Colpe

Colpe

Appena varcai l’area del motel, vidi immediatamente l’auto di Ettore, uno degli istruttori della palestra dove da un po’ di tempo mi recavo due volte a settimana per tenermi in forma; poco più di trent’anni, saldo come una quercia, colorito bronzeo, muscolatura da atleta e viso da pirata d’altri tempi, mi aveva colpito sin dal mio ingresso in palestra; in breve, era diventato un amante fisso che incontravo in quel motel e in quella camera; la prenotazione era solo un rituale, tanto eravamo di casa.

Al momento di pagare la 206, la carta di credito fece i capricci e fu rifiutata più volte; dovetti cercare un’altra soluzione, maledicendo in cuor mio quel cornuto di Massimo, mio marito, che forse si era inventato qualche diavoleria per danneggiarmi; mi ripromisi di aggredirlo con molta forza, appena ci fossimo incontrati, e feci ricorso alla banconota di grosso taglio che lui stesso mi aveva caldamente consigliato di portare in uno scomparto segreto del portafoglio.

Effettivamente la sua raccomandazione fu utilissima, per la mia superficialità che fidava ciecamente nelle carte di credito; più volte avevo polemizzato sull’eccessiva pignoleria di lui; come sempre capitava, i fatti gli avevano dato ragione, stavolta contro di lui, vista la causale del pagamento; ma io asserivo con grande convinzione che lui doveva occuparsi di me e delle mie sicurezze, come aveva fatto mio padre fino a che lo avevo conosciuto e come aveva continuato fino a cinque anni prima.

Ci eravamo sposati che avevo solo vent’anni e già aspettavo Carmen, causa prima del matrimonio affrettato; frequentavo la facoltà di lettere ed ero ancora lontana dalla laurea; Massimo, di tre anni più ‘vecchio’, già lavorava e si preparava a una scalata nell’imprenditoria edile in città; mio padre, avvocato di grido, non aveva in simpatia quel ‘muratore’, a suo avviso a caccia di dote; mi obbligò a stipulare un accordo capestro per il regime di divisione dei beni, nel matrimonio.

La mia indole testarda e capricciosa aveva sempre avuto la meglio su mio padre; Massimo fu naturalmente costretto a sostituirlo nel ruolo di guida condiscendente e per una quindicina di anni riuscii a fare la bambina capricciosa che non si nega niente e ottiene quello che vuole; pochi mesi dopo il matrimonio, mio marito ‘esplose’ con la sua istintiva abilità negli affari e mi consentì un tenore di vita alto e invidiabile, al quale corrisposi con la solita frivolezza capricciosa.

Tra le tante volubili decisioni ci fu, ad esempio, quella di lavorare ad ogni costo; dopo solo una settimana, decisi che non facevano per me l’orario rigido, il ruolo di segretaria di uno studio legale ed uno stipendio che sarebbe servito solo a comprare qualche perizoma che, come avrei sperimentato dopo, un amante un po’ più acceso strappava di colpo irrecuperabilmente; la laurea, che conseguii con molti stenti, fu appesa e non presi mai in considerazione l’ipotesi del precariato per insegnare.

La mia vita, soprattutto da sposata, fu un eden di capricci; senza il controllo paterno e potendo aggirare mio marito con qualche bella copula, mi sfrenai ad esercitare una sorta di ‘libertinaggio sociale’ per cui non mi privavo di nessun desiderio, voglia o esperienza; l’unico dato a mio vantaggio era che il bigottismo, ereditato in famiglia ma rigettato dopo l’incontro con Massimo e la maternità imprevista, persisteva ad impormi il ruolo di moglie fedele e premurosa.

L’acceso ardore di mio marito e una gran bella dotazione sessuale mi spinsero rapidamente ad abbattere dubbi e pregiudizi e ad addentrarmi, spesso impreparata, in territori assai difficili e movimentati come il sesso; nei primi anni di matrimonio, ci sottoponemmo a sedute straordinarie di copule e di amorose sessioni; quando si ruppe l’equilibrio e mi lanciai capricciosamente nell’adulterio, gli insegnamenti valsero a farmi commettere le peggiori oscenità.

