Divorzio
Come ogni mercoledì, stavo andando al motel dove mi aspettava Gigi, l’uomo col quale da circa un anno avevo una relazione ormai incancrenita e di cui non riuscivo a fare a meno; in realtà, ero profondamente e convintamente innamorata di Tancredi, il mio caro marito Dino che conobbi una quindicina di anni fa, quando ero poco più che adolescente, avevo solo sedici anni, e col quale avevo attraversato tutte le esperienza di vita fino ad allora.
Fu lui ad avviarmi nei percorsi del sesso, dalle prime timide seghe, attraverso pompini azzardati, fino alla prima dolorosa inculata e, in ultimo, alla scopata in figa con cui si prese la mia ultima verginità; lo amavo con tutta me stessa e non avevo smesso lungo tanti anni, anche dopo che ci eravamo sposati e vivevamo ormai in una condizione di grande benessere, soprattutto per la sua grande abilità nelle iniziative di movimenti di danaro in cui era diventato una specie di mago ambito da molti.
Io intanto mi ero laureata ed avevo raggiunto un traguardo che avevo sempre ritenuto importante, insegnare nel Liceo dove ambedue ci eravamo formati; in pratica, non avrei avuto alcuna difficoltà a gestirmi da sola, col mio stipendio e, volendo, con lezioni private; ma il benessere, che progressivamente l’attività di Dino mi aveva assicurato, mi aveva fatto scivolare in una condizione di parassitismo frutto di pigrizia più che di colpa.
La rottura con mio marito si era avviata un anno prima, quando cominciai ad ostinarmi a ritenere che non avesse per me le attenzioni che mi aveva sempre dedicato e a cui credevo di avere diritto, senza doverle chiedere io; l’errore fondamentale fu proprio questo capriccio, per cui aspettavo che lui si rendesse conto delle mie esigenze e le affrontasse con me, scusandosi di avermi trascurato per qualche tempo.
Lui non ebbe questa intuizione e continuò a fare il suo lavoro, preoccupato soprattutto di affrontare i problemi, spesso molto gravi, che gli si presentavano nella gestione di ingenti capitali spesso al limite della legge; incurante del suo lavoro, per spingerlo a prendere coscienza, diradai i nostri incontri a letto, limitando le scopate a quella ‘del bancario’ il sabato sera, mentre eravamo abituati, fino a quel momento, a scopare anche tutti i giorni e talvolta due volte al giorno.
Poi avrei saputo che a sua volta si era intestardito a pretendere che fossi io a parlare, perché la nostra intesa era basata sui cardini della lealtà, della sincerità e della verità; mi ripeteva spesso, molto significativamente, che la lealtà era il fondamento di una vita serena; nascondere qualcosa provocava crepe che potevano scatenare terremoti imprevedibili; disgraziatamente per me, qualche amica mi fece osservare che questa condizione basilare diventava lo strumento per controllare anche la mia sessualità.
Per alzare l’asticella ed imporgli il mio punto di vista, che prevedeva il mio dominio assoluto sui nostri rapporti, mi accostai al tradimento con l’intenzione di soddisfare un piccolo capriccio che non avrebbe avuto conseguenze; da sempre, Dino aveva fatto in modo che le mie bizze si sciogliessero nel dialogo e nella concessione; su un altro versante, aveva affermato che una trasgressione fuori del matrimonio poteva essere facilmente perdonata e dimenticata.
Senza rendermi conto che usavo le sue frasi pro o contro di lui in maniera del tutto scorretta e arbitraria, decisi che un cornetto glielo avrei fatto; mi avrebbe perdonato, avrebbe capito e sarebbe tornato da me più innamorato che mai; in questa logica mi lasciai corteggiare da Gigi che, grande affabulatore, sedicente intellettuale, poeta e scrittore, impiegò poco ad entrare nelle mie grazie, solleticando il mio amor proprio con frasi giuste, spesso però degne solo dei cioccolatini o dei biscotti cinesi.
Una sera che ci trovammo coinvolti in una cerimonia pubblica in cui Dino aveva parecchi incontri da realizzare e a cui io avevo partecipato di malavoglia, mi sentii più depressa del solito per qualche screzio che c‘era stato tra me e mio marito; niente di particolare o che potesse giustificare la mia scelta di fargli le corna proprio in quell’occasione; quando, però, Gigi mi ‘agganciò’ con la sua facilità di eloquio e le infinite dichiarazioni di ammirazione, mi lasciai affascinare.
Continuando a celebrare tutta la mia bellezza, la sensibilità, la cultura e quelle cose che solleticavano terribilmente il mio ego smisurato, mi portò delicatamente verso un giardino, fuori dalla sala affollata; capii che era il preludio a qualcosa che forse desideravo e temevo al tempo stesso; per un attimo fui tentata di rifiutare; ma la tigna mi diede la spinta e uscii con lui; ci incamminammo per un porticato scarsamente illuminato e, in un angolo buio, mi avvolse fra le braccia e mi baciò.
Non ne fui sconvolta, non almeno come mi sarei aspettata; Dino era molto più lussurioso quando baciava; non avevo ancora dimenticato, più di dieci anni dopo, il primo bacio sulla spiaggia, da ragazza; la tigna mi suggerì che era l’occasione per dare una ‘mazzata’ al marito distratto, senza neppure arrivare al colpevole tradimento; ricambiai il bacio e mi ci volle poco a mettere a frutto quanto avevo appreso dal matrimonio e travolgerlo in una libidine che, a mio avviso, provava per la prima volta.
Sentii la sua mano scivolare sul culo e, davanti, un’altra accarezzare lussuriosamente il seno; quando passò la mano dal culo all’orlo della gonna ed accennò a sollevarla per raggiungere la figa a malapena riparata da uno striminzito perizoma, lo fermai decisa; non ancora ero certa di volere arrivare alla scopata; mi bastava avere fatto cenno alla possibilità di tradire; per arrivare in fondo, potevo anche aspettare.
Non ebbe reazioni negative; anzi, si scusò per essere andato troppo oltre e mi invitò a rientrare per non far notare la nostra assenza; apprezzai molto la delicatezza della decisione, ma solo col tempo avrei capito che mostrarsi attento e comprensivo rientrava in una precisa tecnica per istigarmi a desiderare di andare oltre e di concedergli la figa e forse il resto; infatti, quando tornai con Dino e mi scontrai col suo efficientismo anche in quell’occasione, l’idea di cedere alle lusinghe del ‘poeta’ aveva vinto.
Mio marito aveva intuito qualcosa; la sua sensibilità, di cui ero orgogliosa, gli consentiva di cogliere immediatamente le stonature, le sbavature, le incertezze; mi invitò a parlare, se c’era qualcosa da dire; mi rivolsi risentita contro di lui e risposi piccata che non parlavo a chi non sapeva ascoltare; mi disse solo che le crepe sarebbe meglio evitarle subito; se si allargassero, diventerebbero incontrollabili; forse non volli, o non riuscii, a capire e lo mandai al diavolo.
Quasi a rincarare il peso dello scontro con mio marito, prima di andare via suggerii al mio corteggiatore di farsi trovare, il mercoledì successivo, alla fine delle lezioni, al bar del Liceo; ci saremmo incontrati ed avremmo avuto tempo per essere chiari; sapevo che Dino, il mercoledì, puntualmente si tratteneva al lavoro fino a sera tardi ed io avevo tempo per gestirmi le mie cose, incontrare le amiche, andare a bere un aperitivo, correggere compiti o altro che decidessi.
Nacque quella sera il ‘nostro’ mercoledì, quello che avremmo, per l’anno successivo, dedicato due volte al mese ai nostri incontri di adulterio; fino a quel momento, era stato solo il gioco capriccioso di una moglie nervosa che si lascia corteggiare delicatamente da uno sconosciuto e scambia un bacio che non si poteva definire d’amore, perché quelli erano un’altra cosa, come io sapevo benissimo; l’incontro di ‘quel’ mercoledì assumeva invece ben altro peso; era però ancora sopportabile dal ‘cornuto’.
Al termine delle lezioni, uscii dalla scuola, passai dal bagno dove mi sciacquai la figa e mi cambiai il perizoma, che tenevo addosso dalla mattina; non ancora avevo chiaro cosa avremmo fatto, ma la previsione di una scopata a quel punto era quasi scontata; passai dal bar, gli feci cenno di seguirmi senza farci notare, mi diressi al parcheggio, entrai in auto e lo feci salire accanto a me.
Mi chiese dove fossimo diretti; avevo deciso per un motel discreto, lungo la statale, apposta per coppiette più o meno regolari, di cui avevo sentito parlare, proprio da Dino che evidentemente lo conosceva per il suo lavoro, visto che della sua fedeltà ero certa come lo ero della mia slealtà in quel momento; fece una smorfia di disappunto; cercò di obiettare che un punto così esposto poteva far rischiare incontri indesiderati a due clandestini.
Mi resi conto che la realtà vera era che temeva di dover sostenere le spese dell’affitto; brutalmente, gli feci presente che non avevo problemi di soldi e che avrei fatto fronte io a tutte le spese; dovevamo anche pranzare e il motel era dotato di un servizio ristoro; il mio capriccio a quel punto si caricò di alcune valenza impreviste, al momento non considerate fondamentali ma che avrebbero pesato molto sulle conseguenze, col tempo.
Da un lato, fornivo al bull occasionale, che ancora non sapevo classificare, l’idea che avrebbe potuto fare il ‘mantenuto’; nel corso del tempo infatti, si ‘abituò’ a chiedermi i ‘regali’ che gli consentivano di provvedere al suo guardaroba; col luogo comune abusato, ma che gli tornava utilissimo, che ‘litterae non dant panem’, la letteratura non arricchisce, finì per farmi caricare sulla carta di credito di mio marito spese notevoli per i suoi ‘capricci’, dai vestiti a qualche gioiello.
Il dato peggiore era che non tenevo conto di un dato fondamentale; usavo i soldi di mio marito per foraggiare le corna che gli facevo, dal motel ai regali al bull, dalle consumazioni al ristorante a tutti i lussi che ci saremmo permessi; naturalmente, non usavo la mia carta di credito perché si sarebbe immediatamente svuotata e non avrei saputo come pagarmi i costi per le cure estetiche, per l’eleganza, per il lusso.
