Dolly

Dolly

Il gran Gala a cui aveva ingenuamente accettato di partecipare non risultava gradito come nelle promesse dell’amico che lo aveva sollecitato; Pino, al secolo Giuseppe Rossi, venticinquenne architetto rampante in corsa per diventare, almeno nelle ambizioni, importante a livello nazionale e, perché no, internazionale, non riusciva proprio a vedere come uscire da quello strano letargo in cui era piombato quasi subito dopo l’ingresso.

La congerie di personaggi della moda che si aggiravano come zombie per la sala lo stomacò immediatamente; ambiziose ragazzine, alcune anche minorenni, civettavano con mossettine decisamente false; vecchi bavosi in cerca di carne fresca e giovane sembravano aggirarsi allupati in cerca di preda; uno stuolo di addetti, dagli operatori ai manager riempivano la sala di salamelecchi ipocriti, falsi sorrisi e discorsi vuoti.

Di colpo, mentre cercava di controllare il senso di nausea che lo spettacolo gli procurava, notò lei, per lo sguardo freddo e distaccato, anche se il corpo tutto promanava dolcezza e languore; taceva e se ne stava in disparte; ebbe un momento di panico, quando si chiese come potesse ‘agganciare’ la bellissima sconosciuta; poi il caso, come spesso avviene, intervenne in suo aiuto provocando una rovinosa caduta di un ospite sconosciuto, che spinse la ragazza e quasi la travolse.

In una reazione assai istintiva, corse a soccorrerla e l’afferrò per le spalle trattenendola in piedi; lei si girò con un sorriso strano e lo ringraziò; il commento sulla particolarità dell’ambiente e dei personaggi la spinse a confessare.

“Anche tu ti annoi in questa festa?”

“Vuoi dire che anche tu ti trovi a disagio?”

“Se conoscessi la città, sarei già sparita alla chetichella ... “

“Io conosco la città come le mie tasche e non ti nascondo che sarei felice, se potessi scappare con te da questa bolgia ... “

In pochi minuti lei gli aveva detto di chiamarsi Dolores, di essere argentina, diciannovenne modella di professione e alloggiata in una locanda del centro, per necessità economiche; lui avvertì che era un architetto ancora alle prime armi; abitava un appartamento in un attico del centro, con un vecchio contratto dei suoi; ma soprattutto che non aveva cenato e pensava di andare a mangiare.

“Pino ti confesso che odio l’anoressia a cui siamo condannate per la professione; se ci fosse in zona una trattoria tipica, sarei lieta di farti compagnia in una cena pacata e dolce, senza le ipocrisie di un buffet dove tutti aggrediscono tutto e tutti ... “

“Se hai anche nostalgia della tua terra, qui accanto c’è un posto gestito da un tizio che chiamano ‘l’argentino’ perché sua madre l’ha avuto da un turista di Buenos Aires; so che parla spagnolo e cucina anche all’argentina; se vuoi andiamo a mangiare qualcosa ... “

“Il ruolo di principe azzurro ti calza a pennello ... !”

“Non ho nessuna nobiltà e niente di azzurro; ho incontrato una compagna di noia; le propongo di scappare. Ci stai?”

“Of corse, mio eroico superman; prendo il soprabito e ti chiedo di portarmi a cenare; il posto è abbastanza economico?”

“Sono un giovane architetto alle prime armi, ma non devo spaventarmi per una cena con la Venere sudamericana; poi ‘l’argentino’ è mio amico e mi fa credito, se necessario ... Vieni, fata dolcissima, andiamo a soddisfare la fame.”

Da quel momento, tutto scivolò come in un sogno; in trattoria cenarono con carne alla brace, in stile ‘pampa’, e bevvero qualche bicchiere di Frascati tipico; mentre mangiavano e parlavano fitto fitto, le mani si intrecciarono quasi involontariamente sul tavolo coperto da una tovaglia di carta; qualcosa nell’aria diceva che stava sbocciando un amore e nessuno dei due fece un gesto per impedirlo; era circa mezzanotte quando uscirono dal locale e lui decise di rompere gli argini.

“Trovi sconveniente se ti propongo di passare a recuperare la valigia e di venire da me? Ho due camere disponibili, se temi che abbia cattive intenzioni ... “

“Stupido salvatore di fanciulle annoiate; credi davvero che dopo questa cena ti voglia abbandonare e dimenticare? Ti peserebbe se ti chiedessi di ospitarmi qualche giorno e farmi conoscere la città che vedo che ami e apprezzi molto?”

“Davvero pensi che possa essere un peso fare da cicerone alla ragazza più bella che abbia mai conosciuto? ‘Mi casa es tu casa’ mi pare che dite voi ispanici; se vuoi, puoi venire da me e fermarti anche tutta la vita ... “

Dolores passò dalla locanda, ritirò la valigia e andò con lui al suo appartamento, all’attico di un antico palazzo affacciato su una piazzetta del centro; mentre salivano, lui le parlò del suo sogno di comprare l’intero attico, adesso occupato da quattro appartamenti, due sul fronte e due sul retro, per realizzare un’abitazione grande e uno studio con molti assistenti a lavorare per lui; senza volerlo, si fece coinvolgere nei suoi sogni fantastici e scherzarono sul progetto; per la prima volta si baciarono e lei rivelò grande passione.

Entrarono finalmente in casa e lei gli saltò al collo, appiccicò le labbra e gli spinse in gola una lingua dolce e puntuta che gli fece rizzare il cazzo oltre ogni limite; quando lo sentì contro il pube, per un attimo staccò la bocca e, tenendogli le braccia intorno al collo, commentò che Il ‘bambino’ risvegliato rischiava di farle male; prontamente ribatté.

“Non ti farà male, sa carezzare come il piumino della cipria, se ne hai voglia e se lo tratti con amore … “

Lei aveva addosso l’abito da sera facile da svestire; lui un vestito intero con giacca e cravatta; lo spogliò lentamente e delicatamente, quasi volesse gustarsi un regalo pregiato che aveva ricevuto; fece scivolare la camicia dalle spalle scoprendo il petto leggermente villoso; lo accarezzò e scivolò sui capezzoli; quando li strinse fra le dita, il cazzo reagì alla sua maniera e le sbatté contro la figa; capì che era un punto fortemente erogeno.

