Corna con bastardini

Corna con bastardini

Incontrai per la prima volta Nuccio, vezzeggiativo storpiato del nome anagrafico Giuseppe - Pino - Pinuccio - Nuccio, più di otto anni fa; avevo sedici anni o poco più ed ero convinta di possedere il mondo, di potere tutto senza limitazioni o regole; specialmente nel sesso, col quale appena mi stavo confrontando, avevo già deciso che ‘l’utero è mio e lo gestisco io!’ e lo facevo senza tenere nessun conto degli altri o delle loro opinioni.

Avevo cominciato presto, a fare seghe e, subito dopo, pompini che mandavano in estasi i miei amici e compagni; sapevano tutti che non avevo remore a prendere in mano un cazzo e a farlo sborrare con grande piacere, a succhiarlo fino a che mi versasse in bocca una fiumana di sborra; poco più tardi decisi di godere con il culo, per non usare la figa coi pericoli connessi di maternità decisamente inopportune; a sverginarla, provvide qualche tempo dopo un tale, sposato e con figli, sulla battigia di notte.

E’ chiaro che, a furia di sfidare la sorte, si finisce male, prima o poi; a me capitò verso i ventuno anni, quando non riuscii ad evitare che un tizio, conosciuto solo quel giorno e che mi aveva affascinato per la dimensione straordinaria del cazzo che mi fece sentire sul culo in una ressa, sborrasse in figa proprio nel giorno della mia massima fertilità; quando mi resi conto di essere incinta, era persino troppo tardi per rimediare per vie legali; non volli rischiare un aborto clandestino e parlai con Nuccio.

Lui da qualche tempo già mi scopava volentieri e si era rivelato abbastanza abile a montarmi in figa ma a sborrarmi sull’ombelico o sulle natiche, secondo che mi scopasse a missionaria o a pecorina; quando gli annunciai che, forse per un’esitazione nello sborrare fuori, mi aveva ingravidata, ebbe molte perplessità; ma non era uomo da tirarsi indietro; mi diede fiducia e si impegnò a sposarmi, forte anche di una posizione economica e sociale solida e convincente.

Il matrimonio fu sfarzoso, come volevano i miei e come lui era in grado di sostenere; ma la mia fedeltà durò solo qualche settimana dopo la luna di miele; rientrati in città e alle nostre abitudini, io maestra elementare e lui imprenditore di assalto, ripresi anche i miei perversi costumi da adolescente, dedicando al sesso quasi la mia stessa esistenza; per un qualche scrupolo morale, dopo avergli rifilato un figlio non suo, mi limitai a pratiche che ritenevo non incidenti sul matrimonio.

Per i primi tempi, furono soltanto saporosissime seghe e pompini da infarto, nei bagni del bar, delle discoteche o dei locali che frequentavo assai volentieri con un gruppo compatto di amici coi quali condividevo, oltre al sesso, anche una certa dimestichezza; mio marito, per sua naturale ritrosia e per disprezzo dei costumi dei miei amici, si teneva ben lontano dalle nostre gozzoviglie; è persino inutile dire che ci litigavo spesso ed ogni volta imponevo le mie scelte come le uniche possibili.

Le mie tre amiche più fidate, quelle con le quali costituivo una sorta di tetragono inamovibile, più volte mi chiesero come mai mi comportassi così trucemente con mio marito; loro erano adultere incancrenite, ma avevano un rapporto aperto coi mariti, peraltro impotenti e limitati in tutto; per giustificarmi, inventai bugie come avevo fatto da adolescente; Nuccio risultò per loro un ipodotato e impotente, cornuto contento, forse cuckold e destinato ad essere slave, per molti, anche frocio.

Dai colloqui con loro, mi confermai nella personalissima convinzione che la mia libertà fosse intoccabile e che potessi decidere della mia figa solo io, senza niente concedere al maschio alfa che, col matrimonio, riteneva di avere assunto la facoltà di impormi una fedeltà che non apparteneva al mio carattere; dopo averlo ingannato con bugie sempre meno credibili ed avere per qualche tempo esitato a scopare in figa, feci il salto e accettai la scopata completa con l’impegno a ritrarsi all’ultimo momento.

