C’è sempre un limite

C’è sempre un limite

Per essere sincera, non ho mai capito io stessa perché avessi scelto di sposare Nicola; non mi dispiaceva, ma non era certo il mio ideale di uomo e, soprattutto, di maschio; specialmente la sua dotazione inguinale, leggermente superiore alla media coi diciotto o venti centimetri che raggiungeva al massimo dell’eccitazione, non rappresentava per me il massimo del desiderio, visto che da sempre succhiavo e prendevo sia in figa che nel culo cazzi possibilmente grossi e tosti.

Ma il possesso della piccola fabbrica dove lavoravo rappresentava una sorta di garanzia contro una vita stentata, la prima motivazione a decidermi a sistemarmi con lui; ci aggiungevo anche una certa sicumera, per cui in qualche modo pensavo di poterlo piegare, per il carattere docile e remissivo, anche alle mie più smodate voglie, fino ai tradimenti più palesi ed alla costrizione a farmi da slave nelle mie esagerazioni.

Infine, qualche scopata con lui non mi dispiaceva affatto, come avevo sperimentato nel periodo precedente la scelta finale; nella peggiore delle ipotesi, concedergli la figa, almeno una sera a settimana, il classico sabato sera di tutti gli impiegati, non solo non mi sarebbe pesato ma addirittura poteva farmi molto piacere, specialmente se si dedicava ai giochini preliminari che preferiva e che mi davano sempre tanta goduria.

Fu così che ci trovammo a vivere insieme, regolarmente sposati, in un appartamento abbastanza piacevole ed ampio di sua proprietà; decisi di non smettere di lavorare, anche se, con la disponibilità di mezzi che lui mi poteva consentire, il mio salario finiva per servirmi sopratutto a soddisfare certe mie sacrosante esigenze di cura della bellezza e dell’abbigliamento che si erano andate accrescendo nel tempo.

Scivolarono senza intoppi lunghissimi anni di convivenza, durante i quali feci tutto quello che era necessario per soddisfare segretamente le mie voglie, muovendomi sotto traccia per incontrare gli amanti dove mi fosse possibile; di solito, li ‘consumavo’ rapidamente e, dopo qualche mese di sollazzi, li mandavo al diavolo; talvolta, per soddisfare un mio bisogno di variazione continua, ricorrevo al car sex con soggetti semisconosciuti e usati solo per quella occasione o poco più.

Ad un certo punto della mia vita, decisi di scegliere un amante fisso con cui mi incontravo in un alberghetto discreto dietro la stazione; una naturale tendenza all’inganno e mille attenzioni poste nei movimenti mi consentirono di tenere mio marito all’oscuro delle corna che gli feci disinvoltamente per quasi vent’anni; per uno stupido ‘incidente di percorso’, rimasi incinta del mio amante e non fu facile far ‘digerire’ a mio marito che i capelli rossi del figlio erano ereditati da un lontano antenato.

Armando, così si chiamava quel mio amante fisso, scambiava con me poche frasi su whats app per stabilire ora e punto di incontro; anche lui aveva una moglie non tanto morbida e doveva ritagliarsi le ore da trascorrere in piacevoli scopate; ci recavamo indipendentemente all’albergo e, dopo le prime inevitabili incertezze, fummo in grado di evitare ogni controllo; ci indicavano la camera e vi ci recavamo.

Aveva un cazzo decisamente notevole e sin dal primo incontro ebbi la certezza che corrispondeva esattamente al mio bisogno di sesso possente e violento; la sua aggressività mi procurava spesso qualche livido; ma bluffare con Nicola non era un problema per me, abituata da sempre a scopare senza limiti e a dover rispondere ad una famiglia ossessiva e pronta a stigmatizzare ogni mio movimento; anzi, era quasi un gioco perverso fargli attendere che passasse il grosso del livido o impedirgli di vederlo.

In genere, era il mio amante che arrivava prima perché aveva meno incombenze; io lo trovavo già in camera, nudo sul letto e a cazzo ritto; mi divertivo molto a spogliarmi lentamente, con movenze flessuose, imitando goffamente un fantasioso burlesque e lasciandogli pregustare il piacere che stavamo per prenderci; quando salivo gattoni sul letto, la prima cosa che facevo era fiondarmi con la bocca sul cazzo e ‘cibarmene’ con voglia sempre immutata.