Si abbassò a leccargli il petto e andò verso i capezzoli; ne prese uno fra le labbra e succhiò; lui cominciò a gemere come un neonato; passò la lingua su tutto il torace e brividi elettrici gli attraversano il corpo; strinse tra i denti un capezzolo e dovette trattenere un urlo di piacere; gli accarezzò lo stomaco, infilò la mano nello slip e arrivò al pelo pubico, afferrò il cazzo alla radice; sfilò pantalone e slip, scivolò verso i coglioni e li prese fra le mani.

Se ne stava immobile a guardarla mentre lo masturbava con dolcezza ed eleganza; il cazzo gli faceva quasi male, tanto era duro; poi lei abbassò il busto e lui distinse nettamene la punta della lingua che andava a raccogliere forse qualche goccia di precum sul meato; la sferzata che gli attraversò la schiena fu di piacere puro, all’ennesima potenza; guardò il su e giù della testa che faceva affondare il cazzo per buona parte nella gola, si concentrò sul piacere della lingua che leccava e guidava la cappella.

Lui era all’apice di un piacere immenso e non aveva quasi la forza di prendere iniziative; era così abile e dolce che era bello lasciarsi andare e seguire il piacere dove lei lo portava; allungò una mano a carezzarle la schiena; si spostò verso di lui per facilitare la carezza; si perse tra seni, schiena, natiche e cosce; non riuscì a raggiungere la figa per la posizione accosciata sulle ginocchia, ma il piacere che derivò dal suo corpo fu ineguagliabile.

Le prese la testa e staccò la bocca dal cazzo, la tirò verso di se e la fece montare sopra, per sentire il suo corpo aderire quasi completamente; si abbandonò languida, guidò con una mano il cazzo fra le cosce e lo accostò alle grandi labbra; poi spostò la punta alla vagina e lui sentì che la cappella penetrava quasi per intero nella figa; con uno scatto di reni, dal basso all’alto, la penetrò fino all’utero; un piccolo gemito disse che aveva toccato la cervice.

Fu lei, a scoparlo, con gusto e con sapienza, cavalcando fino a far uscire il cazzo interamente e lanciarsi poi, quasi con violenza, sul ventre su cui le natiche sbattevano con un melodicissimo schiocco; lo montò a lungo; era evidente che provava molto piacere a dominare la scopata, dirigendo la penetrazione, portandolo sull’orlo della sborrata per frenare all’improvviso e interrompere la goduria, riprendendo subito dopo con maggiore entusiasmo a scopare.

Ne approfittò per afferrare le tette a piena mano; con qualche sforzo, si sollevò col busto e andò a succhiare i capezzoli; lo aiutò abbassandosi e lasciandosi leccare, mordicchiare, succhiare con somma goduria; ormai lui non era più in grado di portare avanti il gioco di interrompere la scopata e l’avvertì che stava per sborrare; gli assicurò che non c‘era problema e lasciò che lo spruzzo partisse violento contro l’utero; godeva ad ogni getto che la colpiva e gli scaricava sul ventre umori continui.

Si accoccolò di schiena contro di lui che non resistette alla tentazione di carezzarla tutta, percorrendo ad una ad una le vertebre che la segnavano; passò le mani aperte su tutta la carne e arrivò alle natiche dure e dolci che afferrò a piene mani; il fratellino sotto alzò la testa e andò a grufolare fra culo e figa.

“Se vuoi il culo, meglio che prima lo prepari e lo lubrifichi.”

Fu un sussurro che le scivolò naturalmente dalla bocca, ma le contrazioni dell’ano suggerivano che stava pregustando l’inculata, che la voleva anche lei, pure se proponeva e necessitava di una preparazione adeguata; non la fece muovere dalla posizione fetale che aveva assunto; si spostò dietro di lei con la testa tra le natiche e cercò con la lingua il forellino, divaricando le chiappe quanto poteva, in quella posizione.

Riuscì comunque a raggiungere il buchetto e a infilarci entro la punta della lingua; si alzò ginocchioni e si piegò in avanti; si dedicò a leccarla con grande passione, quasi con amore; sentiva lo sfintere cedere dolcemente di poco; era ancora troppo stretto per la sua mazza; fu lei a ripetere quasi in un soffio.

“Il lubrificante … ce l’hai un tubetto di lubrificante?”

Balzò giù da letto, andò in bagno e tornò con il gel che usava spesso; si sdraiò dietro di lei; leccò ancora con amore ano, perineo e figa; infilo nel buchetto un dito; si spalmò un poco di gel sulle dita e ne infilò due, le fece ruotare e lei gemette di goduria; arrivò a tre dita per assicurarsi che il varco fosse utile al cazzo; appoggiò la cappella; lei trattenne il respiro, fece un sospiro profondo e protese indietro i lombi; lui spinse per contraccolpo e la mazza scivolò dolcemente nel retto; si fermò.

“Scopami, non sai quanto mi piace!”

Non aveva bisogno di incitamenti; la prese per le anche e sbatté con forza l’inguine contro il culo meraviglioso; il suono che faceva il ventre quando picchiava sulle natiche era dolcissimo, quasi musica celestiale; la montò a lungo e si fermò spesso; lei godette più volte, aiutandosi con un ditalino prolungato che operò infilando una mano fra le cosce mentre l’altra l’aiutava a stare carponi sul letto; lui fece passare una mano di lato all’anca e artigliò la sua che la masturbava; lo fecero insieme; godette rumorosamente.

“Sborrami dentro; mi piace sentire lo sperma nell’intestino!”

La montò a lungo e di gusto; gli piaceva vedere il cazzo che progressivamente avanzava ed arretrava con maggiore semplicità, finché usciva quasi del tutto e ripiombava dentro con il classico schiocco delle chiappe contro il ventre; la sborrata fu l’esplosione di una diga che scaricasse nel ventre un fiume di sperma, che lei accolse con urla di goduria e lui con grugniti animaleschi.

“Mentre esci, tampona il culo, non vorrei allagarti il letto; me ne hai dato tanta!”

Mentre sfilava dolcemente la mazza dall’ano, lei emise qualche gemito di dolore; lui si preoccupò di tenere pronti fazzolettini per tamponare il flusso che minacciava di sgorgare sul letto; nel contempo, si asciugava il cazzo; lei andò in bagno a scaricare l’intestino; poi anche lui andò in bagno a rinfrescarsi; si ritrovarono sul letto, sdraiati fianco a fianco.