Usavo quindi una carta che faceva aggio sui conti personali di Dino, senza che lui ne sapesse niente; poiché era un mago della finanza, avrebbe scoperto assai presto l’uso che facevo dei suoi soldi; ma il capriccio mi aveva accecato e, come sempre, non tenevo in nessun conto il punto di vista degli altri; le sue ricchezze erano ‘nostre’ e mi doveva la soddisfazione dei miei capricci anche se si trattava di pagarmi degli amanti contro di lui.
In quel momento, per la verità, il peso della trasgressione non era eccessivo e rientrava tutto nella possibilità che mio marito si rendesse conto di avermi trascurato, chiedesse perdono, accettasse di dimenticare e ritornasse da me innamorato come e più di prima; l’idea di fare dei volgari conti di denaro neppure mi sfiorava, visto che la lotta che avevo ingaggiato riguardava i sentimenti e gli affetti.
Tutto andò come era nei miei desideri; il mio stallone provvisorio, di fronte alla mia determinazione ed alle ricche prospettive di godere anche socialmente ed economicamente, divenne ancor più disponibile e quasi viscido; mi riempì di lodi e complimenti, mi fece sentire una dea in terra e si schiavizzò alla mia libidine, consentendomi di esercitare quel ruolo di individuo alfa che, alla fine dei conti, era quello che inutilmente chiedevo a mio marito; giunsi a pensare che fosse l’ideale per rafforzare il matrimonio.
Prima di salire in camera, ci fermammo per mangiare, ma in realtà fu solo un rapidissimo ingozzare cibo per soddisfare i morsi della fame e riservarci il tempo per la successiva sicura scopata; le carinerie in cui si profondeva assai volentieri fecero a cazzotti, ad un certo punto, con il senso di colpa che mi nasceva dalla particolare situazione che avevo voluto, cercato e realizzato e che solo adesso mi appariva nella reale enormità.
La tigna sconfisse il senso di colpa e, quando salimmo alla camera, ero pronta a farmi scopare alla grande; se me lo avesse chiesto, non gli avrei negato niente; ma i pochi precedenti mi facevano sospettare che avrebbe cercato di proporsi nella migliore versione del damerino settecentesco, per non mandare in vacca un progetto di relazione che già si profilava interessante e produttivo.
Appena varcata la soglia, chiuse la porta e mi avvolse in un bacio lussurioso, diverso da quello, forse troppo rapido, che ci eravamo scambiati sotto il porticato in giardino; la sua lingua grossa e pastosa si infilò prepotente nella mia bocca che si aprì ad accoglierla e prenderne la lussuriosa stimolazione su tutte le papille; poi fu la volta della mia lingua ad inseguire la sua ed a scambiarsi, come in un duello di fioretto, piacere e umori.
Mentre mi stringeva a se appassionatamente, sentii crescere dal ventre, sotto la figa, la sua mazza non spregevole; Dino mi aveva abituato, in dodici e più anni di scopate senza limiti, a manipolare con gioia il suo arnese di oltre venti centimetri per lo spessore di una piccola lattina; con Gigi, amante provvisorio e forse da una botta e via, la sensazione fu di un cazzo non molto più piccolo ma più sottile e non voglioso come quello dell’uomo che mi amava davvero con tutto se stesso.
Quasi presa dalla curiosità di verificare che cosa offrisse l’occasione di tradimento che stavo consumando, allungai una mano tra noi e andai a prendere la mazza da sopra il pantalone; ebbi la conferma, sentendola cresce sotto le dita, di un arnese di buon livello dal quale potevo strappare orgasmi assai interessanti; manipolai la cerniera, la feci scivolare, infilai la mano nel pantalone e finalmente la sentii calda e vibrante; era davvero una bella mazza.
La frenesia del momento, l’ansia dell’azzardo, perché era la prima volta che apertamente mi ribellavo ad una decisione presa d’accordo con mio marito, mi spingevano a ridurre al minimo le conseguenze, come se scopare una o più volte non fosse lo stesso errore, come io lo valutavo, o la stessa colpa, come certamente avrebbe giudicato l’opinione corrente; tirai in lungo le fasi delle carezze preliminari, rinviando al massimo il momento cruciale della scopata.
D’altronde, Gigi era entrato perfettamente nella parte del damerino da letteratura, prono ai desideri della dama e pronto a darle tutto quello che chiedeva; si dedicò anima e corpo alla spoliazione e mi privò dei vestiti con lo stesso garbo con cui l’avrebbe fatto una servile cameriera di camera con una dama del settecento, mettendo addirittura in ordine, ripiegati su una sedia accanto al letto, i capi di vestiario che mi toglieva.
Per fortuna, si soffermava poi a passare dolcemente e lussuriosamente le labbra su ogni brandello di pelle che affiorava dalla ‘divisa professionale’ che avevo portato dalla scuola, un tailleur di fattura perfetta col quale rivestivo il decoro del ruolo in classe; quasi adeguandomi al suo ritmo, operavo la stessa svestizione, più agile perché indossava solo pochi capi; al termine della fase di conoscenza dei corpi, la libidine era giunta ad un livello di parossismo e il desiderio si era fatto impellente.
Decisi, sommersa da un incontenibile senso di colpa, di ridurre tutta la trasgressione ad una scopata unica e violenta; me lo trascinai addosso e mi gettai supina sul letto, facendo aderire il mio al suo corpo, arto per arto; non smetteva di accarezzarmi e di cercare con le dita le mie intimità segrete mentre la bocca svariava nei baci più sensuali sul viso, sulla gola, sul seno; sentivo la mazza indurirsi sul corpo e la desiderai con tutta me stessa.
In un tourbillon di emozioni volente, sentivo la figa pulsare di desiderio e palpitare in attesa della mazza che la riempisse; non sapevo decidermi e il desiderio mi invadeva a ondate successive; mentre la testa mi suggeriva che stavo andando troppo oltre il lecito, la figa mi chiedeva di essere riempita, ma anche il culo fremeva nel desiderio di essere violato e riempito da quel cazzo giovane e in quel momento desiderato; la domanda se usare la bocca per darci piacere appariva a sprazzi e mi tormentava.
Poi, finalmente, sentii il cazzo premere contro la figa; spostai il laccetto del perizoma, ben poca cosa, e la mazza scivolò dentro quasi naturalmente; sentivo i muscoli vaginali eccitati accarezzare l’intruso e goderne lo spessore che non turbava i normali equilibri ma sollecitava libidine ed umori continui che colavano sul lenzuolo; lui cominciò a muoversi con foga e a farmi sentire la cappella contro l’utero con un piacere indicibile.
Non mi scopò molto a lungo; forse perché da tempo in astinenza; forse per l’emozione della figa nuova che aveva conquistato, cominciò a gemere e mugugnare; mi chiese tra un sospiro e l’altro se poteva sborrare dentro; lo avvertii che ero protetta dalla pillola e lo sentii liberarsi completamente con una sborrata che mi inondò la figa e sbordò sul lenzuolo tanto fu lunga, ricca e densa; risposi con un orgasmo altrettanto intenso e violento; mente godevo, dedicai al cornuto la sborrata.
Ci sdraiammo rilassati perché davvero era stata una performance assai impegnativa, soprattutto per Gigi che forse non aveva avuto spesso a letto una donna calda come me; riprendemmo a baciarci voluttuosamente ed a carezzarci su tutto il corpo; io fui aggredita di nuovo da sensi di colpa, assurdi ora che avevo davvero fatto le corna all’uomo che amavo e che avevo fatto diventare capriccio un errore forse clamoroso.
Mentre mi abbandonavo ai più vari giochi erotici con dita e labbra, una vocina dentro mi suggeriva di non caricare la storia di elementi di rottura; non era passato moltissimo tempo, da quando avevamo mangiato; avevo davanti ancora molte ore da dedicare alla scopata; ma qualcosa mi suggeriva di fermarmi lì, per il momento, e di verificare possibili ricuciture; se fosse andata male, avevo tutto il tempo per rendere la relazione impegnativa.
Passammo molto tempo a carezzarci, a leccarci, a goderci lussuriosamente, ma decisi di non andare oltre con le intimità che fanno di una scopata una ‘storia’; evitai quindi di prendere in bocca il cazzo e succhiarlo; parallelamente, non consentii a lui di leccami la figa come Dino faceva molto a lungo, nei momenti di preparazione o nel relax dopo una scopata; ci limitammo a languide e dolci carezze, che bene si addicevano al personaggio che Gigi aveva scelto, l’amante dolce e romantico.
Realizzammo comunque una seconda scopata in figa, stavolta un poco più pacata e serena in cui mi godetti fino in fondo la mazza che entrava nel canale vaginale e raggiungeva l’utero; lui fu ancora più dolce e delicato; mi montò con una certa abilità e con tanta premura che mi sentii carezzata dalla mazza che mi violava; la sborrata che sopraggiunse dolce e quasi inaspettata concluse meravigliosamente quella prima esperienza che ritenevo dovesse essere unica.
Molto in anticipo sulle previsioni, lo riaccompagnai al bar dove lo avevo prelevato e mi recai a casa, dove scaricai nella cesta della biancheria da lavare i miei vestiti e mi sistemai in cucina a preparare la cena nella speranza di un chiarimento immediato e definitivo; ma rimasi delusa; informato in tempo reale, come non avrei mai sospettato, della mia trasgressione, Dino fu feroce ed aggressivo; andò in bagno e prese atto delle condizioni del mio intimo; rispose con durezza al mio saluto; mi chiusi a riccio.
Quella volta, la scopata fu unica e quasi frettolosa; ero quasi certa che sarebbe stata sufficiente per costringere mio marito a prendersi cura di me, se non voleva perdermi; mi sbagliavo, naturalmente, perché, assai più tignoso di me ed abituato a trattare con personaggi assai potenti ai quali non concedeva margine neppure per obiettare, glissò su tutto ma fu informato immediatamente e puntualmente di quello che facevamo e di quello che ci dicevamo.
Ma soprattutto ricavò, dalle registrazioni che realizzava il motel, di cui possedeva una quota di maggioranza, le ingiurie che riservavamo al ‘cornuto impotente, senzapalle, forse anche frocio’ e chi più ne ha più ne metta, che puntualmente usavamo quando accennavamo a lui; non sapevo e, se lo avessi saputo, non me ne sarei curata, che con quelle dichiarazioni, insieme all’uso sconsiderato dei suoi soldi, costruivo le basi della valanga che il gesto ingenuo del capriccio avrebbe scatenato.