Il primo con cui decisi di scopare alla grande fu un amico abituale, che godeva di una certa disponibilità economica, per condizioni familiari piuttosto agiate e, nel suo bellissimo appartamento in centro, decisi di rompere ogni indugio e di scopare alla grande, alla faccia del cornuto e presuntuoso che, in nome dell’amore e di un certificato di matrimonio, aveva la pretesa di obbligarmi alla fedeltà; mi agganciò nel solito bar e dopo meno di mezz’ora, salutai le amiche e mi avviai con lui alla mia serata di lussuria.

Percorremmo coccolandoci la strada fin all’auto parcheggiata un poco più lontano, lui guidò con attenzione, cercando di resistere alla voglia che trapelava da ogni suo gesto, di carezzarmi tutta e di titillarmi fino all’orgasmo; giunti all’appartamento, mi guidò alla sua stanza di cui non osservai bene altro che il letto su cui mi fiondai per sdraiarmi ed offrirmi tutta, impudica, vogliosa, decisa a consumare tutto il sesso possibile nelle poche ore che potevo rubare a mio marito.

Mario, come si chiamava quel mio amico, sembrava non avere nessuna fretta e nessuna voglia di averne; anzi, si stese sopra di me con garbo, attento quasi a non farmi male mentre mi accarezzava con tutto il corpo steso sul mio, a farmi cogliere il calore delle sue membra; mi baciò con intensa passione, dalla fronte agli occhi, al naso; penetrò in bocca con la lingua carezzando, lambendo, stimolando dolcemente tutte le papille che trasmettevano brividi elettrici direttamente alla figa ed io godevo.

Sentivo scorrere dal mio corpo umori vaginali che non cessavano di inondarmi il perizoma ormai inservibile e le cosce, giù fino alle autoreggenti; ero certa che stavo combinando sfracelli sul ventre eccitato allo spasimo; ero felice di sentire il piacere scorrermi addosso, emozioni antiche provate anche più volte nel matrimonio ma in quel momento nuove per la particolarità della situazione; adesso volevo che mi sfondasse, che mi penetrasse fino in fondo e fosse padrone delle mie reazioni, del mio piacere, del mio sesso.

Come se avessi parlato e mi avesse udito, infilò una mano e sollevò la gonna fino alla vita, si aprì la patta, abbassò la zip senza perdere la posizione; sentii il calore e la durezza della mazza fra le cosce, all’incrocio; la cappella sfiorò la vulva e il cazzo mi impressionò per il volume complessivo; lo sentii scorrere lentamente verso il pube e infilarsi nella fessura della figa, trovò l’imbocco e, lentamente, dolcemente, mi invase letteralmente, tanta era la pressione che esercitava nel canale vaginale eccitato da una massa nuova, calda, stimolante; rovesciai gli occhi, spalancai la bocca e tirai indietro la testa assaporando la dolcezza del cazzo nel corpo.

Non mi preoccupai del vestito che ne usciva maltrattato; spalancai le cosce, alzai le gambe e portai i piedi dietro la sua schiena; il canale vaginale urlava forse di dolore, io invece urlai di gioia quando la mazza entrò tutta fino alla cervice, e mi sentii amata fino al fondo della mia femminilità; l’unico neo fu la riflessione che stavo applicando con l’occasionale amante tutto quello che mio marito mi aveva insegnato sul sesso, ricambiato con schifose corna come in quel momento.

“Ti vogliooooooo!!!!!!”

Glielo urlai anche se sapevo che era sbagliato; mi stavo schiavizzando ad un amico che conoscevo poco per ribellarmi ad un presunto dominio dell’uomo che avevo sposato e al quale avevo imposto un bastardo come figlio legittimo.