Quella notte scoparono alla grande, fin quando il cielo fu quai chiaro; dormirono qualche ora e per una settimana lui la guidò quasi con amore per i luoghi più reconditi, e da lui amati, della città; subito dopo, lei decise di fermarsi con lui; l’ipotesi di farlo per sempre non risultò solo una galanteria di una sera; non per tutta la vita, ma per dieci anni Dolores visse con lui, si sposarono ed ebbero anche un figlio, Matteo, che lei amava più di se stessa e che lui coccolava in tutti i modi ogni volta che il lavoro lo consentiva.

Gli anni dell’infanzia di Matteo passarono in armonia nonostante qualche lieve screzio per diversità di vedute; Pino crebbe nella sua attività fino a raggiungere una buona notorietà, incarichi sempre più prestigiosi e guadagni sempre maggiori che gli consentirono di acquistare l’appartamento in cui vivevano e realizzare un suo antico sogno, uno studio importante che occupava tutta l’ala interna dell’attico e dove lavoravano diversi assistenti che assumeva a mano a mano che le sue quotazioni crescevano.

Dolores imparò presto ad occuparsi della casa e del figlio; per evitare il rischio di un deprimente parassitismo, chiese ed ottenne di dedicare alcune ore a sistemare aggiornare ed informatizzare l’archivio prendendo confidenza col lavoro di lui e diventandone anche partecipe; qualche dissidio nacque sul modo di intendere paternità e maternità, educazione del figlio e valore di lui nella loro vita; lei sempre più si incancreniva bella convinzione che il figlio fosse ‘carne della sua carne’ e che solo lei doveva guidarlo.

Quando il bambino cominciò ad andare alle elementari, i dissidi si fecero aspri finché scoppiò la classica ‘crisi del settimo anno’ e Dolly, come Pino aveva cominciato a chiamare Dolores, manifestò sempre più chiari e netti i segni di un nervosismo esasperato ed esasperante; le prime avvisaglie vennero dalle proteste di lei per l’eccessiva condiscendenza del padre verso i capricci del bambino; lei considerava il suo lassismo un elemento altamente diseducativo.

Ancora più grave era l’atteggiamento che assumeva nelle liti che affrontava con toni sempre molto alti, quasi che volesse far sapere a tutto il mondo le presunte ‘colpe’ di suo marito, di violenze e di incapacità di educare il figlio; lui cercava bonariamente di ricondurre tutto a logica, specialmente quando la sentiva urlare, come spesso faceva, che lei non gli avrebbe consentito di fare una certa cosa con ‘suo’ figlio; bonariamente cercava di ricordarle che il figlio era anche suo, senza smuoverla.

Il ‘bubbone’ esplose quando Matteo superò gli esami di licenza elementare e cominciò il dibattito sulla scuola media da frequentare; Pino era un convinto assertore della scuola pubblica, dove anche lui si era formato; lei invece insisteva per una scuola confessionale, meglio ancora se gestita da religiosi, per educare il figlio alla pratica della religione ed alla crescita nei valori morali della chiesa; l’ironia arguta del marito la indispettiva; erano urla infinite ed accuse di violenza e di incapacità di educare.

La sorpresa arrivò alla fine di giugno, quando era ormai tempo di iscrivere Matteo ad una scuola media; Pino tornava a casa dopo una tre giorni di lavoro intenso in una città del nord, dove aveva progettato una nuova urbanizzazione per edifici commerciali e abitativi; l’incarico era particolarmente importante ed aveva voluto seguire da vicino una fase dei lavori; non era la prima volta che si allontanava per più giorni; questa occasione era solo una delle tante.

L’unica particolarità fu determinata dal silenzio totale di sua moglie in quei tre giorni; non c’erano state neppure le solite brevi telefonate per dare un segno di vita; nella sua bonomia, Pino attribuiva la particolarità ad una difficoltà di collegamento, ad un errore di valutazione che aveva fatto scaricare il telefono con gravi conseguenze o ad un qualsiasi altro inciampo; rimase interdetto e stordito quando, rientrando, trovò l’appartamento vuoto.

Sorpreso e spaventato, tempestò di telefonate tutte le persone che avrebbero potuto dare informazioni; chiamò tutti gli ospedali ma non trovò tracce di Dolores e di Matteo; quando si rese conto che mancavano delle valigie e che ogni effetto personale della moglie e del figlio era sparito, si decise ad andare al commissariato per denunciare la scomparsa; impiegarono alcuni mesi, i poliziotti, per determinare l’itinerario seguito dalla donna e dal bambino.

Si erano imbarcati a Civitavecchia diretti a Genova e, di lì, in Spagna; a Barcellona le tracce scomparivano e si presumeva che avessero preso un aereo per l’Argentina; fu chiaro all’architetto che per mesi, forse per qualche anno, sua moglie aveva macerato in se la convinzione di appropriarsi del figlio e sottrarlo a qualunque controllo da parte del padre, fu investito della questione l’Interpol ma passarono mesi senza cavare un ragno dal buco.

Dopo quasi un anno, Pino fu convocato all’Ambasciata di Argentina a Roma, dove gli fu notificato che sue presunte malversazioni nei confronti di moglie e figlio avevano determinato una lite nel Tribunale dei minori che mirava a privarlo, di fatto, di ogni diritto sul figlio e minacciava l’arresto se avesse tentato di avvicinarlo fuori dai limiti concessi, un sabato ogni due settimane, una vera presa per i fondelli sollecitata dalla madre, perché il viaggio a Rosario avrebbe vanificato qualunque incontro.

La burocrazia italiana e quella argentina mandarono alle calende greche la soluzione del processo e solo dopo circa due anni gli venne comunicata la sentenza del tribunale argentino; presentò ricorso perché la decisione era stata presa per bugie grossolane inventate da Dolores, ma aveva portato a documentazione i sui suoi urli quando viveva con lui, sui quali i condomini non avevano potuto tacere; non gli restava comunque che accettare la sentenza e cercare di continuare la sua vita.

Quando lo raggiunse la telefonata informativa, era in studio con Flora, una giovane assistente da qualche anno diventata indispensabile e insostituibile nel ruolo di vice del titolare; la mole degli incarichi e il loro valore richiedeva una persona energica e competente; Flora era l’ideale; non di rado, andavano a cena e si struggevano in una passione convinta a cui resistevano perché lei non voleva chiudersi nel ruolo di moglie e lui non ancora si rassegnava alla sparizione di figlio e moglie.