Ad ogni buon conto, tornando a casa dopo quel primo incontro, mi ero predisposta a fare chiarezza per portare l’attacco che avrebbe dovuto costringerlo a trattarmi con maggiore deferenza e rispetto del ruolo che pretendevo, di individuo alfa nel nostro matrimonio; quando mi vide stravolta dalla scopata, si rivolse con feroce arroganza; lo mandai al diavolo con qualche parolaccia e decisi di farlo cornuto finché non si fosse arreso; non sapevo che era informato nei particolari, con video della scopata.
La conclusione fu che mi organizzai con Gigi per incontrarlo un paio di volte al mese, sempre di mercoledì; lo facemmo per un anno, fino al momento del ‘crollo’, e naturalmente gli diedi tutto quello che del sesso sapevo o imparavo con lui; il primo incontro si era risolto con una scopata quasi veloce e comunque senza preliminari o corollari; seguirono altre sempre più ricche ed intense, quelle che il tempo disponibile, fino a sera, ci consentiva.
Cominciammo da tutti i modi possibili e immaginabili di succhiare il cazzo; diventò presto uno standard che, appena entrati nella camera, mi sedessi sul letto e tirassi a me l’uomo per le anche; gli aprivo il pantalone e lo facevo cadere a terra insieme al boxer; affrontavo con gioia la mazza che emergeva già in piena erezione e me la passavo su tutto il viso, sulla gola e sui seni; poi cominciavo a leccarla, tenendo con una mano il cazzo ritto contro il ventre e sostenendo con l’altra i coglioni.
Li leccavo accuratamente e amorosamente, li prendevo in bocca uno per volta; poi procedevo a ‘lucidare’ l’asta giocando con la lingua su tutta la superficie, dalla radice alla punta, facendolo impazzire con i giochi di ghirigori che disegnavo soprattutto sotto la cappella; quando passavo la lingua sul frenulo, erano brividi continui per lui, ma anche per me; poi imboccavo la mazza e, guidandola con la lingua contro il palato, la facevo affondare in gola.
Gigi era addirittura stravolto dai miei giochi di bocca, di dita e di lingua; col tempo, finii per passare anche più di un’ora a leccare e succhiare il cazzo, a farmi scopare in bocca e spingerlo in gola fino a soffocare o a dover combattere con conati di vomito; lui imparò presto a godere della mia bocca e a trattarla come una seconda figa, utile per trarre tutto il piacere possibile dalle fellazioni fino quasi a rinunciare a scoparmi, tanto godeva.
Per non concedergli la supremazia del maschio che la femmina fa godere, gli insegnai a praticare il cunnilinguo con il più alto grado di capacità; lo costrinsi a dedicarsi alla figa per essere anche lui partecipe della scopata e, soprattutto, per asservirsi alle mie voglie; quando ero nuda, mi stendevo supina sul letto, spostata verso il bordo, tiravo su i piedi sul letto e allargavo le ginocchia a compasso per offrirgli la visione più ampia possibile della figa.
Quando lui si abbassava sul ventre e cominciava a leccare, lo prendevo per i capelli e lo guidavo a stimolarmi laddove sentivo più immediato il piacere e più intenso il godimento della lingua che spazzolava grandi e piccole labbra; quando si soffermava sul clitoride, lo invitavo a succhiare tra le labbra e a stringerlo delicatamente fra i denti perché questo mi dava un piacere intenso e indefinibile; dopo alcune titubanze iniziali, divenne un amante perfetto con la bocca.
Le prime scopate furono rigorosamente alla missionaria, poi sperimentammo quella a pecorina e scoprii un amante assai duttile, che insisteva a leccarmi il sesso da dietro, con effetti di grande libidine; la sua lingua passava a spatola dal monte di venere all’osso sacro e mi titillava tutta la parte; a tratti, si fermava ad inserire la punta in figa o nel culo e mi provocava emozioni intense di piacere che scaricavo in umori nella sua bocca o sul lenzuolo che usciva sempre malconcio dalle nostre scopate.
Quando si decideva a infilare da dietro il cazzo in figa, era meraviglioso sentirmi afferrare i seni che usava per darsi la spinta e picchiare con durezza contro il culo mentre il cazzo affondava fino all’utero con meravigliosi esiti di libidine; non appena ebbe preso coscienza che godevo molto nella monta da dietro, imparò presto a scoparmi a lungo da quella posizione e variò tutte le possibilità, a cucchiaio o di schiena, scopandomi con tutto il corpo.
Per sottolineare la mia condizione dominante nei suoi confronti, la mia posizione preferita diventò quella a cavallerizza, in cui ero io a decidere la penetrazione, i movimenti e i tempi della scopata; allo stesso modo, lo indussi a mettermi il cazzo fra le tette e a farsi titillare coi globi mentre spingeva il cazzo fino al mento; farlo arrivare alla bocca fu questione di attimi e presto mi scopava alla spagnola sborrandomi in gola, alla fine.
Venne anche il momento del culo; dopo averlo fatto desiderare per alcuni incontri, arrivai armata di lubrificante e gli dissi immediatamente che gli avrei dato il lato B; avevo capito benissimo che era il suo sogno, sin dalla prima scopata, quando avevo notato la passione con cui accarezzava le natiche e, parlando, celebrava la purezza della linea del mio culo; il pomeriggio che mi lasciai inculare passò un tempo lunghissimo a leccare la parte e a scoparmi a pecorina.
Quella volta, partii da casa ben determinata a concedere quel particolare piacere a quello che era ormai il mio amore alternativo, non solo il mio amante; dopo i soliti preliminari e le prime scopate violente, in cui riuscì a trattenere la sborrata riservandola per il culo, gli passai il tubetto del gel, mentre mi stava perlustrando con la lingua tutto il perineo dilettandomi con lunghe penetrazioni della punta in figa o nell’ano.
Dopo l’ennesima monta a pecorina, sfilò il cazzo dalla figa e unse abbondantemente le dita e il canale rettale; quando infilò le dita nel culo, entrarono facilmente le prime tre a cuneo; dopo aver lavorato per bene lo sfintere per rilassarlo, strinse a cono, tutte insieme, le dita della mano e aprì l’ano come una caverna ideale per fare entrare il cazzo con la minima difficoltà e nessun fastidio per me, che comunque avevo fatto da tempo l’abitudine alle inculate, anche se scopavo ormai col lanternino con mio marito.
Quando avvertii che la cappella si appoggiava all’ano, provai un’intensa soddisfazione, al pensiero che un’ulteriore umiliazione veniva imposta a mio marito, la cui arroganza era calpestata dalla mazza che mi apprestavo ad accogliere nel culo; la progressiva penetrazione di tutta la lunghezza fu causa di grande lussuria; mi godevo i centimetri che avanzavano ad ingombrare il retto e titillavano, da posizione diversa, l’utero.
Lo fermai per un poco, per godermi la sensazione di pienezza di tutto il ventre; i muscoli rettali si mossero quasi istintivamente a risucchiare la mazza dentro e mi mandarono sferzate di piacere fino al cervello; mi spinsi indietro col culo finché mi scontrai col ventre che mi possedeva; cominciò la cavalcata più lussuriosa che desiderassi ed ebbi non so quanti orgasmi, mentali prima che fisici, mentre dedicavo la scopata al mio ‘cornuto’; sborrò di colpo, avvertendomi all’ultimo momento; schiantammo sul letto.
Mio marito Dino aveva capito tutto e seguito ogni fase della costruzione del palco di corna che gli avevo realizzato; anche se non avevo, o non volevo avere, elementi per esserne totalmente certa, troppi atteggiamenti, scelte e frasi gettate quasi a caso mi facevano intendere chiaramente che sapeva tutto delle mie smanie di superiorità sul maschio e sui pruriti di figa a cui avevo fatto ricorso per dominarlo.
Non capivo perché non affrontasse il toro per le corna e non ponesse il problema in termini chiari; eppure non poteva non rendersi conto che non scopavamo quasi più; lo facevamo il sabato sera, quando non avevamo altri impegni, quando me ne ricordavo o quando non mi inventavo motivazioni strane per mettermi a dormire dalla mia parte; perfettamente rimbecillita, anche di fronte al rifiuto di lui assai più netto del mio, non pensavo lontanamente che avesse altre donne.
Mi risultava assai più comodo, nella mia logica, convincermi che fosse vera una delle ipotesi che formulavo, per esempio che fosse un cornuto contento o un cuckold che si vergognava di uscire allo scoperto; oppure che fosse un omosessuale che non voleva fare outing e andasse a farsi inculare da qualche parte, sicché non si curava della mia freddezza e dei miei rifiuti; nella migliore delle ipotesi, azzardavo che volesse vincere ad ogni costo lo scontro con me e venisse regolarmente sconfitto.
Non servirono a niente gli avvertimenti che da ogni parte mi arrivavano, di enormi scopate che Dino regalava a tutte le mie amiche e a tante altre che neppure conoscevo; la costante comune era l’entusiasmo con cui uscivano dalle sedute di sesso, in cui si erano sentite amate come l’unica donna al mondo meritevole, una vera dea dell’amore; eppure, sapevo per esperienza diretta che mio marito era capace di farti vivere nel paradiso terrestre, quando faceva l’amore.
Il pomeriggio del ‘mercoledì maledetto’ tutto si svolse come al solito; passai a prendere Gigi al bar, andammo al motel, pranzammo e ci rifugiamo immediatamente in camera; quando mi avvolse, come sempre, in un calorosissimo bacio, lo avvertii che per quel mese non assumevo la pillola, per dare all’organismo un periodo di requie dopo anni di pratica anticoncezionale; gli raccomandai che sarebbe stato oltremodo pericoloso se fosse venuto in figa.
Ero nel momento di massima ricettività e una sborrata nell’utero poteva significare una sicura maternità improponibile in quella situazione decisamente difficile; mi obiettò che non aveva preservativi, ma mi garantì che, se non avessi deciso di farlo sborrare in bocca o in culo, avrebbe proceduto, ritirandosi all’ultimo momento, a sborrare sulla pancia o sul culo; lo lasciai fare fiduciosa che non mi avrebbe creato inutili problemi.