Le ore possono essere un battito di ciglia, in certe situazioni; e possono diventare un’eternità meravigliosa se si riesce a passare per tutti i sentieri dell’amore, da quelli percorsi a lungo e conosciuti come le proprie tasche, a quelli di cui abbiamo solo sentito parlare e che scopriamo insieme, con la passione, con l’armonia, con la sintonia; da quelli che si sono consumati in una vita matrimoniale per me insoddisfacente a quelli che ci avevano entusiasmati quando la tempesta ormonale era in atto ed ora avrei voluto ricostituire da amante in cerca del sublime anche nel sesso.

Io e Mario, nelle poche ore che trascorremmo a casa sua, riuscimmo a darci tutto quello che una passione pazza, incontrollabile, può suggerire a due adulti che sentono lo spirito della scoperta del sesso; gli davo tutto quello che potevo dargli, sentendomi quasi vergine ogni volta che mi faceva scoprire qualcosa del suo corpo o si impossessava di qualcosa di me che vergine non ero ma che gli offrivo con l’entusiasmo con cui lo offre una vergine.

La mia vagina, che aveva partorito; che era usata da anni da Nuccio, anche se negli ultimi mesi avevo quasi dimenticato che esistesse, non vergine né stretta, subiva un assalto verginale da quell’uomo che la voglia rendeva per me gigantesco ; e le pareti quasi soffrivano mentre le dilatava per occupare tutto il condotto con la sua potenza, ma soprattutto con la sua voglia.

Il mio ano era stato già stuprato ed aveva subito molti assalti; ma quella sera sembrava nuovo, intonso, totalmente vergine, specialmente perché ero io a chiedergli di penetrarmi dietro senza eccessiva preoccupazione di lubrificarmi; lui lo fece con voglia, con forza, con metodo, quasi con violenza; ed io sentivo il retto soffrire mentre veniva riempito da quel cazzo inedito che si impossessava del mio ventre e si faceva sentire fino allo stomaco, rendendomi schiava del suo desiderio, della sua passione, dell’immensa carica di piacere che trasmetteva.

Ero sempre stata brava nella fellazione; e sin dall’adolescenza mi era piaciuto molto sentire un cazzo crescermi in bocca e vibrare sollecitato dalla mia lingua che lo leccava, dalle mie gote che lo succhiavano, dal mio palato che lo faceva scivolare avanti e indietro; con Mario, succhiare il cazzo fu un esercizio di libidine, un dialogo vivo tra la cappella e le papille della bocca, una sfida tra la sua voglia che gonfiava l’uccello e la mia capacità ricettiva che non voleva perderlo neppure per un attimo.

Quando poi il piacere esplose e lui sborrò, io, che avevo sempre amato particolarmente quel momento ed avevo cercato tendenzialmente di scaricare lo sperma in un fazzoletto, quella sera misi in opera tutte le mie capacità di attenzione per non farne uscire nemmeno una goccia, trattenerlo in bocca e ingoiarlo era come se mi prendessi nel corpo, per altra via, la sua mascolinità.

Mario non fu da meno; in armonia con me e in perfetta sintonia anche di tempi, riuscì a spremere goduria, libidine, gioia di vita da ogni fibra del mio corpo, in un primo momento titillandomi le parti esterne con una delicatezza ed una capacità straordinarie; dalla linea dei capelli agli occhi, i suoi baci percorrevano ogni centimetro di pelle; poi si spostava metodicamente a seguire il profilo del naso che baciava, mordicchiava, accarezzava con la lingua, poi scendeva sulla bocca e si scatenava in una battaglia intensa tra le nostre lingue per scavare brividi, pulsioni, sensualità da tutto il corpo con la perlustrazione della bocca con la lingua, ricambiato con la stessa voglia, con la stessa intensità.

