Emigranti
San Rocco è una località introvabile persino su guide turistiche, anche quelle più specialistiche dell’Appennino interno.
Ancora meno conosciuta era al tempo a cui si riferiscono i fatti qui raccontati, quando era abitata da forse cinquecento residenti e un paio di centinaia che vi sostavano solo per il mese di agosto passando il resto dell’anno, da emigrati, in Svizzera o in Germania.
Questa condizione era fondamentale all’esistenza: tutto si svolgeva in funzione dell’emigrazione e la vita in paese era scandita dal ‘prima’ o dal ‘dopo’ la festa patronale che era l’unico momento in cui tutti gli abitanti, o quasi, erano presenti.
Agosto era il mese per gli affari, per le compravendite, per i battesimi, le comunioni e i matrimoni.
Tutti si sposavano ad agosto, alla festa del patrono, e quasi sempre molto giovani.
A me toccò che non ancora avevo diciannove anni; il marito, concordato tra le famiglie, era ovviamente uno che viveva undici mesi all’anno in Svizzera ed io l’avevo si e no intravisto un paio di volte.
Di mettere in discussione una decisione così importante non se ne parlava neanche e, per la verità, quando mi dissero che avrei sposato Antonio, non feci né ‘ah’ né ‘bah’ e accettai la decisione comune.
I preparativi furono un evento pubblico (come del resto avveniva ogni anno in quella stagione) considerato che non ero la sola a fare il ‘grande passo’.
Il centro nevralgico dell’animazione era la casa di Donatella che, tra le altre cose, possedendo una macchina per cucire ed una certa abilità di sarta, si occupava degli abiti delle spose.
Le necessità di prova e di sistemazione dei particolari ci inducevano ad essere spesso a casa di Donatella, singolarmente o in gruppo le quattro candidate, e naturalmente i commenti e i pettegolezzi si sprecavano.
“Benvenuta al club delle vedove bianche in caccia.”
Mi salutò Donatella la prima volta che parlammo del mio abito da sposa.
La guardai perplessa: non riuscivo a dare un senso alla frase.
Mi venne incontro lei, quando si rese conto del mio stupore.
“Se non lo sai già, è giusto che tu sappia che le spose che restano per undici mesi all’anno separate dal marito si dicono normalmente vedove bianche. Tu dal mese prossimo sarai una vedova bianca.”
“Perché in caccia?”
“Questo è meno facile da spiegare; ma forse già tra qualche settimana te ne renderai conto da sola.”
L’arrivo delle altre promesse spose impedì ulteriori commenti.
Ma l’interrogativo era rimasto e chiesi a mia madre.
“Non ci fare caso; stupidaggini.”
Commentò; e la mia curiosità si accese più viva.
Fu una delle comari a illuminarmi un poco, una volta che ci trovammo a spettegolare sul ballatoio.
“Pare che l’insoddisfazione delle spose abbandonate per gran parte dell’anno venga coperta dai ragazzi rimasti in paese, da quelli piccoli - dodici/tredici anni - a quelli ormai grandi e in grado di surrogare gli adulti, vale a dire dai quattordici ai sedici anni e non oltre perché poi si parte emigranti.”
La spiegazione aveva una sua logica ma a me appariva ancora nebulosa e, per non fare la figura dell’imbecille, me ne stetti zitta.
Arrivò il giorno della cerimonia e tutto si svolse nella maniera più semplice e lineare possibile.
Al termine del pranzo, al momento di ritirarci nella casa che avevamo arredato, mia madre mi prese in disparte e mi disse quasi accorata.
“Non avere paura e lasciati andare; abbi un poco di pazienza se avrai male ma poi tutto passerà; cerca solo di essere paziente e condiscendente.”
Ero perplessa e stralunata; per la prima volta dormivo in un letto matrimoniale con un’altra persona e non sapevo proprio come comportarmi.
Andai in bagno, mi cambiai, indossai il camicione da notte che mia madre mi aveva preparato e mi infilai nel letto nel buio quasi assoluto della camera.
Antonio non mi fu di nessun aiuto.