Quando ricevette la definitiva notifica, ebbe un mancamento e perse i sensi per qualche momento; lei si precipitò a soccorrerlo e lo obbligò ad andare a sdraiarsi un poco, per recuperare la sua grinta e dedicarsi al lavoro, a quel punto pilastro unico della sua stessa esistenza; nel breve percorso dallo studio all’abitazione, si trovarono a carezzarsi lussuriosamente e lui finalmente vide nell’amore di quella donna una possibile via d’uscita alla crisi di depressione che avanzava a grandi passi.

Entrarono in casa e la guidò verso la camera; la bloccò dopo l’uscio e si fermò a guardare il volto fanciullesco, sbarazzino anche per un caschetto con frangia che le dava un’aria assai più giovane dei suoi anni; la baciò con passione sugli occhi, uno per volta, finalmente scivolò sulla bocca; lei lo accolse con un desiderio malcelato, fece guizzare la lingua nella bocca di lui e titillò tutta la cavità, provocandogli un’erezione immediata e potente.

Quando sentì il cazzo duro contro il ventre, spinse in avanti il pube e gli ossi si scontrarono da far male; ma ambedue sentivano solo il desiderio che montava; le mani di lui scivolarono verso le natiche sode e dolci da accarezzare, lei gli prese la testa e lo baciò appassionatamente; la voglia adesso era irresistibile e tutti i loro sensi erano puntati sul cazzo e sulla figa che si cercavano; lei si muoveva col bacino quasi ad ottenere che il clitoride si sfregasse contro il cazzo per raggiungere l’estasi.

Pino fece scivolare una mano tra i due corpi e artigliò la figa, da sopra all’abito, a piena mano; un dito si mosse a cercare il clitoride, lo trovò e lo stimolò, in piedi come si trovavano; lei si limitò a gemere nella sua bocca e i suoi ‘sì’ si persero nel bacio; quando sentì che si illanguidiva perché aveva sborrato, spostò la mano su un seno e trovò il capezzolo; lo strinse con forza e delicatezza; lei godette di quel nuovo tocco.

Si sganciò per un attimo ed aprì una fila di bottoni sul davanti, il camice da lavoro scivolò dolcemente verso il basso, lo scalciò via; lui le sganciò da dietro il reggiseno e le mammelle esplosero meravigliose davanti ai suoi occhi; vi si tuffò quasi ansioso e prese a leccarle, carezzarle, mordicchiarle, succhiarle; lei guidò la testa verso i capezzoli e lui cominciò a godere con quelli; li leccava, li accarezzava, li stringeva e li succhiava; lei continuava a gemere orgasmi e si lasciò andare languida al piacere.

La spinse schienata sul letto nel posto dove prima dormiva sua moglie e le baciò il busto, dal collo alla vita; prese fra i denti il lembo dello slip e lo tirò verso il basso; lei lo aiutò afferrando i laterali e spingendolo verso le caviglie; lui lo sganciò e lo gettò sulla poltrona; ora lei era completamente nuda; si spogliò in un lampo anche lui e restò solo con lo slip; lei accarezzò tutto il corpo e parve riempirsi del piacere di assaporarlo con le mani e con la bocca che passava su ogni lembo di pelle.

Passarono così un tempo che sembrava quasi infinito; ma avevano davanti a se tutta la mattinata.

“Amore, hai deciso di distruggermi prima ancora di prendermi definitivamente?”

“Hai detto ‘amore’? Allora devo pensare che hai deciso di innamorarti?”

“Stupido amore mio, lo ero già, innamorata; non ho deciso solo sull’onda di una strana sconfitta; sai perfettamente che ti amavo già da prima, forse come ti amano tante altre che tu ignori; ti ho chiesto quando ti deciderai a penetrarmi in figa; sto aspettando che il tuo mostro mi divori il ventre, il cuore, il cervello … “

“Quando sarai stanca delle mie tenerezze, ti amerò con tutto il corpo; per ora voglio strapparti tutto l’amore che sai darmi e regalarti tutto quello che sento adesso per te.”

“Quindi ti sei innamorato anche tu. E i pericoli che temevi?”

“Quando li vedremo vicini ne parleremo; per ora voglio godermi tutto il tuo corpo; per penetrarti e godere insieme, abbiamo ancora tempo … “

“Allora fermati e lasciami lo spazio per godere anche io di possederti in bocca come stai facendo tu da almeno un’ora … “

Si fermarono, lei lo fece stendere supino in mezzo al letto e si piegò sul cazzo, lo assaporò con la punta della lingua e lo fece penetrare tra le labbra socchiuse; lui si sentì come violasse una vergine, stretta come le due labbra accostate; in un rigurgito di voglia, la prese per le anche e se la fece scivolare sopra finché ebbe di nuovo, davanti agli occhi, la figa grondante e il culo fremente; riprese a leccarla e ad inserire la lingua in vagina facendola godere.

Gli prese la testa con le ginocchia strette intorno, lo bloccò e prese a scoparsi il cazzo nella bocca, fino ad avere conati di vomito e blocchi della respirazione; lui intuì che preferiva l’alternanza tra le funzioni; lasciò che lei godesse la mazza in bocca e spinse dal basso verso l’alto fino a raggiungere l’esofago; lei tirò fuori il cazzo fino a tenere solo la cappella fra le labbra e allentò la presa intorno alla testa; capì che era il suo turno di leccare e la fece urlare di piacere.

Andarono avanti così, nella fellazione alternata, finché lei non si abbatté languida su di lui e staccò la bocca; lui ruotò il corpo e le portò il cazzo all’altezza della figa; Flora gli strinse le gambe intorno e si impalò con forza; Pino sentiva che il cazzo aveva percorso tutto il canale vaginale ed aveva urtato con violenza l’utero; dopo un lieve sussulto, lei cominciò a montarlo con forza e con determinazione; lui si vide scopato e posseduto come non gli era mai capitato; era lei a condurre il gioco.

Non si fermò il movimento di scopata nella figa, finché lei non sentì che stava per raggiungere la vetta più alta del suo orgasmo e munse il cazzo per farlo sborrare insieme; lui si sentì portato in paradiso, perse il contatto con se stesso e si accorse che stava sborrando con un’intensità mai raggiunta; stavano urlando la loro gioia di godere e sembravano persi in un limbo imprevisto; poi lei si abbatté sul corpo di lui e godette a sentire ogni parte del corpo coincidere con la corrispondente sua.