Poi scivolava sul corpo ed era un autentico trionfo di leccate, di morsi, di succhiate su tutto, dal collo alle mammelle fino ai capezzoli ai quali si attaccava come un poppante al seno della madre che lo allattava; li tormentava a lungo, strappandomi piccoli orgasmi da ciascuno con sapienti succhiate lunghe ed intense; poi scivolava sul ventre che non finiva di lodare, adorare, leccare, succhiare; poi si scatenava sulla figa e, soprattutto, sul clitoride; dovetti chiedergli più volte di darmi tempo, di farmi riposare tra un orgasmo e l’altro; non sapevo come sarei rientrata a casa e se avrei dovuto dare qualche spiegazione per le condizioni in cui mi riduceva l’indigestione di sesso a cui mi stavo sottoponendo perché Mario era scatenato e non intendeva ragioni.

Mentre mi stava cavalcando ancora per la terza, o quarta, o quinta?, volta senza interruzione, fui costretta a fargli presente che, non potevo rientrare troppo tardi a casa, dove comunque mi aspettava un marito; la coscienza che qualcosa stava per finire forse irrimediabilmente lo rese ancora più assatanato e mi girò per prendermi analmente, per la terza volta in poche ore; fu inutile invitarlo a riflettere che in quelle ore non aveva mai lasciato il cazzo fuori dal mio corpo, davanti, dietro, in bocca, in mano; e che forse calmarsi avrebbe fatto bene anche a lui; l’idea stessa che dovevo andarmene lo fece diventare ancora più aggressivo.

Quando, per la terza volta nella serata, eiaculò, stavolta nel retto, decisi di sfilarmi e, prima che si fosse ripreso, mi ripulii alla meglio con fazzoletti umidificati e mi rivestii con abiti ormai sgualciti che di più non si poteva, inumiditi da umori e sudore, per non parlare del perizoma ridotto a straccio bagnato; lo lasciai riprendere e gli chiesi di accompagnarmi; si rivestì maledicendo il mondo a mezza voce e mi accompagnò accarezzandomi e bloccandomi a baciarlo ogni tre passi; come dio volle, rientrai.

Cominciò da lì la seconda fase, la più delicata, delle corna a mio marito, che continuava seraficamente a godersi il benessere borghese dei soldi guadagnati e della moglie che riteneva attenta, premurosa e, soprattutto, fedele; io invece mi specializzai a cornificarlo con sempre maggiore entusiasmo e, più che della passione per lui, che diventò prima una scopata settimanale e poi un vago ricordo del passato, mi dedicai sempre più attentamente ad organizzarmi i tempi delle corna.

Scivolarono quasi inavvertiti i mesi, mentre io mi sollazzavo con cazzi vari, concedendo a mio marito sempre meno intimità e scopate fino all’estremo di dargliela una volta al mese ed anche senza molta voglia; non mi curavo del suo disinteresse totale a me ed al figlio bastardo che avevo voluto ad ogni costo che dichiarasse suo; non mi preoccupavo neanche delle sue assenze, spesso per intere settimane, che nella mia presunzione attribuivo alla sua smania di conquistare soldi e potere.

L’inevitabile, quasi, si verificò più presto di quanto volessi; per un ritardo eccessivo, mi sottoposi a controllo e scoprii che ero di nuovo incinta; stavolta non avevo nessuna possibilità di attribuire a Nuccio il nascituro, perché da troppo tempo non avevo nessun rapporto con lui; ciò nonostante, quando glielo comunicai, aggiunsi anche a chiare lettere che anche quello sarebbe stato ‘suo’ figlio, perché era mio e, se lui mi amava come diceva, doveva prendermi con tutto, anche coi miei figli.

Fui quasi felice quando lo vidi piegarsi sotto la sferzata che la mia affermazione gli aveva impresso sul vivo della carne; vidi con gioia che abbozzava, piegava la testa, finalmente sconfitto, ed usciva dalla casa senza aggiungere una parola; sperai che fosse andato da qualche parte a piangere il suo orgoglio ferito e calpestato; me ne curai poco e mi apprestai a vivere l’avventura della nuova maternità alle mie condizioni.

