Corna

  • Scritto da geniodirazza il 20/05/2023 - 03:13
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Corna

Erano ormai vent’anni che lavoravo in quell’ufficio e non posso dire che mi fossero mancati corteggiatori ed ammiratori; in parte per un mio carattere schivo; in parte, piccola, per certe regole interne che proibivano la fraternizzazione sul posto di lavoro; in gran parte, soprattutto, perché non avevo motivo di lamentarmi della mia vita sessuale con mio marito Giancarlo, non avevo mai dato spazio a nessuno e me ne stavo chiusa nel mio ufficio.

Quella mattina qualcosa mi sconvolse; sarà perché da qualche mese mio marito non mi si dedicava più come avrei desiderato, per sua stanchezza o per una mia più acuta libidine, sarà perché la primavera ispirava desiderio e sessualità, sarà perché il giovane impiegato che mi si presentò era decisamente appetibile, ma istintivamente aprii i primi due bottoni della camicetta e feci emergere il reggiseno di pizzo che esaltava le mie notevoli tette.

Muovendomi sulla poltrona feci anche in modo che la minigonna salisse assai più del lecito, fino a far intuire il minislip coordinato che mi sottolineava sedere e vulva; lo sguardo di fuoco che il vigoroso trentenne lanciò sulle mie cosce e sul mio seno mi disse apertamente che mi avrebbe volentieri posseduto lì stesso sulla poltrona d’ufficio, a costo di contravvenire a tutte le più elementari norme di prudenza.

Quando chiusi l’ufficio ed uscii dal portone, lo trovai fermo ad aspettarmi; mi chiese un passaggio perché era a piedi; lo feci salire e ancora una volta slacciai i bottoni e sollevai la minigonna perché mi ammirasse a mio e a suo piacimento; fingendo di controllare qualcosa, mi passò la mano sul seno, mi sentii accarezzata ed ebbi un brivido, la vagina cominciò a colare incontrollata.

Utilizzando la stessa scusa di controllare il sedile, gli passai la mano sulla patta e sentii il fallo gonfiarsi; se c’è una cosa che mi manda in brodo di giuggiole, è proprio la sensazione di un sesso che si indurisce quando le mie mani affusolate e delicate lo sfiorano per un tocco casuale o, meglio ancora, per una masturbazione saporita; prolungai il tocco quel tanto per sentire la mazza gonfiare la patta fino a farla scoppiare quasi.

Mandai a mio marito un messaggio per avvertirlo che avrei tardato ma non di molto; avviai la macchina e, subito dopo il primo slargo, entrai nel parcheggio di un centro commerciale che frequentavo; sapevo che in un angolo riparato non c’era mai nessuno e andai a sistemare l’auto; l’ora di chiusura era già passata, le ombre si facevano scure e ci trovammo al coperto, quasi al buio.

Me lo trovai addosso che mi baciava con passione e vigore; la sua lingua ingaggiò con la mia una vera battaglia a chi succhiava di più; salivavo come una fontana e mi prendevo in bocca quella sorta di piccolo fallo quasi dovessi fare eiaculare anche la lingua; intanto, gli aprivo la camicia e perlustravo il torace tonico e stringevo i capezzoli delicati; aprii altri bottoni e tirai fuori le mammelle dal reggiseno.

Gli offrii i capezzoli da succhiare e si lanciò come un poppante all’ora della pappa, le mani erano scivolate già sotto la minigonna, avevano spostato il filo di stoffa dello slip ed un dito era penetrato nella vulva rasata fino alla nocca; gemevo di piacere e godevo da morire; azionai la leva che abbassava lo schienale e lo sdraiai sul sedile; aprii la cerniera del pantalone e mi apparve il meraviglioso fallo che per tutto il giorno avevo immaginato.

Mentre appoggiavo la punta della lingua sul meato da cui già sgorgava il precum, mi venne per un attimo in mente che stavo tradendo volgarmente, in un parcheggio, in macchina, con uno sconosciuto, mio marito che non aveva nessuna colpa; a poco più di quarant’anni, ne aveva passati con me quasi venticinque facendomi godere tutti gli agi possibili della vita e sessualmente era stato sempre presente, attivo ed innamoratissimo.

