Assunta (Tina)
Sono ormai dieci anni che Antonietta vive con me more uxorio; abbiamo cominciato a frequentarci quasi per gioco, presentati da amici comuni e, dopo qualche tempo, poco più di un anno, che ci frequentiamo, decidiamo di provare a vivere sotto lo stesso tetto cercando di conservare il meglio delle libertà personali e di non pestarci i calli; lentamente, ma decisamente, lei comincia a crogiolarsi nel ruolo della ‘compagna’ dell’avvocato abbastanza famoso per poter consentirle di non dover lavorare; praticamente ormai fa la bella vita di una Milf senza preoccupazioni di sorta, tanto Enzo è sempre pronto ad intervenire e ad aprire il portafogli, per qualunque capriccio le passi per la testa.
D’altronde, ha vissuto così praticamente da sempre, fidando sul patrimonio e sull’attività del padre, titolare di una valida azienda del territorio che recentemente, però, registra qualche battuta d’arresto per rogne prima amministrative, poi burocratiche, infine politiche che si sono abbattute all’improvviso sul suo sistema produttivo; tra le altre cose, il mio ruolo è, marginalmente, anche di consulente di suo padre per la parte legale delle attività e sto facendo sforzi immani e rocamboleschi giochi d’equilibrio per tenere lontano un fallimento che sarebbe un danno per decine di persone ma per la famiglia di Antonietta significherebbe sicuramente l’abisso.
Sul piano dei rapporti interpersonali, non abbiamo avuto grandi problemi, io e la mia compagna; sin dalle prime frequentazioni, conoscendone la ‘vivacità’ sessuale, abbiamo stabilito un ‘patto di libertà’ che le lascia ampia autonomia di scelta, se dovesse sentire particolari ‘pruriti’; con l’avvertenza, però, che le eventuali ‘trasgressioni’ sarebbero considerate non incisive nei rapporti, solo a condizione che non siano tradimenti classicamente intesi, ma vicende condivise; o direttamente se si tratta di iniziative che possono vederci complici; o per lo meno indirettamente, preannunciandole e in qualche modo motivandole prima di lasciarsi andare a libertà illimitate.
In dieci anni, solo poche volte si è dovuto far ricorso al patto di libertà, per lo più per iniziative che ho condiviso direttamente; solo in un paio di occasioni, l’ho lasciata libera di sfogarsi; negli ultimi tre anni, poi, non ci sono state né richieste particolari né motivi per dubitare dell’assoluta affidabilità di Antonietta; in pratica, in mancanza di qualunque altro tipo di vincolo o di legame, quell’accordo è l’unica piattaforma su cui regge la nostra convivenza; la certezza che non venga infranto nasce proprio dalla convinzione che ci vorrebbe un’infinita stupidità per contravvenire ad un accordo che per dieci anni ha retto con la partecipazione di tutti e che richiede solo un minimo di buonsenso per essere rispettato.
Quella mattina, probabilmente, tutto congiura contro di noi; abbiamo fatto le ore piccole, la sera prima; dopo la cena con un collega e la sua consorte, siamo andati a letto abbastanza su di giri per qualche bicchiere in più bevuto a tavola di un vino fresco ed amabile che mi ha regalato un mio assistito e che andava giù ch’era un piacere; e ci siamo scatenati in una serata di sesso di quelle da segnare nel diario segreto con l’annotazione di ‘ottimo’; io non mi sono risparmiato, prendendola in tutti i buchi, con il massimo dell’entusiasmo e con l’intensità dell’amore che ancora nutro per lei; Antonietta ha risposto con la massima partecipazione che ha sottolineato con grandi urla di piacere che sono risuonate fin verso le due in tutto l’edificio e che fino al mattino seguente ancora mi rintronano dentro le orecchie.
Alle otto, sono puntualmente in piedi e mi avvio all’ufficio; Antonietta si crogiola come al solito al calduccio del letto; per un caso assolutamente imprevedibile, un’oretta dopo il mio arrivo in ufficio, mi rendo conto che ho dimenticato di portare con me un incartamento che mi risulta imprescindibile e che riguarda, guarda caso, proprio l’attività dell’azienda del padre di Antonietta di cui a giorni devo discutere in tribunale; chiamo lei per chiederle di portarmi l’incartamento, ma non ricevo risposta perché presumibilmente dorme ancora o è già uscita; decido allora di tornare un momento a casa, che dista pochi minuti; e così faccio; una volta recuperati i fogli di cui ho bisogno, vengo preso da un attacco di colite e devo precipitarmi in bagno; poiché quello di servizio è più vicino, lo uso e soddisfo il mio bisogno; quando sto per uscire, odo delle voci nel salone d’ingresso e istintivamente mi fermo.