Si spogliò dall’altra parte del letto, senza che osassi dare neppure un’occhiata, si infilò sotto la coperta e dopo poco lo sentii che mi montava sopra con tutto il corpo.
Facendo leva coi piedi mi fece allargare le gambe, armeggiò con le mani sul basso ventre e dopo un poco sentii qualcosa di duro e grosso entrarmi nel ventre provocandomi una fitta dolorosa alla quale reagii secondo gli insegnamenti di mia madre con pazienza e condiscendenza.
Facendo leva sulle ginocchia, si mosse su e giù una decina di volte mentre io sentivo quell’affare grosso e duro scorrermi dolorosamente nel ventre; ad un tratto, un urlo soffocato si accompagnò ad una spinta più forte e lunga; sentii l’affare perdere consistenza e scivolare lentamente fuori dal ventre.
Antonio si sollevò, si spostò di lato e ripiombò bocconi sul letto; dopo qualche istante lo sentii ronfare.
Andai in bagno, mi sedetti sul water e orinai; alzandomi, notai tracce di sangue nell’acqua del water e sulle cosce; mi sedetti sul bidet, mi lavai, mi asciugai e tornai a letto.
Nel corso della notte, ancora due volte Antonio mi montò sopra, mi allargò le cosce e mi penetrò nel ventre con il suo affare duro e grosso; ma stavolta non provai dolore e, quando andai in bagno a farmi il bidet, non vidi più tracce di sangue.
Come era giusto in un ambiente da paesello dell’Appennino interno, avevo poche e confuse nozioni di sesso.
Ma capii almeno che il rito della deflorazione era stato celebrato a norma di tradizione e che nessuno si sarebbe potuto lamentare né della mia verginità né della mia totale disponibilità al maschio.
La mattina seguente però mi feci quasi un dovere di andare a trovare Donatella per chiedere approfondimenti. La trovai che lavorava ad un complesso modello che stava studiando; mi sedetti sulla sedia a fianco alla sua e aspettai.
“Allora!?! Com’è andata?”
“Per lui e per loro, bene. Per me, non so.”
“Cos’è che non sai?”
Le raccontai per sommi capi come si era svolta la cerimonia della prima notte e la vidi sorridere quasi compassionevole.
“Non credi che avresti fatto meglio a darmi qualche informazione sul sesso?”
Chiesi.
“Primo: queste cose non competono a me che non sono neppure tanto amica tua. Secondo: nessuno potrebbe mai pensare che una ragazza oggi arriva al matrimonio così a digiuno di sesso come te. Terzo: non avrei avuto tempo neanche per fare qualche accenno, visto che eravate alla vigilia del matrimonio.”
“Però sapevi chi era l’uomo che ho sposato”
“Certo; so che è ingenuo, quasi animalesco. E prevedevo anche che non avrebbe avuto tanti riguardi. Ma non potevo entrare negli affari vostri più di quanto ho fatto”
“E credi ancora di non potermi dare delle dritte?”
“Non ancora. Certamente parleremo più a lungo e più chiaramente. Ma a certe conclusioni è meglio che ci arrivi da sola.”
“Ancora non ho capito il senso di quella ‘caccia’ delle vedove bianche”
“Perché ancora non sai quanto piacere può dare il sesso e come lo può dare. Quando l’avrai capito, torna da me e ne riparleremo.”
Non era possibile cavarne di più.
Decisi che era meglio per il momento lasciare le cose in sospeso ed accettare la situazione per quello che era, in attesa di chiarirmi le idee e di chiedere ulteriori spiegazioni.
Quella sera - e per altre sere ancora - Antonio mi montò addosso per tre volte nella notte e io ancora non capivo il senso del piacere sessuale.
Lo spazio per stendere i panni era sistemato in cima all’edificio, in una sorta di ampio solaio che comprendeva anche piccoli gabbiotti di deposito e spazi liberi a disposizione degli inquilini.
Ero andata su per predisporre i cavi per la biancheria e mi recai nel nostro gabbiotto di deposito per cercare dei paletti.