Non sapevo da dove mi derivasse quella smania; a quarant’anni, non poteva essere la paura di invecchiare, ma solo un’emozione strana che non cercavo neppure di spiegarmi; il fatto stesso che avessi potuto aggirarlo, forse, meglio, prenderlo in giro, con un messaggino, mi dava insostituibile il piacere dell’inganno, della trasgressione, del ‘fuori regola’ che era forse il fondamento di tutto.

Al momento, mi interessava quel sesso grosso, robusto, nerboruto, ricco di capillari che prendeva sempre più consistenza; me lo godetti sulle labbra come un dolce raro; passai la lingua dappertutto, dalla radice, attraverso l’asta, lungo la cappella che percorsi millimetro per millimetro, sul frenulo che lo faceva reagire come se avesse delle continue sferzate, fino al meato che solleticai, facendo entrare la punta della lingua.

Avviai la fellazione più generosa che avessi fatto mai in vita mia; la punta mi arrivava fino all’ugola, quando lo spingevo dentro; quando trattenevo la cappella tra le labbra, succhiavo a più non posso; passavo a leccare; muovevo la testa ritmicamente per farmi copulare in bocca; lo portavo all’estremo e mi fermavo di colpo; non volevo certo risolvere tutto con la bocca, anche se mi chiedevo come potessi fare per copularci.

Mi bloccò la testa per non eiaculare; azionò la stessa leva dalla mia parte e mi sdraiò sul sedile, spostò il triangolino dello slip e affondò la lingua in vulva; la sentivo che mi esplorava le grandi labbra e le faceva vibrare di goduria; infilò, a fianco, un dito e cercò il punto dell’orgasmo, lo trovò ed io urlai; passò la lingua sulle piccole labbra e sentii che le carezzava dolcissimamente; ogni colpo un piccolo orgasmo.

Quando strinse tra le labbra il clitoride, diventai una sirena che gemeva ininterrottamente di piacere; le dita in vulva erano diventate quattro e ormai mi masturbava a mano piena mentre leccava e succhiava; si dovette rendere conto che il tempo volava rapidamente, abbassò pantaloni e slip, mi venne addosso e mi piantò nel ventre la sua mazza che sentii viva per tutto il canale vaginale fino all’utero.

Non mi cavalcò molto; era allo stremo probabilmente; mi chiese se poteva venire dentro; glielo concessi e mi scaricò nel ventre uno tsunami di sperma che sembrava infinito; quando si alzò e si spostò sul suo sedile, dovetti usare un intero pacchetto di fazzolettini per asciugare tutti gli umori che mi avevano inondato vulva e cosce; ci ricomponemmo, rimisi in moto, lo riaccompagnai e tornai a casa.

Senza neanche rispondere a Giancarlo che mi diceva qualcosa, mi fiondai sotto la doccia; per una stupida superficialità lasciai cadere nel bidet lo slip grondante di sperma; quando uscii in accappatoio, mio marito entrò per orinare e, mentre mi asciugavo i capelli, osservai che l’indumento era in un catino immerso in acqua saponata; non battei ciglio, neppure quando osservò che il GPS dell’auto dava una sosta lunga in un centro commerciale chiuso.

Avrei dovuto per lo meno immaginare che gli fornivo indizi per dubitare di me; ma l’abitudine alla fiducia reciproca e a non dare spiegazioni superflue mi spinse a tacere e, forse, a costruire la mia dannazione; dopo quella occasione, incontrai Eligio più volte; ma il riferimento al GPS mi insegnò ad evitare la macchina; individuammo un albergo ad ore proprio dietro l’ufficio e lo scegliemmo per copulare alla grande.

Mi inventai con mio marito un lavoro straordinario che una volta alla settimana mi tratteneva per due ore in ufficio e quelle due ore erano la libertà di copula che mi concedevo col mio nuovo giovane amante, col quale attraversai tutti gli inferni del sesso e feci quello che avevo fatto, che avevo desiderato, che avevo immaginato, che avevo sognato per una vita.