La scopata fu lunga ed entusiasmante, soprattutto perché si diede molto da fare col mio culo e mi leccò a lungo, profondamente, in tutti i buchi e lungo il perineo tutto; alternava titillamenti con le dita a leccate lunghe ed intense con cui mi deliziava figa, cuore e testa; più volte saggiò, con numerose dita insieme, l’apertura dell’ano, evidentemente per prepararsi alla più grossa inculata che avesse mai realizzato.
Quando passò nel culo il liquido lubrificante e fece penetrare quattro dita a cuneo nel canale rettale, mi sentii gratificata perché aspettavo la spinta violenta che mi stimolasse l’utero dall’ano e mi sfondasse fino all’intestino; nell’enfasi della goduria per la grande scopata che stavamo realizzando, vissi il trasferimento della punta del cazzo dall’ano alla figa come un elemento di piacere aggiunto, perché mi aspettavo come al solito una lunga scopata in figa e poi l’inculata.
Nella foga della passione, non mi resi quasi conto che aveva insistito a lungo in figa e che, di colpo, aveva sborrato nell’utero; quando realizzai quello che aveva fatto, mi montò una collera che non avevo mai sperimentato, nemmeno contro mio marito al quale attribuivo inesistenti terribili colpe; il timore che le condizioni favorevoli all’inseminazione avessero prodotto il guaio più grande che potessi immaginare mi fece perdere le staffe.
Mi staccai inferocita e gliene dissi di tutti i colori; mi guardava irridente come se non avesse colpa di niente; il sorrisetto imbecille mi fece montare ancora di più la rabbia; mentre mi vestivo decisa a rompere immediatamente una storia diventata incancrenita e pericolosa, sentii che quasi mi prendeva in giro usando le mie confidenze a mio danno.
“Scusa, hai detto che il sabato gli concedi la scopata del bancario; sabato ci scopi, fai in modo che il preservativo si rompa o, meglio ancora, ti fai scopare a pelle e alla fine nemmeno tu saprai chi di noi due ti avrà messa incinta; alla peggio, vai a comprare la pillola del giorno dopo e con quella rimedi; se proprio ti va malissimo, hai alcune settimane per provvedere all’aborto clinico legale; non capisco proprio perché te la prendi così calda.”
“Perché gli stronzi come te, imbecilli maschilisti che si sentono individui alfa e non sono neppure zeta mi fanno vomitare; purtroppo, in questo genere di rapporti la parte più difficile è proprio di noi donne che possiamo dover rendere conto di un bastardo ad un marito già cornuto di suo; con queste dichiarazioni ti riveli così piccino, assurdo e meschino che non so proprio come abbia fatto questa povera cretina a illudersi che potessi assumere nella mia vita un ruolo tanto importante.
Quello che so, adesso, è che non voglio vederti più, nemmeno dipinto; per un anno ho calpestato i principi fondamentali della coesistenza pacifica perché temevo di essere soggetta ad un prepotente maschilista; mi rendo conto che sei tu il tiranno imbecille che mi ha messo in difficoltà perché non te ne fotte niente di me e delle mie reali esigenze; mi hai preso per culo con le belle parole e ci sono cascata a mani e piedi legati; adesso sono solo cazzi miei. Vaffanculo, idiota!”
Mentre tornavo a casa, molti interrogativi mi tormentavano; in primo luogo, preso atto che avevo scambiato, come si diceva, il cazzo per il rubinetto dell’acqua, mi assalì il dubbio di avere volutamente innescato una pericolosa escalation da cui potevo uscire solo con le ossa rotte; la soluzione più naturale ma meno praticabile, secondo me, era parlare immediatamente chiaro con mio marito, confessare i miei errori, ammetterli come colpe e comprare la pillola del giorno dopo.
Ma non bisognava essere particolarmente acuti per rendersi conto che un ostacolo enorme si frapponeva tra me e lui, quella maternità spuria che rischiava di distruggere il fondamento stesso del matrimonio come l’avevamo sempre concepito; forse potevo sperare che Dino accettasse l’idea che ‘l’utero è mio e lo gestisco io’, si accontentasse di sapere che anche scopando con l’altro non avevo mai smesso di amarlo.
Forse, poiché pensavamo da tempo ad un figlio, il fatto che lo sperma fosse di un altro poteva incidere poco sulla sua determinazione a ricostruire l’unità della nostra famiglia; mentre formulavo il pensiero, mi saltava chiaro alla mente che lui non poteva essere d’accordo; educato ad una visione maschilista della vita e del matrimonio, non avrebbe mai accettato di legittimare un bastardo, frutto dell’azione indegna di un’adultera che lo aveva mortificato e umiliato.
Forse l’ipotesi formulata da Gigi, di portare l’inganno fino alla fine e scoparci senza precauzione, poteva risultare valida per attribuirgli l’eventuale figlio e, tacendo, nascondere che nemmeno io stessa potevo essere certa della paternità; la richiesta dell’esame del DNA non poteva essere fatta senza il mio consenso e, alla fine, lui sarebbe stato comunque il padre non solo legittimo e, comunque, putativo e affidatario ma forse anche quello genetico, se le cose prendevano una strada imprevedibile.
Più rigiravo il problema, più questa soluzione mi sembrava la più praticabile; si fondava senza dubbio su un inganno ancora peggiore di tutti quelli che avevo commesso contro un uomo del tutto innocente, se non nei miei equivoci, come aveva dimostrato il comportamento di Gigi di fronte ad una vera responsabilità; ma era aperto a una soluzione che forse poteva compensare l’inganno specie se accettavo di riconoscere gli errori e di cercare di farmi perdonare.
Se avessi comunicato a Dino che ero incinta di lui, sarebbero caduti tutti i motivi di frizione; un mio cambio di atteggiamento, che a quel punto ritenevo corretto, avrebbe fornito una piattaforma nuova per impiantare un rapporto sereno e duraturo di convivenza; la nascita di un figlio avrebbe soddisfatto un desiderio che da tempo accarezzavamo di avere un erede a cui affidare la nostra ‘eternità’ e, mio marito, l’eredità del patrimonio che andava costruendo.
Facendo appello alla mia cultura, ricordai che in una favola molto interessante Fedro dimostra che ‘madre non è chi ti partorisce in preda ad una bestiale voglia di sesso ma chi si cura di te a lungo’; sapevo che mio marito, sensibile a certi valori fondanti della civiltà, non avrebbe respinto questa ipotesi, anche se avesse avuto dubbi sulla paternità; noi potevamo essere i genitori che se ne occupavano fino la maturità e oltre e sarebbe stato certamente tutto nostro, alla fine.
Mi ero quasi convinta della possibilità di impostare su questa tesi il dialogo con mio marito, imponendomi la massima umiltà per riconoscere gli errori commessi e da cui era dipesa la rottura tra noi; per la prima volta dopo un anno, passai un mercoledì sera di attesa ansiosa e fibrillai per un ritardo, fisiologico peraltro, di mio marito anche sull’orario avanzato che in quel giorno della settimana gli veniva imposto da particolari adempimenti straordinari.
Non mi riuscì di incontrarlo, quando tornò, perché la stanchezza del pomeriggio di sesso mi aveva già abbastanza demolita, l’ansia mi aveva snervato per tutta la sera e alla fine mi trovai a crollare quasi sul letto mentre ancora mi sforzavo di restare sveglia per arrivare, finalmente, ad un chiarimento che avevo sempre rifiutato lungo il terribile percorso dell’adulterio consumato tignosamente contro un uomo che non aveva fatto niente per farsi odiare così tanto.
Quello che non avrei potuto sapere era che Dino era stato avvertito, in tempo reale, dell’ultima ‘bravata’ che avevamo consumato nel motel, dove avevano registrato, e fatto pervenire a lui, anche il commento audio alla vicenda; in pratica, sapeva già dell’inganno che stavo per ordire a suo danno ed aveva deciso che non ce n’era più; nei giorni seguenti, senza darmene nessuna avvisaglia, provvide ad organizzare la trappola contro di me.
Fece annullare la validità della carta di credito che avevo usato a sua insaputa e mi lasciò, praticamente, la disponibilità del solo mio stipendio; si rivolse al suo amico avvocato e gli fornì tutta la documentazione, nutritissima, delle spese da me affrontate per pagare, coi suoi soldi, le corna che gli facevo; aggiunse anche le registrazioni delle scopate fatte al motel, di cui valeva, ai fini del divorzio, solo il commento verbale che lo definiva con gli epiteti peggiori e confessava la manovra per attribuirgli il figlio.
Il rischio di denunce per il furto continuato e per gli oltraggi era quasi automatico, mentre sul piano morale pesava il comportamento di adultera che mi poneva anche a rischio di trasferimento d’ufficio in sede disagiata, se lo scandalo fosse diventato di pubblico dominio, per comportamento incompatibile con la funzione educativa del mio lavoro; se Dino avesse agito contro di me come faceva con gli avversari in affari, ero sulla bocca di un cratere.
Per quello che lo riguardava personalmente, mio marito aveva preso in affitto un miniappartamento in centro e, nelle ore in cui ero a scuola, quotidianamente trasferiva le sue cose all’abitazione dove voleva andare a vivere; aveva cambiato gestore telefonico e annullato il numero che io avevo; per alcuni giorni bestemmiai contro le Società telefoniche perché il suo numero era considerato inesistente; non mi riuscì di parlargli e per tigna attesi fino al venerdì sera.
Poiché non avevo nessuna avvisaglia dei fatti, continuai a costruire la manfrina da recitare il sabato sera, al momento della ‘scopata del bancario’; di colpo, me lo trovai davanti ad ora di cena; non si sedette a tavola e non cambiò neppure le scarpe con le pantofole, rito quasi abituale nella nostra quotidianità di vita; prese una valigia che aveva già riempito e si avviò alla porta; lo fermai spaventata e gli chiesi cosa facesse.
“Ho degli impegni fuori sede; non so quando potrò farmi vivo!”