Non sapevo e non avrei saputo mai quando e come fosse iniziata la frana; forse non era stata estraneo neanche lo sviluppo umano di nostra figlia Carmen, che per mio marito era stato un territorio da esplorare continuamente per essere in grado di corrispondere al delicato ruolo di genitore; per me era stata la noiosa incombenza di provvedere a una figlia che amavo, ma che mi tarpava le ali del desiderio e della gioia di vivere.

Non lo dicevo neppure a me stessa, ma probabilmente giocava anche una forma di gelosia perché vedevo dedicate a mia figlia le energie che sempre Massimo aveva speso per me; comunque, il fuoco centrale del mio progressivo allontanamento fu la convinzione, assurda ma senza che lo riconoscessi mai, che si dedicava troppo al lavoro e mi privava di quelle moine che avevano fatto di me la ‘sua’ bambina capricciosa ma tanto amata.

L’idea che la sua attività venisse prima della mia felicità mi tormentò a lungo, forse scavò dentro e mi allontanò da lui e da mia figlia, definitivamente; il corteggiamento rappresentò, quasi di necessità, lo spazio alternativo nel quale manifestare il mio esibizionismo, il narcisismo e la gioia di apparire sotto i riflettori; sulla mia convinzione di avere dritto a tutte le attenzioni di mio marito che me ne privava, l’adulazione dei cicisbei alla bella svampita agì come una droga.

Finché saltai il fosso e accettai le avances di un conoscente; l’atteggiamento sereno e disinvolto di Massimo, assolutamente incapace di considerarmi possibile adultera, mi indispose ancora di più; stabilii che, se non si fosse piegato a chiedermi perdono e ad implorare l’amore che prima gli concedevo con larghezza e disinvoltura, avrei distribuito quello stesso amore a chi mi faceva sentire regina celebrando la mia bellezza ed eleganza.

Non ebbi contatti fisici con lui per mesi; sapendo che era abituato a possedermi fino a tre volte al giorno, avrei per lo meno dovuto chiedermi dove andava a scaricare quelle energie sessuali, mentali e fisiche; avrei dovuto temere che avesse scelto un’altra referente; ma, nella mia ottusità, mi dicevo che per lui contavano solo il lavoro e sua figlia; poiché gli era chiaro che, in caso di rottura, avrei chiesto a mio padre di ribaltare il mondo per farmela tenere a danno di mio marito, non mi avrebbe lasciata.

Neppure mi veniva in mente che, in quel momento, Carmen aveva quindici anni, era una ragazza molto vivace e spigliata, senza dubbio in grado di capire quel che succedeva; durante il mio ‘quinquennio trionfale’ diventò maggiorenne, andò all’Università e trovò al fianco un padre adorante che, quando avanzò l’ipotesi di andare a vivere da sola, si limitò a spendere una fortuna per darle un appartamento in cui isolarsi, pur restando legata a noi ed alla sua borsa.

La scelta di aggredire Massimo con forza, di metterlo all’angolo e di imporgli il mio libertinaggio, che etichettavo come libertà, mi spinsero a percorrere assai velocemente il baratro che mi portava all’immoralità, civile e sociale prima che etica; il primo amante fu il banco di prova per un esercizio più vasto e intenso che mi fece percorre tutti i gironi infernali del sesso brutale, senza regole e senza limiti, fatto di incontri aggressivi per la violenza in se.

Quello di quel pomeriggio era esattamente in linea con le mie fredde determinazioni; Ettore era l’ultimo squallido personaggio di una galleria di ectoplasmi che mi servivano a rinfocolare l’odio per un uomo che non aveva nessuna colpa, se non quella di avere concesso ad una ragazzina puntigliosa di mantenere i capricci come sistema di vita anche alla soglia dei quarant’anni e con una figlia ormai donna.