Non lo vidi, non solo per quella settimana, ma neanche per tutto il mese; me ne curai poco, perché continuavo a scopare con grande gusto e, non provando per lui nessun sentimento, continuavo a considerarlo del tutto accessorio alla mia libertà che si fondava sullo sperpero dei suoi soldi e sulle immense scopate che con i vari amanti mi godevo liberamente, non essendoci più il limite della possibile maternità a condizionare le sborrate.

Nuccio comparve a fine mese, per regolare certe spese fondamentali, mentre ero libera di usare il mio stipendio per le personali esigenza di cura della bellezza; nei mesi di gestazione, lo vidi di sfuggita le poche volte che venne a ‘salvarmi’ dalla bancarotta saldando le competenze per l’alloggio e per il vitto per il quale aveva trovato un escamotage che mi consentiva di approvvigionarmi e demandare tacitamente a lui la copertura delle spese; evitai accuratamente di esagerare per non rovinare il fragile equilibrio.

Il segnale che una guerra tra noi si era aperta lo ebbi chiaro quando, nato il mio secondo bambino, lui comunicò all’ospedale che il figlio era nato da un rapporto fuori del matrimonio con uno sconosciuto; in pratica, rifiutava di riconoscere il bambino; mi trovai con due figli senza un padre; urlai tutti gli improperi che potevo ma lui non era ormai più presente.

Mi agitai come una farfalla impazzita, in tutte le direzioni; mi rivolsi a parenti, amici, colleghi, superiori, a chiunque potesse in qualche modo indurre mio marito a fare almeno chiarezza con me, nella condizione di stallo in cui ci trovavamo; dimostravo chiaramente di non avere capito che, col suo atteggiamento, Nuccio aveva esplicitamente dichiarato finito il nostro matrimonio e che stavamo vivendo una situazione di ‘separazione di fatto’, in attesa della sentenza legale e del divorzio.

A sorpresa mi trovai di fronte, sull’uscio, mio marito e mia madre Clelia; lui si limitò ad andare a sedersi al tavolo di cucina quasi ignorandomi; mia madre invece cominciò una violenta filippica per accusarmi delle peggiori bassezze del mondo; stentavo a riprendermi dalla violenta ramanzina e mi salvò il suono del campanello della porta, aperta la quale mi trovai di fronte alla mia sorellina Franca, di qualche anno più giovane di me e ancora alloggiata a casa dei miei.

Approfittai dell’attimo di sosta di mia madre per ribattere che avevo soltanto esercitato la mia liberà con un marito incapace di soddisfare i naturali bisogni di una moglie calda e appassionata; lui ribatté gelido.

“Quindi, secondo quello che hai raccontato in giro, io sarei un cornuto contento, forse cuckold e destinato a fare lo schiavo dei tuoi amanti; dovrei persino leccare i vostri sessi dopo che avete scopato? Sarei anche impotente e ce l’avrei piccolo? Sarei persino un poco frocio? Hai detto questo, no, fra i tuoi amici e i pettegoli della città? ... Bene, vedo che ne sei convinta; allora guarda cosa succederà quando presenteremo la causa di separazione in tribunale; ... puoi fare una videochiamata alle tue amiche adultere?”

Chiamai Mafalda, la più agguerrita delle tre, vidi che erano al bar e chiesi se c’erano anche le altre; si fecero vedere e chiesero perché avessi chiamato in video; guardai interrogativamente mio marito che mi diede tre oggetti da far vedere alle tre e chiedere se li riconoscessero; furono strabiliate e mi chiesero dove li avessi trovati; confessai che erano in mano a mio marito e che lui mi aveva chiesto di esibirli; a quel punto furono unanimi a chiedermi di far vedere chi fosse mio marito; girai il tablet.