Avevo sempre avuto una particolare predilezione per il pompino ed ero diventata particolarmente brava nella fellazione; riuscivo a strappargli l’anima dal cazzo, succhiandolo a lungo, leccando tutta l’asta fino ai coglioni che prendevo in bocca, uno per volta, e deliziavo con la mia lingua sottile e mobile; quando mi facevo scopare in bocca, spingevo la cappella fino al fondo, oltre il velopendulo, finché le mie labbra toccavano i peli del pube.

Normalmente era la mia iniziativa a dominare; facevo girare la cappella nella cavità orale accompagnandola con la lingua che leccava tutto e si infilava nel meato; muovendo la testa avanti e indietro gli davo la sensazione di scopare una figa stretta e vergine; lo affondavo in gola fino a soffocarmi e lo tenevo a lungo, deliziandolo con lingua, labbra e mano che tormentava i testicoli; talvolta reagiva mettendosi in ginocchio davanti a me e scopandomi in gola con la sua istintiva violenza.

Quando mi accorgevo che il giochino rischiava di farlo sborrare, interrompevo il lavoro di bocca e mi sistemavo carponi sul letto invitandolo a leccarmi a sua volta; lo faceva appassionatamente, ma non durava a lungo, in genere; per la sua natura aggressiva, scopare in figa era l‘obiettivo urgente e immediato; approfittando della posizione a pecorina, si sollevava in ginocchio e mi infilava di colpo il cazzo dentro, sbattendo con violenza contro l’utero.

Lo ricevevo sempre con la massima goduria; sentire la mazza grossa, dura e vogliosa, percorrere il canale vaginale e andare a sbattere contro la testa dell’utero mi dava brividi di piacere a cui corrispondevano gemiti lussuriosi che accentuavano il suo, di piacere, e lo inducevano a picchiare sempre più forte; il rumore del ventre duro e muscoloso contro le natiche morbide e carnose era un suono eccitante che stimolava ambedue.

Quei colpi violenti contro l’inguine erano la radice dei lividi che a mano a mano si fecero cronici fino a colorare di marrone le grandi labbra; non era difficile, anche solo guardando la mia figa, prendere coscienza che era abituata a lunghe e violente scopate; la mia convinzione era che Nicola avesse capito o che addirittura sapesse e che tacesse perché ci provava gusto o perché era schiavo del suo amore per me; comunque, non facemmo cenno a niente.

Anche il culo era sottoposto a una vessazione analoga; il mio ano era spanato da prima del matrimonio; mio marito non aveva disdegnato incularmi con molta libidine e spesso lo faceva; ma Armando era un ciclone che si abbatteva sul mio lato B, quando lo prendeva la frenesia di scoparmi dappertutto; la prima volta lo fermai, vista la mole del cazzo che voleva infilare, perché non aveva portato nessun lubrificante e non me la sentivo di subire danni al retto inculandomi a secco.

Si attrezzò per benino e, la volta successiva che ci trovammo all’hotel, partì deciso all’attacco del buchetto; mi piaceva molto prendere il cazzo nel culo e non feci nessuna obiezione, quando mi resi conto che stava per sfondarmi; lo pregai solo di essere più dolce per evitare danni non nascondibili a mio marito; riuscì ad imporsi la calma e fu una vera delizia per me sentire la mazza che scivolava lentamente nel retto e penetrava tutta finché le palle mi picchiarono sulla figa.

Da quella volta, un pomeriggio a settimana mi scopò in figa e nel culo, con mio sommo godimento, come se rimediassi alla scopata settimanale con mio marito con una scopata libera un altro giorno della settimana; la cosa andò avanti per molti anni, nella massima sinecura di Nicola che sembrava completamente estraneo alla mia esistenza, incurante delle prove inequivocabili dei tradimenti e della mia vita libertina.

Intanto, il suo capitale cresceva, la fabbrica si ingrandiva e presto divenne una struttura industriale di tutto rispetto; gongolavo, tra l’altro, perché ritenevo che erede unico del suo patrimonio sarebbe stato il figlio bastardo che gli avevo rifilato come legittimo e che, per legge, ricadeva sotto la mia responsabilità; tra la legittima che mi spettava e l’attribuzione a mio figlio del patrimonio paterno, mi ero garantita una vecchiaia ricca e comoda.

Non provavo nessun pentimento né senso di colpa per quel povero imbecille che si era avventurato in una storia inadatta a lui ed aveva creduto di impormi un modo di vita che mi era del tutto estraneo; in un momento di ristrutturazione dell’assetto della fabbrica, gli dissi fuori dai denti che ero stufa di figurare dipendente della sua attività e che avrei chiesto il licenziamento anticipato; mi suggerì caldamente di frenare l’entusiasmo e di resistere fino alla pensione; mi ribellai con forza.