Ero esasperata contro mio marito, che probabilmente non c’entrava niente con le disfunzioni della carta di credito o della macchinetta del motel, forse guasta; nella mia ottusa ’carica ad ogni costo’ contro Massimo, lui era responsabile anche della mia distrazione, se non avevo fatto benzina o non avevo comprato qualcosa; ormai, la guerra c’era, anche se solo nella mia testa; salire le scale per andare in camera col mio montone era un game della partita che giocavo senza avversari.

Anche per questo, mettevo molto temperamento in quelle sedute di copula; Ettore, dopo una lunga frequentazione, lo sapeva bene ed aveva scoperto quasi tutti i punti di forza e quelli più deboli della mia capacità di esprimere passione; non aveva dovuto faticare molto a riconoscere il mio esibizionismo narcisista; e non perdeva occasione per sollecitarlo in tutti i modi; quel pomeriggio avevo fatto in modo che a coprirmi fosse solo un abito leggero, con le spalline.

Quasi casto, all’apparenza, scivolava ai miei piedi con la velocità e il fruscio della seta; il particolare piccante era che, sotto, non indossavo niente; spostate le spalline, rimanevo nuda solo con un paio di sandali color argento e, in piena evidenza, la bellezza non comune del seno prorompente, una quinta taglia, con le aureole ben delineate e i capezzoli già duri e in attesa di un ottimo succhiatore; Ettore, lo avevo sperimentato, era un grande ammiratore delle mammelle.

Appena chiusa la porta della camera dietro le nostre spalle, mi fermai dietro di lui e lasciai cadere a terra il vestito; quando si girò e mi ammirò in tutta la mia bellezza, benché conoscesse ormai a menadito tutto il mio corpo, si fermò per un attimo come abbagliato dalla mia bellezza; il ‘wow’ che lanciò a commento, mentre mi avvolgeva nel bacio più appassionato e protettivo che ricordassi, mi colmò di orgoglio e gratificò la mia scelta trasgressiva.

L’unica giustificazione che avesse qualche fondamento, per il mio comportamento, era proprio l’insoddisfazione che mi aveva provocato il calo di interesse in mio marito per i particolari della mia bellezza; avrei voluto che si rendesse conto che, con l’avanzare dell’età, i dubbi e le paure erano sempre più presenti; sentirmi ammirata, desiderata, coccolata, amata, poteva rinsaldare la mia autostima; invece la sua distrazione per portare l’interesse verso il lavoro e verso nostra figlia mi deprimeva.

Sentii le mani forti di Ettore percorrere la schiena, dalle spalle alle natiche, che strinse e forzò verso l’esterno per mettere in luce l’ano e infilarci un dito mentre la verga si strusciava contro la vulva, col solo velario dei pantaloni leggeri; cominciai a spogliarlo e mi fermai incantata a guardare il torace muscoloso e i capezzoli quasi più duri dei miei; mi abbassai a succhiarli, mentre lui si sfilava gli abiti e si proponeva nudo in tutta la sua enorme virilità.

Mi accosciai vogliosa a terra e portai la mazza sul viso; lo copriva tutto, dal mento alla fronte; lo massaggiavo con una mano mentre lambivo tutta l’asta con lingua vogliosa; sul meato raccolsi devotamente un accenno di preorgasmo, strinsi le labbra e spinsi il batacchio in bocca; mi facevo sverginare in una boccuccia da adolescente, a cuoricino, per fargli sentire la dolcezza delle labbra su tutta la barra; lentamente lo portai fino in gola, accompagnandolo con la lingua.

Avviai la fellazione più dolce che potevo; ogni tanto succhiavo disperata per sentire l‘asta gonfiarsi e occupare gli spazi; lui a volte copulava in gola con forza facendomi salivare intensamente e quasi soffocare per la spinta troppo oltre l’ugola; colavo come una fontana e infilai due dita in vulva per tormentare il clitoride e procurarmi continui orgasmi; momenti di appassionata sosta, per godermi in bocca il piacere della sua carne, mi esaltavano di libidine.