“Pino, ti amo tantissimo, non sono mai stata così felice di dare a un uomo tutta me stessa; sei meraviglioso; non mi stancherò mai di fare l’amore con te; è troppo bello quello che dai mentre scopi; il tuo è amore purissimo; non me ne privare mai più.”

Da quel momento, diedero ampio spazio ad amore e passione, divennero più intimi ed assidui nella presenza a manifestazioni pubbliche in cui lo studio doveva figurare; scelsero di non decidere per la convivenza, perché lui risultava ancora sposato e separato da Dolores; ma sapevano che nel giro di pochi anni potevano scegliere il matrimonio, dopo il divorzio di lui; comunque, furono coppia affiatata e invidiata da tutti; diventava ogni giorno più evidente che la vicinanza di Flora era per lui la serenità conquistata.

Scivolarono blandamente, gli anni, una volta realizzata la pace armoniosa e intatta che, in fondo, era nei desideri di tutti; Pino poté anche avviare e far portare in porto la pratica per il divorzio, quando i tempi legali lo consentirono; ma scelsero ancora di vivere inseme da separati, nel senso che si incontravano tutti i giorni per il lavoro, spesso finivano a letto dopo una buona cena, ma comunque non assunsero formali impegni.

La telefonata arrivò come un fulmine a ciel sereno; a riceverla fu Flora che immediatamente la passò a Pino; ‘Papà .. ‘ fu la prima parola che sentì e l’unica che accolse distintamente; poi andò in confusione; fu la solita Flora a prendere le redini del dialogo e ad organizzarsi con Matteo, che stava chiamando dall’Argentina, per poter essere lei a chiamare dal cellulare del padre; avendo colto il senso della chiamata, si attivò per rendere continuo e proficuo il rapporto padre - figlio.

In una conversazione perfino troppo lunga, il ragazzo chiarì a suo padre che Dolores aveva inteso sottrarlo all’influenza paterna per restare l’unica arbitra della vita di suo figlio ‘carne della sua carne’ come amava spesso ribadire; solo nelle ultime settimane, facendo altre ricerche, era venuto a capo degli eventi; aveva trovato un albo professionale e da lì aveva recuperato il numero dello studio; voleva parlargli e forse prendere serie decisioni.

La madre non aveva riferimenti a Rosario perché quando aveva sedici anni era scomparsa da casa e non aveva tenuto contatti; era riuscita a sopravvivere forse attaccandosi a varie relazioni compresa quella con l‘avvocato che poi avrebbe massacrato Pino in tribunale; Matteo era stato ‘sistemato’ in un convitto di gesuiti dove era stato ‘internato’ per gli otto anni di istituto medio e iscritto alla facoltà di letteratura contro la sua volontà, perché sua madre voleva realizzare nel figlio sue antiche ambizioni.

Esaminando antichi volumi di prosa, si era imbattuto in una sezione dell’archivio del tribunale; spulciando per curiosità il fascicolo della condanna di suo padre, aveva scoperta che Dolores, in combutta con l’amante avvocato, aveva costruito accuse terribili che avevano determinato l’esclusione di Pino dalla cura del figlio; poiché entro pochi mesi sarebbe diventato maggiorenne, chiedeva a suo padre se fosse possibile andare a vivere con lui a Roma e iscriversi al Politecnico, come sognava fin da bambino.

Pino dovette chiarire, con dolore, che, finché era minorenne, gli era proibito avvicinarlo, se non voleva finire in galera; Flora gli suggerì che poteva aprirgli un conto segreto e consentirgli autonomia economica anche prima della maggiore età; si attivò lei stessa per dare corpo all’impegno; suggerì a Matteo che, appena maggiorenne, facesse le scelte che riteneva giuste ed opportune; dopo la lunga telefonata, dovette fare l’amore con Pino più sere e con molto amore, per aiutarlo a ritrovare serenità.

Passarono ancora molti mesi, durante i quali Pino si dedicò intensamente a nuovi progetti; si sentirono molte volte padre e figlio; in occasione del compleanno di Matteo, fu Flora a preoccuparsi di fargli avere sul conto una notevole somma, per lo meno quella che sarebbe stata necessaria per un regalo adeguato alla particolarità della maggiore età; tutto sembrava scivolare sul piano quasi banale di una frequentazione telefonica fra tutti e tre.

Il frastuono che si generò, una mattina qualsiasi, all’ingresso dello studio non preoccupò Pino che si limitò a chiedere ordine e silenzio; la sorpresa fu vedere Flora entrare nel suo ufficio abbracciando in vita un giovanotto assai bello e temprato.

“Pino, ti presento il signor Matteo Rossi, tuo figlio!”

Balzò in piedi dalla poltrona e si precipitò ad abbracciarlo; a stento trattenne lacrime di commozione.

Dopo che ebbero scaricato una marea di domande e di risposte impossibili, riuscirono finalmente a farsi guidare, da Flora, imperturbabile come sempre quando si metteva a dirigere e organizzare, a preoccuparsi dell’accoglienza dell’ospite inatteso e delle sue esigenze per rifarsi di un viaggio assai lungo; quando finalmente furono seduti faccia a faccia nel salotto dell’appartamento del padre, il ragazzo diede la stura alla narrazione delle vicende che lo avevano portato fin là.

Chiarì che, come Pino aveva sospettato, sua madre aveva deciso di prendere con se il figlio e di allontanarlo dal padre, per avere tutto per se il frutto del suo ventre; le speciose motivazioni che aveva suggerito all’avvocato avevano avuto solo lo scopo di raggiungere l’obiettivo con poche difficoltà; chiarì che aveva appurato, da indagini recenti, che sua madre aveva irretito nelle sue grazie l’avvocato, per conquistarne la complicità; con lui aveva retto quasi un anno e in otto anni aveva avuto una decina di amanti.

La necessità di avere relazioni che la mantenessero era stata dettata dalla situazione di rottura con sua madre; dalla quale era scappata via a sedici anni quando suo padre era già evaporato da almeno dieci anni; dopo anni di silenzio totale, si era presentata col figlio, ma era stata avvertita che la nonna avrebbe anche potuto accettare di tenere il nipote, ma non avrebbe mai sopportato la figlia transfuga; Dolores si era vista costretta ad affidare lui ad un convitto tenuto da gesuiti.