Il gabbiotto era fornito di una finestrella chiusa con un vetro che si apriva sugli spazi degli altri inquilini.
Sentii un vocio confuso arrivare dall’esterno; aprii il finestrino per vedere e sentire meglio.
Proprio a ridosso del muro c’erano quattro ragazzi diversi per struttura fisica ed età che si erano appartati forse a fumare o a raccontarsi cose private.
Teneva banco il più adulto, uno che conoscevo di vista e mi pare che si chiamasse Nicola; avrà avuto due o tre anni meno di me ma si distingueva già nella scuola per il suo fare imperioso e arrogante.
In quel momento sembrava tener lezione agli altri; quando mi accostai al finestrino, sentii che diceva rivolto ad uno più piccolo.
“Vuoi sapere come si fa a metterlo in mano a una signora?!? … Peppino!!!!!”
Il più piccolo del gruppo alzò la testa.
“Prendi in mano la mia verga e masturbami!!!!”
Il piccolo non se lo fece ripetere: aprì la cerniera del pantalone, infilò la mano ed estrasse un membro barzotto, di poco più di una quindicina di centimetri, e cominciò a massaggiarlo mandando su e giù la pelle e scoprendo ad ogni passata una cappella rossa e grossa, quasi il doppio del tronco dell’asta.
Nicola spinse il busto in avanti mentre il membro si ingrossava ed irrigidiva, fece un’espressione beata e, di colpo, fermò la mano di Peppino.
“Fermo che mi fai venire e non voglio eiaculare solo con una manipolazione!”
In quel momento realizzai che il membro era l’’affare grosso e duro’ che Antonio ogni sera mi infilava dolorosamente in vulva e che faceva scivolare avanti e indietro fino a che non ‘eiaculava’ come Antonio aveva detto a Peppino.
Ma il gesto non mi provocava nessuna reazione, anche se ero affascinata dal modo in cui il bastone di carne si era rizzato e gonfiato per effetto della manipolazione.
“Cos’altro si può fare a questo punto?”
A parlare era stato uno degli altri due ragazzi (credo si chiamasse Carmine).
“Intanto si devono accarezzare e leccare le tette e succhiare i capezzoli. …. Ma con Peppino non si può fare!!!!”
Concluse Nicola ridendo sguaiatamente.
Antonio non aveva preso assolutamente in considerazione le mie tette, anche se un leggero prurito ai capezzoli lo avvertivo, mentre mi montava; ed ora i commenti di Nicola mi provocavano una tensione inaudita delle tette e del ventre.
“E poi …????”
L’altro ragazzino (Checco, mi pare) sembrava ancora più ansioso.
“Prima di ogni altra cosa, bisogna baciare alla francese, con la lingua in bocca”
Nel dirlo, prese Peppino per il collo e lo baciò a lungo sula bocca facendogli entrare a più riprese la lingua in bocca; l’altro non solo accettò ma ricambiò con entusiasmo.
L’idea di sentire una lingua che mi esplorasse la bocca e mi stimolasse mi eccitava, ma non avevo nessun elemento di riferimento per capirne il senso.
Eppure, cominciavo a sentire quasi il bisogno di sentirmi la bocca occupata e perlustrata da Nicola che sembrava capace di provocare grandi stimoli anche al ragazzino che stava baciando e che si abbandonava languidamente al suo bacio.
“E poi …????”
Checco sembrava sempre più ansioso.
“E poi …. Non si possono indicare molte cose avendo a disposizione solo Peppino, perché si può accarezzare la vulva e manipolarla, si può leccarla e farla sbrodolare …. E alla fine si può infilare il sesso nella vulva, in bocca e nell’ano.”
“Cosa?!?!?!”
La faccia stralunata dei due ragazzi era un poema.
Ma la mia faccia era ancora più stralunata.
Sembrava quasi che tutto il discorso fosse una lezione riservata solo a me, per farmi capire di quante cose mi stavo privando con il matrimonio; quanto avrei preferito avere assaggiato tutte le possibilità del sesso, prima di farmi convincere ad accettare di essere paziente e disponibile!