Dopo una lunga carezza della bocca sul fallo, Ettore decise di cambiare registro; mi accompagnò, spingendomi per le natiche, verso il letto e mi fece stendere supina sul bordo, con le palme dei piedi sul pavimento; sollevò le cosce fino a far poggiare i talloni sul lenzuolo, divaricò le ginocchia e si piegò con la testa sul ventre; conoscevo la sua grande abilità nel cunnilinguo e il ventre si contrasse istintivamente, in attesa del piacere che mi avrebbe dato la lingua in vagina o nell’ano.

Il percorso della leccata cominciò dalle ginocchia, lungo l’interno coscia, e raggiunse presto le grandi labbra, prima a destra poi a sinistra; mi limitavo a fibrillare, a gemere, a balbettare versi improponibili e a godere senza limiti; la vocina che, come sempre, mi ricordava dentro che non c’era amore, solo passione da bestie, in quel rapporto, venne per fortuna soffocata dal primo grosso orgasmo quando la lingua si mosse dalle grandi alle piccole labbra.

Ero molto sensibile alle leccate e ai succhioni sul clitoride; quando la lingua aprì la corolla delle piccole labbra e il piccolo organo fu risucchiato in bocca, brividi intensi e feroci mi percorsero il corpo, dalla vulva al cervello; mi abbandonai al languore e per un attimo persi il senso delle cose; afferrai per istinto la testa e lo guidai a succhiarmi e leccarmi fino ad un orgasmo mai provato prima; caddi in deliquio sul letto.

Salì in ginocchio sopra di me e si appoggiò sullo stomaco, adagiando il fallo tra i seni; presi i globi e li strinsi intorno all’asta; prese a copularmi tra i seni con goduria; sollevai la testa, presi la mazza e portai la punta alla bocca; mi montava tra i seni e lo succhiavo nello stesso momento; lo spostai, mi spinsi verso il centro del letto e o ripresi a cavalcioni su di me; mi organizzai perché il batacchio fosse comodamente tra le mammelle e la cappella in bocca; mi implorò di non farlo godere troppo presto.

Dopo aver copulato un tempo con il seno e con la bocca, mi fece sistemare carponi, venne dietro di me e mi deliziò con la lingua tra vagina e ano in mille percorsi diversi; mi sentivo adorata mentre la sua lingua cercava tutti i piccoli punti erogeni tra vulva e sedere; sentii che si inginocchiava ad appoggiare il fallo alla vagina; mi impalò con un solo colpo che mi mandò sbattere con la testa sul cuscino; gemetti di piacere e lui cominciò la cavalcata.

Quella monta, che era tra le mie preferite, durò un tempo lunghissimo e lui fece ricorso a tutta la sua conoscenza e abilità per farmi sentire il sesso profondamente fino all’utero; stendendosi sulla mia schiena, mi afferrò le mammelle da dietro e le usò non solo per stimolarmi ma anche per aiutare la spinta con cui mi possedeva completamente; la vagina, ormai ridotta a traforo, riusciva a malapena a sentire la mazza che stimolava l’utero con violenza.

La monta a pecorina non si risolse con gli orgasmi violenti miei e con quelli suoi soffocati sempre all’ultimo momento per far durare a lungo la cavalcata; quando si rese conto che forse la vagina ne aveva abbastanza, prese il tubo del gel con gesti ormai sicuri, lubrificò l’ano e il randello e lo spinse; neanche lo sfintere ebbe problemi a far passare lo spessore di una lattina, a cui si era da tempo abituato; mi scappò di dire, ma per pentirmene immediatamente dopo.

“Questa la dedichiamo al cornuto!”

Non potevo sapere che entro poche ore mi sarei trovata a fare discorsi diametralmente opposti; quel che mi interessava, al momento, era godere quanto potevo di quella copula indescrivibile che comunque riduceva il mio corpo a dominio totale di un maschio alfa che mi cavalcava come una giumenta e mi trattava come una bambola di gomma; il cavaliere servizievole e adoratore era solo nella mia immaginazione; ma non avrei ammesso un errore nemmeno sotto tortura.

