Una volta uscite dal salone, Sabrina mi condusse in un corridoio appartato, illuminato da luci soffuse. Mi sfiorò un braccio, facendomi rabbrividire sotto il suo tocco. Con gesti precisi, mi aiutò a indossare un trench coat in similpelle nera che avvolgeva il mio corpo con una sensualità magnetica. Il tessuto lucido aderì alle curve, riflettendo la luce e attirando lo sguardo su ogni dettaglio. Il colletto ampio incorniciò la scollatura, lasciando intravedere la pelle. La cintura stretta in vita definì una silhouette sinuosa, mentre lo spacco audace si aprì lungo la gamba. Poi, mi porse i Pleaser Seduce-3024, stivali vertiginosi in vernice nera lucida che salivano fin sopra il ginocchio, fasciando le gambe con audace sensualità. Mentre li allacciavo, notai il tacco a spillo di 12 cm che prometteva un'andatura ancora più seducente. Infine, la maschera in stile Catwoman. Mentre me la sistemava, notai come la fascia elastica avesse raccolto i miei capelli in una coda di cavallo alta e sensuale, scoprendo la nuca. Le orecchie feline appuntite aggiunsero un tocco provocante e giocoso. Il tocco leggero delle sue dita mi fece trattenere il respiro. Poi, improvvisamente, mi baciò. Un bacio a fior di labbra, carico di una promessa inconfondibile, che mi fece tremare. Si staccò lentamente, i suoi occhi brillarono maliziosamente dietro la sua maschera, e sussurrò all'orecchio: "Ora ci siamo divertite davvero". Mi condusse nella stanza accanto. L'oscurità era quasi totale, interrotta solo da un fascio di luce soffusa che illuminava un letto. Sopra di esso, disteso, si intravedeva un corpo dalla silhouette stupenda. Non riuscii a distinguere i suoi lineamenti, il viso era completamente celato da una maschera fetish in stile full hood. Il materiale nero lucido aderì perfettamente alla sua testa, nascondendo ogni traccia della sua identità e creando un'aura di mistero e dominio. Nonostante fosse ancora sotto le lenzuola, l'evidente rigonfiamento sotto di esse tradì la sua eccitazione. Le lenzuola scure accentuarono il candore della sua pelle. Il suo corpo era statuario, e il suo membro, eretto, inequivocabile. Un fremito mi scosse. Sabrina si avvicinò al mio orecchio e, con voce roca, sussurrò: “Devi sapere che era un mio amante da diversi mesi. Parlavamo spesso di te, sai, avevamo un’amica in comune.” Un misto di sorpresa e ammirazione mi pervase. Lentamente, mi avvicinai al letto e sfiorai le coperte con le dita. Lui, completamente al buio, percepì la mia presenza ed emise un basso mugugno, come un richiamo.
Mi chinai su di lui, gli sussurrai all'orecchio: “Quindi mi ha richiesta personalmente, sono contenta.” Gli baciai la maschera dove immaginavo fosse la sua bocca e infilai la mano sotto le coperte, alla ricerca del suo possente pene. Dal suo corpo sotto le lenzuola, però, percepivo una sorta di timore, un'esitazione che non riuscivo a spiegarmi. Spostai ancora un poco le lenzuola e, a quel tenue bagliore, potei finalmente ammirare il suo corpo stupendo. Raramente avevo visto nulla di simile, e un ricordo di un amore impossibile mi sfiorò la mente, ma mi ripresi subito. Ero lì per quello, ero stata pagata, e così iniziai a baciare delicatamente ogni centimetro della sua pelle, risalendo i suoi muscoli scolpiti fino a raggiungere la parte più intima di lui: il suo pene. Con dolce fermezza, premetti le mie labbra su di esso.
La mia bocca divenne più audace e, con la lingua, esplorai l'intera lunghezza del suo membro, assaporandone ogni centimetro. La mia amica Sabrina ci osservava eccitata, sfiorandosi il corpo con voluttà. Alzai lo sguardo su di lei e, con un sorriso malizioso, le chiesi a bassa voce: “Ti piacerebbe unirti a noi?”. Lei mi guardò negli occhi, le pupille dilatate, e rispose con voce roca, quasi un sussurro: “No, tesoro. È tutto tuo”. Un brivido mi percorse la schiena. Allora, con rinnovata passione, lo presi in bocca, accogliendolo fino alla base, fino a sfiorarne i testicoli con la punta della lingua.
