Annamaria
Da alcuni anni lavoravo nella stessa azienda e, nonostante la giovane età, mi ero guadagnato stima e fiducia degli amministratori, che con una certa frequenza mi incaricavano di missioni in sedi diverse, quasi sempre per mansioni superiori, per la sostituzione di colleghi indisponibili, e, in particolare, per ‘addomesticare’ capiservizio esigenti ai quali affiancare un uomo di fiducia che, al tempo stesso, aiutasse il lavoro dei dirigenti e rappresentasse gli interessi del personale.
La sezione a cui mi spedirono quell’estate era la più difficile, essendo diretta da un personaggio particolare, tutto regolamento ed efficienza, che aveva scatenato rimostranze e manifestazioni di insofferenza in diverse occasioni.
Per un po’, tutto procedette per il meglio; ammorbidendo le sue pretese spesso assurde e sollecitando i colleghi a rispettarle nei limiti della decenza; facendo scaricare, come da una valvola, tutte le intemperanze prima che arrivassero al ‘capo’ e accendessero polemiche; frenando eccessi di fiscalità inutile negli ordini di servizio, ero riuscito a conquistarmi ancora una volta la fiducia di tutti e la benevolenza del dirigente che non smetteva di tessere le mie lodi per l’attaccamento al dovere, per l’equilibrio e, soprattutto, per la capacità di comprendere le decisioni e di farmene carico direttamente.
L’assemblea plenaria convocata per gli inizi di settembre non aveva niente di particolare; l’ordine del giorno, com’era nel costume del ‘capo’, era infarcito di punti assolutamente inutili; un’introduzione logorroica e snervante a cui seguirono immediatamente rapide votazioni per chiudere prima che si potesse; la scelta degli scaffali per alcuni uffici, che in genere si risolveva con l’indicazione della solita ditta fornitrice che avrebbe consegnato il meno peggio sul mercato.
Per la prima volta incontrai alcuni dipendenti che lavoravano in uffici amministrativi e che non avevo fino a quel momento incrociato; mi colpì l’età media vicina alla mia, che comunque restavo un po’ il ‘piccolo’ del gruppo, e in particolare notai un’addetta alle questioni del personale che ‘si portava in giro proprio un bel po’ di personale’ come banalmente scherzai quando ci conoscemmo, facendo riferimento platealmente alle sue forme molto aggraziate, anche se non prorompenti, e decisamente ben esaltate da un abbigliamento accurato senza essere ricercato, elegante senza necessità di capi particolari, semplice ma non modesto, un po’ come la sua bellezza, come le dichiarai, ancora una volta con becero gallismo.
Mi disse che oltre a lavorare nell’azienda si interessava di pittura con risultati non spregevoli e che questo la aiutava anche molto nelle scelte per l’abbigliamento e per l’arredamento; le feci promettere che mi avrebbe fatto visitare la sua casa e il suo studio, ma si impegnò a metà, dal momento che era sposata e che non poteva garantirmi la cordialità del marito; ribattei che anch’io avevo moglie, ma che non ci sarebbe stato niente di male a conoscersi.
Durante la riunione, le rimasi quasi incollato e, interrompendo un comportamento che era diventato quasi abituale, seguii distrattamente e svogliatamente gli sproloqui del ‘capo’ che più volte diede segni di fastidio per i commenti che scambiavo con Annamaria, così mi aveva detto di chiamarsi.
Quando finalmente si passò dalle chiacchiere alle votazioni, tutto scivolò via quasi con maggiore rapidità del solito, perché stavolta anche io, solitamente più disposto ad assecondare certe lungaggini del ‘capo’, non vedevo l’ora di liberarmi dell’incombenza e di andare al bar a prendere un gelato con la bella donna che evidentemente mi stava affascinando.
Ma proprio sul punto meno prevedibile, quello degli scaffali, si scatenò il finimondo quando Annamaria chiese di intervenire e, contro l’indicazione già fornita dal ‘capo’ sulla solita commessa, propose che fossero richiesti dei cataloghi per scegliere qualcosa di meno tetro dei mobili fino a quel momento sparsi per tutti gli uffici.
Era una realtà che tutti vedevamo e che tutti commentavamo di nascosto con un aspro sarcasmo; per questo, l’obiezione, di per sé innocente, sollevò clamorose risate specialmente per la definizione ‘tetri’ che tutti avvertivano come perfetta per definire gli ambienti; ma scatenò anche le ire del ‘capo’, sicuramente già compresse troppo a lungo nelle fasi precedenti della riunione, e diede il via ad una sfilza di esagitate accuse contro la poveretta, contro le sue ‘preoccupazioni estetiche fuori luogo’ e, nessuno capì perché, ma tant’era, contro le donne in fabbrica; a coronamento della sua invettiva, il ‘capo’ chiese, come al solito, il conforto della mia conferma alle sue idee.
Non sono mai stato un eroe e la ricerca della pacificazione ad ogni costo era stata fin lì la mia filosofia di vita; ma l’atmosfera di complicità affettuosa che si era creata tra me e Annamaria, nel poco tempo trascorso a raccontarci e a studiarci per desiderio di conoscerci, mi suggerì senza che quasi lo volessi la risposta più chiara e decisa che mai avrei potuto immaginare; con una fermezza che tutti guardarono con sorpresa e, forse, con ammirazione, denunciai e rintuzzai tutte le banalità e le volgarità espresse dal ‘capo’ e sostenni a spada tratta il concorso tra più produttori, ‘nel rispetto della legge’; quest’ultima annotazione, se non lo fece uscire di senno, lo colpì come una sferzata perché denunciava una sua inadempienza legale; si fece rosso paonazzo e, per vendetta, mi impose di espletare tutte le formalità al massimo in tre giorni.
Uscire da quella riunione osservato con sussiego da tutti non solo mi attribuì un trionfo sicuramente eccessivo, ma mi fece guadagnare la stima e l’amicizia di Annamaria che da allora cominciai a frequentare quasi quotidianamente raccontandole tutto di me e, in cambio, ricevendone anche le confidenze più intime.
Nel volgere di pochissimi giorni si creò tra noi un’atmosfera particolare e indefinibile, che ci spingeva a cercare tutte le occasioni, anche minime, per incontrarci e chiacchierare, di tutto e di niente, di noi e del mondo, senza che mai nulla intervenisse a turbare l’armonia che presiedeva al nostro rapporto, teso piuttosto a conoscerci, e a riconoscerci, che non a imbastire una qualsivoglia ‘storia’.
Nel confronto con una donna di pochi anni maggiore di me ma vissuta in un ambiente completamente diverso, per certi aspetti, addirittura opposto, rispetto a quello in cui avevo vissuto io fino a quel momento, mi trovai a scoprire tutti i limiti e le carenze di un’educazione proletaria perbenista al limite del bigottismo, provinciale e limitata; gli eccessi di una vita vissuta troppo in fretta, fino al matrimonio in giovanissima età e due figli in rapida successione, forse per un bisogno di ‘sesso garantito’ decisamente condizionante; l’abitudine a ‘casa e bottega’ che mi privavano di una vita autonoma e riducevano mia moglie al classico ‘angelo del focolare’ frustrato e rassegnato.
Dall’altra parte c’era invece una donna decisa ed aperta, libera di muoversi, abituata com’era a vivere da sempre nella vicina metropoli, in quartieri alto borghesi; una persona che quotidianamente si muoveva con la sua auto per venire al lavoro ma anche per vivere la sua vita dopo il lavoro; che faceva del sesso un modo di espandere la sua esistenza e di cercare il piacere nelle cose; insomma una sorta di donna - mito per un piccolo provinciale come io ero.