Una delle due è di mia moglie, sicuramente; l’altra è di un maschio a me sconosciuto; ma quello che più mi impressiona e mi mette sul chi vive è invece il tono del dialogo, decisamente complice, eccitato e sessuale; le cose che i due si dicono sono certamente frasi degne di una scena porno più che di un dialogo tra due persone civili; lui loda il suo sedere e la sua vagina, dichiara che sono i più belli al mondo, in assoluto; e promette che senz’altro glieli sfonda penetrandoli con tutta la voglia che ha e con tutta la libidine che lei gli scatena; lei, da parte sua, elogia con aggettivi straordinari la potenza del suo membro, che sicuramente tiene in mano perché ne parla come di qualcosa che tiene sotto controllo; mi acquatto nel corridoio e attendo di vederli passare per andare nella camera da letto dove sono evidentemente diretti.
Quando sono entrati, lasciando la porta spalancata, mi accosto in modo da spiare l’interno senza essere visto e mi rendo conto che Antonietta si è portata in casa, nel nostro letto, un ragazzo di meno di trent’anni decisamente tonico e ben piantato, con un sesso da concorso, oltre i venti centimetri, che lei, per quanto posso vedere, sta elegantemente leccando dai testicoli alla punta ricercandone la massima erezione possibile; quando l’asta si innalza in tutta la sua lunghezza, vedo con tremore che la ingoia naturalmente, senza sforzo, fino a raggiungere i peli del pube con le labbra; una bestia da oltre venti centimetri con un diametro notevolissimo, per entrare così disinvoltamente fino in gola, deve percorrere necessariamente una strada molto praticata ed adusa ad oggetti di quella fatta.
Il loro congresso carnale si sviluppa per un po’ di tempo, lungo i percorsi soliti di un rapporto di quel genere; lei è abilissima a spogliarsi recitando meglio di una professionista un’autentica scena di burlesque; noto anche che ha scelto un intimo particolarmente adatto a quella danza, che evidentemente aveva già in mente, segno che l’incontro era stato largamente previsto ed organizzato, al punto che mi sento addirittura eccitato davanti allo spettacolo, anche se fino a poche ore prima ho posseduto liberamente quel corpo sul quale, illuso!, ritenevo addirittura di poter avanzare persino qualche diritto.
Lui naturalmente, fedele forse al ruolo, è più brutale e manipola, liberandosi in fretta degli abiti, il randello di oltre venti centimetri e largo come una lattina da bibite, che lei prende in mano con molta esperienza; poi lo porta, come ho visto, rapidamente in bocca ingoiandolo senza nemmeno il più piccolo problema; infine lo implora quasi piangendo di sbatterglielo con forza e violenza nella vagina che ha spalancato davanti a lui.
Sono sconvolto e preferisco non assistere ad altre esibizioni di abilità amatorie della mia compagna, di cui peraltro conosco bene le capacità di superare ogni limite per raggiungere la copula più intensa, più ricca, più ‘oltre’ di chiunque; mentre mi organizzo per uscire il più silenziosamente possibile, la sento urlare come aveva fatto fino alle due del mattino, sotto di me; l’unica cosa che mi colpisce, è la capacità di una donna, ormai alla soglia degli … anta, di mantenere, instancabilmente, un tale livello di libidine e di goduria per così tanto tempo, come lei invece dimostra di riuscire a fare nonostante tutto; inesorabilmente, mi viene fatto di pensare che non è più il caso di sostenere un rapporto che richiede tanto impegno.
Sgattaiolo, come un ladro, silenziosamente, fuori da casa mia; lei non ha nessun diritto sull’abitazione ed anche portarci un amante è stato un abuso punibile dalla legge; raccolgo, dal vassoio d’argento che appositamente abbiamo posto sul tavolino all’ingresso, le chiavi della macchina e quelle dell’appartamento che lei ha lasciato cadere entrando, come sua abitudine; una volta fuori, torno rapidamente in ufficio e mi preparo a rendere conto degli eventi quando si farà viva la mia compagna, accorgendosi che qualcuno ha preso le sue chiavi dall’interno della casa; passano un paio d’ore, siamo quasi alla pausa pranzo, quando squilla il telefono e la segretaria mi comunica che all’apparecchio c’è la madre di Antonietta, che proprio in quel momento entra nello studio; avverto la signora che sua figlia è arrivata proprio in quel momento, ma lei mi dice che deve parlare con me della causa da discutere a giorni in tribunale; attivo il vivavoce perché senta anche sua figlia.
“Mi spiace signora, ma proprio in questo momento sto passando la pratica all’ufficio legale di suo marito perché da adesso non voglio più avere nessun rapporto né con Antonietta né con la sua famiglia … “
“Dio mio … perché?”
