma rimasta nel limbo per cultura e situazione sociale.
Ebbe un sorriso quasi patetico, quando mi vide in grandi dubbi; prese autorevolmente in mano la situazione e, per una buona mezzoretta, fu l’arbitro assoluto delle mie scelte; per un attimo, mi fermai a riflettere che le mie considerazioni sulla sua bellezza mancata si ribaltavano, dal suo punto di vista, sulla mia capacità intellettiva.
Alla fine del giro, dopo che, alla cassa, mi ebbe fatto perfino conquistare il diritto a una tessera a punti che non sapevo nemmeno esistesse, mi sentii in dovere di fare almeno qualcosa, in cambio; e mi offrii di darle un passaggio in macchina, almeno per il peso che doveva trasportare in borse e buste.
Accettò con qualche esitazione, soprattutto perché abitava fuori mano e due autobus erano difficili da conquistare.
Come spesso accade, il breve viaggio servì a raccontarci più di quanto avremmo voluto; lei si entusiasmò, con immancabile corollario di sospiri d’invidia e di esclamazioni di meraviglia, all’idea del mio lavoro di giornalista in eterno viaggio di lavoro; e si commosse fino al pianto alla notizia che ‘lei’ mi aveva abbandonato mentre ero ancora via, lasciandomi alle prese col supermercato.
Io, a mia volta, fui confermato nell’idea che mi ero fatta, di una giovane sposa immigrata al seguito del marito operaio e che viveva la sua banale esistenza tra casetta in periferia con televisore permanentemente acceso e supermercati, con qualche ‘trasgressione’ al cinema, quando tutto concorreva a renderlo possibile.
Arrivati all’enorme caseggiato dove abitava, mi offrii di aiutarla a portare in casa le borse della spesa; rifiutò dicendo che non era necessario, abitava all’ammezzato, ma era evidente che non poteva farcela in una sola volta e insistetti.
Quando entrammo in casa, m’invitò a prendere un caffè; esitai un poco, ma poi accettai, visto che davanti avevo il nulla e il vuoto di una casa ora troppo grande.
Mentre Nicoletta, così si chiamava la sconosciuta, armeggiava con la caffettiera nell’’angolo cottura’, uno standard dei miniappartamenti, io mi sedetti sul divano davanti alla TV, accesa 24 ore su 24, mi disse lei; poi mi venne voglia di un bicchier d’acqua; ma in quel momento stava per venir fuori il caffè e Nicoletta mi pregò di fare da solo.
Andai all’acquaio e mi sporsi alle spalle di lei, a prendere un bicchiere nel pensile; avevo cercato di non accostarmi, ma evidentemente fu lei a spingere indietro il sedere, che si appoggiò pari pari sul mio ventre; la reazione del mio pene fu immediata e incontrollabile; si levò in tutta la sua possanza e si piazzò tra le natiche.
Per un attimo tentai di ritrarmi, ma lei protese indietro la schiena e si appiccicò a me; le passai le mani davanti e le afferrai il seno; come avevo immaginato, aveva un sedere sodo e saldo, ben disegnato e accogliente; e le tette erano piene e morbide.
La feci girare, la abbracciai e la baciai sulla bocca, con dolce furia; tenne le labbra strette e quasi ci scontrammo con i denti; capii che non aveva molta esperienza e, delicatamente, le forzai le labbra con la lingua, finché capì e aprì la bocca lasciandosi penetrare dalla mia; cominciai a passarla sulla sua lingua e sul palato, percorsi uno a uno i denti; ritrassi la mia e mi preparai a ricevere la sua.
Coglieva al volo le cose; in un attimo fui penetrato dalla sua lingua che si spingeva verso la mia gola e mi leccava dentro, dappertutto; il membro mi doleva, tanto era duro, e lei aveva fremiti continui e spingeva il pube contro il mio per sentire meglio la mazza sul ventre.
La presi per una mano e la portai sul divano, davanti alla televisione; aprii l’ampia camicia e feci esplodere due tette da infarto, almeno di quarta taglia, carnose fino a essere leggermente pesanti, con un’aureola intensa e vasta su cui s’imponevano due capezzoli grossi come nocciole; sganciai il reggiseno, le afferrai il seno e cominciai a manipolarlo, mi abbassai e presi in bocca un capezzolo, prima, e l’altro, dopo; intanto massaggiavo le mammelle e le sfregavo tra di loro.