Dalla mia parte, pesava invece la capacità di vivere ogni evento, anche il più piccolo, con un entusiasmo fanciullesco e travolgente, che la portava a fare con me le cose più pazze, quelle che la sua severa razionalità avrebbe proibito categoricamente; una sorta di romanticismo immaturo che gli impegni lavorativi e il desiderio di fare carriera avevano per un po’ nascosto da qualche parte ma che improvvisamente esplodeva irrefrenabile e mi faceva cogliere, spudoratamente, aspetti e forme delicatissime delle cose quotidiane.
Cominciammo a cercare posti improbabili dove appartarci nei momenti di intervallo, sempre troppo brevi, finché un giorno, in un deposito poco frequentato, non ci trovammo quasi senza accorgercene l’uno nelle braccia dell’altro; l’intensità di quel bacio mi folgorò quasi come il primo che, ancora adolescente, avevo scambiato con una coetanea di cui non ricordavo più niente; ma a sconvolgermi davvero fu il modo in cui sapientemente Annamaria ruotava la sua lingua calda e dolce dentro la mia bocca, esplorandone ogni angolo e stimolandomi fremiti di libidine che spinsero il mio sesso a gonfiarsi sul suo ventre che, a sua volta, si spingeva contro il mio inguine quasi a volervi penetrare.
Quando ci risvegliammo dalla magia che il bacio aveva creato, lei quasi scappò, forse pentita; per un giorno o due, non si fece viva e sfuggì in tutti i modi ai miei affannosi tentativi di incontrarla; fuori di me dal desiderio, arrivai a telefonarle più volte a casa, ma dovetti sempre riattaccare senza parlare, perché puntualmente mi rispondeva suo marito.
Alla fine, fu lei a venirmi a cercare durante un intervallo; mi confessò che aveva tentato inutilmente di staccarsi da me; ma aggiunse anche molto seriamente che non voleva che una nostra storia danneggiasse due famiglie; mi fece promettere che mi sarei sforzato, con lei, di mantenere il rapporto al di qua del lecito e che, se non fossimo riusciti a farlo, per lo meno che avremmo fatto di tutto perché la nostra storia non distruggesse le famiglie già costituite.
Promisi con molta razionale convinzione, ma qualcosa, verso il basso ventre, mi suggeriva già che una promessa così era solo un modo di lavarsi la coscienza prima ancora di ‘sbagliare’.
Riprendemmo a vederci con maggiore assiduità ed ogni volta con evidente maggiore difficoltà a frenare la passione; un paio di volte ci ‘scappò’ un bacio che attizzò il fuoco del desiderio frenato tempestivamente, per le situazioni incerte in cui ci incontravamo, il luogo di lavoro, in sostanza, nei brevi intervalli concessi, e per una certa forza di volontà.
Ma era evidente che non avremmo resistito a lungo.
L’occasione venne imprevedibile e inattesa; stavamo scherzando, in un giorno di sole, sulla coglioneria di ‘regalare un così bel giorno al padrone’, citavamo Prevert, naturalmente, quando mi scappò di dire che, nelle due ore a disposizione per il pranzo, si poteva benissimo arrivare al mare, respirare un po’ di iodio e tornare come niente fosse; era una frase fatta, la mia, quasi uno scherzo; ma non ci volle niente per scatenare il bisogno di fanciullismo che allignava in tutti e due.
Neanche lo avevamo pensato, che già eravamo nella sua utilitaria diretti al mare non lontano; guidavo io, per maggiore esperienza di guida e del territorio; e lei ne approfittò per avvinghiarsi a me come una ragazzina al primo amore.
Non so neppure come feci a tenere la strada, perso com’ero in un’aura di giovanile entusiasmo amoroso che mi esaltava oltre ogni ragionevole limite; ma arrivai comunque alla spiaggia in una giornata che sembrava fatta apposta per il mare.
Scendemmo dall’auto e provammo a passeggiare sulla sabbia; ma l’abbigliamento da ufficio e le scarpe ci costrinsero a rinunciare; tirava un po’ di brezza e tornammo in macchina; senza consentirle di ribattere nulla, la abbracciai e la baciai con violenza, cercando di stringerla a me quanto potevo nella scomodità dell’utilitaria.
Rispose al bacio con la passione che conoscevo e, anzi, mi travolse con il suo entusiasmo e con la abilità nel baciare che mi faceva rizzare il sesso fin sullo stomaco.
Non ne potevo più dal desiderio e manovrai per abbassare lo schienale del suo sedile; mi guardò interdetta, non riuscendo a capire le mie intenzioni; era evidente che non le era mai capitato di farlo in macchina; ma io ero avvezzo a questo tipo di rapporto che per anni avevo praticato non disponendo di mezzi, né di voglia, per alberghi ad ore o case di amici.
La rassicurai con lo sguardo, la feci distendere sul sedile allungato e montai sopra di lei facendole sentire il peso di tutto il mio corpo e il turgore del sesso che sembrava far esplodere i pantaloni, tanto era gonfio e voglioso.
Ma non ero affatto sicuro di riuscire a fare l’amore; sapevo dagli amici che talvolta avevano addirittura dovuto rinunciare per la difficoltà di sfilare, in quella condizione, collant e slip, per non parlare dei pantaloni che erano un ostacolo praticamente insormontabile, ma Annamaria aveva un corpo minuto e ben fatto che ben si adattava ai movimenti richiesti, anche in uno spazio così angusto, ed indossava un vestitino primaverile svasato che facilmente si sarebbe sollevato quant’era necessario; inoltre, e la cosa mi sferzò con una scossa di piacere immenso, appena cominciai ad insinuare la mano sotto il vestito e a risalire verso il suo inguine, scoprii che indossava un capo ormai in disuso ma estremamente eccitante, il reggicalze.
L’imprevisto contatto con la pelle delle sue cosce, prima ancora di essere penetrato negli slip, accentuò la mia violenta eccitazione; cominciai a carezzarla furiosamente, muovendo con difficoltà la mano stretta tra i nostri due corpi; infilai il palmo sotto l’inguine, semplicemente spostando gli slip e andai a cercare col dito medio il clitoride che incontrai immediatamente; intanto, ci baciavamo furiosamente su tutto il viso e Annamaria, ormai sfrenata come me, mi leccava tutto il volto, dagli occhi alle orecchie, provocandomi fitte di piacere che mi folgoravano il cervello.
Spostai la mia mano e la trasferii verso la patta che aprii con minore difficoltà di quanto pensavo, vista la pressione che esercitavamo stringendoci reciprocamente il corpo; quando sentì il contatto del mio sesso sulla pelle delle cosce, tra un tirante del reggicalze e il bordo dello slip, si raggelò per un attimo e mi raccomandò di stare attento; non aveva frequenti rapporti col marito, era nel periodo giusto e se fosse rimasta incinta sarebbe stata un’autentica tragedia; le dissi che ero abituato al coito interrotto, che ero costretto a praticare con mia moglie quasi quotidianamente, e la pregai di lasciarsi andare; non se lo fece dire due volte e sentii che si rilassava preparandosi a ricevermi nella vagina.
Il ‘sesso garantito’ con mia moglie mi aveva abituato al rapporto sessuale come un avvenimento ordinario, decisamente bello e ogni volta nuovo o rinnovato; ma infilare il membro nella vulva di Annamaria e farlo scivolare dolcemente nella sua vagina mi provocò sensazioni dimenticate, quasi da ‘prima volta’ con vampate di calore che partivano dal suo utero e avvolgevano l’asta fino ai testicoli e, se possibile, ancora oltre, allo stomaco e al cervello; quando fui completamente entrato, mi fermai per un attimo a sentire i battiti del mio cuore e del suo; lei invece gemeva dolcemente e contraeva ritmicamente i muscoli della vagina, cercando un piacere sempre più intenso, finché mi strinse quasi con violenza, si contrasse più volte in rapida successione e sentii che dal suo ventre vampate di calore liquido mi inondavano l’asta; non avevo mai registrato un orgasmo così rapido e intenso; mi fermai sorpreso.