Antonietta ha visto le sue chiavi sulla scrivania, ma non accenna a toccarle.
“Mamma, lascia stare. E’ per colpa mia e non credo che riusciresti a fargli cambiare idea … “
“E’ successo qualcosa tra di voi?”
“No; è successo qualcosa; ma fra vostra figlia e un suo amico che non conosco; la fronte mi prude e lei adesso torna a casa vostra.”
“Antonietta, l’hai tradito?”
“Scopro anch’io adesso che ha saputo; credevo di averla fatta franca ancora una volta. Tra qualche ora sarò a casa.”
“Mi pare che non ci sia nulla da dire. Consegnami le carte di credito.”
“Ah, già; il conto è tuo, le carte sono tue; le chiavi vedo che le hai prese. Eri in casa e hai visto tutto?”
“Già ….!!!!!”
“C’è qualcosa che posso fare?”
“Andartene a casa dei tuoi e sperare che per colpa tua non falliscano.”
“Anche questo mi vuoi addebitare? Perché?”
“I fili di quella causa li tenevo io; un altro non so se ce la farà a seguire il percorso che ho costruito. Diciamo che le probabilità di successo adesso si riducono dal 70 al 30 per cento. Io sono molto bravo come avvocato; lo dicono tutti; quello che non sanno è che sono un pessimo marito; e meno male che non ci siamo mai sposati …!”
“Tu non sei un pessimo marito, Enzo; tu sei un buon marito; è lei che si è rivelata una pessima moglie; l’unico problema è che, come tutti i mariti cornuti, eri l’unico a non sapere.”
A parlare è stata la mia segretaria personale, Assunta ma per tutti Tina, un personaggio all’apparenza scialbo, ma di cui ho provato negli anni la grande capacità nel lavoro, la cultura profonda, la sensibilità e i modi eleganti e delicati che ne fanno una persona di qualità, anche se poco appariscente; Antonietta la guarda come se, dopo dieci anni di frequentazione del mio studio, per la prima volta si rendesse conto della presenza di una persona in carne ed ossa; probabilmente per tanti anni l’avrà considerata alla stregua dei mobili, come le sedie, dove ti siedi e neppure ti rendi conto che esistono.
“Adesso in casa tua ci sono armadi di cose mie; cosa te ne farai?”
“Tina, visto che domani è sabato ed abbiamo davanti un intero week end, te la sentiresti di venire a casa mia a darmi una mano per preparare scatoloni e mandare alla signora tutte le sue cose all’indirizzo dei genitori?”
“Enzo, scusami la franchezza, ma anche in ufficio, negli orari di lavoro, se mi chiedi di svolgere una simile mansione, mi rivolgo ai sindacati e ti faccio causa.”
“Beh, ma visto che hai la mia stessa taglia, potresti approfittarne per prendere qualcosa che ti piaccia …”
“Senti, Antonietta, tu il tuo guardaroba te lo puoi ficcare anche dove dico io; vedi un capo firmato addosso a me? I tuoi tanga, invece, hanno la firma più grande del triangolo protettivo! Avvocato, se tu mi chiedi di passare il week end con te, io lo comincio appena chiuso l’ufficio e lo vivo benissimo fino all’apertura di lunedì; ma lo vivo per me, per te, con te, per fare l’amore, io e te, non certamente per inscatolare slip infinitesimali e push up correttivi della signora. Proponimi di andarcene al mare e vedrai come corro a rotta di collo!”
“Tina, ma sei certa di quel che dici? Verresti al mare con me questi giorni?”
“Al mare, tanto per dire; ma anche in montagna, al lago, in campagna, nel letto di casa tua; se siamo io e te anche all’inferno, vengo, e ci sto bene, se tu cerchi con me il mio stare bene.”
“Io voglio il tuo bene; io ti voglio bene; ma non sono certo di amarti; non so se tra noi c’è la chimica necessaria per passare in amore un fine settimana.”
“Certo che, se non ci proviamo, nessuno te lo può dire. Non ti chiedo di amarmi né poco né tanto né per pietà né a qualunque costo. Se non c’è il tuo amore, il mio basterà per due; lo vuoi capire che da almeno cinque anni ti amo in silenzio e che soffro perché io conoscevo i vizietti della tua compagna e stavo zitta perché una segretaria mantiene i segreti, specialmente se possono far soffrire il principale, il mio amore.”
“A quale ristorante prenoti la cena stasera?”
“Io non frequento ristoranti; vado alla taverna dei miei amici, cucina casereccia, gestione familiare, qualità garantita; e non cambio solo perché vado a cena con l’uomo che desidero di più al mondo; è vicino a casa tua e, se vuoi, poi andiamo lì e ci restiamo fino a domenica sera.”
