Come ho conosciuto mio marito – Il prezzo della verità (1 gennaio)

  • Scritto da Lizbeth il 31/12/2025 - 10:59
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Quest’opera è di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi sono frutto dell’immaginazione dell’autore o usati in modo fittizio.


 

Sara si lanciò nei vicoli bui di Cortina, indossava solo il vestito strappato e il giaccone rubato, dopo quello che aveva subito, dopo quello che aveva fatto, il freddo era il suo ultimo dei problemi. Si vergognava di sé stessa, non vedeva neppure dove andava, pensava al volto di Andrea. La madre peggiore del mondo. Ora le serviva solo quello che quelle strade potevano donarle: la solitudine.

Improvvisamente si ritrovò davanti Marco, da dove spuntava, l'aveva seguita. Aveva il sorriso di trionfo incorniciato sul volto. Nonostante avesse tolto la maschera rimaneva Lucifero. Le lanciò le mutandine sulla neve. “ti sei dimenticata la tua vergogna” guardò il vestito sporco “vedo che porti in giro il seme di tuo figlio con orgoglio”.

Sara si scagliò su di lui, lo voleva uccidere “Sei un lurido bastardo! Ti distruggo!”. Marco la afferrò per i polsi, bloccandola con il muro di una casa “Ora mi ascolti cara, ti ho mentito, non l'ho fatto per denaro, ma per te. Per il bullismo che esercitavi a scuola su di me e su altri, che non ritenevi all'altezza della tua fama. Volevo vederti strisciare. Sono stato io a farti perdere il lavoro, ho dato una mazzetta al tuo ultimo datore, ti ho seguito in ogni passo patetico e ho pagato Eleonora Sarti, solo per sedurre tuo figlio, non puoi immaginare la mia fatica a trovare una donna che ti assomigliasse. E ho pagato te per fare sesso con tuo figlio” si mise a ridere.

Quelle parole diedero una forza inaspettata a Sara. Si divincolò con furia di un animale in trappola, lo schiaffeggiò e, sentendo la presa allentarsi, scappò via disperata.

Marco non si mosse per un attimo, la guardò correre in modo scoordinato per via dei tacchi “Non scappi da me, Sara, mi devi chiedere scusa” Iniziò a inseguirla, era calmo, quasi eccitato dalla sua fuga. Sara correva, i suoi tacchi alti che battevano sul ghiaccio e sulla neve sporca. Ogni tanto si voltava e vedeva che lui le camminava dietro senza fretta, come se sapesse dove stesse andando e che l'avrebbe raggiunta in qualsiasi modo. Non conosceva le strade e, spinta dal panico, si ritrovò a correre lungo la Via del Parco, in direzione del torrente.

Una volta raggiunto il Ponte di Crignes lei non sapeva dove andare, vide un piccolo sentiero. Iniziò a scendere ma scivolò subito e si ritrovò in riva al torrente con il culo sulla neve, sulla pista ciclabile. Si guardò intorno, vide un riparo sotto al ponte e corse sotto, tra due colonne che lo sostenevano. Si mise spalle contro una di esse, ansimava sia per la paura, sia per la corsa. Si guardò intorno.

Lì, sotto l'ombra umida e massiccia del cavalcavia. Il luogo era completamente invisibile a chiunque passasse sulla strada o sulla pista ciclabile. Si mise spalle contro una di esse, ansimava sia per la paura, sia per la corsa.

Improvvisamente una mano afferrò il suo polso sinistro, si girò impaurita, eccolo lì. Lui si mise davanti a lui, le due facce erano a pochi centimetri l'una dall'altra. Sentiva il suo fiato addosso a lei. Il suo vapore acqueo.

“Finché non mi chiederai scusa, non ti lascerò andare” sorrise “cazzo Sara ti ho dato ben 100000 euro, me lo merito”. Marco la teneva salda, usando il suo corpo come barriera. Il silenzio invase il posto, il torrente era praticamente gelato, non si sentiva un'anima viva, neppure macchine che passavano di lì. Rimasero a guardarsi.

Poi Sara ebbe un impeto sorprendente, allungò il viso, afferrò le labbra di lui, le morse e tirò allungo la labbra superiore e poi gli sputò addosso.

“Guarda che cagnetta è diventata la nostra Sara”. L'afferrò per i fianchi e la spinse brutalmente contro il cemento della colonna e cercò di baciarla. In fondo era quello che desiderava da una settimana a questa parte. Lei lo respinse, lo colpiva, lo graffiava e urlava, ma era inutile, lui la teneva prigioniera. La rabbia di Sara era un misto tra disperazione ed eccitazione. “Combatti Sara, mi piace quando lo fai, mi eccita” e lei poté vedere i suoi pantaloni gonfiarsi. Lui gli strappò il giaccone d'addosso e le mise la faccia tra le tette. Lei le prendeva il volto a pugni, ma non gli faceva nulla. I corpi a contatto. Scattò qualcosa tra di loro. Sara lo spinse via un attimo, lui la guardò, e lei lo baciò d'istinto. Penetrò la sua bocca con la sua lingua. Cosa stava succedendo. Poi lo spostò di getto “Vattene! Sei Malato, non toccarmi più”.

“A me sembra che quella che mi hai toccato sei tu”. Detto questo Marco si avvicinò di nuovo, mise la mano sul bordo del vestito, non riscontrò avversione e lo sollevò. “Non ho ancora capito se sei una pervertita, o solo una donna sola” gli accarezzò la passera con due dita.