La novità sconvolgeva tutti i miei piani per rimediare all’errore commesso qualche giorno prima con Gigi; se Dino partiva, non avrei potuto realizzare con lui la scopata che avrebbe dovuto fargli attribuire il nascituro, perché l’ultima volta che avevamo scopato prendevo la pillola; il cervello mi friggeva mentre cercavo di inventarmi qualcosa che lo fermasse fino a che avessi potuto avere il modo di scoparci per poter poi avanzare, anche a me stessa, l’ipotesi che il figlio potesse essere veramente suo.
“Scusa, ma non era nostra abitudine che, quando partivi per un lungo viaggio, prima di uscire di casa, facevamo l’amore’ … “
“Non ricevo da te amore da tempo ormai immemorabile, forse un paio d’anni; non è scritto da nessuna parte che si scopa il sabato o prima di partire; poi credo che tu abbia scopato col tuo amante così tanto che dovresti essere soddisfatta almeno per i prossimi nove mesi … “
“Dino, cosa ti salta in mente? E’ vero che da molto tempo non siamo più la coppia felice che eravamo; ma l’amante è una tua elucubrazione assurda, come il sesso che dovrebbe bastarmi per nove mesi; perché proprio nove mesi e non un anno? Mi sa che sei vittima di tue paranoie; forse l’hai detto perché nove mesi sono quelli della gestazione di una maternità? … Non riesco proprio a capirti; ma forse sono solo la cretina che tu immagini che io sia e che puoi asservire al tuo ruolo di individuo alfa … “
“Va bene; ancora una volta sei tu che decidi la verità; ma io, ostinatamente, ti lascio un ultimo consiglio con la speranza che, stavolta, lo seguirai senza arroccarti dietro convinzioni che fai passare per verità e imponi come vangelo a tutti; vai a trovare Giovanni, il nostro amico avvocato; ha accettato l’incarico di affrontare problemi che ci riguardano; se vuoi, almeno una volta, ragiona con la testa e non con la fi ... ducia in te stessa … “
Non aggiunse altro, forse perché ormai si era reso conto che parlare con me era ‘lavare la testa all’asino … ‘; uscì e mi trovai improvvisamente da sola in un appartamento troppo grande e vuoto; per curiosità più che per autentico sospetto, avendolo visto uscire con la valigia, andai a controllare armadi e cassetti; scoprii di colpo che ero veramente sola; mio marito aveva portato via ogni cosa, dai documenti ai vestiti, fino agli oggetti da bagno.
Poiché mi aveva fatto cenno al nostro amico avvocato, mi precipitai a telefonargli per fare chiarezza; mi rispose sua moglie, mia vecchia amica, che caritatevolmente intercedette con suo marito perché per telefono mi indicasse la gravità delle cose che stava facendo per conto di Dino; l’altro si limitò a dire che aveva presentato domanda di divorzio e che gli erano stati forniti documenti assai pesanti per dimostrare la mia colpa nella separazione di fatto.
Gli improperi che mi scapparono dalla bocca nella rabbia del momento furono fermati dall’interruzione della telefonata, perché l’altro aveva chiuso la comunicazione; piansi come una disperata e mi agitai tutta la sera alla ricerca di soluzioni; per la ‘pillola del giorno dopo’ avevo atteso troppo; per il colloquio con mio marito era sfumata ogni possibilità; l’unico rimedio praticabile poteva essere l’aborto che presentava non poche incognite.
L’ospedale civile aveva una sezione di maternità assai risicata e non si trovava un medico abortista nemmeno a pagarlo; al consultorio non seppero darmi informazioni utili; nella migliore delle ipotesi, mi suggerivano una lista d’attesa in una città assai lontana, dove avrei occupato una posizione difficile da prevedere come utile nei tempi di legge; l’unica struttura privata dove avrei potuto rivolgermi imponeva il pagamento di una cifra per me impossibile, dopo il taglio delle carte di credito.
Fui costretta a riconoscere che ero stata sconfitta, almeno in questo, dal rigore di quello che consideravo, a torto, il mio personale tiranno; nella sospensione sterile di qualunque soluzione, anche il tempo utile per l’aborto sanitario passò invano e fui costretta ad ammettere che dovevo tenermi il figlio e sperare solo di poter sconfiggere sul terreno legale mio marito per obbligarlo ad assumersi la responsabilità del bastardo nascituro.
Nessuno degli avvocati che conoscevo, ma che erano anche amici di Tancredi, accettò di assumere la rogna di affrontarlo in tribunale, conoscendo le motivazioni che lo avevano spinto a una separazione di fatto per colpa mia; qualcuno non mi concesse neppure un appuntamento per non ascoltare le mie geremiadi; cercai di parlare con Giovanni, l’amico avvocato a cui si era rivolto mio marito; ma non si fece neppure trovare al telefono e dovetti rinunciare.
Ormai disperata, feci appuntamento con un avvocato di cui sapevo solo che era un maneggino abile a sconvolgere situazioni e ottenere i suoi interessi; lo incontrai a cena ma, dopo un lungo corteggiamento, fui posta di fronte alla richiesta di andarci a letto, se non potevo pagare quella che consideravo una cena e lui una consulenza legale; decisi di scendere l’ultimo gradino della mia aberrazione, illudendomi ancora di poter mettere in conto a mio marito anche quello; lo seguii in un motel.
L’avvocato era stato attratto soprattutto e forse solo dalle forme giunoniche e non aveva smesso di ammirare il fondoschiena di cui andavo giustamente orgogliosa; non appena in camera, mi avvolse in un bacio violento, quasi sadico, con cui mi soffocò senza darmi il tempo di assorbire la botta; reagii facendo ricorso ad anni di copule con mio marito che mi colmava di affettuosità; fui costretta, per subire l’aggressione, a ricorrere al ricordo degli amplessi casalinghi.
Avevo Dino nella testa, mente l’altro mi sfilava il vestito e mi lasciava nuda ai piedi del letto; ricordavo la dolcezza con cui mio marito mi leccava a lungo e speravo almeno in una fase preparatoria; ma il tipo non aveva nessuna finezza da proporre, mi sbatté letteralmente sul viso un cazzo non grande, assolutamente lontano dal ‘drago’ che dovevo ammansire a Dino, quando lo aggredivo con una delle fellazioni che mandavano in delirio tutti e due.
Gli imposi di usare un preservativo; lui lo fece e si limitò a sbattere la mazza contro il palato per cercare di affondare al massimo; lo controllai abilmente, facendo scivolare la punta come volevo; ero esperta di fellazione e non mi ci volle molto a controllare l’asta che spingeva verso l’ugola; mi resi conto che dovevo spomparlo e liberarmene rapidamente, succhiai e manipolai con il preciso intento di portarlo a sborrare.
Non mi era mai dispiaciuto sentire in bocca il cazzo; anche Gigi era piuttosto sgraziato quando mi scopava, ma lo dominavo; misi in atto tutta la mia abilità e mi manipolai la figa per cercare almeno un orgasmo; ci riuscii quando, per qualche momento, era il cazzo di Dino, nella mia testa, quello che stavo succhiando con amore; l’altro si trovò a sborrare quasi senza accorgersene; era inferocito, contro se stesso soprattutto, perché non aveva controllato la sborrata e invece voleva scoparmi.
Decisi di deriderlo; presi l’asta e la masturbai con sapienza; maledetto Dino, anche in questo era stato maestro; osservai le smorfie dell’altro preso in una vertigine di piacere che non si aspettava; cominciò a temere che quella che aveva davanti fosse una puttana esperta che lo stava dominando; bloccò la manipolazione e mi spinse sul letto; speravo che mi leccasse, non a lungo come mio marito, ma almeno quanto bastasse a farmi godere.
Ma, per raggiungere un orgasmo, fui costretta a prenderlo per le tempie e costringerlo a succhiare e leccare il clitoride, finché gli ‘sparai’ rabbiosamente sul viso uno squirt che l’altro ricevette ma non gradì; mi spinse rozzamente sul letto, mi fece spalancare le cosce e mi piombò addosso; ma ero troppo abituata alle penetrazioni violente e dolorose di Dino, di cui mi rendevo conto solo dopo, quando andavo a verificare le mie condizioni.
Avevo ipotizzato una grande scopata, anche con un’inculata, nel caso; decisi che la giostra si sarebbe fermata lì; gli imposi un nuovo preservativo e mi aprii a prenderlo in figa; lui si sistemò fra le cosce ed accostò la cappella; ma fui io a risucchiare dentro, con intenzione, il cazzo dello sconosciuto che non era stato in grado di provocare nessuna delle emozioni che mi aspettavo e che avevo trovato solo mentalmente, nel ricordo di come scopava il mio ‘nemico’.
Il pisello, così lo consideravo ormai, di quell’individuo poteva a malapena solleticare il canale vaginale; ma sapevo come attivare i muscoli e tenerlo fermo per avere l’orgasmo che desideravo, specialmente quando la punta arrivò a sfiorare la testa dell’utero; il mio urlo fu ferino, quando esplose nel suo orgasmo vero, mentre il corpo ricordava le scopate belle dei primi anni di matrimonio; era stato un grave errore concedermi; l’altro invece si ritenne grande amante, di fronte a quell’orgasmo.
Picchiò sul pube col corpo in un movimento di scopata persino elementare; lo accettai supina, torturandomi i capezzoli per provare piacere; ancora l’ombra incombente di Dino era l’unico appiglio per rendere accettabile una scopata che sembrava l’esperienza di una prostituta con un ipodotato vergine; mi venne in mentre la barzelletta della massaia che, mentre scopava, si interrogava sul colore delle pareti; finii per augurarmi che almeno accettasse di rappresentarmi contro mio marito.
Anche questa speranza andò delusa, quando, al termine della scopata, lui si rivestì e mi riaccompagnò; se avesse avuto la certezza di vincere la causa, si sarebbe rifatto su mio marito ricco; poiché temeva di perdere, avrei dovuto corrispondergli un alto onorario; tornai a casa col cuore sanguinante; mi era prostituita, stavolta sul serio, inutilmente per combattere un mulino a vento; cominciavo a sospettare che una resa onorevole poteva valere più di una sconfitta dolorosa e distruttiva.
Non riuscii ad incontrare Dino per circa tre mesi; sembrava che fosse sprofondato in un inferno da cui non fosse stato più capace di riemergere; a me aveva appena accennato che andava via per qualche giorno, per non so quali controlli previsti ad aziende collegate a quella dove lavorava; il sospetto che avesse evitato di incontrarmi perché, al corrente di quel che avevo in mente, mi rifiutava in toto e preferisse sparire dalla mia vita, si fece opprimente.