Dopo alcune ore di monta selvaggia, scendemmo dalla camera abbastanza provati dall’intensità dell’incontro, anche se la trousse del trucco mi aveva assistito abbastanza nel mascheramento dei danni visibili; Ettore filò via con la sua auto ed io feci ritorno in città con qualche prudenza, per la mole del macchinone di Massimo che non mi piaceva molto guidare; ad un parcheggio annesso al centro commerciale alle porte della città feci una breve sosta per riassestarmi.

Riaccesi il telefonino che avevo spento alla partenza perché già una volta ero sfuggita per caso ad un controllo di Massimo del percorso sul GPS del telefonino; da allora, per tutto il tempo della copula, preferivo risultare irraggiungibile; venni letteralmente aggredita dalle notifiche di chiamate senza risposta e dai messaggi in segreteria di Carmen; la richiamai immediatamente e l’aggredii per la foga delle notifiche.

“Sentimi bene, lurida imbecille, troia sguaiata e prostituta; me ne sbatto se vai a farti montare in tutte le parti del mondo; non voglio sapere chi ti usa come lo straccio da cucina; sta per esplodere un tempesta che ti distruggerà e tu stai a spalancare le cosce come una prostituta; vieni immediatamente a casa tua, se vuoi salvare qualcosa dalla distruzione. Mi hai capito, deficiente?????”

Non aveva mai usato un linguaggio del genere, mia figlia, che denunciava spietatamente di conoscere la nostra situazione e, forse, di soffrirla; il tenore della comunicazione, anche confusa, mi stordì; qualcosa doveva essere successo di assai grave, dal tono della voce e dal vocabolario incontrollato di una donna sempre corretta e rispettosa; spinsi quanto potevo l’auto e tornai a casa in pochi minuti; mi precipitai dentro e mi venne incontro mia figlia.

“Carmen, che cosa è successo?”

“Cerca di capire bene la lettera e il senso di quello che ti dico; è stato emesso un mandato di arresto per mio padre e di sequestro per i suoi beni; pare che sia accusato di bancarotta fraudolenta; per lui, c’è un mandato d’arresto; per i suoi beni, l’ordine di sequestro; tutto quello che è in questa casa è suo; possono sequestrare e mettere all’asta tutto quello che fa parte del patrimonio.

Prima che arrivi l’ufficiale giudiziario, raccogli in una valigia i denari, i preziosi, i titoli e i documenti che è meglio far sparire; per la casa e per i mobili, non c’è niente da fare; non consegnare la valigia a un parente, perché possono comunque sequestrarla; depositala presso un vicino; poi, calmate le acque, la recuperi e cerchi di riutilizzarne il valore; hai un po’ di tempo perché per ora sono a casa mia; anche quella è perduta.”

“E quell’idiota di tuo padre dove sta?”

“Qui di idiota ce n’è una sola e sei tu, che vai a farti sbattere senza prenderti cura neppure della tua vita; mio padre se ne sta da qualche parte, forse in Svizzera, ad aspettare che si calmino le acque; possibile che non capisci che questa è la sua reazione contro di te? Ha pazientato finché ha potuto; poi è scattato ed ha scelto la strada più contorta per fartela pagare.”

“Che intendi dire?”

“Vuoi fare salotto? Vuoi anche che ti procuri un maschio che ti sollazzi? Ti ho detto che devi prendere tutto quello che c’è in cassaforte, tutti i gioielli, i preziosi e i documenti, prima che ti mettano i sigilli; per capire quanto sei imbecille, se mai ti riuscisse di capire qualcosa, avrai tempo dopo.”

“Per favore, smettila di trattarmi da mongoloide … puoi anche parlare mentre faccio quel che dici … Che è successo?”

“Papà sa da anni che sei una lurida troia; ti sei fatta sbattere dai maschi di mezza città; hai pagato alberghi e ristoranti, per te e per i tuoi amanti, con la carta di credito di tuo marito; devo ricordartelo io che tu e tuo padre avete imposto il regime dei beni separati? Tu hai pagato i tuoi sollazzi coi soldi di tuo marito; se presenta quelle ricevute in tribunale, vai in galera per furto continuato.”