Non tardai a pentirmene; dopo qualche giorno, mi convocò l’avvocato Cecere, il capo dell’ufficio legale della ditta, che mi fece un lungo discorso sulla volontà di mio marito di chiedere separazione legale e divorzio; al mio scatto di nervi, mi pregò di calmarmi e mi spiegò che, se decidevamo consensualmente la separazione, non ci sarebbe stato bisogno di un altro avvocato ma che lui poteva espletare tutte le funzioni.

Se invece, come era evidente, mi ribellavo, ciascuno dei due doveva essere rappresentato da un legale; mio marito aveva incaricato lui; io dovevo scegliermene un altro; non poteva presentarmi le motivazioni che spingevano mio marito e, se volevo chiedere, dovevo farlo davanti a un avvocato che mi rappresentasse in tribunale; non conoscevo nessuno di cui mi fidassi; per questo, mi disse, lui aveva individuato un professionista serio e di qualità al quale avrebbe lui stesso chiesto di rappresentarmi.

Ci organizzammo per porre sul tavolo i termini dei contrasti; se ci fossero state le condizioni per una separazione consensuale, avremmo risolto tutto in quell’incontro; se avessi insistito per promuovere un’azione legale, lui avrebbe fornito gli elementi utili al dibattimento; poi io sarei stata libera di decidere se affidarmi a quell’avvocato o cercarmene uno di mia fiducia; Nicola avrebbe potuto intentare causa senza interpellarmi; ma sperava che riuscissimo a dialogare; quell’offerta era l’unica occasione.

Gli obiettai che la nostra cultura considerava il matrimonio indissolubile e che su quello avevo fondato la nostra convivenza; sorrise amaro e mi ribatté che la nostra cultura attribuiva al matrimonio valori assai più fondanti che avevo disinvoltamente calpestato; era ipocrita e surreale che mi appellassi, per mio comodo, all’unica condizione reversibile, con il divorzio; mi suggerì di ascoltare le contestazioni di mio marito prima di decidere.

Accettai l’incontro e qualche giorno più tardi mi trovai con mio marito e con il mio avvocato davanti a Cecere; il primo documento che presentarono fu un test del DNA da cui risultava evidente che Nicola non era il padre genetico di mio figlio; all’obiezione che l’aveva legittimato ed ora ne rispondeva, il mio avvocato mi disse chiaro che ero passibile di condanna per frode continuata, avendo fatto sostenere le spese di mantenimento per il figlio di un altro senza che lui ne avesse il più vago sentore.

La valenza penale dell’illecito era già motivo sufficiente a far sentenziare la separazione per colpa; tentai inutilmente di aggrapparmi a cavilli strampalati; a quel punto le corna e le offese non avevano più nessun peso; quella colpa, da sola, mi schiacciava; Cecere spiegò al collega che, se avessi deciso di oppormi alla separazione, lui avrebbe dovuto rappresentarmi in giudizio; l’altro rispose fuori dai denti che non accettava cause perse in partenza.

Chiesi allora quali fossero le condizioni per una separazione consensuale e, in particolare, quali sarebbero state le conseguenze sugli studi di mio figlio, all’ultimo anno di Economia; la risposta di mio marito mi sommerse in un mare di merda.

“Ho promesso ad Alfredo, tuo figlio che non ha niente a che vedere con me, che lo avrei fatto laureare e gli avrei garantito il posto di lavoro in azienda; non esistono motivi per venire meno ad un impegno preso con un uomo onesto e degno, se lui rispetta i suoi, si laurea nei tempi previsti e fa regolare richiesta.”

“Cosa sarà dell’eredità dei tuoi beni?”

“Lui sarà fuori dall’asse ereditario e anche tu dovrai rinunciare a qualsiasi diritto, per il furto continuato che hai perpetrato.”

“Chi sarà allora il tuo erede?”

“Se vuoi la lite, ti rispondo che il figlio di una qualsiasi prostituta potrebbe andarmi benissimo, visto che il tuo quello è … “

“Non volevo stuzzicarti; mi rendo conto del terremoto che mi sono scatenata addosso; non credo che tu voglia accettarlo, ma sono distrutta dai miei stessi errori; so che non uscirò bene da questo scontro; forse dovrei proprio pensare di farla finita sotto un treno; ma ho ancora un figlio e non è dignitoso lasciarlo solo, adesso che sta perdendo tutto; ti chiedevo sul serio per chi stai costruendo questo impero, adesso che hai dimostrato che non hai più un figlio … “

“Cecere, puoi far entrare gli altri convocati?”