Tutta quella serata era stata eccitante, ma ora mi sentivo come se stessi volando. Avevo piena consapevolezza del mio corpo, di ogni sensazione. Con un gesto lento e deliberato, mi sfilai la cintura. L'impermeabile si aprì, rivelando il mio seno prorompente che offrii, quasi supplicante, al suo pene eretto, vibrante di desiderio. Lo accolsi dentro di me, stringendolo forte, sentendomi finalmente completa.
Potevo sentirlo gemere di piacere. Sabrina, a quanto pare dimentica della sua promessa, si avvicinò a noi e, con la lingua che disegnava cerchi lenti e sensuali, mi leccò la vulva da dietro, facendomi sobbalzare perché non l'avevo sentita arrivare. Un brivido di piacere inaspettato mi percorse il corpo. Con mia grande sorpresa, scoprii poi che non era stata Sabrina, ma è ancora presto per raccontarvelo. Io ero fatta per quelle cose più intime; nell'altro salone, in piena orgia, mi ero eccitata, ma ero anche disorientata. Lì, chiusa in quella stanza, ero me stessa. La finta Sabrina, dietro di me, mi infilò due dita nell'ano mentre continuava a leccarmi la passera. Cercai con la mano destra la testa della donna, affondando le dita tra i suoi capelli umidi e profumati, per spingerla meglio verso di me. Sentivo il suo respiro affannoso sulla mia pelle mentre le sue labbra si muovevano con voluttà. Il suo tocco era una scarica elettrica che mi percorreva dalla testa ai piedi, e desideravo ardentemente che non smettesse mai.
Un'altra mano mi prese per la maschera di velluto nero che mi avvolgeva il viso, sollevandomela quel tanto che bastava per far incontrare le nostre labbra in un bacio. Riconobbi subito il tocco familiare, il profumo inconfondibile: era Sabrina. Fu proprio in quel momento, mentre le sue labbra morbide si schiudevano sulle mie, che realizzai la verità: la presenza che sentivo ardere dietro di me non era la sua. Mi baciò ancora, un bacio più intenso, quasi a voler cancellare ogni mio dubbio. Poi, con voce ferma e autoritaria, mi sussurrò all'orecchio: «È ora che fai godere il tuo cliente, cavalcalo». Subito dopo, afferrò la ragazza che si trovava alle mie spalle e la condusse con sé verso una poltrona di velluto rosso, illuminata dalla luce calda e soffusa del comodino. Ora potevo osservarla meglio. Il suo corpo atletico, scolpito da ore di allenamento, si rivelava sotto il tenue pizzo nero. I muscoli delle sue gambe lunghe e toniche si intravedevano sotto lo slip ridotto, mentre gli addominali piatti e definiti contrastavano con la morbidezza del seno florido, esaltato dal reggiseno a balconcino. I suoi capelli biondi le ricadevano in onde morbide sulle spalle nude, illuminate dal bagliore ambrato. Indossava un completo intimo di pizzo nero, appena sufficiente a coprire le zone più intime: un reggiseno a balconcino che esaltava il suo seno florido e uno slip ridotto a una sottile striscia di tessuto che si perdeva tra le sue curve sinuose, mettendo in risalto gli addominali scolpiti e le gambe toniche. Una maschera di seta color avorio, finemente ricamata con motivi floreali argentati, le celava la parte superiore del viso, lasciando intravedere solo le labbra carnose e lo sguardo enigmatico che brillava dietro le fessure. Era davvero carina, un'apparizione eterea e peccaminosa al tempo stesso.
Mi sdraiai sopra il mio uomo, guardando ancora le due donne che si baciavano con passione. Erano davvero sexy, anche se notai qualcosa di familiare che mi turbava. Accarezzai il petto villoso del ragazzo, poi lo leccai, assaporandone il gusto salato sulla lingua. Gli slacciai la benda che gli copriva gli occhi, sorprendendolo. La maschera, però, rimaneva al suo posto, rivelando solo i suoi occhi. I quali, abituati al buio, fecero fatica ad adattarsi alla luce fioca, dilatandosi leggermente. Strizzò le palpebre, realizzando improvvisamente che non ero Sabrina. Il suo pene premeva contro le mie cosce, un calore pulsante che comunicava il suo desiderio. Sentivo che mi voleva, e sentivo che anch'io lo desideravo ardentemente. Allungai la mano all'indietro e lo accarezzai, sentendo la sua pelle calda e tesa sotto il mio tocco.