Lei si lasciò fare, ansimava con gli occhi spalancati davanti a lui. Allungò la mano pure lei in cerca del suo membro. Trovò la lampo dei pantaloni, l'abbassò con fatica, infilò la mano curiosa e trovò la sua asta. L'accarezzò, sentì quel turgido cazzo con le sue dita, lo estrasse e si inchinò.

L'osservò, voleva rifiutarsi, voleva andarsene, si sbagliava, quella settimana aveva cambiato i suoi sentimenti, quell'uomo aveva fatto uscire un lato assopito della sua mente. Si infilò quel cazzo nella bocca. Lo sentì bestemmiare, aveva fatto centro, la sua lingua assaggiava la sua cappella. Il suo cazzo si ergeva con una gloriosa lama, se lo infilò dentro la bocca, la soffocò, sembrava infinito. Lui gli tirò i capelli “non hai capito qui comando io” la spinse contro la colonna fredda. Sara urlò contro quel cemento freddo che si trasformò in un lamento gutturale, appena lui la penetrò con tutta la sua violenza.

La testa di Sara si liberò di tutti i pensieri “Si! Più forte! Ora sei mio! Quando facevo sesso con mio figlio pensavo solo a te!, sono una baldracca che prende quello che si merita”. Marco, in preda a un furore incontrollato, continuava a penetrarla lì in piedi, mentre intorno era tutto freddo e silenzioso. I suoi capelli erano tra le sue dita, la sua bocca le succhiava il seno con ferocia.

Se non fosse un atto consensuale, dall'esterno sembrava una aggressione sessuale in piena regola. Sembrava che si odiassero, ma dentro di loro sapeva che era esattamente il contrario. Lei si aggrappò a lui con le gambe, voleva soffrire aveva bisogno di dimenticare suo figlio “Ti prego non voglio che il mio ultimo orgasmo sia merito di mio figlio”.

Lui la guardò di nuovo. Sorrise “ho visto che hai il culo sporco di sborra, lurida troia hai dato il culo a tuo figlio, ti rendi conto?”. Lei non rispose, come si fa a rispondere alla verità. La sollevò, la girò. Le schiaffeggiò violentemente il culo, poi le accarezzò l'ano, le mise le dita in bocca “Assaggia tuo figlio” lei obbedì, ormai completamente presa, era andata, ecco perché non era mai stata felice con suo marito, lui era troppo romantico.

La penetrazione anale fu immediata, furiosa e senza pietà. Dalla furia Sara sbatté il viso contro il cemento. Lui non usava carezze, solo rabbia. Affondava con spinte brevi e violente. Sembrava che la stesse punendo per tutta la sofferenza provata. Sara gemeva di dolore e piacere “continua stronzo, non sono fatta di piuma, insisti sfondami” quelle parole furono fatali, lui accelerò ancora di più facendo sobbalzare la donna e sollevandola da terra.

Marco con la mano libera iniziò ad accarezzarle la passera, il suo clitoride nudo le pulsava tra le dita. La penetrò con due. Lei sentì le sue dita gelide entrare. La mente di Sara era in cortocircuito, amava il dolore ormai l'aveva capito. Poi improvvisamente il suo corpo ricevette una scossa elettrica e la sua schiena si inarcò violentemente verso il cielo, in un arco disperato. I tacchi scivolarono sulla ghiaia. Venne di getto, un urlo quasi soffocato, si dimenticò di respirare per qualche secondo.

Marco non si fermò. La vide, il suo respiro sembrava tornare normale, ma le sue spinte continuarono. Era eccitato e vittorioso. Toccava a lui a godere e riempire di sperma quella donna. Con un ruggito rauco, Marco riversò tutto il suo sperma dentro il suo sedere, sfogando l'odio di vent'anni. Lui rimase con il suo cazzo nudo ancora duro a guardarla. Sembrò un tempo infinito.

Ora che la sua rabbia si era tutta scaricata, sembrava un altro uomo, prese il giaccone per terra e coprì Sara con un gesto quasi gentile “Alzati cara”.

Marco le prese il volto tra le mani “Ti devo chiedere scusa io, la rabbia fa fare cose assurde e io l'ho assopita per decenni. Non so come chiederti scusa, farò tutto quello che vuoi, ti raddoppierò pure i soldi se tu lo vorrai”.

Sara lo guardò, negli occhi aveva qualcosa di diverso, si avvicinò, lo baciò “Ti chiedo scusa io per quello che ti ho fatto in passato” sorrise “forse c'è solo un modo per perdonarci a vicenda, sposiamoci” lo baciò ancora “lo so sembra assurdo, ma con te posso avere tutto, il sesso che voglio e i soldi che voglio”. Gli strinse le palle con la mano destra “e mio figlio non dovrà mai sapere cosa è successo, io ho passato tutta la serata con te e lui ha fatto sesso con Eleonora hai capito”.

Lui sospirò strusciando il suo pene ancora eretto, in cerca di un bis “Accetto, io e te ci sposeremo. Sarà un inferno lo so già. Ma forse è quello che ci meritiamo” La baciò con tutta la lingua “Ora andiamo in hotel, ho bisogno di fare la doccia con te” e si rivestirono.


Sappiamo tutti che l'amore di Marco e Sara è un incendio tossico. È una fantasia che ha esplorato il lato più oscuro del desiderio, dove la vendetta e il piacere diventano indistinguibili. Che le ombre di questa storia rimangano confinate al regno della fantasia, lasciandoci riflettere sulla complessa e a volte terrificante architettura della mente umana.

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