Entrò mio figlio, inconfondibile per il colore dei capelli, con una donna molto affascinante, più o meno della mia età, elegante, raffinata e decisamente ricca, a giudicare dai vestiti e dai gioielli; ebbi un moto di gelosia perché decisamente mi surclassava; con loro, un ragazzo dell’età di mio figlio che mi ricordava molto Nicola quando lo conobbi; il dubbio che immediatamente mi bruciò il cervello trovò una conferma immediata nelle presentazioni che fece mio marito.

“Franca, lei è Marilena, da più di vent’anni mia compagna; il ragazzo è MIO figlio Mario, capisci che è MIO senza ombra di dubbio? Ha la stessa età di Alfredo, frequenta la stessa facoltà, studiano insieme e vivono insieme nel mini appartamento che ho comprato per loro, per tutti e due, mia cara, perché tuo figlio ha il mio imprinting; il seme lo hai preso da quel puttaniere da cui ti fai umiliare da vent’anni, ma il carattere lo ha ‘rubato’ a me perché è stato mio figlio, sempre.

Per questo, non pagherà gli errori di una moglie adultera e indegna; rispetteremo, tutti e due, gli impegni che ci siamo presi reciprocamente; Mario, mio figlio, erediterà il mio patrimonio, ma Alfredo, se vuole, gli starà vicino e saranno amici fedeli più di quanto sia stata tu come moglie … “

“Mamma, che sta succedendo? Che discorsi sono, questi di mio padre? E’ davvero mio padre?”

“Alfredo, ti prego; non qui, non ora; ci sono cose gravi di cui parlare a lungo; ma, se al padrone non disturba, vorrei parlarne a casa, seduti tutti e cinque intorno al tavolo di cucina, senza leggi e avvocati, con la sola umanità di cui possiamo ancora essere capaci ... “

“Papà, per favore, mi spieghi chi è questa signora? Che discorsi sono quelli che fate?”

“Mario, stai zitto un momento; la signora è la moglie legittima di tuo padre; io sono solo la compagna innamorata; Alfredo, che tu conosci come amico e compagno di corso, è giuridicamente loro figlio ma geneticamente non è tuo fratellastro perché la madre lo ha avuto da un altro uomo; sono alla stretta finale; si stanno per sfasciare antiche armonie e forse se ne costruiranno altre nuove; fidati di tuo padre e aspetta che finisca il tunnel.”

“E’ in gamba, la tua donna; è davvero quella giusta per te; io sono stata sempre sbagliata; Cecere, non c’è bisogno di tribunali e di liti giudiziarie; mi fido di te e, più ancora, mi fido di mio marito, ancora per poco immagino; puoi preparare gli incartamenti necessari e guidarci fino all’uscita dal tunnel?”

“Cosa vuoi che faccio della tua richiesta di licenziamento anticipato?”

“Ho capito, troppo tardi, anche questo; è chiaro che non posso più permettermi il lusso di lasciare il lavoro; per quanto misero, il salario mi serve per sopravvivere, adesso … “

“Che diavolerie state dicendo voi due? Possibile che, ogni volta che parlate, fate danni che poi pagherete cari e amari? In pratica, state affermando che il figlio, contando sulla disponibilità del padre putativo, beneficia di tutti i vantaggi della condizione, vive serenamente col fratellastro; io e nostro figlio siamo già sistemati e veniamo a vivere con te; lei, poveraccia, va a fare la fame in un tugurio arrangiato ed è costretta forse a prostituirsi per sopravvivere? Ma sei tutto scemo, amore mio?

La tua ex moglie, che tra l’altro non è ancora ex e può non esserlo fino alla pronuncia del divorzio, per qualche errore commesso, deve essere condannata ad un ergastolo sociale? Alfredo, riusciresti a dormire sapendo che tua madre, alla Caritas, sta elemosinando un posto letto? Riuscite a capire che col salario da operaia generica non avrebbe scampo, dopo essere vissuta nel benessere della famiglia fino a oggi? Volete cercare una soluzione o aspettate che piova dal cielo?”

“Marilena, io la soluzione non ce l’ho; tu hai delle ipotesi?”

“Io vedo le cose molto lineari; d’accordo che io e Mario veniamo a vivere con te; lui ci starà poco perché passa la maggior parte del tempo in città, all’Università; anche io ci passerò poco tempo per badare all’atelier e tu ancor meno, per stare in fabbrica; Franca resta a casa nostra; al massimo, se avessi bisogno di una mano in sartoria, le chiederei un aiuto; in cambio, si occupa della casa, prepara la cena e si occupa dell’ex marito, di suo figlio, del tuo e anche di me, se vuole.