Come sempre mi capitava quando copulavo senza preservativo e dovevo controllarmi per interrompere al momento giusto, ero piuttosto teso e attento alle reazioni del mio corpo e, in particolare, del mio sesso; riuscii quindi a dedicare il mio interesse al suo piacere e ai suoi orgasmi che continuavano a succedersi, dopo la grossa esplosione, con continuità ed intensità, segnalando il suo immenso piacere e quello altrettanto vivo in me che ad ogni costo cercavo di ricacciare indietro i momenti di eiaculazione per riprendere a pompare con lenta dolcezza assaporando il piacere della vagina tanto desiderata.
Quando si rese conto di essere quasi esausta, Annamaria mi pregò di eiaculare, perché voleva sentire la mia completa soddisfazione.
Ma io rimanevo decisamente interdetto; quando poi ripensammo a quel momento, ci facemmo delle enormi risate quasi rivedendo la scena di me vestito di tutto punto, solo con la patta aperta e il sesso da fuori, sopra di lei vestita altrettanto di tutto punto, con l’abito solo sollevato e lo slip spostato quel tanto che ci consentiva di far entrare il membro in vagina; il problema enorme era dove scaricare lo sperma senza sporcare dappertutto forse irrimediabilmente.
Quasi avesse sentito i miei pensieri, Annamaria, senza muovere il corpo così bene avvinghiato al mio, allungò la mano sopra la sua testa e, dal sedile posteriore, prese un pacco di tovaglioli che evidentemente portava per le emergenze e me lo agitò sul viso; mi resi conto che i danni potevano limitarsi agli slip e mi lasciai andare con foga a possederla con dolce violenza.
Non ci volle molto, a quel punto; rilassando la tensione e facendomi avvolgere dal piacere del suo corpo, diedi ancora qualche colpo nella vagina poi fui costretto a ritirare precipitosamente il membro per spostarlo sul suo ventre, sotto lo slip per non sporcarmi il pantalone col fiotto di sperma che abbondante le si riversò sulla pancia.
Mi ritrassi velocemente e, contemporaneamente, le tenni sollevato il vestito perché non venisse a contatto col liquido; con precauzione, prese dei tovaglioli e si pulì con attenzione mentre mi diceva sorridendo.
“La prossima volta, portati un preservativo.”
Altrettanto sorridente, ribattei.
“Questo significa che ci saranno prossime volte.”
Accennò un buffetto scherzoso e si tirò su, sollecitandomi a tornare per non essere in ritardo.
Le feci notare, meravigliandomi anch’io, che tutto si era svolto più rapidamente di quanto pensassimo e che avevamo tutto il tempo per rientrare e dire a tutti quant’era bella una giornata di sole rubata al padrone.
L’incontro con Annamaria e la sua frequentazione diedero una svolta rapida ed evidente ai miei comportamenti, sia pubblici che privati.
Sul lavoro, persi quasi di colpo tutte le smanie di carriera; da rampante aggressivo, mi trasformai senza accorgermene in giovane, appagato funzionario preoccupato di svolgere al meglio il proprio lavoro senza eccedere in entusiastici impegni d’orario, anzi sempre pronto a cogliere le opportunità per svicolare e andare a vivermi la vita in un’altra dimensione, quella dell’amore esaltante ed esaltato con giovanile rinnovamento.
Questo sembrava che mi rendesse meno indispensabile ai dirigenti e meno utile ai colleghi, che rimpiangevano il mio precedente attivismo decisamente proficuo per i rapporti interni; per un po’, il cambiamento mi costò un allentamento dell’interesse che i Capi avevano manifestato nei miei confronti; ma, in breve, apparve chiaro che il mio rendimento, anche ridotto, risultava comunque sufficiente per conservarmi incarichi e responsabilità.
Anche in questo, la frequentazione con Annamaria e le lunghe chiacchierate, che, inevitabilmente, ruotavano molto spesso intorno al mondo del nostro lavoro, ebbero un’efficacia non marginale; il confronto tra un giovane entusiasta e rampante, ma forse poco convinto dei propri mezzi e del proprio valore, ed una donna da sempre abituata ad assumersi responsabilità ed impegni ma anche decisa a farsi valere e a far pesare il suo valore non poteva produrre che una sempre maggiore mia coscienza ed un più razionale e intelligente uso dei mezzi di cui disponevo.
Sul piano dei rapporti familiari, i cambiamenti apparvero meno evidenti, essendoci con mia moglie un’intesa molto antica fondata sul rispetto di norme non scritte che presiedevano da sempre ai rapporti tra coniugi e che si riassumevano sostanzialmente nell’impegno a lasciare fuori dall’uscio tutti i possibili motivi di rottura di antichi equilibri, compresi gli irrazionali entusiasmi amorosi, che non sarebbero mai stati sopportati se emersi ma che, clandestini, potevano naturalmente essere non incidenti nella prassi quotidiana.
Per di più, come capita sempre negli ambienti piccolo - borghesi, la coscienza dell’infedeltà mi portava ad essere quasi più disponibile, tenero e comprensivo, come se, esaurite con Annamaria tutte le mie ‘fantasie di avventura mentale’ ritornassi a casa in pace con me stesso e col mondo.
Ma era soprattutto nel campo dell’attività sessuale che i miei parametri rimanevano assolutamente stravolti e definitivamente modificati.
In famiglia, l’educazione sessuale era stata praticamente inesistente; dai compagni di strada avevo appreso qualcosa sulla pratica della masturbazione che avevo abbracciato con grande entusiasmo sin dalla prima adolescenza, lasciando sulle lenzuola ogni notte tracce inequivocabili delle mie abitudini onanistiche che avevano costretto mio padre, gesto enorme, per i tempi, per l’ambiente e per i livelli culturali!!!!, a comprare e sbattermi sotto il naso un’enciclopedia sessuale popolare che minacciava come inevitabile conseguenza della masturbazione la cecità assoluta in poco tempo.
Dopo un’adolescenza passata a tormentarmi coi rimorsi bigotti della fornicazione, evitando accuratamente i rapporti mercenari con prostitute ‘portatrici di tutti i mali possibili e immaginabili’, ero giunto al matrimonio poco più che ventenne quasi del tutto vergine, assolutamente all’oscuro di tutto e incapace di andare al di là di rapporti canonicamente imposti dall’educazione bigotta.
Mi piaceva, senz’altro, fare sesso con mia moglie ma i comportamenti, le dinamiche, le posizioni erano assolutamente privi di fantasia e di varietà; l’importante era poterlo fare anche più volte al giorno, senza limiti e con la sola conseguenza di due figli in rapida successione, di un aborto spontaneo, di scorte infinite di preservativi e di tanta esperienza nel coito interrotto.
Anche con altre ragazze, prima e dopo il matrimonio, non ero andato al di là di limiti più o meno simili.
Fare l’amore con Annamaria aveva avuto quindi effetti devastanti, per la mia avidità di emozioni intense; su un versante, avevo recuperato interamente il piacere della clandestinità, accentuato dalla condizione di assoluta irregolarità che nasceva dalla nostra situazione di individui regolarmente sposati con altri partners; e, su un altro versante, mi aveva spalancato una finestra su un universo quasi totalmente sconosciuto, quello dell’erotismo condotto con sapienza ed eleganza, con intensità e con passione.