“Cazzo, sei proprio tu?! Clelia, ma ti rendi conto di quante cazzate hai detto che sono oltraggi a tuo marito? L’orecchino è mio e lo avevo perduto nel letto di un motel dopo una serata di sesso con Pino che supera qualunque altro incontro amoroso io abbia fatto; il braccialetto è di Tosca che ha subito la stessa sorte e il pendente è di Chiara che ha scopato anche lei con il risultato che vale per noi due; sei riuscita a creare la fama di frocio al migliore amante che abbiamo avuto mai modo di incontrare?

Devi essere proprio scema, se non capisci che hai scavato la tomba al tuo matrimonio; non avevamo collegato te a lui perché tu, parlando di tuo marito, lo chiamavi Nuccio e noi lo conoscevamo come Pino; ma la mazza è la sua e ti assicuro che ne esistono poche belle come quella e, soprattutto, usate bene come fa lui; che cazzo ti è passato per la testa, per invischiarti in queste invenzioni che, in mano a un giudice, ti fanno anche condannare per oltraggio?”

“Ma quale giudice, quale tribunale? Lui mi ha sposato e ora mi accetta con tutto quello che mi appartiene, compresi i due bastardi e le corna da cui sono nati; non può fare un cazzo, perché io difendo solo la mia libertà ... “

“Clelia, ascoltami un poco con calma e con la qualità culturale che una maestra dovrebbe avere; ti assicuro che mi spaventa l’idea che tu debba insegnare a bambini il senso delle parole mentre fai tanta confusione sul significato di sacramento e di libertà; lo sai che cos’è la libertà?”

“E’ il diritto di ciascuno di fare quel cazzo che vuole!!! ... “

“Certo, è il diritto di ciascuno a seguire la sua volontà, ma nel rispetto di alcune norme; la libertà è un patrimonio individuale di tutte le persone; la tua si deve fermare dove comincia quella degli altri; tu avresti dovuto fermare la tua libertà quando calpestava la mia dignità, il mio onore, i miei diritti; per segnare i limiti, ci sono le leggi, che per questo vanno rispettate; tu non cerchi la libertà ma il libertinaggio; quello puoi applicarlo solo se chi viene danneggiato è d’accordo con te.”

“Mafalda, mi spieghi allora perché io sarei una stupida e tu che tradisci così spesso tuo marito, anche col mio come adesso mi dite, eserciti solo una libertà lecita?”

“Te lo ha spiegato Pino due minuti fa; mio marito, in seguito ad un intervento, è diventato impotente; non vuole che soffra l’astinenza a cui è condannato lui e siamo d’accordo che scopo con chi mi va, senza le esagerazioni che racconti tu; hai proprio il gusto di gonfiare tutto; ma hai gonfiato solo i coglioni con le tue dicerie assurde! Prima che tu dica altre cose stupide, i mariti di Tosca e di Chiara sono per natura cuckold e sono d’accordo per scopare insieme con un bull o con un amante ... “

“Quindi, è mancato solo che mi mettessi d’accordo con te per lasciarmi scopare a piacere?”

“No, cara la mia ingenua credulona! Io non sono impotente e non sono cuckold come i mariti delle tue amiche; neppure riesci a capire che il matrimonio è un accordo tra due persone che assumono diritti e doveri uno verso l’altro; quando abbiamo firmato davanti a testimoni e al prete che ci sposava, ci impegnavamo alla fedeltà e al rispetto reciproci; tu sei venuta meno all’impegno; per fortuna esistono la separazione e il divorzio; io ho deciso di andarmene quando per la seconda volta hai detto che eri incinta.

Hai cercato di piegarmi a riconoscere il primo bastardino che hai sfornato e ho piegato la testa perché ti amavo ancora un poco; e ti ho tradito con tutto il cuore soprattutto con quelle tue amiche che saranno chiamate a testimoniare in tribunale che non sono il frocio che racconti tu e che mi hai oltraggiato con tanta gente; al secondo bastardo, l’amore è andato a farsi fottere ed ho scelto di lasciarti per un’altra; se ne sei in grado, prova a pensare a cosa succederà se dirò in tribunale che quelle signore hanno fatto con me le corna ai mariti. Buona fortuna!”