Prenderlo nel sedere era la prassi minima; nessuna seduta amorosa poteva dirsi conclusa se non mi aveva fatto sentire la mazza che scavava nel mio retto con una potenza squassante; la sera dell’incontro, a casa dovevo stare anche attenta come mi muovevo perché l’ano mi doleva per tutta la notte; succhiare il sesso era la condizione per tutto il tempo che stavamo; se non l’avevo in vagina o nell’ano, il suo fallo stazionava tra le labbra.

Mi infilava il bastone da tutte le posizioni, in tutte le pose, in ogni angolo della stanza, qualunque cosa facessi; il dato più delirante fu orinargli addosso; mi chiese di lasciarglielo fare una prima volta e da allora ci inondavamo puntualmente e reciprocamente di orina; quando tornavo a casa, solo il passaggio fino al bagno segnava immediatamente l’odore che mi portavo addosso.

Quando ci pensavo a mente lucida, mi spaventavo di fronte all’inerzia di mio marito; era un uomo di intelligenza brillante, di grande acume, capace di intuizioni immediate; non capivo come mai non si rendesse conto che lo stavo volgarmente tradendo; aveva ridotto la sua copula a quella obbligatoria del sabato sera, ma non c’era nel suo possedermi niente di acrimonioso.

Troppo tardi avrei pensato all’unica verità possibile, cioè che sin dal primo momento avesse capito tutto e mi avesse risposto come era veramente giusto, farsi un’amante, più bella, più giovane, più fresca, più disponibile, della quale non mi sarei mai potuta rendere conto nella mia smania di cornificarlo per volontà di dominio, mentre venivo messa sotto non con qualche copula ma con un rapporto stabile e duraturo.

Affievolitosi l’entusiasmo per Eligio, senza liquidarlo, accettai le avances di Nicola, un amico conosciuto con mio marito che da sempre mi corteggiava ed aveva un milione di motivi per voler tirare a Giancarlo lo scherzo di umiliarlo con un buon paio di corna; abitava un poco fuori mano e riuscii a organizzarmi per andarci a copulare soprattutto la domenica, inventandomi un aperitivo con le amiche al quale mio marito fece finta di credere.

Io, che mi ritenevo furbissima, non pensai neppure per un attimo che alcune di quelle signore erano anche amiche sue e che, in qualsiasi momento, poteva avere saputo che non esisteva un aperitivo della domenica; probabilmente ero davvero impazzita e il pericolo, anche quando mi sfiorava assai da vicino, mi induceva a sorridere come se fossi onnipotente e intoccabile, per cui mio marito valeva meno di niente.

Non era gran che dotato, Nicola; ed anche in questo mi sentivo ancora più sporca; mio marito competeva assai alla pari con Eligio e si differenziava solo per il fatto che faceva l’amore, non mi sbatteva come una prostituta solo per scaricare i testicoli; i vezzi e le preparazioni di cui era stato capace quando eravamo innamorati avrebbero largamente coperto tutte le copule che mi facevo con Eligio.

Con Nicola non esisteva paragone; eppure ci andavo a fare sesso quasi come ad una battaglia da vincere ad ogni costo; godevo alquanto solo quando mi baciava, perché aveva un modo di perlustrarmi la bocca che mi provocava perfino un grosso orgasmo; l’altro momento di piacere era quando prendevo in mano il suo sesso, di normale stazza, e lo lasciavo crescere con una masturbazione lenta, sapiente, goduriosa.

Era così affascinante per me prenderlo in mano piccolo, mogio o al massimo barzotto, e sentirmelo crescere poi, lavorarmelo con dita eleganti e sapienti finché non cominciava a prendere consistenza e gonfiarsi fino a dimensioni accettabili; più di una volta lo costrinsi a prendersi solo una masturbazione saporita; lo sperma che spruzzava alla fine, e che era tanta per fortuna, quasi mi compensava delle mancate copule, per le quali sapevo come sopperire.