Fai conto di avere un’impiegata in più che ti aiuta in casa e ti consente una maggiore serenità; mantiene i suoi ritmi e le sue abitudini, quelle corrette e lecite beninteso; vuol dire che i fine settimana saranno dedicati ad una famiglia allargata, un padre due madri e due figli; cerchiamo di essere il più armonici e concordi possibile e non sacrifichiamo nessuno; non pensare neanche per un momento alla vendetta perché non te lo perdonerei; recupera l’amicizia; per l’affetto, avrai tempo; che ne dici, capo?”

“Primo, dico che la smettete di chiamarmi padrone o capo; vi odio, se fate così; secondo, hai sentito gli interessati? Ci sta Alfredo a fare il figlio di un padre putativo e a vivere in amicizia fraterna con nostro figlio? E’ disposta Franca a rinunciare ai suoi pruriti per chiudersi in casa a fare la serva di tutti? Per me, la tua ipotesi va bene, specialmente se passa dalla catena di montaggio all’atelier dove ha maggiore autonomia e dignità.

Sarei felice di avere in tavola, la domenica a mezzogiorno, una certa pasta al forno di cui qualcuno ogni tanto si ricorda; non cerco vendette; abbiamo fatto chiarezza, stabiliamo dei ruoli e delle competenze e tutto va bene, anche la famiglia allargata con genitori legittimi ed altri affettivi o come diavolo vuoi tu; ciascuno dica la sua e decidiamo; mi piace la democrazia diretta.”

“Marilena, ma questo vestito elegantissimo è della tua boutique?”

“Si, li disegno io, li faccio realizzare in sartoria e trovo sempre signore pronte a pagarli bene, come meritano … “

“Nicola, non avrei mai potuto reggere il confronto, lo sai! Se ci aggiungi quanto sa essere immediata, determinata e creativa, capisco che è lei la tua donna; non so dirti quanto sarei felice di fare la serva in casa vostra piuttosto che spaccarmi la schiena otto ore per pochi soldi; non te la prendere, sono le norme sindacali, non un cattivo padrone; ci sto; ti chiedo solo di darmi una mano a capire; non pretendo amore o affetto, che ho sprecato e disprezzato; ti chiedo amicizia e aiuto a non sbagliare ancora.

Voglio ricominciare e mi serve l’aiuto dell’unico amico che avevo e che non ho saputo apprezzare; sono disposta a tutto per vivere anche solo di riflesso la vostra armonia, la vostra serenità e il successo di mio figlio; chiunque sia il padre, è mio figlio e lo è anche tuo, affettivamente, perché davvero ha tanti caratteri tuoi che lo rendono ammirevole; voto per la proposta di Marilena e mi impegno a rispettarla.”

“Mamma, bada che solo adesso capisco che avrei dovuto parlare molto con te di certe cose, specialmente negli ultimi anni; il paradosso è che mi sorpresi quando sentii dire di un individuo che non sapeva tenere chiuso il pantalone; a te dovrei suggerire di tenere chiuso ben altro; e non mi vergogno a fartelo capire; cosa hai fatto non mi interessa; se ti stessero condannando all’ergastolo, mi preoccuperei solo di cercare le arance per portartele; ma tu ricorda che devi essere irreprensibile.

Sono convinto anch’io che rimediare è assai meglio che reclamare sangue e vendetta; papà, scusami ma non me la sento di rinunciare a chiamarti papà, qualunque sia il ruolo che la scienza e la legge ti assegnano; aiuta mia madre ad essere più degna della nostra stima, del nostro rispetto; sono felice di sapere che c’è più dell’amicizia scolastica con Mario; sai che arriverò al meglio alla laurea e lavorerò col fratellastro affettivo per mantenere vivo e far crescere quello che hai costruito.

Sono d’accordo totalmente con Marilena e spero che mangeremo tanta pasta al forno, la domenica.”

“Franca, lasciami dire che mia madre è assai più brava di te a piegare l’orso alle sue scelte; ha deciso per la famiglia allargata e l’ha avuta; avrai un ruolo non marginale; mi piace l’idea di avere due mamme e ambedue bellissime; imparerai ad essere anche elegantissima se troverai il tempo per dare una mano nella bottega e sarò felice di assaggiare finalmente la tua mitica pasta al forno; ragazzi, perché non andiamo a casa a sederci intorno al tavolo come proponeva Franca? Ci sono anche i cambi da lavare prima di tornare all’Università … “

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