Per realizzare il sogno di un figlio timorato di dio e ligio alla sua volontà, aveva chiesto al tribunale che non gli fosse imposto, come in uso nei paesi iberici e ispanici, il doppio cognome, paterno e materno; era diventato Mateo Blanco, argentino; questo aveva procurato a lui gravi disagi perché la mancanza del cognome paterno suggeriva che fosse un ‘figlio di p...’, epiteto che lo aveva accompagnato per tutti gli anni di soggiorno al convitto, dalla scuola media alle superiori e all’università.

Sua madre lo aveva ripreso perché non denunciava l’ironia dei compagni, quasi non si rendesse conto dei circuiti in cui il bullismo si esprimeva; per soprammercato, aveva respinto con disgusto la sua idea di iscriversi al Politecnico per laurearsi in architettura, come suo padre, e gli aveva imposto il corso di letteratura, a lei più congeniale e gradito; aveva frequentato Letteratura per un anno ma meditava di scappare e di andare a Roma per laurearsi in Architettura; non sapeva come poteva reagire suo padre.

Sua madre aveva creato infatti il mito del padre violento e incapace di educare il figlio; lui sapeva che non era vero, ma non era mai stato interpellato e, per amore filiale, aveva subito le scelte, fino a che alcune ricerche in biblioteca, su testi antichi di prosa, lo avevano messo per caso in contatto con la sezione di archivio del tribunale ospitata nella stessa biblioteca; la presa in visione del faldone del processo contro suo padre gli aveva aperto gli occhi sulle menzogne su cui l’accusa era stata costruita.

Gli apparve chiara la volontà subdola di sua madre di esprimere al massimo la sua voglia di ‘chioccia possessiva’ e la scelta fatta, di soggiogarlo al potere di gesuiti per piegarlo alla sua visione della vita; la condizione di quasi prigionia nel convitto e il controllo dei frati gli aveva impedito qualsiasi mossa finché non aveva recuperato da una rivista il numero di telefono dello studio; il resto della storia lo conoscevano; bisognava solo aggiungere che, coi soldi versatigli sul conto, aveva comprato il biglietto aereo per Roma.

A Flora che gli chiedeva delle intenzioni e delle prospettive, si limitò a dire che per ora era scappato via, sperando di trovare nel padre una sponda per fare le sue scelte; se così non fosse stato, forse avrebbe fatto la fame ma non sarebbe tornato indietro, specialmente perché l’ultimo amante di sua madre era un costruttore spagnolo con residenza a Barcellona; Dolores da mesi si era trasferita presso di lui e ignorava quasi quello che suo figlio faceva, certa che obbedisse ciecamente ai suoi dictat.

Pino lo accarezzò dolcemente sul viso, gli fece presente che lui aveva un solo parente, visto che non aveva fratelli o nipoti e che i genitori erano morti da tempo; Matteo si trovava ad essere anche erede unico e incontrovertibile del suo patrimonio; gli fece notare che in quegli anni aveva acquisito l’attico che ora conteneva lo studio, su un lato, e due appartamenti, sull’altro; uno era quello dove vivevano nella sua infanzia e l’altro era abitato al tempo dalla famiglia Bellarmino la cui bambina gli era stata compagna di giochi.

Al momento, lui viveva nel vecchio appartamento; suo figlio poteva disporre dell’altro a suo piacimento anche ospitando amici e persone care; chiese a Flora se le pesasse occuparsi di tutti gli adempienti per suo figlio, dalla regolarizzazione della situazione di cittadino italo - argentino all’iscrizione al Politecnico; lei se ne dichiarò felice, se Matteo avesse voluto il suo aiuto; lui andò ad abbracciarla e le sussurrò ‘Ti va di essere la mia amica fedele?’Si abbracciarono, in risposta.

Passarono gioiosamente i primi due anni della frequenza di Matteo al Politecnico per la laurea in Architettura; naturalmente, Flora lo avviò presto al confronto concreto degli studi con la realtà del lavoro di progettazione, di disegno, di creazione di plastici spesso assai interessanti e divertenti; era la parte che più affascinava il giovane che da bambino, come ricordava benissimo e come era stato volutamente nascosto da sua madre nella causa di divorzio, aveva spesso giocato col padre a creare ‘città di fantasia’.

In aula aveva conosciuto Corinna, una studentessa del suo stesso corso, di un anno più giovane, con la quale aveva intrecciato una storia di amore adolescenziale assai intenso e convinto; la fece conoscere a Flora, che la apprezzò molto ed invitò i giovani a ricordare che, alla loro età, Matteo aveva già due anni; non commettessero gli errori fatti da Pino e da Dolores; suggerì l’uso di preservativi o, meglio ancora, la visita al consultorio per la prescrizione della pillola; avevano già provveduto da soli, per cautela.

Il momento che Corinna temeva e che teneva comunque agitato Matteo era quello dell’incontro tra il padre e la ragazza; Flora li prese a lungo in giro, specie quando arrivò il gran Gala dell’Ordine dove la sua fedele compagna presentò al suo principale ‘la ragazza di suo figlio’; l’abbraccio in cui si lanciò suo padre riempì il cuore di Matteo che ci aveva tanto sperato; più ancora, fibrillarono scoprendo che il padre di Corinna era un grosso imprenditore edile con cui Pino collaborava spesso.

Anche quell’incontro si risolse in abbracci assai affettuosi tra Matteo e la madre della ragazza, già informata puntualmente dalla figlia, e in affettuose strette di mano tra il padre, l’architetto e suo figlio; anche lui, attestato che dai volti brillava la certezza che non fossero solo ragazzi ‘innamorati’ ma anche presi da severa passione, suggerì di non farlo diventare nonno troppo presto e di laurearsi almeno, prima di fare scelte decisive ma che a loro piacevano molto.

La conclusione fu che Matteo avvertì suo padre che quella sera Corinna sarebbe andata da lui e, se lo desiderava, ci sarebbe restata anche per entrare nella vita operativa di uno studio; poiché Pino non mostrò nessuna riserva, il figlio ne approfittò per chiedergli perché mai non si decidesse a sposare Flora, considerato che il divorzio era già operante e che lei era decisamente insostituibile presenza al suo fianco; al padre che chiedeva perché, rispose che una madre putativa era l’ideale per il suo benessere.