La storia con Nicola, però, reggeva male; non so per quale strana perversione, invece di fermare il gioco e tentare di raccogliere i cocci di un fallimento, sentii ancora più vivo il desiderio di scatenarmi a fare cornuto mio marito; se non sapeva e non capiva, mi faceva rabbia scoprire all’improvviso una sua debolezza estrema, l’incapacità di tenere sotto controllo la cosa più importante, la sua vita privata e quella familiare.

Se sapeva e non parlava, mi imbestialiva non riuscire a capire se per anni avevo vissuto a fianco con un cornuto contento che però non aveva mai detto una verità così importante; se sapeva e stava tramando qualcosa contro di me, allora mi faceva ancora più rabbia perché si comportava da nemico giurato che preparava forse una battaglia importante e definitiva per distruggermi; comunque, il suo silenzio mi offendeva.

Sarebbe bastato un minimo di buonsenso per rendermi conto che la guerra l’avevo dichiarata io, per prurito di vulva e non per chissà quale cervellotico motivo; ma, come forse accade a tutti gli esseri umani, specialmente quando hai torto marcio, devi cercare ad ogni costo di scaricare su un altro, in genere la vittima, se non tutta, quanto meno una grossa parte delle tue colpe; in questo modo ti sembra di essere perdonato, se non giustificato.

Quando Ludovico, durante una stupida festa sociale, mi invitò ad uscire in giardino per fumare, gli obiettai che non fumavo ma accettavo solo per fargli compagnia; indossavo un abbigliamento da autentica troia, con minigonna vertiginosa, calze a rete su tacco stratosferico, una camicetta che sarebbe stato meno provocante se non ci fosse stata; in pratica, uscire con lui significava ’sono disponibile, prendimi’.

Lo capì, non stette a riflettere e cercò l’angolo più oscuro del giardino per possedermi, in piedi, a pecorina, eiaculando in pochi colpi perché non avevamo tempo; fu la più classica delle sveltine; e mi lasciò un poco d’amaro in bocca; ma mi rifeci presto e mi inventai l’impossibile per passare lunghe ore con lui, nella sua garconnière, a sperimentare tutte le variazioni possibili sul tema delle copule.

Non aveva un sesso molto grosso, più o meno come Eligio; ma lo usava con molta più intelligenza ed eleganza; le sue copule avevano qualcosa in comune con quelle di Giancarlo; quando ci incontravamo, sapevo già che mi avrebbe ricoperto di saliva dalla punta dei piedi alla cima dei capelli perché la sua gioia era leccarmi tutta; naturalmente, quando leccava seno, vagina e ano era il paradiso, quello dove mi trovavo.

Non ebbi moltissimo tempo per godermi anche Ludovico, perché di colpo la situazione precipitò verso un abisso che, da perfetta imbecille, non avevo saputo o forse non avevo voluto vedere; celebravamo quell’anno i venti del nostro matrimonio, ma io quasi me n’ero dimenticata, presa nel vortice dei miei armeggiamenti per fare le corna a Giancarlo; mi ci trovai a ridosso quasi senza rendermene conto.

“Marina, non so se ti ricordi, ma oggi è il ventesimo anniversario del nostro matrimonio … “

“Oh, dio, davvero! Perdonami me ne sono proprio dimenticata … “

“Lo so che ormai il matrimonio è un peso inutile; ma almeno, possiamo organizzare qualcosa per sabato sera?”

“Va bene, fai un po’ come ti pare; io adesso ho da fare.”

“D’accordo, avrai qualche sorpresa … “

“Va bene, lo sai che mi piacciono le sorprese!”

Se solo avessi avuto un po’ di giudizio, avrei almeno avvertito l’ironia che c’era evidente nell’espressione, sia del viso che del tono e delle parole stesse; ma ero ormai protesa tutta all’incontro che mi aspettava; era il turno di Eligio e al momento mi soddisfaceva più di tutti; dimenticai rapidamente lo scambio di battute e mi trovai il sabato sera a casa, del tutto impreparata a qualunque evento.