Intanto, mi restava il problema dell’ultima scopata che rischiava di mettermi di fronte alla responsabilità di un aborto clandestino con tutti i rischi connessi; nel giro di un paio di settimane, ebbi la certezza della miseria morale del mio ex amante, che respinse ogni ipotesi di affrontare con me il momento delicato; contestualmente, scattò una sorta di presa di coscienza della MIA miseria morale e civile nei confronti di Dino e dell’eventuale nascituro.
Rotto qualunque legame con Gigi, piansi lacrime amare all’idea che fosse svaporato, nel fango delle mie azioni, il grande amore che avevo condiviso con Dino, fino a quando non ero impazzita e avevo cominciato a dare i numeri per tentare di essere dominante su di lui; mi sentii improvvisamente sola, con addosso la responsabilità di una creatura di cui dovevo decidere la sorte; non mi preoccupava l’idea dell’aborto; ma la fine dei sogni di maternità divenne insopportabile.
Uno scatto di quelli che mi avevano sempre caratterizzato mi spinse a decidere di fare da sola, pur soffrendo terribilmente l’abbandono di mio marito; decisi che quella creatura sarebbe stata mia e che, se voleva davvero amarmi, Dino avrebbe dovuto accettarmi tutta, compresa la mia creatura che sarebbe diventata anche sua; stavolta non era un capriccio o la tigna a spingermi ma la coscienza che l’amavo davvero ma che volevo essere amata senza preclusioni.
Rinunciai a qualunque obiezione alla richiesta di separazione, mi ritirai nel mio alloggio e mi dedicai tutta alla creatura che vedevo vagamente nelle lastre dell’ecografia, un esserino informe ma che catturò tutta la mia capacità di amore; sognavo, stupidamente, che Dino se ne innamorasse con me e mi amasse davvero senza se e senza ma; sapevo che era nelle sue corde, se avessimo trovato il sentiero giusto da percorrere; in assenza, potevo solo sognare e sperare.
Tre mesi dopo la ‘fuga’ mi comparve davanti assolutamente imprevedibile; mi salutò affettuosamente e mi chiese come stessi.
“Male, lo vedi da solo; non resisto senza l’uomo che ho sempre amato, anche quando mi sono comportata peggio di Giuda.”
“Non è con te il tuo amore alternativo?”
“Dino, lo sai anche tu che avevo preso un grosso abbaglio; Giovanni mi ha detto che sei minuziosamente informato di tutto; ho commesso un solo grave errore, un capriccio imbecille che una persona adulta non dovrebbe nemmeno pensare; non c’è mai stato un amore alternativo; c’è stato un montone incivile e assurdo che ho confuso con un poeta; adesso posso solo piangere sul latte versato!”
“Il figlio che stai aspettando? Cosa ne sarà? Chi se ne assumerà la paternità? Che vita gli prepari?”
“Non ho voglia né di lottare, né di polemizzare né di star male per queste questioni; la creatura che aspetto e che amo già più di me stessa è mia; ancora non so se sarà maschio o femmina, ma comunque si chiamerà Vittorio o Vittoria, perché deve essere la mia vittoria sulla mia stupidità, sui miei capricci, sull’ottusità bestiale dei montoni e sull’arroganza intelligente e tirannica del mio amore; si dice che i figli non sono di chi li partorisce ma di chi li fa crescere.
Farò crescere mio figlio; se avrò accanto un uomo che mi sappia amare per intero, anche con mio figlio, senza preoccupazione per il cazzo che mi ha inseminato, lo amerò come amo te adesso e sarà nostro figlio; se questa è utopia e non c’è un maschio disposto ad accettare una donna che ha un figlio di un altro, sarò sola con il mio amore, che sarà per mio figlio e non più per il fantasma dell’uomo che mi ha sverginato tanti anni fa.
Riuscirò a farlo crescere, a farlo laureare come ho fatto io e come hai fatto tu; non gli perdonerò i capricci come hanno fatto i miei con me e, dopo, anche mio marito che mi ha viziato a fare capricci e mi ha lasciato quando ho sbroccato; sarò per mio figlio la compagna, la guida, il mentore, l’amica, tutto quello che forse non ho saputo essere con te; se una cosa questa triste vicenda mi ha insegnato è stato prendere coscienza di me, con tutte le mie debolezze; di certo ci penserò molto, prima di amare ancora.”
“Se avessi bisogno di un aiuto economico, rivolgiti a Giovanni; ci sono ancora e sempre, per te e per tuo figlio; la separazione non è legalizzata e ancora non ha valore, sei sempre mia moglie; sto male e le ferite sanguinano ancora; ora parto e tornerò tra qualche mese; ma tornerò e spero con idee più chiare; riguardati … Sono tentato di salutarti almeno con un abbraccio, ora; ma non voglio abbattere le difese che mi sono costruito; non ti nascondo che, oltre ad amarti come sempre, ti desidero anche.
E’ troppo tempo che non ci scambiamo amore e tu ti sei svenduta; mi fa ancora male; sappi che non è cambiato niente, tranne il figlio che avrai da un altro e che pensi possa ancora essere mio; devo rifletterci; spero che tu trovi un amore nuovo e vero, forse per placare il mio senso di colpa; io non lo sto cercando e, se mi ci imbattessi, vincerebbe la memoria di una ragazza di sedici anni che sverginai. Riguardati e parla con Giovanni, per favore; non vorrei sentire la responsabilità di averti lasciata nelle peste. Ciao!”
“Ciao, amore mio; lo sei sempre, qualunque colpa io abbia, qualunque errore abbia commesso; l’amore non è stato mai messo in discussione; gli errori hanno riguardato altro. Ciao; fai le cose che devi e falle come sai; spero di rivederti più sereni e di parlare più a lungo. Ciao!”
La volta successiva che Dino bussò alla mia porta fu tre mesi dopo; al sesto mese di gravidanza, la pancia mi era cresciuta come un pallone e mi ero gonfiata tutta; quasi non mi riconoscevo e avevo frequenti momenti di desolazione quando mi vedevo allo specchio oppure mi rendevo conto delle difficoltà a muovermi e a sbrigare faccende; la depressione era all’angolo e mi scoprivo assai fragile e pronta alle lacrime per i motivi più banali.
Istintivamente lo accolsi in un abbraccio quasi d’amore; attraversavo uno dei momenti peggiori della mia difficoltà e il suo viso mi apparve come quello di un angelo che mi soccorresse per consentirmi di sfogare la mia debolezza su una spalla asciutta amica e disponibile; mi accolse in un abbraccio simile e colse immediatamente il motivo della mia tristezza; senza che pronunciassi una sola parola, mi stava lusingando con le dolcezze più intense.
“Non sai quanto sei dolce e bella in questo momento! Pensa per un attimo a tutte le Madonne dipinte nel Rinascimento; hai la la stessa tenerezza, la stessa dolcezza di tutte quante, specialmente quelle che hanno in braccio il Bambino!”
“Come faccio a non amare un pessimo bugiardo come te? Ce l’ho lo specchio; mi sono vista due minuti fa e mi sono fatta orrore, per come sono gonfia e sformata!”
“Forse stiamo guardando due persone diverse; io ti guardo e penso solo a come sarebbe bello baciare tutto il ventre e sentire il bambino che tira calci! … “
“In primo luogo, è una bambina; ho visto l’ecografia e so per certo che sarà Vittoria; in secondo luogo, i calci che tira sono da capocannoniere della serie A; non sono in grado di baciarmi tutto il ventre e non ho nessuno che mi ami tanto da desiderare di baciarmi dalla testa ai piedi come faceva il mio grande amore, prima della tempesta; conosci tu qualcuno che possa sostituirlo?”
“Non puoi neppure immaginare quanta voglia avrei di lasciare andare i dubbi e decidermi ad essere io, a carezzarti come forse qualche volta mi è riuscito di fare; ma non ho ancora maturato la decisione; so che ti amo; so che anche tu mi ami; so che ti sei ravveduta e pentita dell’errore commesso; ma non so sottrarmi al dubbio che, se ti accarezzo il ventre, automaticamente mi scatta la gelosia retroattiva perché lì dentro c’è il fallimento di un sogno, un figlio nostro, mio e tuo.”
“Dino, è di questo che devi convincerti; questa bambina è tua nel momento stesso in cui desideri sentirla anche attraverso i calci; se a fare la differenza è un cazzo in figa, mi dispiace per te ma le mie colpe sono anche maggiori; tu sai di Gigi e di una storia durata un anno; ma io ho commesso un altro errore assai più grave; cercando un avvocato per oppormi alla separazione, ho scopato una sera con un faccendiere che si professa avvocato; sono caduta in una stupida trappola e, esasperata dalla lotta che avevamo ingaggiato, ho ceduto al ricatto e ci ho scopato, una sola volta, ma l’ho fatto; quindi, se è di scopate che ti preoccupi, allora dimenticami e fatti dimenticare; è meglio.”
“Ti riferisci a quello strascinafaccende che risponde al nome di Scognamiglio? Sta già pagando per la sua abitudine a ricattare le clienti per portarsele a letto; quando lo lasceranno andare, credo che avrà perso qualunque voglia di ricattare; prima che ti inalberi e mi accusi di essere vendicativo, ti avverto che non l’ho deciso io ma gente assai più forte di me che ha punito le sue pessime abitudini che hanno rovinato molti matrimoni … “
“Amore, non ti avrei accusato di niente; so che non è nelle tue corde la vendetta; il fatto che Gigi non abbia subito nessun disagio per avermi scopato per un anno dice chiaro che non è questo il tuo metro; mi meravigliavo solo che sapessi tante cose di me, addirittura che ho scopato una sera con una schifezza di avvocato ricattatore … “
“Amore mio, credo che posso anch’io cominciare a dirlo; se la tua battaglia è da femminista, perché a istigarti sono state delle femministe … so anche questo, non ti meravigliare … se è una lotta femminista contro il maschio oppressore, la cosa peggiore che potrei fare sarebbe definire ‘mia’ te o tua figlia; anche se, in realtà, io vorrei proprio sentirvi e definirvi mie, tu e tua figlia che vorrei diventasse nostra figlia ma anche e soprattutto mia figlia.
