Dietro la porta chiusa

  • Scritto da HARLEY Q il 19/05/2025 - 12:18
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Una sera, la sera. Fuori, il rumore della pioggia. Quella che batte contro i vetri come un cuore impazzito. Nella villetta in collina, lontana dalla città, lontana da tutto, Paolo aspettava. Sul tavolo, due bicchieri di vino rosso ancora pieni, ma già dimenticati. Lui non beveva per coraggio. Beveva per dimenticare. Ma quella notte, Clara gli aveva detto: “Aspettami. Chiudi a chiave. Lascia il resto a me.”

Lui obbedì come un peccatore che aspetta l’inferno.

Clara arrivò con il vento, i capelli umidi e gli occhi pieni di veleno. “Tua moglie sa?” sussurrò mentre si toglieva il cappotto, lasciando scivolare via quella stoffa nera come peccato. Sotto portava solo una camicetta sottile, trasparente, e nient’altro. Nessun reggiseno. Nessuna vergogna.

“No,” rispose lui, la voce roca, quasi spezzata.

“Allora mentimi meglio.”

Lui la baciò con la furia di chi ha represso troppo. La sollevò contro il muro, le mani che tremavano e scivolavano sotto quella seta, trovando subito la pelle nuda, calda, disponibile. Clara non era una donna da conquistare. Era una donna che prendeva, pretendeva, e godeva a distruggere.

Il bacio diventò morsi. Le unghie di lei gli graffiavano la schiena. Lui si inginocchiò davanti a lei come un servo di fronte alla sua dea. Ma Clara lo tirò su per i capelli e gli disse con un ghigno: “No stanotte. Voglio che mi spacchi come non osi con tua moglie. Voglio che mi usi. Lì.”

Paolo sapeva cosa voleva dire. E qualcosa dentro di lui scattò. Forse colpa. Forse rabbia. Forse solo la voglia primitiva di sporcarsi fino a non riconoscersi più.

La portò in camera, la spinse sul letto. Clara rise. Si mise a quattro zampe, guardandolo da sopra la spalla, il sorriso perverso e il culo alto, invitante, sfacciato. Una sfida.

“Non sai quanto l’ho immaginato,” disse lui, già nudo, il sangue che pulsava tutto in basso. “Tu, così. Tutta mia e arrendesa alle mie voglie. Il tuo culo solo da me.”

“Non parlare,” ringhiò lei. “Fammi urlare.”

E lui glielo diede. Prima una mano forte, uno schiaffo sul culo nudo, che fece eco nella stanza. Poi le dita che esploravano, preparavano. Clara gemeva, spingeva indietro, cercava di più. Il lubrificante era inutile, bastava la saliva e la voglia che grondava da entrambi. Lei era calda, stretta, e quando lui l’affondò dentro, il gemito che uscì da lei era mezzo dolore, mezzo estasi.

“Putt…” mugolò lei, mordendo il cuscino.

“Dillo,” le ordinò lui, afferrandole i fianchi e spingendo più a fondo.

“SÌ, sono la tua troia, la tua puttana sibilò Clara, ansimando. “Tua. Tua. Anche se sei sposato, anche se lei ti aspetta a casa.”

Ogni colpo era un tradimento. Ogni spinta, un altro chiodo nel cuore di sua moglie. Ma Paolo non si fermava. Non voleva. Clara lo prendeva tutto, si piegava, gemeva, incitava. Lo voleva più forte, più profondo, fino a quando le lacrime le rigavano il volto e le cosce tremavano.

Quando venne, Paolo urlò. Un urlo roco, animalesco. Un’esplosione in fondo al ventre e poi una cascata di colpa che scendeva lenta.

Clara si lasciò cadere sul letto, sudata, soddisfatta, spezzata. Si voltò verso di lui con un sorriso ancora colpevole.

“Non dirle mai di me,” mormorò. “Ma se lo fai… che soffra. Almeno quanto ha fatto soffrire me.”

Paolo la guardò. Il viso di lei, quegli occhi neri come la notte, le labbra gonfie, e il corpo segnato dal loro incontro. La moglie gli passò per la mente solo per un attimo. Poi il pensiero svanì come il fumo di una sigaretta in una stanza chiusa. La verità era che voleva perdere tutto. O forse voleva solo sentirsi vivo di nuovo.

Il tradimento non era solo sesso. Era scelta. E quella notte, Paolo scelse il fuoco.

 

 

 

 

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