Nei pochi mesi che durò la nostra violenta storia d’amore, in più di un’occasione Annamaria respinse energicamente le mie proposte di cercare un albergo compiacente, dichiarando esplicitamente che uno degli aspetti che più la eccitavano nel fare l’amore con me era proprio la condizione di precarietà in cui si svolgevano i nostri incontri, la provvisorietà e l’incertezza di trasformare un’utilitaria, decisamente inadeguata a qualunque funzione che non fosse il semplice trasporto per brevi percorsi di quattro persone al massimo, di trasformarsi improvvisamente in alcova per un amore così pieno e violento.
Sicché, i pochi metri cubi di quell’abitacolo angusto divennero spesso, per poche ore, un mondo separato dalla realtà; tutti i nostri incontri non ebbero altra sede che quell’utilitaria in cui il desiderio rimaneva sempre al di qua delle soluzioni, dal momento che diventava impossibile, per esempio, potersi denudare completamente per godere ciascuno il corpo dell’altro.
In compenso, non ci fu posto sognato o desiderato dove non ci recassimo per vivere, in assoluta libertà da qualsiasi vincolo, un amore fatto di voglia e di emozioni violente; inventando o prorogando riunioni - fiume, potevamo andarcene sul lungolago e fermarci a guardare estasiati le strisce d’argento che la luna disegnava sull’acqua, prima di cominciare a divorarci di baci vogliosi, talvolta più intensi di un amplesso; di leccarci e succhiarci la pelle dovunque fosse possibile; di palparci, accarezzarci, stringerci e tormentarci fino a farci male; di fare l’amore, alla fine, con un entusiasmo immutato nel tempo.
Altre volte sceglievamo le scogliere a picco, per sentire sotto di noi l’assoluto infinito del mare mentre le nostre bocche si cercavano con desiderio cannibalesco, prima di scoprire alla meno peggio la parte inferiore del corpo e ritrovarci stesi sui sedili, col sesso infilato in vagina e i ventri che si agitavano come per scosse elettriche continue, mentre inutilmente cercavo di raggiungere i suoi seni ancora coperti dagli abiti.
Quello che mi travolgeva, era la partecipazione sensuale e totale di Annamaria, che non si lasciava possedere passivamente, come ero abituato a verificare con mia moglie, ma dava all’amplesso i suoi ritmi e la sua intensità, muovendo il bacino, pur costretta com’era dal peso del mio corpo, in maniera da cercare ed offrire il piacere più lungo, più intenso e più profondo che poteva.
Non nascondeva le sue voglie o il suo godimento; e questo, ancora più del fatto meccanico della penetrazione e del movimento in vagina, mi sferzava violentemente il cervello, fino a farmi perdere il senso di tutto; altrettanto succedeva per i gemiti sommessi che le salivano dal profondo e accompagnavano i nostri movimenti.
Non eravamo quasi in condizione di fare altro, nel chiuso dell’auto; ma sentivo ogni volta il suo e il mio desiderio di un possesso più profondo, più totale, anche se la mancanza di fantasia e di conoscenze non mi consentivano di inventare qualcosa.
Le prime volte, mi armai di preservativo, sulla scorta del primo rapporto; ma poi Annamaria disse chiaramente che voleva sentire le mie eiaculazioni in vagina, per esserne eccitata di più e raggiungere orgasmi più completi; rimasi piuttosto interdetto, per il rischio connesso alla pratica libera; ma mi rassicurò che aveva chiara coscienza delle cose e che non avrebbe affrontato rischi inutili; ancora una volta messo in difficoltà dalla sua maggiore esperienza, mi limitai a lasciarmi andare, inizialmente con qualche recondito senso di ansietà, ma poi sempre più liberamente e con una partecipazione ancora più gioiosa, rafforzata dagli autentici urli di piacere che Annamaria lanciava quando sentiva il mio fiotto esploderle contro l’utero e si lasciava andare anche lei ad un ultimo, violento orgasmo che squassava non solo lei e il suo corpo minuto, ma anche me, in tutte le fibre del corpo, e addirittura, così almeno a me sembrava, lo stesso abitacolo dell’auto e l’aria che respiravamo.
Tra una riunione inventata durante la settimana, sempre la sera ad ora tarda, me nessuno ci andò mai a riflettere, e le visite domenicali al cimitero, dove Annamaria passava velocemente per venire poi ad imboscarsi con me nel punto più suggestivo della costa, riuscimmo ad incontrarci quasi quotidianamente per molto tempo; ma fare l’amore con lei mi lasciava sempre la voglia di tornare a farlo al più presto.
Il rapporto con Annamaria aveva modificato, e non di poco, anche le mie abitudini culturali, dalle letture alle scelte musicali, dal teatro all’arte; e in più occasioni mi aveva persuaso a leggere autori contemporanei che sfuggivano alla mia curiosità, ferma ai classici; o mi aveva trascinato letteralmente a visitare mostre d’arte contemporanea, che era assolutamente lontana dai miei gusti; mi convinse persino a seguire concerti di musica jazz che io consideravo per lo meno ‘pallosi’.
Ma il desiderio più acuto, in questa direzione, rimaneva per lei assistere con me ad uno spettacolo a teatro, in una vera serata elegante; io ne ero letteralmente terrorizzato, dal momento che la mia vita si era svolta tra i campi della cittadina di origine e vedevo in certi abiti una sorta di divisa da galeotto; ma per amore di Annamaria avrei accettato anche questa scelta; e mi trovai mio malgrado, con tutto l’imbarazzo della mia inesperienza, al botteghino per prenotare i posti.
Si presentò all’appuntamento, molto prima dell’ora d’inizio dello spettacolo, elegante come mai me la sarei potuta immaginare e pettinata da un parrucchiere alla moda che, ad un prezzo astronomico, immaginai, aveva realizzato una delicatissima impalcatura che le sollevava i capelli un bel po’ sopra la testa slanciandole con meravigliosi effetti il volto e la figura.
Mi venne da sorridere, quando vidi emergere la sua regale eleganza dall’abitacolo della sua utilitaria, limitato, anzi addirittura limitatissimo, nell’occasione, almeno nel rapporto tra spazio e persona; ma probabilmente non dovevo apparire meno strano io, stretto per la prima volta, da quando ci eravamo conosciuti, in un abito scuro, con tanto di camicia, cravatta e soprabito adatto all’occasione, ed altrettanto pettinato ed impomatato dal mio barbiere.
Ma l’impaccio durò un niente e ci ritrovammo immediatamente a complimentarci a vicenda, andando sottobraccio verso il bar del teatro, e a chiacchierare con la solita intensità dello spettacolo che ci apprestavamo a vedere; un po’ di dispiacere me lo mise immediatamente la considerazione che, con quella impalcatura sulla testa, non era neppure il caso di pensare ad imboscarsi per fare l’amore; una signora che esce così conciata per andare a teatro non può tornare con l’abbigliamento sconvolto senza creare problemi col marito.
Quasi per reazione alla preannunciata astinenza, il sesso mi si gonfiò all’improvviso e dovetti stringere il soprabito per evitare che il vestito troppo stretto denunciasse la mia voglia impellente; pensai ad altro e mi rilassai.
Fu un’esperienza straordinaria, quella mia prima volta a teatro; forse perché conoscevo la commedia dai testi letterari, forse perché era veramente eccezionale il cast degli attori, forse perché godevo nella situazione così gratificante a fianco ad una donna bellissima e di cui mi ero innamorato; fatto sta che vissi tutto come galleggiando su una nuvola di piacere, di entusiasmo e, perché no, di vanagloria.