“Sì, il sesso si può infilare in bocca, nell’ano e nella vulva. Tranne l’ultima che non può perché non ce l’ha, per gli alti due buchi Peppino può fare vedere come si fa.”
“Ma cosa provano le donne quando le fai queste cose?”
“Forse ce lo può spiegare Peppino quando fa la femmina. Comunque sono certo che anche alle femmine facendo sesso viene un prurito, un solletichìo qualcosa insomma che stimola la vulva dall’interno e le porta a godere”.
“Sì. È verissimo!!!”
Avrei voluto gridare; e lo sentivo il prurito alla vulva … e alle tette … e all’ano … e alla bocca … insomma a tutto il corpo; mille punture mi percorrevano il corpo e mille spasimi mi agitavano.
“Ma eiaculano pure le donne?”
“Non come gli uomini: d’altronde, il bambino deve nascere nella loro pancia e se eiaculassero fuori non potrebbe succedere. Quindi, godono ma dentro e fanno maturare l’ovulo che, fecondato, dà origine al figlio.”
Tutta la vicenda era ormai una lezione per me.
Mi rendevo conto in quel momento di quanto avessi perduto del significato e del piacere del sesso; un leggero formicolio mi prese all’inguine e fui quasi costretta a portarmi la mano sulla vulva.
E’ vero che non eiaculavo, ma godevo come una pazza solo a sentirli parlare; e la mia mano insistette sulla vulva e cominciai a pastrugnarmela senza sapere cosa fare esattamente; la strofinavo e la titillavo con un piacere ancora più intenso quando infilavo le dita dentro e soprattutto quando solleticavo il bottoncino che c’era in cima, finché dal ventre mi partì una contrazione violenta che solo col tempo avrei imparato a riconoscere come un leggero orgasmo.
Intanto, Nicola prendeva Peppino per la testa e lo spingeva verso il basso; il ragazzo si accovacciò sui talloni, portò la bocca all’altezza del sesso che non aveva mai mollato, e cominciò a baciarlo e a leccare la cappella tutto intera.
Mentre Peppino continuava la sua opera di stimolazione del sesso con la bocca, io mi trovavo senza volerlo ad agitare la lingua come se fossi io a passarla sull’asta vibrante; quando Peppino spalancò la bocca e si fece entrare dentro la cappella, provai una sensazione violenta di pienezza e ne avvertii quasi il sapore senza sapere neppure di che si trattasse.
Nicola spinse ritmicamente il ventre contro il viso del ragazzo facendo entrare la sua asta quasi completamente nella bocca; Peppino accennò un paio di volte a conati di vomito ma resistette a quella violenta pressione in bocca e continuò imperterrito a leccare con gusto e succhiare il membro nella sua bocca.
I due ragazzi intanto avevano tirato fuori i loro piselli infantili e se li smanettavano quasi con ferocia: in breve divennero abbastanza duri e lunghi una decina di centimetri: certamente non avrebbero potuto eiaculare, perché i ragazzi erano ancora troppo piccoli; ma la goduria era intensa e valeva lo sforzo della masturbazione.
Ero invidiosa di Peppino, che poteva godersi in bocca un sesso meraviglioso che io avrei voluto poter assaporare e gustare fino a farmi eiaculare in bocca; e invidiavo persino gli altri due ragazzi, ma solo perché non potevo prenderli e spupazzarmeli come volevo con i loro piselli piccoli ma duri.
Nicola voleva passare alla fase successiva e interruppe di colpo la monta nella bocca di Peppino; lo allontanò delicatamente dal sesso; gli disse di cavarsi pantaloni e mutande e di accucciarsi gattoni; il ragazzo eseguì e Nicola si inginocchiò dietro di lui, abbassò la testa e andò a lambire con la lingua l’ano di Peppino.
“Vedete, in vagina si entra liberamente perché è la vulva stessa che produce liquidi lubrificanti che consentono ad una verga anche grossa di entrare nel canale vaginale e riempirlo fino all’utero; ma il retto in genere è asciutto e non secerne abbastanza liquidi per fare entrare un sesso, specialmente se di dimensioni notevoli. Allora per possedere analmente qualcuno, bisogna lubrificare bene l’ano e abituarlo alla penetrazione. Naturalmente, Peppino è da tempo abituato a essere penetrato da me e il mio membro ormai gli entra facile. Ma una donna, specialmente se non l’ha mai fatto, deve essere ben preparata al coito anale.”