Posso solo complimentarmi per la grande efficienza della mia segretaria; invito la mia ormai ex compagna a lasciare lo studio e vado con Tina a mangiare un panino veloce, visto che il tempo è passato e siamo al limite con gli appuntamenti del pomeriggio; quando chiudiamo lo studio, Tina mi chiede di passare da casa sua per prendere il necessario a stare fuori due giorni; le chiedo se non si adatterebbe ad usare, per due notti, qualcosa dal guardaroba di Antonietta; ci ripensa e decide di venire così com’è, senza farsi problemi.
Andiamo a cenare nella ‘taverna’ di cui mi ha parlato; trovo un clima di grande amicizia dove lei si sente e viene trattata come una figlia, per un’amicizia decennale che lega i suoi al taverniere, persona squisita, ottimo cuoco ed uomo di sani e chiari principi; ci alziamo dalla tavola totalmente soddisfatti, del cibo e dell’umanità che abbiamo vissuto e respirato; Tina ha quasi evitato di bere; non è avvezza, e l’alcool le da alla testa anche in piccolissime dosi; le chiedo ancora una volta se è determinata a passare con me il week end; prima chiede a Tonio, il taverniere, se è aperto sabato e domenica; ricevutane conferma, lo avverte che forse avremo bisogno di pranzare e cenare da lui quel fine settimana; la guarda quasi complice e lei mi stringe il braccio e si accosta a me; lui le fa gli auguri.
“Per favore, non mi fare più domande oziose; non ti chiedo di innamorarti di me; ti chiedo di farmi fare l’amore, anche di darmi solo sesso se non ce la fai a metterci amore; io ti voglio, ti ho fra le mani e non ti cedo a nessuno. Ti avverto di un’altra cosa, per non farti venire scrupoli assurdi; sei in assoluto il primo uomo della mia vita; lo volevo, l’ho deciso e lo faccio. La responsabilità è solo mia e me l’assumo fino in fondo, così, se temi di avere una qualsiasi grana perché mi violenti, dichiaro anche per iscritto che sono io colpevole della violenza, non tu che la subisci. Io ti amo e mi prendo per diritto tutto quello che desidero da anni. Tu taci e limitati ad ammirarmi; a farmi amare, ci penserò dopo; e puoi giurare che ci riuscirò.”
“Tina, mi consenti adesso di dire qualcosa?”
“Avvocato, lei ha la più ampia facoltà di pronunciare la sua arringa. Cominci pure.”
“Vostro onore, non mi sono mai sentito sconvolto come in questo momento; questa giuria è in grado di decidere se mi sto innamorando? Considerato il contesto, taverna, amici, vino, atmosfera ecc., ci sono gli estremi per ritenere che sia stata preparata una trappola per indurre l’avvocato a innamorarsi; quindi optiamo per l’accusa di magia e stregoneria … a meno che l’accusata non riconosca di averlo fatto solo per amore.”
Per la prima volta, Tina si pianta davanti a me, mi stringe a se, si accosta col viso e mi sussurra.
“Baciami, stupido; o vuoi che faccia io anche questo?”
Per un attimo mi guardo in giro a scrutare le facce che ci spiano attente e forse ansiose; poi la bacio e mi sembra di andare in paradiso; qualcosa sembra scoppiarmi dentro ed uscire come fuochi di artificio multicolori; non credo che il bacio duri molto, certamente non quanto la sensazione che percepisco io, di una dolce eternità; ma mi sento stordito come uscissi da un ko sul ring o da un sogno meraviglioso che non accenna a sbiadire del tutto.
“Per domani a pranzo, vi va bene una lasagna?”
Guardo Tonio con occhi nuovi e gli rispondo immediatamente.
“Se li condisci con questo affetto e con questa amicizia, mi vanno bene anche i sassi.”
“Sono io che ti ringrazio per aver fatto felice la mia figlioccia.”
“Perché dici che l’ho fatta felice?”
“Perché non ho mai visto tanta gioia in lei, che merita sicuramente questa felicità e merita anche te; tu non so se la meriti altrettanto, ma sono certo che finirai per meritarla. Vi aspetto domani, con la stessa intensità che avete adesso stampata sul viso.”
Non me ne sono accorto, ma devo avere veramente una faccia ben strana; me ne rendo conto mentre passo davanti ad uno specchio su cui è disegnata la pubblicità di un birra; ho il viso stralunato di certi ragazzi davanti ad una vetrina di pasticceria e, quando mi giro verso Tina, sento il profumo del suo corpo e vi sento quel non so che di casa, di letto, di borotalco, di candore che mi stordiscono; adesso ho voglia di averla, tutta per me, e di sentire che posso ancora costruire una storia bella e lunga , forse infinita, se ci riusciamo.
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