Chiarito questo, sono assai geloso di tutto quello che sento che è parte di me, protesi staccate dal mio corpo, come sei stata e sei per me; non ti faccio controllare solo perché sono geloso e non sopporto che tu conceda ad altri qualcosa che sento mio, come purtroppo hai fatto, ma anche perché ho bisogno di saperti al sicuro, al riparo da pericoli e difficoltà; sentirei di venire meno alle mie responsabilità se non mi assicurassi che, in ogni momento, posso intervenire ad aiutarvi, a sostenervi.
Non ti sei mai accorta di niente; per un anno mi hai riempito di corna, puntualmente due volte al mese; posso anche precisare che lo hai fatto per venti volte, in tutto, compresa l’ultima, terribile occasione; non te ne sei accorta tu, non se n’è accorta il tuo caprone, nessuno saprà mai niente di quello che hai fatto, a meno che tu non mi costringa a venire in tribunale per discutere una causa di separazione, che ora non vogliamo più, almeno non con l’urgenza di una volta.
Paradossalmente, e ne sono cosciente, è un modo di manifestare il mio amore, la mia premura; se decidessimo di rendere operativa la separazione, è ovvio che ti libererei immediatamente di questa noia; dimmi che ami un altro e io ritiro l’incarico all’agenzia; ma devo sapere, se per disgrazia stai male o hai problemi con Vittoria, che devo fare intervenire qualcuno; visto che non ci sono, c’è chi ti controlla.
Se hai bisogno di esprimere la tua libertà anche in questo senso, dillo subito e non ne parliamo più; finché sono tuo marito e padre putativo di tua figlia, mi siete care e non mi posso permettere di lasciarvi sole, col rischio possiate stare male senza aiuti … “
“Senti, grande furfante, stai dicendo che sei e ti senti ancora non solo mio marito, ma anche padre putativo di mia figlia?”
“Scusa, hai sollecitato la discussione della domanda di separazione? Ti risulta che l’abbia sollecitata io?”
“No; ma questo, quindi, vuol dire che la pratica è ferma e che sono ancora tua moglie!?!?!?”
“Fino a prova contraria, sì; e non solo; hai anche diritto a pretendere che io ti sostenga per fare fronte alle tue esigenze economiche; Giovanni mi ha detto che hai dovuto chiedergli degli interventi … “
“Non era una gentile concessione che facevi a una poveretta?”
“Ma da dove ti vengono queste idee? Possibile che ancora non riesci a distinguere un gesto d’amore se non è espresso coi fiocchettini delle frasi da cioccolatini?”
“E’ stato questo l’errore stupido che ha scatenato il finimondo! Io cercavo le belle frasi ad effetto e tu facevi di tutto per spianarmi la vita; tu rendevi concreto l’amore ed io cercavo le dolci parole ipocrite; l’imbecille non si è curato di me quando ha sborrato in figa; tu sei stato attento anche quando dovevi odiarmi! Credimi, Dino, mi vergogno di questo equivoco imbecille più di quanto senta di dovermi vergognare per le offese che ti ho arrecato; ma non posso rimediare, a questo!”
“Non è vero, amore mio; senti, io adesso ti dovrò lasciare perché ho poco tempo; tu non hai mai saputo come si sviluppa il mio lavoro; nell’ultimo anno, per reagire al dolore del cadavere dell’amore sotto i miei occhi, mi sono impelagato in mille nuove avventure; oggi non ho il tempo nemmeno per sputarmi in faccia allo specchio; tra qualche mese ti prometto che mi libererò molto di più.
Mi sono precipitato perché ho saputo che rischiavi una forte depressione, anche perché non reggi la frequenza a scuola ancora per molto; il tuo medico è allertato e chiederà un poco di riposo prima del congedo per maternità; appena posso, torno da te, forse con te addirittura, anche se ancora ho paura; cerca di reggere fino al parto; dopo, le cose potrebbero andare meglio, con una tata per la bambina; paga papà Dino, qualunque sia il ruolo che gli assegnerete; posso andare sereno?”
“No; tu non te ne vai se prima non ascolti alcune cose; sono stata una vera imbecille; non capivo che hai l’occhio lungo e ti studi anche se vado di corpo o se mi tingo i capelli; io non so se sono in grado di amarti così tanto come tu mi stai dimostrando senza parole e senza fiocchi; ma ti amo e ti amerò ancora di più; non posso sollecitarti a riprendere me e farti carico di mia figlia se non te la senti; ma sono convinta che è e sarà nostra figlia; tu ne hai le qualità.
Come ti ho detto l’altra volta, fai quello che devi e fallo come sai; non mi azzarderò mai più a giudicare quello che fai; se puoi, torna a trovarmi, anche solo a chiacchierare un poco con me se non ce la farai a riportarmi l’amore che ho disprezzato; io e Vittoria saremo qui, quando tornerai, e cercheremo di esserti famiglia, proprio come desideravamo insieme un tempo, anche se sarà tutto provvisorio; se incontrassi un amore che ti merita, fammi il favore di farmelo sapere … non solo per questioni pratiche ma perché voglio che sia tu a dirmi addio, se lo farai.”
Non lo rividi per quasi un mese, ma cominciammo a sentirci per telefono e, talvolta, a vederci anche durante le telefonate; non ricordavo di avere ricevuto né dato tante dolcezze a mio marito, durante gli anni felici del matrimonio; quando mi trovavo a rifletterci, la tristezza mi assaliva e mi incupiva; poi le telefonate diventarono una sorta di appuntamento a cui mi preparavo con ansia, soprattutto perché a lui confidavo i miei tormenti.
La gestazione procedeva senza problemi; ma piccoli eventi, spesso trascurabili, diventavano il centro degli scambi telefonici e il collante di una relazione che sapeva tanto di tradimento a mio marito, ancora lontano da me, ma con lui stesso; insomma ci amavamo di nascosto da noi stessi e, soprattutto, ancora non osavamo parlare di scopare; avrei potuto anche legittimamene proclamarmi regina del ditalino, tanto spesso vi facevo ricorso.
Fino al momento del parto, venne a trovarmi, spesso solo per pochi minuti, almeno altre tre volte; quando Vittoria nacque, lui era da qualche parte in Europa, ma non esitò a contattarmi in Skype per sentire immediatamente dopo come stessi e per avere una prima immagine della ‘nostra’ bambina, come si lasciò scappare non sapevo quanto involontariamente; non riuscivo più a capire le sue titubanze e cercai di parlargliene ma glissò e mi impose di tacere.
Non ebbi il coraggio di tornare sull’argomento nemmeno quando tornò a trovarmi, più frequentemente, dopo il parto; mi sorprese molto, in quegli incontri, la facilità con cui si adattava al ruolo del padre - baby sitter cambiando i pannolini a Vittoria con la massima disinvoltura; riuscii a frenare, stavolta, il capriccio che mi avrebbe indotto a mandarlo al diavolo perché esitava troppo ed io friggevo dalla voglia del suo amore; un errore travolgente mi era bastato.
Ormai sapevo di amarlo senza riserve e cercavo di farglielo capire e di spingerlo a confessare che veniva a trovarmi perché mi amava altrettanto e moriva dalla voglia di riportarmi nel letto che era nostro da tanti anni; temetti per un attimo che volesse imporre ancora una volta il suo ruolo di individuo alfa e decidere lui quando e come riprendere il rapporto dove lo avevamo interrotto; fortunatamente, non me ne adontai e preferii pensare che ancora avesse qualche lecito dubbio.
Quella mattina non lo aspettavo, perché non ero stata avvisata; ero in poltrona, a seno scoperto, e stavo allattando Vittoria; entrò senza avvertire, perché aveva ancora le chiavi e non avevo cambiato la serratura, mi guardò con l’occhio languido di quando si incantava davanti a una cosa bella, mi si avvicinò e mi chiese se poteva approfittare del capezzolo libero; gli feci presente che non poteva privare la bambina della sua poppata e, se avesse succhiato, avrei versato latte, senza dubbio.
Mi si inginocchiò davanti e prese a leccarmi amorosamente la mammella tutta, per spostarsi lentamente sull’aureola che amò infinitamente con la lingua; accarezzò lievemente il capezzolo, quasi timoroso di ‘rubare’ il latte a ‘nostra’ figlia; cominciai a sentirmi colare la figa per il piacere enorme che, tra il capezzolo succhiato dalla bambina e quello delicatamente stimolato dal mio amore, mi esplodeva continuamente nel ventre.
Lo guardai quasi a suggerirgli di masturbarmi, per lo meno; sembrò leggermi nel pensiero, come sapeva fare in maniera meravigliosa, e sentii la sua mano scivolare sotto la vestaglia che indossavo per casa, raggiungere il clitoride e titillarlo con la sapiente energia e con la maestria che sempre gli avevo riconosciuto.
“Dio, quanto vi amo; perché non mi fai fare finalmente l’amore con te?”
“Nostra figlia viene prima; ora sta poppando; quando avrà finito, parleremo di noi … “
“Il ‘nostra’ è un lapsus o una decisione? Mi farai fare l’amore, dopo? Riuscirai ad aspettare che faccio prima tutto quello che devo con Vittoria? Lo sai che ti amo da morire?”
“Fai la buona mammina e allattala; poi parleremo io e te!”
Ormai era una speranza concreta; avrei ritrovato il suo amore, ora che finalmente la nascita di mia figlia sembrava avermi fatto svuotare di tutto, errori e capricci, voglie strane e desiderio di trasgressione; oscillavo tra desiderio impellente e ansia di non corrispondere; la felicità che sembrava lì a portata di mano rischiava di scivolare ancora via, come era successo tante volte negli ultimi mesi; Dino aveva lo stesso mio desidero, forse; ma aveva molti più motivi per temere.
Non potevo in nessun modo garantirgli che ero cambiata dentro, che non intendevo più fare capricci né superarlo o dominarlo; che volevo solo costruire con lui una realtà nostra, con una figlia che lui amava come padre putativo ed io come madre a tutto tondo; che volevo da lui la fisicità dell’amore, quelle scopate che sapevo essere per lui un modo deciso e chiaro di comunicare affetto, voglia, desiderio, fiducia, lealtà, serenità.