Istintivamente presi ad accarezzarmi le natiche e, una mano per una, le separai fino a portare alla luce il buchetto dell’ano; ci passai sopra il polpastrello del medio e sentii che vibrava e si contraeva di piacere; misi in bocca il dito e lo infilai nell’ano; entrò facilmente fino alla prima nocca e, dopo una leggera spinta, fino in fondo; dal ventre mi partì ancora una contrazione violenta che divenne leggero orgasmo e quasi sentii la mazza di Nicola che premeva sull’ano e mi violentava lo sfintere allargando i tessuti dell’intestino e occupandomi tutto il ventre.
Ma era solo la mia fantasia.
“Chi ti vorresti possedere quest’inverno?”
Fu Checco a fare la domanda - chiave.
“Non ho dubbi! Voglio fare sesso con Cristina!”
La rivelazione mi colpì come una frustata anche se, in qualche modo, era da prevedere.
“Perché proprio lei?”
“Innanzitutto, perché è da sempre che mi piace, che me la sogno e che mi masturbo alla grande per lei, per le sue tettine delicate, per il suo sedere scultoreo e per la sua bocca da fellatio; secondo, perché ha quasi la mia stessa età, la conosco da sempre e sono convinto che meriti di essere posseduta alla grande; terzo, perché Antonio è un caprone bestiale incapace di fare altro che infilarlo in vagina, montare per qualche secondo, eiaculare e addormentarsi.”
“E tu che ne sai?”
“Credimi, ci vuole poco a capire: un bestione come lui non può comportarsi altrimenti.”
“Ma tu sei innamorato di Cristina?”
“No, non parliamo d’amore; le voglio bene come a una cara amica e mi dispiace vederla trattata male. Insomma, anche di un bell’oggetto, di una pietanza pregiata, di qualcosa di prezioso, ti fa male vederla sciupata. E per Cristina è proprio così. Mi piacerebbe tanto essere io a farla avvicinare al sesso come cosa bella e desiderabile.”
Ero fuori di me; Nicola diceva esattamente le cose che avrei voluto sentirmi dire e si proponeva per farmi provare esattamente le emozioni che io avrei voluto provare, in bocca, sulle tette, in vagina, nel sedere.
Mi appariva chiaro adesso il discorso di Donatella sulle ‘vedove bianche in caccia’: passata la fase del matrimonio con le violente copule bestiali degli eccitatissimi emigranti disponibili solo per un mese, per le mogli in paese cominciava ad aprirsi la fase di soddisfare il bisogno di sesso e di piacere con quello che restava disponibile in paese, vale a dire i ragazzi più o meno cresciuti che rendevano un personaggio come Nicola il primo tra i favoriti per età, per esperienza e per dotazione fisica.
Cominciai a desiderare quel membro e a volerci ad ogni costo copulare.
Peppino, intanto, aveva preso a muoversi sulla cappella di Nicola che stuzzicava il suo ano; a quel punto voleva essere penetrato e reclamava che il suo amico facesse il suo dovere fino in fondo.
Nicola lo afferrò per i fianchi e, in parte tirandolo, in parte spingendo il ventre, fece entrare il sesso tutto intero nel sedere del ragazzo che ebbe un flebile lamento quando la cappella passò lo sfintere, poi si adagiò con le natiche al ventre di Nicola e si lasciò sbattere dai colpi di bacino ritmici, prima più lenti e carezzevoli poi sempre più violenti ed aggressivi finché, con un urlo, Nicola strinse le natiche contro il suo ventre e sembrò scosso dall’elettricità mentre, evidentemente, scaricava il suo orgasmo nel retto del ragazzino.