Guidai le sue mani sui miei seni, che spiccavano sotto l'impermeabile aperto. Sentivo il suo pene eretto premere contro la pelle dei miei glutei, un contatto elettrizzante. Poi, per caso o per volontà, trovò l'entrata e mi penetrò con decisione, facendomi gemere di piacere e inarcare la schiena all'indietro in un arco di voluttà. Era fantastico, sensazioni così intense non le provavo da anni. Un calore avvolgente, una dolcezza profonda e, allo stesso tempo, un puro istinto selvaggio che ci consumava. Le sue mani scivolarono sul mio seno, accendendo vibrazioni che mi percorrevano da capo a piedi. Lo cavalcai con passione, muovendomi con ritmo e abbandonandomi al piacere. Volevo assaporare ogni singolo istante di quella ritrovata intimità.
Si girò verso Sabrina e la ragazza bionda che, intanto, gli stava leccando la passera. Sembrava cercare qualcosa. Volevo baciarlo, bramavo sentire la sua lingua contro la mia, avvolta nella mia bocca. Gli tolsi la palla che gli bloccava le labbra e lui cercò di dire qualcosa, un suono confuso, come un balbettio: «Fe… Fer… In… Ingrid…». Non aspettai che finisse la frase, gli infilai la mia lingua in bocca, assaporandolo con voluttà, e gli sussurrai all'orecchio: «Non ti preoccupare, puoi venire dentro alla tua puttana. Voglio sentire la tua crema calda bruciare dentro di me».
Aumentai il ritmo, abbandonandomi completamente alla passione. Ero incontenibile, un fiume in piena che non poteva più essere arginato. Dentro di me, una parte razionale cercava ancora una spiegazione a quell'urgenza, a quella necessità di fonderci, ma un'altra parte, più profonda e istintiva, sapeva fin troppo bene il perché. Sentii il suo corpo tendersi sotto il mio, ogni muscolo vibrante di desiderio. Poi, un fremito lo scosse interamente: il suo corpo si contrasse in spasmi brevi e intensi, il suo pene pulsò profondamente dentro di me, e un'ondata di calore, il suo seme denso e bollente, inondò il mio interno, riempiendomi completamente. Un gemito profondo gli sfuggì dalle labbra, un suono gutturale che mi fece vibrare l'anima. Ero incandescente, un fuoco che mi divampava dentro, un'esplosione di piacere che mi pervase da capo a piedi. Non smisi di fare l'amore con lui, anzi, intensificai le mie spinte, desiderando ardentemente anche il mio piacere, la mia liberazione. E del resto, sentivo la sua erezione ancora salda e vigorosa contro il mio ventre, un invito a continuare quell'intensa danza dei corpi.
Improvvisamente, Sabrina mi strappò via la mia maschera, e una voce carica di panico urlò: «Mamma!». In quel momento, quella voce non mi raggiunse. Sentii, come in lontananza, un altro grido: «Mamma, fermati!». Ma era troppo tardi. Non potevo, non volevo fermarmi. Il mio corpo vibrava di un'energia incontrollabile, ogni muscolo contratto in una morsa di piacere. Il sudore mi imperlava la pelle nuda sotto l'impermeabile aperto, gocciolando lungo il collo e il décolleté. Il mio partner sembrava cercare una via di fuga, ma era intrappolato sotto il mio peso, impotente. Inarcai la schiena in un arco perfetto, e proprio in quel momento, l'orgasmo mi travolse con un'intensità devastante.
Onde di piacere mi percorsero da capo a piedi, partendo dal basso ventre e irradiandosi in ogni fibra del mio essere. Sentii le pareti della mia vagina contrarsi ritmicamente, in spasmi involontari e potenti, mentre un'ondata di calore si diffondeva in tutto il mio corpo. Il respiro si fece affannoso, quasi un singhiozzo, e un gemito profondo mi sfuggì dalle labbra. La sensazione era al contempo fisica e mentale: un'esplosione di pura estasi, un'esperienza trascendentale che mi fece perdere il contatto con la realtà circostante per alcuni istanti infiniti. Il mondo intorno a me svanì, lasciando spazio solo a quel turbine di sensazioni.
Mi lasciai cadere sul suo corpo immobile, esausta eppure ancora pervasa da quel fremito residuo. Fu in quel momento, in quel silenzio carico di tensione, che il vero dramma ebbe inizio.