Tornata all’ora di cena, trovai mio marito vestito di tutto punto, quasi dovesse partire; mi ricordò che c’era l’anniversario da celebrare; me ne resi conto e mi precipitai in bagno per mettermi in ordine e scegliere un abito per la serata; mentre mi finivo di vestire, bussarono alla porta e Giancarlo andò ad aprire; non sapevo che ci fossero invitati e non me ne curai, chiusa in bagno a truccarmi.

Sentii suonare altre due volte, prima di uscire messa in tiro con l’abito nero lungo; quando entrai nel salone, per poco non mi venne un colpo; seduti imbarazzatissimi in tre poltrone c’erano i miei tre amanti, tra i quali Giancarlo si muoveva disinvolto versando prosecco nei calici.

“Voi tre vi ho presentato; Marina non devo essere io a presentarvela. Questa sera avremmo dovuto celebrare il nostro ventesimo anniversario e invece festeggeremo la nostra definitiva separazione; non ho ordinato cena perché dell’unica portata, mia moglie, vi siete ampiamente cibati per mesi. Ora io me ne vado; da domani sarò all’estero, in uno Stato che mia moglie è bene che non conosca neanche per sentito dire.

Naturalmente ci andrò con la mia donna e con il figlio che da lei ho avuto; non avete bisogno di cercare squallidi alberghetti ad ore, né di rifugiarvi in una ancora più squallida garconnière né di inventarvi aperitivi della domenica; la signora adesso avrà totale disponibilità dell’appartamento, pagando l’affitto naturalmente.

Potete consumare il piatto unico della cena come ritenete; finora ve ne siete cibati alternandovi individualmente; forse stasera potreste sperimentare soluzioni più avanzate di una coppia per volta o persino tutti insieme; fate un po’ voi; nelle fogne si orina anche in molti per volta, non solo, come avete fatto voi fino ad ora, individualmente.

Marina, non fare la faccia stravolta; ti ricordi il GPS? Da allora conosco ogni tuo movimento, tutti i luoghi, gli amanti, le copule e tutto quello che hai scaricato sul palco delle mie corna; prima che tu mi chieda, la mia donna è Yvonne, sì la mia segretaria fedelissima ed amatissima; son andato a stare da lei, con lei, per tutto quest’anno e più che mi hai coperto di fango; da lei ho avuto il figlio che mi hai negato.

Ha meno di trent’anni, quasi quindici meno di te; è assai più bella, elegante, raffinata e ammirevole, sono orgoglioso di essere il suo compagno; nella nuova sede, conto di avere il divorzio assai prima che in Italia; poi la sposerò e spero di avere la fortuna di festeggiare, sul serio stavolta, il ventesimo del matrimonio; cosa farai tu non interessa più nessuno.

Inutile dirti che sono quanto meno nauseato di te e della tua imbecillità; non credo che nessuno di questi ignobili montoni, specialmente il caro amico Nicola, si prenderà alcuna cura di te; non impiegheranno molto a cercarsi un’altra fogna dove orinare il loro sperma; ti auguro di trovare un uomo che sappia accompagnarti nella vecchiaia che evidentemente ti fa paura e ti ha fatto strafare.

Non posso dirti altro; quello che dovevo comunicarti, ormai lo sai; il resto lo troverai nelle carte che ho consegnato all’avvocato insieme alla domanda di divorzio. Addio.”

“Aspetta; non ritieni di avere diritto ad una spiegazione o di dovermi qualche chiarimento?”

“Dopo un anno di libertinaggio senza respiro? Dopo che avevi anche dimenticato la ricorrenza dell’anniversario? Di cosa potremmo parlare, se non per tirare fuori tutto il fango che hai prodotto e accumulato in quest’anno e scavarvi dentro per non trovare niente? Mi aspettano un figlio che adoro e una donna che mi ama, non a parole né per vezzo, ma per convinzione.”

Gli altri si erano squagliati, alla chetichella; Nicola accennò a fermarsi; lo fulminai con uno sguardo.

“Giancarlo, tanti auguri; che tu possa recuperare quello di cui ti ho derubato.”

“Buona fortuna, Marina; ne avrai bisogno. Un ultimo consiglio. Cambia città; qui sei famigerata ormai.”

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