Speravo proprio che capisse che non potevamo più cincischiare coi sentimenti e sciupare in supposizioni gli anni più caldi della nostra vita; sapevo che per lui il prezzo era alto, l’orgoglio maschile piegato alla realtà di una figlia che non aveva niente di suo ma che doveva rendere sua; ma speravo anche che l’amore per me lo convincesse davvero che amarmi con tutto quello che era mio, compresa la figlia, fosse la cosa più giusta e più bella, per la sua sensibilità umana.
Mentre ancora sborravo come una fontana guasta per le sollecitazioni interne ed esterne, che il suo amore e le sue dita portavano al mio corpo teso a prendersi l’amore da lui, mi lasciò, quando spostai la bimba all’altra mammella, e si allontanò verso la cucina dove ancora era caldo il caffè che poco prima avevo preparato e bevuto da sola; con la dolce disinvoltura con cui si era mosso negli anni in quell’ambiente, notai che si fermava a guardare, quasi a controllare che tutto fosse rimasto inalterato.
Impiegai ancora un’oretta ad allattare la bambina, a cambiarle il pannolino, e a metterla a dormire; poi andai da Dino e gli chiesi se tutto andasse bene.
“Vuoi sapere se in cucina è tutto in ordine? Mi pare di sì, proprio come mi aspettavo; in camera è tutto lo stesso?”
“Sì, compresa tua moglie; qui la tempesta non è passata; lì non ha lasciato danni e aspetta solo il mio amore.”
“Vedere per credere!”
Su questa battuta, mi prese per mano e mi guidò alla camera che davvero era rimasta intatta, dall’ultima volta che ci aveva dormito; mi afferrò in vita, mi fece una sorta di sgambetto e mi trovai supina sul letto col suo corpo che mi sovrastava e si sovrapponeva punto per punto; finalmente sentii il cazzo che mi premeva sull’inguine.
“Cosa ti aspetti che succeda adesso, amore?”
“Quando avevi sedici anni potevo capire che non sapevi e che dovevo guidarti; ora non sei più un’adolescente … “
“Il ginecologo che mi fatto partorire ha detto che il mio culo è tornato sodo e stretto come quando ero bambina e vergine; se mi vorrai amare, dovrai tornare a sverginarmi almeno di culo; la figa, dopo il parto, non puoi sperare di trovarla vergine, ma la ragazzina che c’è dietro è ancora quella che ha bisogno della tua guida per capire … “
Intanto, avevo aperto il pantalone, senza sfilarlo, avevo preso in mano il cazzo e l’avevo masturbato per sentirlo duro e grosso come lo ricordavo; guidai la cappella alla figa e lo tirai addosso a me per sentirlo entrare; la vestaglia aperta non poneva ostacoli e potei passargli le gambe lungo i fianchi e intrecciare i piedi dietro la schiena come tante volte avevo fatto scopando con mio marito; con poche spinte dal basso in alto mi penetrai profondamente, gemendo di piacere.
Non tentò di montarmi; mi teneva stretta e mi baciava con dolcezza su tutto il viso che conosceva a menadito ma che sembrava recuperare coi piccoli baci su tutto il profilo; mi baciò sensualmente sulla bocca ed ingaggiò un vero duello di lingue, un gioco che facevamo quasi quotidianamente e che avevo imparato a seguire cercando di imporre a lui la lunga e profonda succhiata che dedicavo alla sua lingua, assai simile a quella che dedicavo al suo cazzo.
Sentivo di recuperare a mano a mano la dimensione del nostro essere coppia innamorata e calda, libidinosa all’infinito e sempre pronta a scopare alla grande; anche se sapevo che era in grado di gestirsi tutto, mi sentii in dovere di avvertirlo che non assumevo la pillola e non poteva sborrarmi in figa senza rischiare una nuova maternità a pochi mesi dal parto precedente; mi sembrò che mi dicesse che aveva capito; mi affidai al suo buonsenso e all’autocontrollo.
Presa dall’eccitazione della scopata, cominciai a manovrare coi muscoli vaginali fino a sentire il suo cazzo, sempre più duro e voglioso, vibrare intensamente per la lussuria che gli trasmettevo; sentii che mi perdevo in un oceano di passione mentre mi godevo la mazza nell’utero e non mi accorsi che lui intanto aveva sborrato; quando ne presi coscienza, mi scoppiò uno sbocco d’ira che mi rese violenta, forse per memoria del precedente errore assai simile.
“Cavolo, Dino, che diamine hai fatto? Possibile che neppure tu abbia saputo controllarti? Eppure ti avevo avvertito; o sei per caso sordo?”
“Tesoro, non sono né sordo né stupido né incosciente; se ti calmi e mi lasci spiegare, forse troverai qualche nuovo elemento per riflettere senza dare in escandescenze.
Lo sai che siamo separati in attesa di una sentenza legale? … Bene, dolcissimo amore mio, sappi che, nel momento in cui il mio cazzo è entrato nella tua figa, è stato come se avessimo stracciato, insieme, la domanda di separazione; questa impone che non ci siano rapporti intimi tra i coniugi separati; se si fa l’amore o anche solo sesso, la domanda perde valore e si deve ricominciare da capo; da quando abbiamo fatto l’amore tu sei tornata ad essere a tutti gli effetti mia moglie.
Per conseguenza, proprio sulla base di quello che sostieni tu, tua figlia è nostra figlia, capisci? Io sono tornato in questa camera per dormirci con te ed ho accettato di cambiare i pannolini e lavare il sederino a nostra figlia; l’avevo fatto già quando ho condiviso con lei il tuo seno, da cui lei succhiava il latte e io l’amore.
Io però non mi accontento di una figlia nostra solo a metà; voglio un figlio nostro, tuo e mio, geneticamente e legittimamente; non smetterò mai di amare, insieme a sua madre, la figlia; sarà la luce dei miei occhi, la mia pupilla intoccabile; la farò crescere insieme a te quanto meglio possiamo; ma voglio anche un figlio mio e tuo, nostro a tutti gli effetti, tra l’altro anche erede del mio patrimonio mentre Vittoria dovrà accontentarsi di una buona laurea e di un ottimo lavoro; riesco a spiegarmi, moglie nervosa?
Ti sei meravigliata di come guardavo tutto in cucina; non hai modificato niente, neppure le piccole abitudini che possono fare ridere ma fanno invece la padrona di casa e l’amore tra noi; non è cambiato il calendario in cucina dove segni con un cerchio i giorni di inizio delle mestruazioni e, con un evidenziatore rosso, i giorni fertili; so che non assumi la pillola, forse perché non pensi più di scopare se non con tuo marito; ma quei giorni in rosso hanno scatenato il mio progetto che puoi anche non condividere.
Se non sarai d’accordo, vado ora stesso a comprare la pillola del giorno dopo e non correrai rischi; se sei in sintonia con me, sapremo da ora stesso che tra nove mesi nascerà un maschietto, ne sono sicuro non so dire perché; l’unica condizione è che lo chiameremo Giuseppe, come mio padre, secondo il rito paesano dei figli che hanno il nome dei nonni; il calendario c’entra perché dice che oggi è il giorno della tua massima fertilità; ho fatto l’amore per dare il via al figlio totalmente nostro.
Se il mio progetto diventa tuo, da stasera dormo con te e con Vittoria; tra un anno saremo in quattro; se hai altri progetti, parliamone, ma ti prego di non partire in quarta per fare quello che il capriccio ti detta; hai visto cosa comporta una scelta irrazionale ed estrema.”
“Dino, non ho nessun progetto alternativo; mi sono spaventata perché ho rivissuto quel che mi aveva fatto tanto male; qualche perplessità me la suggerisce l’ipotesi di una maternità che inizia pochi mesi da che ho partorito nostra figlia; mi piace che tu abbia deciso di considerarla nostra figlia; anche io ho sentito tanta unità di famiglia, quando mi succhiavate il seno insieme; forse distanziare i due eventi potrebbe essere più logico … “
“Amore, non smetti di cambiare pannolini se devi ricominciare con l’altro; se fai passare del tempo, sarà più doloroso perché smetti e poi devi riprendere; due bambini che crescono insieme significa un metro di educazione simile o eguale; se c‘è una distanza di anni, diventa difficile adeguarsi a nuove realtà; così è per la scuola, per gli amici, per le esigenze personali e familiari; se chiedi a chi ha avuto più figli, scoprirai che il lavoro doppio stanca di più ma quello ripetuto dopo anni logora.
Comunque, ti ripeto, se hai altre ipotesi, compriamo una pillola del giorno dopo e i problemi spariranno … “
“No, è giusto come dici tu; due figli coetanei, da amare con la stessa intensità, da educare insieme, da far crescere al meglio sono la certezza che si sosterranno sempre, senza superiorità e senza contrasti; spero solo che davvero Vittoria e Giuseppe saranno sempre uguali, per me ma anche per te che potresti essere portato a privilegiare il maschio tutto nostro.”
“Io so che ti amo e, come mi hai costretto a riflettere, amarti significa amare anche la figlia che è parte di te come lo sarà nostro figlio; spero solo che tu sia veramente maturata, in questo senso, e che la lealtà, la chiarezza e la sincerità ti aiutino ad essere sempre compagna, amica leale, spalla asciutta nel dolore e pilastro nelle necessità.”
“Dino, ha sbagliato una ragazzina non cresciuta per colpa di qualche frase equivoca accettata senza riflettere; io voglio essere la moglie cavernicola che si occupa dei suoi amori e li vive intensamente come protesi staccatesi dal suo corpo; se avrai bisogno di correre per il mondo per sbandierare potere e fascino, non sarò io a muovere foglia; Vittoria e Giuseppe saranno la mia vita, il mio amore; tu lo sei sempre stato e lo resterai anche se dovessi diventare un altro; ho imparato la lezione; adesso ritorno a quella di mia nonna e di mia madre; è stupido e antistorico, ma è pacifico e rasserenante.”
“Se devo restare con te, ti creo problemi per il pranzo e per la cena? Vedo che non esci molto; hai fatto scorte?”
“Te l’ho detto, devo tornare alle lezioni di mia madre e, più ancora, di mia nonna; loro non si sono mai trovate in difficoltà perché sapevano organizzare la dispensa; non sono ancora alla loro altezza, ma ce la faccio a sfamare mio marito; nel caso, ricordando una stupida barzelletta, ci si può sempre cibare d’amore!!!!”
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