Le sganciai la cintura dei pantaloni, aprii la lampo e infilai una mano nelle mutande, classiche, di cotone; mi aggredì un calore intenso che emanava dalla vagina in piena eccitazione; feci entrare un dito nel folto bosco dei peli che si estendevano quasi fino all’inguine e m’infilai nella sua vulva; trovare il clitoride fu un gioco da ragazzi, visto che si protendeva fuori delle piccole labbra come un piccolo pene; lo masturbai con frenesia finché urlò di piacere.
La feci alzare, le abbassai i pantaloni e glieli sfilai; rimase nuda davanti a me e mi resi conto che era veramente un gran pezzo di femmina sacrificato in un abbigliamento improprio, cominciai a leccarla dalla gola, passai ai seni e tornai a succhiarli con foga; ebbe un secondo orgasmo, ancora più intenso.
M’inginocchiai, le sollevai un piede fin sul divano e, nella vulva spalancata, entrai prima con un dito che andò subito ad artigliare il clitoride; la sentii fremere e urlare ancora di piacere; poi mi abbassai con la testa e andai sulla vulva con la lingua; quando le lambii il clitoride, gemette quasi come se piangesse, ma stava godendo e m’inondava la bocca di umori.
Fino a quel momento, se ne era stata immobile a lasciarsi fare, senza partecipare.
Aprii la patta, tirai fuori il membro, presi la sua mano e la accompagnai a impugnare l’asta; non doveva averlo mai fatto, perché se ne stava immobile; guidando il suo polso, avviai una masturbazione lenta e saporita; imparava presto e mi diede enormi sensazioni di piacere con una manipolazione infantile e impacciata; premendole sulle spalle, la feci abbassare e, quando fu all’altezza giusta, le appoggiai il sesso sulle labbra; capì e ingoiò, d’un sol colpo, tutta l’asta; le presi la fronte per fermarla e le suggerii il movimento di va e vieni; da sola, capì che le piaceva leccare e succhiare; lo fece con diligenza.
A quel punto, però, volevo possederla; la feci stendere per terra, sul tappeto, le divaricai le gambe, m’inginocchiai e infilai il membro in un sol colpo; urlò, ma forse era solo piacere; la montai a lungo, con calma, strappandole tutti gli orgasmi, i lamenti e gli urli che potevo.
Visto il personaggio ingenuo, e un po’ rozzo, mi resi subito conto che non potevo goderle dentro; sicuramente non prendeva precauzioni ed io non avevo con me preservativi, né pensavo di chiederglielo.
La lasciai godere a lungo e pensai che, da dietro, sarebbe stato più semplice ritirarmi all’ultimo momento ed eiacularle sul sedere.
Mi alzai, guardai il mio membro e rimasi di sasso; ero coperto di sangue.
“Ma non sei sposata?”
Chiesi e indicai il sangue verginale sul sesso; fece cenno di sì e disse.
“Ma tu ce l’hai grosso!”
“Perché … tuo marito?”
Segnalò, con la mano, la lunghezza di un dito; in pratica, l’avevo sverginata.
La feci alzare, le dissi di appoggiare le mani sul divano, la presi per i fianchi e appoggiai, stavolta delicatamente, il membro alla vulva; le presi una mano, l’accompagnai sulla vulva e le indicai il movimento per masturbarsi.
Così, mentre la penetravo da dietro, lei si masturbava.
Per un attimo mi venne voglia di entrare nell’ano accogliente e stretto che avevo sotto gli occhi; ma per quel giorno era anche troppo; così cominciai a pompare spingendo il membro fino in fondo, contro il collo dell’utero; a ogni colpo, lei gemeva, si contraeva, si contorceva … e godeva.
Andai avanti per un po’, gustandomi il piacere di una vagina stretta che abbracciava il mio sesso e lo accompagnava avanti e indietro con intensi e continui fremiti di piacere.
Quando avvertii che stavo per eiaculare, mi ritrassi di colpo, uscii dalla vagina, appoggiai il membro sulla schiena, nella fessura tra le natiche, e riversai un fiume di sperma sulla sua pelle abbronzata.
Nicoletta ebbe un ultimo sussulto, un orgasmo violento e si gettò sul divano a corpo morto tenendosi la vulva quasi per non far disperdere il piacere.
Mi feci indicare il bagno, mi lavai e, uscendo, la trovai già vestita che mesceva il caffè; lo bevemmo in fretta, da buoni amici; mi avviai all’uscita.
“Verrai ancora a trovarmi?”
C’era da aspettarselo...
“Forse … “
Risposi; comunque, le lasciai il mio biglietto col numero di telefono … hai visto mai?!?!?
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