Sabrina tolse completamente la maschera all'uomo. Lo riconobbi all'istante: era Riccardo, il fidanzato di mia figlia, il padre di mio nipote. Un'ondata di gelo mi percorse le vene, l'ansia mi strinse la gola. Non volevo alzare lo sguardo, non volevo vedere, ma sapevo di doverlo fare. Mi voltai lentamente e solo allora compresi perché quella ragazza mi sembrasse così familiare. Anche lei si era tolta la maschera. Era mia figlia. I suoi occhi mi fissavano con una furia che conoscevo fin troppo bene, un riflesso del nostro passato tormentato. Non potevo crederci. L'avevo fatto di nuovo. Ero andata a letto con il suo uomo. Un suono stridulo ruppe il silenzio: era la risata di Sabrina. Con una cattiveria che mi gelò il sangue, mi rivelò la sua macchinazione: si era finalmente vendicata. Aveva aspettato il momento perfetto, aveva sedotto Riccardo, manovrandolo attraverso la sua complice, Lizzy, e alla fine ci era riuscita. Mi aveva incastrata, mi aveva fatto tradire mia figlia con il suo fidanzato. Il terrore mi paralizzò, le lacrime mi bruciavano gli occhi, pronte a sgorgare. Sabrina continuava a ridere, la sua risata echeggiava nella stanza come una condanna. La sua vendetta era compiuta, il suo piano diabolico aveva raggiunto il suo scopo. Cosa potevo fare? Nulla. Con mani tremanti, mi allacciai l'impermeabile, un gesto meccanico in mezzo a quel caos emotivo. Corsi via, cercando disperatamente una via di fuga da quell'incubo. Ero così sconvolta da essermi completamente dimenticata di Sonia, della ragione per cui ero andata alla villa. Salii in macchina e scappai, senza una meta precisa. Piangendo, guidai per tutto il tragitto, cercando di dare un senso a quell'orrore. Una volta a casa, mi gettai sotto la doccia, sperando che l'acqua potesse lavare via quella macchia, quel peccato. Ma dentro di me sapevo che era impossibile. Il ricordo di ciò che avevo fatto mi avrebbe perseguitata per sempre.
Sabrina tolse con gesto teatrale la maschera all'uomo. Il mio cuore perse un battito. Lo riconobbi all'istante: era Riccardo, il fidanzato di mia figlia, il padre del mio adorato nipotino. Un'ondata di gelo mi invase, paralizzandomi. Non volevo, non potevo credere ai miei occhi. L'ansia mi strinse la gola in una morsa dolorosa, togliendomi il respiro. Abbassai lo sguardo, cercando disperatamente un appiglio nella confusione che mi annebbiava la mente. Ma una forza irresistibile mi costrinse ad alzare di nuovo la testa. Mi voltai lentamente, il cuore che batteva all'impazzata, e solo allora capii perché quella ragazza avesse qualcosa di così familiare. Anche lei si era tolta la maschera. Era mia figlia. I suoi occhi, di solito così dolci, ora bruciavano di un odio profondo, una fiamma alimentata da antiche ferite, dal nostro passato tormentato. Un passato che pensavo di aver sepolto, ma che ora riemergeva con una violenza inaudita. Non potevo crederci. L'avevo fatto di nuovo. Ero caduta nella trappola, ero andata a letto con l'uomo di mia figlia.
Un silenzio tombale calò sulla stanza, rotto improvvisamente da una risata stridula, agghiacciante. Era Sabrina. Si portò una mano alla bocca, fingendo sorpresa, ma i suoi occhi brillavano di una malizia perfida. «Oh, cara…», sibilò, la voce intrisa di veleno, «…non ti eri accorta?». Il suo tono mellifluo contrastava orribilmente con la cattiveria che trasudava da ogni suo poro. «Finalmente…», continuò, assaporando ogni singola parola, «…la mia vendetta è compiuta». Mi guardò con un sorriso di trionfo, rivelando la sua macchinazione con una freddezza che mi terrorizzò. «Ho aspettato il momento perfetto. Ho tessuto la mia tela con pazienza, e tu, ingenua come sempre, ci sei caduta dentro a piedi pari».
Mi spiegò con dovizia di particolari il suo piano diabolico: come avesse sedotto Riccardo, sfruttando le sue debolezze, manipolandolo attraverso Lizzy, la sua fedele esecutrice. Lizzy, che avevo sempre considerato un'amica, si era rivelata una pedina nel suo gioco perverso. «Lizzy è stata fondamentale», confessò Sabrina con un ghigno, «lo ha tenuto legato a me, mentre io aspettavo il momento giusto per… incastrarti». Pronunciò l'ultima parola con una tale enfasi da farmi rabbrividire. Il suo sguardo era fisso su di me, carico di odio e soddisfazione. Mi aveva fatto tradire mia figlia con il suo fidanzato, un colpo basso, una ferita profonda che sapeva non si sarebbe mai rimarginata. Il terrore mi paralizzò, sentii le lacrime salirmi agli occhi, ma le trattenni a stento. Non volevo darle la soddisfazione di vedermi piangere.