“Non posso usare la carta di credito di mio marito?”

“Primo, la puoi usare solo se lui ti autorizza; nessuno crederebbe che possa averti autorizzato a pagare coi suoi soldi le corna che gli fai; secondo, hai voluto tu il regime dei beni separati; la laurea in lettere ti dovrebbe consentire almeno di capire che i suoi soldi non sono tuoi; non è tuo tutto quello che ha pagato lui, la casa, la macchina, i gioielli, tutto.”

“Per favore, non salire sul pulpito a fare Savonarola; ho molte colpe; ripeterlo è solo un modo per farmi male; me ne sta facendo già molto tuo padre, a quanto capisco. Mi spieghi perché sarebbe colpa mia questo sequestro?”

“Tu non sei stupida; tu ti rifiuti di capire, di prendere atto; tu hai mortificato, offeso, umiliato, massacrato tuo marito per cinque anni, per quello che ricordo, se non sono anche di più; lui si è stancato e ha deciso di farla finita, con te, con questa città, con questo Paese; l’odio per te lo ha portato a distruggere il lavoro di una vita intera; riesci a capire che ha sgobbato come un mulo per realizzare l’azienda che rappresenta tutta la sua vita?

Doveva essere la base della vostra unione e la garanzia per il mio futuro; per andarsene via da te, il più lontano possibile dalle tue offese, dai tuoi tradimenti, dalle tue angherie, ha capito che doveva chiudere l‘azienda e trasferirsi altrove; se vendeva semplicemente, rimaneva con un pugno di mosche e gettava al vento anni di lavoro; ha scelto un’operazione complessa ma giusta, sacrificando se stesso ma salvando il futuro.”

“Non riesco a seguirti … “

“Papà se ne va dall’Italia, inseguito da un mandato di cattura internazionale, perché ne ha fin sopra i capelli di te e delle tue moine capricciose; ma non se ne va da solo; qualcuno ha scelto di dividere la sua sorte; sai che ‘consorte’ significa proprio che si ha la stessa sorte? Tu non ti sei mai sognata di condividere la sua sorte; tu hai voluto fare la parassita e la capricciosa; la donna che ha accettato di essere una ricercata internazionale come lui gli è legata da amore e lealtà.

Se ti interessa, hanno un figlio di quattro anni, un bimbo meraviglioso, il mio fratellino, non fratellastro perché è solo dolcezza senza offesa per nessuno; hanno scelto di andare altrove a costruire l’avvenire del loro figlio; non chiedermi dove sia perché non lo so e non lo direi neanche sotto tortura; ha studiato bene la lezione, il mio meraviglioso papà.

Ha spostato l’attività nel paese di destinazione forse in Sud America o nei Balcani; ha mandato là i macchinari importanti; ha fatto ordinativi milionari da utilizzare nella nuova azienda; poi ha dichiarato il fallimento dell’impresa; sulla tua coscienza pesano ora anche una ventina di lavoratori che si trovano disoccupati perché i pruriti della tua vagina hanno scatenato l’inferno nel cuore e nella testa del marito cornuto; non cercare di obiettare; sono i fatti che dicono che sei partita in quarta e ti sei scontrata.”

“Le scelte le ha fatte lui; io ho fatto le mie ... “

“E’ vero; tu hai fatto sempre le scelte e adesso continui a farle; parassita, prostituta, imbecille, vigliacca, stolta quante cose sei, mammina cara; adesso potrai caricare sul groppone del tuo cornuto anche la fame che farai o la prostituzione se ci sarai costretta, senza casa, senza lavoro, senza reddito. Prova a parlarne con tuo padre; gli racconterò io i particolari; non hai scelta, il bordello o la casa dei tuoi.

Ce l’hai un amante che ti voglia mantenere nel lusso a cui sei abituata? Ce l’hai un uomo che ti ami e che ti accetti cancellando la sporcizia di cui ti sei riempita in città? Chi potrebbe amarti per avere in cambio quella vagina dove tutti hanno sguazzato gratis, tanto pagava il cornuto? Hai davvero il coraggio di negare ogni responsabilità?”