Quella sera i ragazzi, col benestare dei genitori, si ritirarono nell’ala dell’edificio che lui occupava ed ebbe luogo la cerimonia della ‘luna di miele’ attesa da entrambi con ansia e voglia; la più felice era Corinna che decise di rompere ogni indugio e di essere protagonista della scelta di passione; non erano nemmeno entrati nella camera che aveva aperto la camicia e gliela stava sfilando mettendo a nudo il torace tonico e muscoloso; accarezzava fronte, viso, collo, spalle forti e capezzoli.

Voleva la sua bocca e volle sentirla sulla sua, volle che la sua lingua esplorasse tutta la cavità orale e la facesse eccitare, godere, fibrillare; volle succhiare quella lingua e trarne tutto l’amore di cui aveva bisogno; lui la seguì docile e innamorato, la baciò a lungo e la strinse a se; percorse, prima con le dita, poi con le labbra, il viso limpido e bellissimo, dall’attaccatura dei capelli attraverso la fronte fino agli occhi.

“Ti voglio, Matteo, ti desidero con tutta me stessa.”

Lei aveva forzato la cintura; lui aprì la fibbia, fece scorrere la cerniera; lei prese dai lati il pantalone e lo slip, insieme, e li abbassò; le sue mani incontrarono il sesso duro come il cemento, ma caldo, pulsante, vivo; lo afferrò con le due mani e lo tenne stretto.

“Devi insegnarmi tutto; sei nuovo per me, voglio essere tutta nuova per te.”

Quasi a dimostrarlo, si sedette sul letto e baciò il sesso giunto all’altezza della bocca; toccò a Matteo guidare la testa e suggerire i movimenti per la prima vera fellazione; Corinna scoprì il gusto di assaporare il precum, di leccare i testicoli e l’asta tutta, ritta contro il ventre, finché la cappella le scivolò in bocca, dolcemente; ricordò i discorsi ‘immorali’ delle amiche universitarie e trovò in qualche ricordo fanciullesco la guida per amare il sesso che le violentava dolcemente la bocca, fino alla gola.

Imparò in un niente a succhiare con foga, a leccare con intensità, a sentire il piacere scorrere sulla lingua fino al ventre e al cuore; osservò da sotto in su, con vista strabica, il volto di lui sformato dalle smorfie che la libidine gli suggeriva; capì che stavano godendo insieme, per la prima volta; e si rese conto che finalmente stavano facendo l’amore con tutto il corpo; trattenne in bocca il sesso quasi a volerlo assorbire in se.

Matteo non cercò di copulare; si lasciò accarezzare con la lingua, con le labbra, col palato, con la gola; poi la frenò e la spinse supina sul letto, le sollevò le gambe e la fece aprire scosciata a ventaglio; aveva davanti a se la vulva che grondava umori; si abbassò col corpo, immerse il viso tra le gambe e cominciò a leccare le grandi labbra; le percorse ripetutamente raccogliendo gli umori; Corinna ebbe un istintivo rifiuto per atavici divieti igienici; lui le sorrise con gli occhi e lei si arrese.

Godeva e urlava come massacrata, la donna; ma era in preda ad un orgasmo infinito e dolcissimo; sentire la sua bocca che succhiava il clitoride le dava la sensazione di fuochi d’artificio che esplodevano negli occhi, nella testa; la lingua che lambiva le grandi e le piccole labbra le provocava nelle orecchie suoni sovrannaturali; ad occhi chiusi, aveva l’impressione di attraversare un coro di angeli e si sentì esaltare dall’amore; lo tirò su di se e cercò la bocca da baciare.

Le salì addosso e la occupò tutta con la sua mole; Corinna era felice di sentirsi come sopraffatta e si accucciò smaniosa sotto il suo corpo; sentì la punta dell’asta che scivolava fra le cosce e raggiungeva la vagina, avvertì che entrava e ingombrava il canale vaginale; istintivamente, sollevò le gambe e le avvolse intorno alle reni; lui le prese i piedi e li intrecciò dietro la schiena; lei si spinse in su col ventre e soffocò in bocca a lui un urlo di goduria.

Corinna non riusciva a rilassarsi completamente; era la prima volta che sentiva l’amore riempirla e farla godere in ogni fibra del corpo; era quasi spaventata dalla gioia che provava a sentire il suo corpo invaso da quello di lui; Matteo riuscì, non solo in quell’occasione, a farla godere anche mentre parlavano di tutto e di niente; e sentiva come completamento lussurioso la penetrazione che avvertiva nettamente fino al ventre. L’urlo di lei che godeva fu ferino, inarrestabile; persino Pino se ne spaventò.

“Corinna, stai bene? Matteo cosa le stai facendo?”

“Dormi paparino, sto volando tra gli angeli …. “

“Non è un urlo di dolore?”

“No, è amore, è tutto e solo amore!!!!!!”

“Perbacco, non avrei mai pensato di avere testimoni alla nostra luna di miele un padre e una madre putativa così attenti e sensibili.”

“Matteo, neanche io sapevo di essere al centro di tanto amore. Come faccio a dirti quanto sono felice?

“Non lo dici. Adesso ti accoccoli in braccio a me e dormiamo.”

Riuscirono persino a dormire un paio d’ore, tra un assalto e l’altro; e non fu Matteo il più vivace; Corinna sembrava non essere mai sazia di passione e di voglia; chiese e concesse tutto, prese confidenza col sesso e sentì di amare quell’uomo al di sopra di tutto; aveva ben chiara la svolta che aveva dato alla sua vita e si svegliò molto determinata a farla evolvere secondo natura.

Cominciò da quel momento una vita paradossale, col padre che viveva con la sua assistente in un appartamento e, in quello a fianco, il figlio e la sua ragazza che conducevano una normale vita da conviventi; ciliegina sulla torta, nello studio a fianco Pino e Flora erano fin troppo attivi a giornate intere e i due giovani spesso si intrattenevano a studiare, partecipare, verificare e spesso anche collaborare; il padre era certo che lo studio avrebbe trovato nei ragazzi ottimi eredi.

In una chiacchierata privata con un addetto dell’ambasciata, in una delle feste a cui partecipavano per dovere sociale, Pino e Matteo seppero che Dolores aveva più volte tentato di imporre i suoi presunti diritti di maternità ossessiva; c’era voluto un bel po’ a convincerla che ora suo figlio decideva da solo ed aveva fatto una scelta chiara, vivere con suo padre; sembrava avere finalmente rinunciato ad avanzare pretese, forse perché i suoi avvocati e i legali dell’ambasciata l’avevano persuasa.