Lo spettacolo finì abbastanza presto, rispetto ai tempi normali; e Annamaria mi disse che potevamo comunque fare un giro; dirlo e ritrovarsi diretti al promontorio sul mare, il ‘nostro’ promontorio, richiese solo il tempo di percorrenza.
Sul posto, però, i miei sospetti trovarono conferma e dovetti controllare le mie effusioni per non creare disordini nel suo abbigliamento; per la prima volta da quando facevamo del sesso, mi dedicai esclusivamente alla parte superiore del suo corpo e, dopo i baci infuocati e sapienti che sempre preludevano al rapporto, non potei che slacciarle la parte superiore dell’abito e dedicarmi con tutta l’anima al seno delicatissimo, piuttosto piccolo ma perfettamente disegnato, ‘da contenersi in una coppa di champagne’ come lei soleva dire scherzosamente, con un capezzolo grosso e duro che mi diede sensazioni immense, quasi ataviche, quando lo presi tra le labbra e cominciai a succhiarlo e a mordicchiarlo guidato da lei che mi suggeriva i movimenti ansimando con sensuale affanno.
Sentivo il mio desiderio montare irresistibilmente, gonfiandomi il sesso che ormai soffriva nelle briglie del vestito; ma avvertivo anche palpabile il suo desiderio, che si manifestava in gemiti sempre più forti e lunghi, in una diversa salivazione che faceva la sua bocca calda e umida più della vulva, in una stretta quasi frenetica del mio corpo.
Decisi che almeno lei poteva godere e infilai la mano sotto il groviglio degli abiti cercando il reggicalze e lo slip; provai una contrazione quasi dolorosa allo stomaco quando incontrai sotto le dita il calore della pelle, nell’interno delle cosce, vicino ai peli del pube; le presi l’inguine a mano aperta e lo strinsi fino a farle male; poi allentai la stretta e scavai col medio a cercare la vulva che incontrai rapidamente, calda e già bagnata; mi insinuai, raggiunsi il clitoride e cominciai a masturbarla.
Esplose dopo solo pochi colpi, diede qualche piccolo urlo e affondò la testa sulla mia spalla mentre serrava le cosce e tratteneva la mia mano sulla quale si agitava scompostamente prolungando il piacere dell’orgasmo.
Quando si fu alquanto calmata, si sollevò un poco sul sedile e sentii la mano che andava alla mia patta e cominciava ad aprirla; per un attimo mi gelai, al pensiero dei danni che potevamo arrecare ai nostri elegantissimi vestiti, con una eiaculazione che si preannunciava copiosa.
“Se vuoi, posso baciartelo.”
Mi sussurrò in un soffio; ed io rimasi stralunato.
Nei nostri lunghi ed inutili ‘discorsi della notte’ su e giù per il corso, tra noi ‘maschietti della provincia periferica’ il tema più frequentato era ovviamente il sesso e le sue possibili pratiche; ma, nell’ignoranza diffusa, oggi forse assurda ma allora più che normale, alcuni luoghi comuni erano patrimonio generalizzato e considerati quasi dogmi indiscutibili; tra questi, la fellatio era il tabù più radicato che lo classificava come pratica riservata ad omosessuali e prostitute, gente che non si sarebbe baciata sulla bocca neanche per tutto l’oro del mondo perché sarebbe stato immorale ed antigienico baciare una bocca dove fosse entrato un sesso, fosse anche quello proprio.
Questo aveva costruito il mito della fellatio come forma di rapporto sessuale decisamente ‘fuori’, da provare almeno una volta nella vita, per le grandi emozioni che poteva dare; ‘ti succhiano dal sesso il midollo spinale’ era la banalità più diffusa; ma da fare solo con una prostituta ed anche di igiene garantita.
Sentirmelo chiedere da una donna che amavo ed ammiravo mi lasciò sbigottito; le chiesi se era proprio convinta di farlo e lei mi spiegò che era una prassi normale tra le ragazze, prima del matrimonio, per mantenersi vergini, prenderlo in bocca o nel sedere.
Ebbi un nuovo straordinario sobbalzo; la penetrazione anale era, come la fellatio, pratica da omosessuali e, tutt’al più, ma con molto minore frequenza, da prostitute; la rivelazione che ragazze borghesi potessero normalmente prenderlo dietro dava un violento scossone a tutta la mia educazione e a tutta la mia cultura.
Ancora una volta fraintendendo il mio disagio, Annamaria si affretto a rassicurarmi che il suo didietro era ancora totalmente vergine e che un giorno, forse, l’avrebbe dato ad un uomo, ma solo come segno di un grande amore.
Non mi raccapezzavo più e, affidandomi completamente, le dissi solo.
“Visto che sono tuo, fai quello che ti piace.”
Cominciò così un’avventura mentale che non ho mai più dimenticato.
Quando si abbassò su di me e accostò le labbra alla cappella gonfia fino a scoppiare, avvertii contemporaneamente e tutte insieme un’infinità di sensazioni; quelle che avevo provato quando mi aveva infilato la lingua in gola e mi aveva baciato come mai prima avevano fatto; quando il mio sesso aveva varcato la vulva quasi verginale che avevo forzato con gioia nuova e diversa e che, subito dopo, mi aveva avvolto con le vampate di calore che emanavano dal ventre e i guizzi dei muscoli della vagina che circondavano l’asta e l’accarezzavano nel vai e vieni; ma anche l’odore del suo seno misto al raffinato profumo che mi stordiva; insomma, cominciai a galleggiare fuori di me con la sensazione che tutto il mio ventre si protendesse per entrare nella sua bocca.
Il rapporto non durò che pochi secondi; eccitato com’ero e fuori di me per la nuova emozione, non ebbi neppure la forza di pensare per un attimo a frenarmi ed eiaculai al primo empito; quasi non me ne accorsi, tanto ero perduto in quel piacere straordinario e per me nuovo.
Quando mi ripresi, lei stava già appoggiata a me, con la testa tra il petto e la spalla, e mi sussurrava che non l’aveva fatto spesso ma che con me era stato straordinario; quasi a farmi perdonare pensieri che lei non avrebbe mai potuto conoscere, le afferrai il viso e la baciai con entusiasmo, per la prima volta nella nostra storia imponendole silenziosamente di lasciarsi possedere dalla mia lingua che tentava, inutilmente immagino, di riproporre nella sua bocca le emozioni che il mio membro aveva ricevuto nella sua.
In seguito, l’avremmo fatto ancora, sempre con moltissimo gusto, ed io avrei chiarito una stupida confusione che un certo tipo di educazione mi aveva creato; ma quella volta, forse per le particolari condizioni in cui avvenne, fu veramente per me una ‘prima volta’.
La fin troppo breve storia d’amore vissuta con Annamaria ebbe un effetto addirittura dirompente sullo sviluppo della mia personalità e della mia cultura, specialmente per quello che riguardava il sesso e le sue infinite possibilità di espressione.
Il nostro incontro avvenne in un quadro di comportamenti caratterizzati strutturalmente dal perbenismo piccolo - borghese, rispetto al quale si avviò esattamente come una trasgressione occasionale e violenta che aveva vari effetti, primari e secondari.
Innanzitutto, rappresentava una potente valvola di scarico per due persone che, per effetto dell’ambiente di vita, si erano trovate a decidere troppo in fretta del loro futuro, legandosi con un vincolo a quel tempo indissolubile e comunque estremamente pesante come può essere il matrimonio e la nascita dei figli, due io e uno lei.