“Sei brava, a tirare fuori le verità, proprio come tuo padre o come il mio che per trent’anni mi hanno tenuto nella bambagia, poi hanno deciso che dovevo fare da sola e hanno lasciato che perdessi il senso della realtà; sono colpevole; e lo sono ancora di più perché so che non avrei cambiato vita se me lo avesse chiesto l’uomo che amavo e amo al di sopra di ogni cosa; sono la bambina coi sogni che non ha voluto guardare la realtà.

Ora che la vedo, inorridisco, per quello che ho fatto ma anche per quello che l’uomo che amo fa a me, per vendetta; bastava che accennasse a parlare; forse è vero che avrei risposto male; forse lo avrei messo in condizione di ammazzarmi con le sue mani; ma non ci ha provato nemmeno; non sono la sola vigliacca, in questa sporca storia; sono però l’unica disarmata.

Hai detto che ha una ‘consorte’ e un figlio; so che non l’ha potuta sposare e che forse neppure la sposerà; ma hanno il figlio che amano; io forse sono stata addirittura gelosa di te; ho odiato tuo padre perché amava te più di me, in pratica; è follia, ma c’è anche la follia, in questa storia; è la follia dell’amore, quando è cominciata tra due ragazzi che mettono al mondo una figlia senza essere abbastanza cresciuti.

E’ la follia del sesso che mi ha ubriacato e non mi ha fatto capire niente; visto che ti piace l’analisi dei termini, io sono ninfomane, che fa rima con cocainomane ed eroinomane; ed è simile anche nel senso che è la schiavitù a una droga, il sesso; grazie mille a te e a tuo padre che avete messo alla sbarra una colpevole invece di curare una malata; io ho scaricato tutte le colpe su Massimo, ma solo quelle che si riferivano al nostro ambito stretto.

Tu invece riesci a tirare dentro il ministero di giustizia, quello del lavoro e quello dei rapporti internazionali; le mie colpe riguardano lavoratori licenziati, fabbriche delocalizzate, evasione fiscale, tutto lo scibile umano; confesso di essere colpevole; ho offeso, umiliato, sfruttato parassitariamente, ignorato i principi elementari del matrimonio; quante altre colpe vuoi aggiungere?

Io pagherò con la prostituzione, come hai avuto la grazia di pronosticare; tuo padre come paga? Con l’esilio dorato accanto ad una ‘consorte’ fatta sul modello che preferisce con un figlio da coccolare come ha fatto con te? Compragli l’aureola, se vuoi; per me basta il camion della spazzatura, neanche differenziata; se tuo padre ti prende con se, forse posso gettarmi sotto un treno; ma ho la pretesa di poter essere ancora una madre sufficiente per te; non ti lascio.”

“Vorrei ricordarti semplicemente che chi ha travisato la realtà sei stata tu; ti voglio bene perché sei mia madre e lo resteresti anche se fossi più lercia di quanto oggettivamente sei; se riusciamo ad uscire dal mondo delle recriminazioni sul passato, possiamo anche cercare qualche prospettiva; ma ne vedo poche; nei prossimi giorni dovrai lottare per farti garantire almeno l’uso della casa e di alcuni mobili per sopravvivere; so che ci sono norme severissime sui sequestri e spero che potrai reggere.

Ma non hai un reddito; forse qualcosa puoi temporeggiare vendendo i beni recuperati clandestinamente ma sarebbe comunque un temporeggiare assai provvisorio; sarebbe bello se qualcuno dei tuoi amanti, specie quelli più abbienti e privi di famiglia classica, potesse accettare di mantenerti come amante fissa; ma l’idea di tenersi in casa, come compagna, una che ha avuto troppi compagni occasionali farebbe scappare chiunque, tranne tuo marito che non lo ha fatto finora.