Qualche anno dopo, quando ormai il figlio era laureato e si apprestava, con Corinna, ad affiancare suo padre nella conduzione dello studio, piombò come una belva nell’ufficio dell’ex marito a protestare che avevano discriminato, nella realizzazione di un progetto internazionale di grande valore, la ditta del compagno Ramon Zamorano senza fornire adeguate motivazioni; Pino la guardò stupito perché non si era occupato lui degli accordi internazionali; chiamò Flora e le chiese chiarimenti.

La compagna impassibile avvertì che era stata una decisione di Matteo che lei aveva condiviso; se proprio sentivano il bisogno di spiegazioni, dovevano parlare col figlio che stava per rientrare con Corinna da un controllo ad un cantiere; Dolores sobbalzò quando sentì parlare di Corinna come compagna del suo ‘bambino’; non fu facile convincerla che suo figlio, ormai più che ventenne, aveva una compagna con cui viveva nell’appartamento a fianco a quello di suo padre; il mondo le cadde addosso.

Matteo, rientrato, trovò la sorpresa della madre feroce contro di lui; perse le staffe e le sbatté in faccia tutte le colpe che lei aveva sbolognato per anni come amore materno e capricci veniali; quando suo padre gli chiese conto delle scelte nella collaborazione internazionale, dovette solo limitarsi a chiarire che il rappresentante legale della ditta del caprone con cui sua madre scopava era lo stesso avvocato che aveva sfruttato, scopandoselo, per incriminare suo padre.

Per sovrammercato, aggiunse che la ditta Zamorano era osservata dagli investigatori perché in odore di collusione con certa malavita internazionale, mentre quella che aveva scelto, la Hierro, assicurava garanzie di efficienza e di pulizia; Pino vide la ex moglie piegarsi quasi su se stessa e tacque, finalmente; ormai la colpe erano emerse tutte e il legame tra lui e suo figlio risultava ben saldo; per Dolores invece la cose si mettevano male.

La situazione di estrema difficoltà economica in cui versava il suo amante e che solo la partecipazione al progetto poteva risolvere, rendeva assai delicata la sua posizione, dal momento che lui la manteneva nel ruolo di amante ormai quasi solo per inerzia, visto che per l’età non più giovanissima si prospettavano giorni non semplici; Dolores non riusciva neppure a piangere, ma era chiaro che le tegole del terremoto da lei scatenato le cadevano in testa una ad una.

Matteo ancora una volta fu inesorabile e urlò a sua madre di andarsene in Spagna, dove ancora resisteva l’ultima sua conquista o, alla peggio, da sua madre, a Rosario, cospargendosi di cenere e chiedendo perdono delle antiche colpe; lei piegò la testa e stavolta diede libero sfogo alle lacrime che non reggeva più; Flora scattò come una belva e accusò di disumanità un figlio che usava il linguaggio della vendetta contro la madre colpevole forse solo di eccessivo amore.

Non risparmiò rimbrotti nemmeno a Pino, che quella donna aveva amato e vissuto per dieci anni, con la quale aveva avuto un figlio meraviglioso e che ora si divertiva a massacrare; il compagno le fece osservare che quella donna era diventata un’autentica estranea, che era stata lei a massacrarlo rimanendo impunita per più di dieci anni; comunque, lui non aveva con Dolores né obblighi né diritti; se suo figlio voleva sostenerla, per lui andava benissimo.

“Mamma, per la prima volta nella tua vita, ce la fai ad essere chiara e serena almeno con tuo figlio? Mio padre mi lascia usare a mio piacimento l’appartamento che fu dei Bellarmino; lo conosci bene perché per dieci anni sono stati gli amici vicini di casa; se ti va, una stanza per te ce l’ho; se hai bisogno di lavorare per non essere più la parassita dei tuoi amanti, sono in grado di chiedere a mio padre di offrirti un posto in studio, a quell’archivio su cui una volta ti divertivi a lavorare per amore e per gioco.

Questa casa è quella di una famiglia anomala, con un padre, una madre putativa e due giovani innamorati che presto si sposeranno; anche il tuo ex marito si deciderà, per fare contenti tutti, a sposare la compagna; tu saresti la madre naturale aggiunta, senza parassitismi ma con molto affetto di tutti; se trovi un uomo da amare, ma sul serio e con precise intenzioni di sistemare la tua vita, sarà il benvenuto; più di questo non sono in grado di proporti ... “

“Voi che ne pensate?”

“Dolores, cancellare il passato farebbe bene a tutti; credo che anche Flora sia d’accordo che ci possiamo sistemare come il mio fantasioso figliolo ha determinato; vedo che anche Corinna è d’accordo; non capisco perché insiste a volermi vedere sposato con Flora; stiamo benissimo insieme ... Non sei convinta, amore? ... Flora, fai le carte e sposiamoci; non ho nessuna intenzione di impazzire ancora alla ricerca di un equilibrio; se per te sta bene, a me va benissimo; volevi questo, figlio maledetto?”

“No; vorei vederti portare un bellissimo anello, inginocchiarti davanti alla mia madre putativa e chiederle di sposarti, come si fa tra gentiluomini; visto che Flora non ha parenti te lo impongono i figli putativi, vero Corinna?... La mossa è a te, come negli scacchi; bada che tra poco andremo in Germania per quel progetto sovranazionale che ti potrebbe laureare meritatamente archistar; non vedo occasione migliore per il vostro viaggio di nozze ... Flora, non essere emozionata, sei già abituata al suo sonno pesante!!!! ... “

“Figlio perfido degno di sua madre, riesci a inventarti sempre le soluzioni intriganti, come sul lavoro; allora è deciso, Dolores; ti trasferisci nell’appartamento di tuo figlio e cerchi di amarlo per lui e non per come lo sognavi; lavori in segreteria con noi e sarai inquadrata regolarmente; se trovi un uomo che ti interessi, sei libera di scegliere; non pensare neanche per errore a mio marito; ti cavo gli occhi, se lo stuzzichi ... “

“Signori, mi pare il caso di smettere di punzecchiarvi sulle banalità; c’è un lavoro da svolgere, uno studio da mandare avanti; ciascuno può risolvere i problemi strettamente personali; lo farà per conto suo o con chi sia strettamente interessato; i cantieri aspettano i nostri progetti e le indicazioni per l’esecutività; Matteo,uno di questi giorni presentiamo tua madre ai consuoceri; te la vedrai tu per spiegare il rapporto che c’è tra tuo padre, tua madre e Flora ... “

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