In questa direzione, la scelta fu quasi immediatamente quella di vivere l’avventura dell’amore con giovanile entusiasmo, quasi per recuperare, almeno in parte, quello che era stato lasciato indietro, messo troppo presto da parte o addirittura evitato per un senso atavico di timore del peccato o quanto meno di pudore ingiustificato.
Per la mia parte, mi riprendevo quell’educazione alla libera esplosione del sesso che si era risolta troppo rapidamente, nel matrimonio, con una pratica quotidiana del tipo ‘così deve essere e nessuno può farci niente’; con Annamaria, invece, la voglia di fare sesso era un’esigenza mentale, prima che fisiologica, e montava in ogni momento, anche subito dopo un rapporto particolarmente vivo e soddisfacente; per di più, mi si aprivano orizzonti di conoscenza e di pratica che fino a quel momento erano stati serrati come da antichi stregoni indigeni.
Per la sua parte, sicuramente era determinante la possibilità di essere, in qualche modo, ‘ruspante’, di dover cercare cioè tutti i momenti, i luoghi e le occasioni per fare del sesso una straordinaria avventura mentale per evadere in una nuvola di piacere, di eccitazione, di entusiasmo e, forse, anche di amore.
Conseguentemente, anche i nostri comportamenti sociali scelsero altre direzioni; io presi decisamente coscienza di me e cominciai ad impormi con grande maturità; inoltre, affinai i miei gusti e le mie scelte fino a diventare quasi irriconoscibile anche a me stesso.
Sul versante opposto, Annamaria perse gran parte della ‘puzza al naso’ che ne aveva sempre caratterizzato i rapporti con gli altri e, specialmente quando alcune illazioni sul nostro rapporto presero corpo nell’ambiente di lavoro, imparò ad essere molto ‘proletaria’ anche nel linguaggio e ad imporre la sua libertà con maggiore virulenza.
Il teatro principale di tutto era e restava sempre lo stretto abitacolo della sua utilitaria, che si trasformava in una sorta di luogo magico; durante i trasferimenti da un punto all’altro o nelle lunghe soste di fronte a paesaggi che, per quanto soliti e consumati, ci apparivano sempre meravigliosi e nuovi, ci scambiavamo commenti, convinzioni e pareri su tutto lo scibile umano, in una sorta di complicità cameratesca che, specialmente nelle periferie della provincia, è un autentico collante tra gli amici.
Ma, subito dopo, diventava il ‘buon ritiro’, l’alcova dove scatenavamo i nostri istinti primordiali e ci abbandonavamo al piacere delle pratiche sessuali con la fame degli adolescenti insaziabili.
Il posto non era affatto comodo, anche se sui sedili con lo schienale ribaltato il corpo minuto di lei si offriva con una certa agilità di azione, sicché per i primi tempi fu quasi giocoforza praticare il sesso in posizioni canoniche, lei supina e io bocconi, cercando gli spazi del godimento tra le lamiere troppo vicine e la leva del cambio che si ficcava dappertutto.
In breve, imparammo ad usare lo spazio con maggiore raziocinio e il tempo con più oculata attenzione al desiderio ed alle possibilità; il rapporto vero e proprio veniva preceduto da lunghe fasi di petting, evitando di denudarci completamente per timore di possibili improvvise sorprese dall’esterno.
Cominciai così ad apprezzare sempre più da vicino e sempre più a lungo i suoi seni piccoli e delicati con i capezzoli stranamente grossi e duri che, nelle ultime fasi della nostra storia, diventavano oggetto di palpate lunghe e stimolanti, sempre più sapienti e provocanti, al punto che talvolta le producevano orgasmi violenti ancor prima che la penetrassi.
Non mi riusciva, però, di leccarle la vulva, come desideravo da morire, dopo la fellatio, quasi per ricambiare alla pari; in compenso, lei cominciò a succhiarmelo quasi metodicamente, prima di farsi penetrare; talvolta, specialmente quando aveva le mestruazioni, si dedicava alla fellatio come pratica unica e mi strappava orgasmi generosi che mi riportavano alla memoria il pregiudizio assurdo diffuso tra i miei coetanei nell’età adolescenziale che, con la fellatio, la donna ti succhiasse il midollo dalle ossa; in realtà, quando lo prendeva in bocca, Annamaria riusciva a strapparmi solo visioni paradisiache, momenti di estasi totale ed orgasmi lunghi e intensi come mai ne avevo provato.
Una sera mi propose di metterci sul sedile posteriore, dove ci si poteva stringere e accarezzare senza l’ostacolo dei sedili separati e della strumentazione tra di noi; lo feci senza convinzione, perché ritenevo che questo avrebbe favorito i preliminari ma avrebbe impedito il contatto ‘membro in vagina’ che per me rimaneva comunque essenziale e conclusivo.
Ma mi ero sbagliato.
Una volta sedutici e ribaltati in avanti i sedili anteriori, si creò un varco sufficiente perché lei potesse parzialmente sdraiarsi sul sedile e io, inginocchiato, non saprei dire come, nel varco tra i sedili riuscissi a raggiungere con la bocca il suo inguine e cercassi goffamente di arrivare al clitoride; mi fermò, si sollevò e si appoggiò agli schienali ribaltati dei sedili anteriori, in maniera da avere il didietro sollevato a mezz'aria; insinuandomi con qualche difficoltà dietro di lei, mi trovai il sedere proprio davanti al naso; non pensai neanche per un attimo di sfilarle lo slip, visto che bastava spostarlo per mettere a nudo la vulva ben individuata dal triangolo che il reggicalze disegnava a quell’altezza.
Era la prima volta che leccavo una vulva, ricacciando dentro di me atavici dubbi e pregiudizi sull’igiene e sulla moralità del gesto; ma il contatto con il sesso caldo e fremente, già notevolmente bagnato per effetto delle precedenti manipolazioni, mi offrì sensazioni che si sarebbero annotate nella mente in maniera indelebile.
L’odore della sua pelle, misto ed armonizzato con quello del profumo sapientemente adottato, che già conoscevo bene e riconoscevo immediatamente, soprattutto quando penetravo con le mani e con la bocca nel reggiseno per carezzarle e succhiarle le tette, mi aggredì con un misto di ferino, che nasceva dai piccoli orgasmi che aveva già avuto e che si andò intensificando a mano a mano che la mia lingua, dardeggiando il clitoride che avevo immediatamente catturato, le procurava nuove e rapide frustate di piacere.
Probabilmente fu appunto in quel momento che presi coscienza del suo fondoschiena e cominciai a desiderarlo; in armonia con il resto del corpo, era minuto e tondo, come disegnato con un compasso, e si appuntiva leggermente, nella posizione in cui si trovava, in cima alle natiche; lo accarezzai con dolce passione cercando di trasmetterle quasi telepaticamente il desiderio che si affacciava; ma Annamaria era troppo presa dal desiderio e dalla ricerca di piacere, per rendersene conto; e continuava a gemere dolcemente segnalandomi i punti di maggiore intensità del godimento con urletti più accentuati, quando le prendevo il clitoride tra le labbra e lo succhiavo oppure lo prendevo tra i denti e lo mordicchiavo dolcemente come di solito facevo con i capezzoli.
Fu ancora lei che mi spinse indietro la testa, quando il desiderio di sentire il sesso in vagina si fece irresistibile; spazzando via tutti i miei dubbi in un solo colpo, cominciò ad abbassarsi lentamente su di me che stavo seduto alle sue spalle; passandosi la mano tra le cosce, si impossessò della mia asta che torreggiava fuori dalla patta eretta quanto più non avrebbe potuto; con sapiente lentezza, pilotò la cappella verso la vulva e cominciò a calare lentamente su di me facendosi penetrare a piccoli tratti.