Solo la tua famiglia può forse ospitarci, ma sai bene quali restrizioni ti costerebbe; non si tratterebbe solo di rinunciare alla vita di stravizi che hai condotto finora; io forse potrei ancora andare bene ai nonni; ma i tuoi genitori credo che ti imporrebbero tunica, cilicio e cintura di castità; per i loro parametri di vita, sei solo da condannare al rogo; distrutta la famiglia costruita, ti resta solo quella di origine; e intanto sei obbligata a trovare un lavoro per sopravvivere.

Non scherzavo affatto, quando ti pronosticavo un’attività da prostituta come unica via di uscita; ma sei oggettivamente vecchia per quella professione e non credo che guadagneresti abbastanza da garantirci la sopravvivenza; vorrei potere avere il cilindro da cui tirare fuori la soluzione, ma non esiste e sono davvero preoccupata, anche per i miei studi che dovrò forse interrompere; non so se sia il caso di chiedertelo; tu hai qualche ipotesi?”

“La ragazzina capricciosa e imbecille che ho alimentato, sostenuto e difeso, in questi casi si piantava in mezzo alla stanza ed esigeva, da suo padre prima, e da suo marito poi, che le offrissero sul vassoio d’argento la soluzione; non ho mai assunto responsabilità e mi terrorizza la sola idea di doverlo fare adesso; solo a Massimo, anche nei momenti di estrema frizione, ho ‘imposto’, che stupida che ero!, di scegliere per me la soluzione adatta; vorrei poter chiedere a lui … “

“Tu devi farti vedere da un buon psichiatra; non avevo mai neppure immaginato che fossi a questo punto di sinecura; però mio padre non c’è più e dobbiamo essere noi a decidere.”

Stavo piangendo irrefrenabilmente; la coscienza delle colpe, di entrambi, degli errori, di tutti, l’orizzonte chiuso e nero mi buttarono giù; di colpo desiderai morire; Carmen mi abbracciò con forza e cercò di infondermi coraggio; ma forse fu la mia solita buona sorte che mi aiutò ad uscire dal cul de sac in cui mi ero decisamente chiusa io stessa; lo fece con una telefonata strana.

“Ciao papà; dove sei? … Va bene, non dirmelo; sono qui con mamma e stiamo versando le lacrime del coccodrillo … sì, mamma è disperata perché pare che la sua vita l’abbia diretta sempre tu … ok va bene, non per i tradimenti e per le copule, ma anche su quello dovresti fare qualche considerazione diversa, per esempio che è mancata la sberla giusta quando ci voleva; adesso si tratta solo di salvare il salvabile, prima di tutto i miei studi; mi terrorizza l’idea di abbandonare in rettilineo d’arrivo.”

“Carmen, non intendo abbandonarti al destino; nemmeno tua madre per quanto rancore possa covare contro di lei; ho già recitato il mea culpa per la mancanza di decisione in certi momenti topici, da cui è nato il deterioramento di una vita, non solo dei rapporti interpersonali con tua madre. Io sarò presto inseguito da un mandato internazionale di arresto; poiché sono reati solo amministrativi, alcuni paesi non concedono estradizione.

La prima cosa è salvare la pelle; il mio amico Giovanni, l’avvocato, sa tutto di un negozio di abbigliamento, in piazza; lo amministra lui e abbiamo coperto la proprietà con nomi fittizi; tua madre ha il talento per fare quel lavoro e ricavarci da vivere; in via provvisoria, ci trovate anche alloggio, nel retro, accanto al magazzino; Giovanni è in grado di farti avere quanto ti serva, se tua madre saprà chiudere i buchi nelle mani; i tuoi studi sono garantiti da una finanziaria.

Non so se e quando potrò rivederti; passata la buriana, la Svizzera rende possibile a me di muovermi e a te di raggiungere Lugano in poche ore d’auto; non avrei voluto arrivare a tanto; ma so che qualche colpa ce l’ho, se ci siamo arrivati; si può solo sperare che col tempo le cose migliorino e si possa tornare ad abbracciarci. Salutami tua madre e augurale buona fortuna.”

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