“Mamma, lascia stare i rimproveri, per favore; davvero mio marito può chiedere la separazione senza concedermi niente; non è sacro il matrimonio?”

“Era sacro quando ti portavi a letto tanti amanti di cui neppure ti ricordi?”

“Nuccio, ti rendi conto che cancelli anni di amore tra noi?”

“Oh, mio dio! Quante eresie racconterai ancora? In quale momento infinitesimale della nostra storia mi hai amato?”

“Forse mai; scopai con te come con chiunque altro; ti chiesi di sposarmi perché ero incinta ed avevo bisogno di un marito e di un padre per mio figlio; poi non ti ho mai amato e ti ho tradito con chiunque capitasse ... Ma non è del mio amore che parlo; è del tuo; sarai ancora capace di amare come hai amato me? Anche se sono stata imperdonabile, come insisti a dimostrarmi, tu sei stato felice di amarmi benché sapessi per certo che non ti ero fedele!”

“Cara la mia perfida ex moglie, le scopate con le tue amiche sono vecchie di più di un anno; da quando mi annunciasti che eri incinta del secondo bastardino, non ti ho amato più, mi sono guardato intorno, ho trovato una donna meravigliosa che amo più della mia vita ed ho scoperto che, diversamente da te, mi ricambia allo stesso modo; addirittura era innamorata di me quando accettai di sposarti credendo che il primo bastardo fosse mio figlio; io non mi costruisco fantasie assurde per imporle come verità.”

“Forse mi piacerebbe anche crederti; ma sono sicura che non esiste la donna che si possa innamorare di te; sei banale, insulso, stupido; cosa può trovare in te una donna intelligente?”

“Un amore infinito che ha scosso anche le tue amiche abituate a darla in giro senza problemi; l’affetto e l’attaccamento alla famiglia che scuote anche papà e mamma, che lo adorano come figlio, lo hanno vissuto come tuo marito ed ora l’accettano come mio compagno di vita perché merita fiducia, stima, rispetto, amore, tutti quegli impegni che una puttana sottoscrive sull’altare per dimenticarsene quando va a farsi sbattere da caproni.

In Nuccio trovo, professionalmente, la grinta di un uomo che si è fatto dal nulla, da solo, senza piegarsi a nessuno; che ha dato lavoro a tanti, anche a me, ed è uno degli imprenditori più rispettati della città; trovo in lui una cultura profonda e sensibile che mi consente di andare a teatro, a una cerimonia, ad una festa sapendo che ho accanto un interlocutore capace di arricchirmi e di dialogare; è quasi un anno che frequentiamo teatro e opera, cerimonie pubbliche e feste; sono orgogliosa, di esserne la compagna!”

Ero sconvolta, perché era stata Franca, quella che avevo sempre considerato la sorellina minore, a lanciarsi nella celebrazione di Nuccio compagno di vita e non più schiavo presunto di una povera imbecille incapace di vivere le sue miserie e desiderosa di dominare un potente; restava il problema di come gestirmi la vita con un piccolo stipendio e con due figli.

Per fortuna mia madre avanzò l‘ipotesi che Franca occupasse il mio posto nel cuore, e nel letto, del mio ormai ex marito e che io andassi a riprendere il mio, al posto di mia sorella, nella casa dei ‘nonni’ ai quali non interessava quale sperma mi fosse entrato nell’utero, ma unicamente l’affetto dei nipoti che potevano coccolarsi a piacere; i tre stipendi, mio di mia madre e di mio padre, ci avrebbero consentito una sopravvivenza dignitosa; ma ‘zia Franca’ ricordò che Nuccio, anche mentre ormai viveva con lei e per lei, non mi aveva lesinato i contributi per farci vivere dignitosamente.

Dichiarò immediatamente che per i suoi nipoti ci sarebbe stata sempre, soprattutto se sua sorella si faceva, letteralmente, i cazzi suoi senza cercare ancora di interferire a sproposito

Post New Comment

Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.