Sabrina continuava a ridere, la sua risata echeggiava nella stanza come un presagio di sventura, un monito del disastro che aveva appena orchestrato. Era come se si nutrisse della mia sofferenza, traendo piacere dal mio dolore. La sua vendetta era compiuta, il suo piano diabolico aveva raggiunto il culmine. Cosa potevo fare? Nulla. Ero impotente di fronte alla sua malvagità. Con mani tremanti, mi allacciai in fretta l'impermeabile, un gesto meccanico, quasi automatico, in mezzo a quel caos emotivo che mi straziava l'anima. Corsi via, cercando disperatamente una via di fuga da quell'incubo, da quella realtà che mi si era appena rivelata in tutta la sua orribile verità. Ero così sconvolta da aver completamente dimenticato Sonia, la ragione per cui ero andata alla villa. Salii in macchina, le mani che mi tremavano sul volante, e scappai via, senza una meta precisa.
Piansi per tutto il tragitto, singhiozzando incontrollabilmente, cercando disperatamente di dare un senso a quell'orrore, a quel tradimento che avevo commesso. Una volta arrivata a casa, mi gettai sotto la doccia bollente, sperando che l'acqua potesse lavare via quella macchia indelebile, quel peccato che mi pesava come un macigno sul cuore. Ma dentro di me, nel profondo della mia anima, sapevo che era impossibile. Il ricordo di ciò che avevo fatto, lo sguardo carico di odio di mia figlia, la risata perfida di Sabrina… tutto questo mi avrebbe perseguitata per sempre.
Epilogo
Dopo quella notte devastante, mi ritirai in un esilio auto imposto. Le luci stroboscopiche, le risate, i corpi che si intrecciavano… tutto era svanito, sostituito da un silenzio assordante e da un senso di colpa che mi corrodeva l'anima. Avevo chiuso per sempre con la mia vita da escort. Non riuscivo più a sopportare il peso di quel tradimento, la vergogna di aver ferito la persona che amavo più al mondo. Mia figlia… il suo silenzio era un macigno sul mio cuore. Non una chiamata, non un messaggio. Peggio ancora, mi aveva allontanato da mio nipote, la luce dei miei occhi. Il vuoto che mi aveva lasciato era incolmabile, un dolore sordo che mi accompagnava giorno e notte.
Poi, come se non bastasse, il mondo intero fu avvolto dall'ombra del 2020, l'anno del Covid. L'isolamento divenne ancora più profondo, le strade si svuotarono, le persone si chiusero in casa, terrorizzate da un nemico invisibile. Anche la mia solitudine si fece più cupa, avvolta da un'atmosfera surreale di paura e incertezza. In quel periodo buio, una sola luce brillava nella mia vita: la mia piccola Giusy. Con la sua dolcezza e la sua comprensione, mi veniva a trovare di nascosto, sfidando le restrizioni e il pericolo del contagio. Mi teneva compagnia come poteva, cercando di alleviare il mio dolore con la sua presenza discreta e affettuosa. A volte, cercavamo conforto l'una nell'altra anche attraverso il sesso. Era un modo per cercare di dimenticare, di anestetizzare il dolore lancinante che mi attanagliava. Sapevo che non era la soluzione, che non avrei dovuto cercare rifugio in quel tipo di intimità, ma in quel momento era l'unico modo che conoscevo per non impazzire, per non soccombere al peso dei miei rimpianti. Dovevo smettere di pensare a mia figlia, almeno per qualche ora, per qualche istante di effimero oblio.
Il futuro era avvolto nella nebbia. Non sapevo come e quando avrei potuto ricucire il rapporto con mia figlia. Il suo perdono mi sembrava un miraggio lontano, quasi irraggiungibile. Sapevo di aver commesso un errore imperdonabile, di averla ferita nel modo più profondo. In quel momento, una sola cosa era chiara: Sabrina aveva avuto l'ultima parola. La sua vendetta si era compiuta, il suo piano diabolico era andato a segno. Io ero caduta nella sua trappola, vittima della mia stessa debolezza. Forse, nel profondo del mio cuore, sentivo di meritare quella punizione, di dover espiare la mia colpa con la solitudine e il rimorso. Ma una parte di me, una piccola scintilla di speranza, si aggrappava alla possibilità di un futuro diverso, di una riconciliazione, di una redenzione che sembrava ancora così lontana.
Post New Comment