Non mi restò che chiudere gli occhi, lasciarla fare e abbandonarmi al piacere che mi invadeva ad ondate successive, dall’inguine al cervello, ogni volta che un movimento portava il membro più in profondità; poi cominciò a danzare su di me abbassandosi e sollevandosi alternativamente nel più lungo amplesso che io ricordi nella mia vita; quando era tutta su di me e il membro urtava chiaramente l’utero, forse le faceva anche un po’ male, ma non mollava, cominciava un lento lavorio dei muscoli vaginali che accarezzavano l’asta e la stimolavano in ogni punto; quando si sollevava, invece, arrivava quasi a sfilarselo dalla vagina per riprendere pericolosamente, nella condizione in cui eravamo, una penetrazione a fondo, fino a che i testicoli le battevano sull’osso pubico e il suo ano mi catturava i peli dell’inguine talvolta strappandomeli.
Non potevo resistere a lungo ad un lavorio così intenso e stimolante; glielo dissi e mi chiese solo di resistere ancora un momento, accelerò il movimento di vai e vieni e, quando sentì l’orgasmo arrivare, mi urlò “Ora…ora…”; fu il segnale, venimmo quasi contemporaneamente e Annamaria, muovendosi scompostamente sul mio inguine, cominciò una serie di orgasmi che sembravano non voler finire mai; troppo a lungo stimolato ed esploso con una memorabile violenza, il mio sesso resse solo per un poco e cominciò a perdere consistenza tra le proteste di lei che mi implorava di non uscire subito.
Ma proprio non potevo farci niente e mi ritirai sollevandola bruscamente per non veder precipitare sul pantalone il mio stesso sperma; per fortuna riuscii a tamponare con un fazzoletto appena in tempo.
Dopo quella volta, l’utilitaria perse quasi completamente i limiti di spazio che avevo sempre lamentato e divenne il luogo ideale per giochi impensati fino a quel momento.
Altre volte, però, cercavamo soluzioni meno disagiate, specialmente quando il tempo lo consentiva, e la vicinanza del mare ci suggerì talvolta di farlo sulla spiaggia, con la semplice precauzione di un plaid steso sulla sabbia; successe però che, una volta, tornata a casa e recatasi in bagno a cambiarsi lo slip fradicio di sperma, Annamaria non si accorse di lasciare sul pavimento una scia di granelli di sabbia sfuggiti forse proprio dallo slip; rientrato a sera, fu suo marito a calpestarli e a domandare chi avesse sparso zucchero nel bagno; fu un autentico colpo di fortuna che, almeno per il momento, evitò che la storia esplodesse con grave scandalo.
Per prudenza, decidemmo di non uscire più dall’auto e di alternare il ribaltamento degli schienali dei sedili anteriori ai rotolamenti sui sedili posteriori; soprattutto in quella posizione, quando la prendevo da dietro, il suo fondoschiena mi tornava addirittura ossessionante davanti allo sguardo, sotto le mani, a portata di sesso, e nella memoria.
Annamaria mi aveva detto di averlo ancora vergine ed io ne ero profondamente convinto, in parte perché le credevo sulla parola ma anche perché, per quanto non avessi abbastanza esperienza per giudicare con convinzione, comunque la costituzione del forellino, le pieghette che non accennavano ad aprirsi sotto la pressione delle mie dita e un po’ tutta la struttura generale mi davano l’impressione netta di un’intimità non violata.
Ma Annamaria aveva anche aggiunto che un giorno l’avrebbe dato ad un uomo di cui fosse effettivamente innamorata; e l’idea di poter essere io il fortunato solleticava notevolmente non solo il mio orgoglio di maschio ma anche il mio desiderio di essere amato almeno quanto io la amavo; non feci mai cenno al problema, ma in qualche modo era nell’aria ogni volta che facevamo l’amore, specialmente quando le leccavo la vulva da dietro e mi spostavo, per naturale esigenza ma anche per determinata volontà di segnalarle il mio desiderio, dalla vulva all’ano che solleticavo con la punta della lingua accennando quasi a penetrarla con quella; addirittura, talvolta, quando dovevo infilare il sesso in vagina standole dietro, lo facevo prima scivolare per un po’ lungo le fessure, perlustrando con la cappella le grandi labbra, fino ad andare a solleticare il clitoride, e tornando poi indietro fino a strofinare la punta sull’ano, senza mai nemmeno accennare ad entrare; il desiderio era decisamente forte, ma mi ero imposto di aspettare che, se lo voleva, fosse lei a proporlo.
Ripensandoci dopo tanti anni, mi rendo conto che doveva davvero aver perso la testa, non solo per le ‘follie’ che accettò di fare in quei mesi esponendosi al rischio di uno scandalo enorme e letale per il suo futuro; ma anche e soprattutto perché venne il giorno in cui cominciò a parlare di rapporti anali e mi disse senza mezzi termini, come era sua abitudine, che stava seriamente meditando di offrire a me quella seconda verginità che fin lì aveva protetto e la cui perdita un poco la preoccupava perché anche lei aveva informazioni non rasserenanti sulla dolorosità dell’evento e su possibili conseguenze.
Non dissi nulla, perché non avrei saputo cosa dire; ma da lì cominciò per me un’attesa lunga e per certi aspetti difficile.
Successe una sera in cui il tempo bizzarro ci scatenò addosso un temporale così violento che quasi ci bloccò sulla piazzola a strapiombo sul mare obbligandoci a chiuderci ermeticamente nell’auto. Con mille acrobazie, passammo sui sedili posteriori e cominciammo a carezzarci come sempre; prima io le leccai e le succhiai a lungo le tette e i capezzoli, cercando si stimolare al limite estremo la sua eccitazione; ma mi rendevo conto che non si lasciava andare come le altre volte e partecipava quasi con rabbiosa passione alle mie carezze; poi fu lei a piegarsi sul mio ventre e cominciò con il mio sesso un rapporto di autentica adorazione; lo leccava dolcemente e minuziosamente lungo tutta l’asta e si soffermava sulla cappella senza accennare a prenderla nella bocca; il movimento mi scatenava violente fitte di piacere ma mi lasciava anche un desiderio spasmodico di sentire le sue labbra prima avvolgermi la cappella e poi lasciarla entrare a cogliere l’umido calore della bocca e della lingua.
Quando si decise a farlo entrare in bocca, tenne le labbra decisamente strette, costringendomi a spingere, come non facevo di solito, per farle penetrare dentro l’asta, che cominciò ad ostacolare con i denti quasi provocandomi dolore; quando poi l’ebbe dentro, la avvolse con la lingua e cominciò a succhiare con foga portandomi fino al limite dell’orgasmo che, come avevo notato, riusciva ad intuire da particolari pulsazioni della verga ed a prevenire interrompendo di colpo il pompaggio e stringendomi con una certa forza i testicoli.
Dopo che per un paio di volte mi ebbe portato sull’orlo dell’eiaculazione, tirò su la testa e mi montò a cavalcioni, con le spalle rivolte a me, e si sollevò per permettermi di leccarle la vulva.
Cominciai a farlo con appassionata intensità, come se fossi entrato nell’atmosfera particolare che stava costruendo intorno a quella serata; le sfilai con qualche difficoltà lo slip e cominciai a carezzarle le natiche, di tanto in tanto stringendole, una per mano, ed accostando i pollici alla vulva; poi cominciai a coprire di piccoli baci tutta la pelle del fondoschiena accostandomi con lento movimento circolare alle fessure; quando le raggiunsi, spostai delicatamente i peli e feci guizzare la punta della lingua sulle grandi labbra, prima, e su quelle piccole, poi, penetrando come con un piccolo pene fino all’imbocco della vagina; ebbe un fremito lungo e sentii una prima ondata di orgasmo che si scaricava nella mia bocca scatenandomi flussi di adrenalina.
Proseguendo la perlustrazione, ritornai verso l’esterno e salii verso l’ano che cominciai a percorrere con delicata insistenza, di tanto in tanto spingendo dentro la lingua fin dove mi riusciva; gemendo affannosamente mi pregò di insistere un poco lì; il sospetto di essere vicini ad un grande momento mi diede brividi inusitati.
Mi diedi allora da fare a leccarla con entusiasmo, facendole entrare la lingua fino allo sfintere che trovai duro e impenetrabile; ritornai sulla vulva che tormentai con le mani, con la lingua e coi denti; resistette ancora un poco, poi cominciò a lasciarsi andare alla serie di piccoli orgasmi che conoscevo come anticipatori di quello travolgente, finale, che chiudeva i nostri amplessi.
Quando il sapore dei suoi orgasmi mi aveva ormai del tutto riempito la bocca, come sempre si staccò da me, si piegò per sedersi, si impossessò della mia asta e la guidò nella vagina raccomandandomi di non cedere troppo presto; con pochi colpi, stavolta molto rapidi, raggiunse l’orgasmo solito, ma senza comunicarmelo ed anzi tenendomi , con la mano infilata tra le cosce, i testicoli stretti per impedirmi di eiaculare.
Stravolto da quanto succedeva e di cui non capivo i meccanismi, mi limitai ad assecondare i suoi movimenti e a sentire le pulsioni della sua vagina che esplodeva; quando si fu un poco placata, si allungò sul sedile anteriore, con la mano libera prelevò qualcosa dalla borsetta e me lo passò dietro le sue spalle; mi trovai in mano un tubetto, di quelli da crema, di cui non potevo assolutamente vedere niente , nella posizione in cui eravamo e con la scarsa luce a disposizione; mi disse che era arrivato il momento di darmi ‘la prova d’amore’; non c’era né retorica né enfasi, nella frase; era solo il modo con cui Annamaria evitava i termini per lei troppo crudi per definire le cose; quel gel avrebbe facilitato, stando ai bene informati, la penetrazione; mi chiese di spalmarne sopra e dentro l’ano; non fu facile eseguire, visto che non si staccò di un centimetro dalla posizione in cui si trovava, seduta su di me col sesso profondamente immerso nella vagina; non so come, ma riuscii a passarglielo abbondantemente e, visto che c’ero, ne spalmai anche sulla base dell’asta che tirai fuori per qualche centimetro dal suo corpo.
Quando le passai il tubetto ormai vuoto a metà, mi chiese quasi sussurrando di essere paziente e delicato, di non insistere se non lo avesse sopportato e comunque di farlo con tanto amore; non credo che potesse rendersi conto che ero più emozionato e spaventato di lei; non le dissi niente e lasciai che facesse tutto da sola.
Sollevandosi con il corpo, lasciò sfilare il membro dalla vagina, ma lo tenne ben saldo nella mano e, quando fu tutto fuori, cominciò a spostare la punta verso il buco posteriore; quando lo incontrò, cominciò ad abbassarsi lentamente sull’asta; sentivo la pelle del glande tesa e forzata dalla carne che resisteva, la tensione era così forte da provocarmi fitte di dolore che mi facevano temere che il glande si stesse lacerando in più punti; ed intanto sentivo le forti contrazioni dell’addome di lei ad ogni millimetro che l’asta avanzava.
Quando la cappella raggiunse lo sfintere e cominciò a forzarlo, ebbi quasi la sensazione che Annamaria stesse per urlare di dolore; subito dopo, temetti invece che i suoi mugolii fossero singhiozzi e fui quasi sul punto di urlarle di fermarsi e rinunciare; ma non mi sentii in diritto di dire niente; tenacemente, lei continuò ad abbassarsi sedendosi su di me; si fermò a lungo e sentii le contrazioni dei muscoli dello sfintere che si opponevano e palpitavano mentre si rilassavano un poco.
All’improvviso, precipitò di colpo, con un urlo, e il membro sprofondò letteralmente nel suo didietro fino alla radice.
A quel tempo, l’unica esperienza che avevo di verginità violata, era quella della deflorazione di mia moglie, molti anni prima; ma ricordavo un evento che si era svolto con estrema naturalezza, con un solo attimo di difficoltà, quando era saltato l’imene, ed un certo impaccio dopo, di fronte al sangue che aveva imbrattato l’inguine a lei e a me.
Questa, invece, era la più straordinaria avventura dello spirito che mi fosse mai capitata; tanta determinazione, tanta appassionata ricerca di momenti indimenticabili rendevano quella violazione una sorta di mito che si costruiva; addirittura non pensavo neppure a muovermi per cercare di raggiungere l’orgasmo; piuttosto, mi godevo quel momento, da un lato, come possesso pieno del corpo di lei e, da un altro lato, come presa di coscienza del suo amore.
Fortunatamente, Annamaria era sempre più rapida di me, a riprendersi dall’emozione, e cominciò a muoversi sul membro con entusiasmo; le chiesi di fermarsi e di lasciare fare un poco a me, anche se la posizione era decisamente infelice; si placò ed io cominciai a muovermi dentro di lei lentamente e a piccoli tratti, soffermandomi a cogliere con intensa partecipazione le nuove emozioni che mi produceva la stretta dell’ano intorno all’asta e la sensazione di calore totale che a vampate si sprigionava dal suo ventre e andava a inondare il mio.
Non ebbi bisogno di muovermi troppo a lungo; dopo cinque o sei colpi, sentii l’orgasmo che montava e non feci niente per fermarlo; esplosi con un urlo e sentii che al mio faceva seguito il suo urlo di liberazione per un orgasmo altrettanto vigoroso quanto quello che le avevo scaricato nel ventre.
Poi restammo immobili ed ansanti, a tentare di recuperare il fiato e il contatto della realtà; mentre cominciavo a calmarmi e sentivo che il membro perdeva consistenza nel suo didietro, mi accorsi che Annamaria si stava sollevando per sfilarsi; quando la cappella ripassò lo sfintere in senso inverso, lanciò un urlo assai più chiaro e forte di quello che avevo intuito quando il sesso aveva violato la strettoia.
Mi diede alcuni fazzoletti ed io provvidi a tamponare alla meglio, e alla cieca.
Spostando il corpo di lato, si sedette vicino a me; la presi per le spalle e cercai con la bocca le sue labbra; mentre le accarezzavo il viso, mi resi conto che aveva il trucco disfatto e il rimmel colato sulle guance; come avevo intuito, la penetrazione l’aveva fatta soffrire fino alle lacrime; la strinsi con molto affetto.
“Ti amo.”
Mi sussurrò in un soffio.
“Anch’io.”
Fu l’unica cosa che riuscii a mormorare; ma sicuramente non c’era bisogno di altro.
Dopo quell’evento, non passò molto tempo prima che Annamaria decidesse di rompere ogni rapporto con me; le voci sul nostro conto cominciavano a diventare insistenti e il rischio di schianti familiari si faceva sempre più pressante; cambiò lavoro e si trasferì non ho mai saputo dove; tentai di telefonare, ma non ci fu verso di parlarle.
Scomparve nel nulla, come dal nulla era apparsa; ma non ho mai avuto dubbi, dopo, quando le mie esperienze umane, amorose e sessuali sono diventate più ampie, consistenti e convinte, che quella scuola d’amore e di sesso sia stata per me fondamentale e decisiva.
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