Durante tutto il coito anale, sentii il ventre squassato da violente contrazioni, l’ano palpitò continuamente quasi a cercare qualcosa di cui riempirsi e, quando avvertii la conclusione di Nicola, anche io ebbi un lancinante orgasmo che mi stordì per un momento.
Quando mi ripresi, il terrazzino era vuoto: i quattro erano come spariti nel nulla.
Raccolsi le mie cose, predisposi i cavi per la biancheria e tornai nel mio appartamento.
Ma molte cose richiedevano riflessione urgente e chiarezza che solo Donatella mi poteva fornire.
Per la mia chiacchierata con Donatella scelsi un primo pomeriggio afoso, di quelli in cui tutti si tappano in casa per la siesta.
Forse le bastò guardarmi per capire e fece in modo da essere libera per l’intero pomeriggio.
“Ho capito a che si riferisce la caccia!”
Esordii; alzò gli occhi dal ricamo che stava elaborando e mi guardò con aria interrogativa.
Le parlai degli avvenimenti a cui avevo assistito e le dissi che davvero mi sentivo sprovveduta anche di fronte ad un ragazzo come Nicola.
“Buono, quello! Ancora pochi mesi di libertà, poi dovrà partire anche lui per la Svizzera e, come è successo a molti, dovrà dimenticare la bella vita attuale.”
“Però, intanto è una bella preda da cacciare!”
Stavolta rise più apertamente.
“Vuoi avventurarti in una caccia dall’esito molto incerto o cerchi un percorso di conoscenza più agevole?”
“E’ chiaro che vorrei imparare senza rischiare molto!”
“Allora il tuo obiettivo non può essere Nicola; non ora almeno, perché con lui devi essere molto cauta e prudente se non vuoi rischiare faide paesane.”
“Tu cosa suggerisci?”
Ormai mi sentivo intrigata e volevo ad ogni costo arrivare a una soluzione che mi aiutasse a capire me stessa, il mio corpo e i rapporti con gli altri.
“Molte volte ho dovuto sbrogliare situazioni come la tua.”
Il tono di Donatella era quasi di comprensione, forse di complicità e comunque di amicizia
“L’unica soluzione è stata sempre quella di fare sperimentare certi percorsi che alla fine sarebbero serviti nel matrimonio ma anche per le avventure all’esterno del matrimonio.”
Non potevo fare altro che pendere dalle sue labbra.
“Genny!!!!”
Urlò verso il resto dell’appartamento; per qualche minuto non successe niente e restammo zitte l’una di fronte all’altra; poi si affacciò sulla porta un giovanotto di bell’aspetto e dal fisico solido.
“Lui è mio fratello Gennaro, Genny per gli amici.”
Poi, rivolta a lui.
“Genny, questa è Cristina, quella che ha sposato Antonio. Ha bisogno di qualche tuo insegnamento.”
Mentre lo diceva, guardò verso di me con aria interrogativa; capii che chiedeva la mia conferma, sorrisi a Genny, mi alzai ed andai a baciarlo sulle guance.
Ma Genny mi abbrancò nella vita, mi strinse e incollò la sua bocca alla mia.
Era la prima volta che baciavo un uomo: Antonio, in tutti quei giorni, mi aveva montato tre volte a notte ma non mi aveva fatto nessun altro cenno di affetto.
Mi trovai quasi spaventata a sentire la sua lingua che forzava le mie labbra per insinuarsi nella mia bocca.
La presenza di Donatella mi imbarazzava, paradossalmente, e mi ritrassi quasi spaventata; lei capì e, con la mano, fece cenno al fratello di andarsene; lui mi prese per mano e mi accompagnò fuori della porta ma solo per entrare nella stanza adiacente che chiuse a chiave alle nostre spalle.
Anche se non avevo chiara coscienza di quello che avveniva, mi rendevo conto vagamente che quello era forse in momento in cui stavo per essere effettivamente sverginata, grazie all’esperienza di Genny, verso conoscenze e scelte che favorissero la mia maturità.
Quindi, pur essendo sostanzialmente spaventata, mi preparai a qualunque possibile sviluppo.
Faceva molto caldo, quel giorno, e avevo indossato solo una gonna ampia con cintura in vita e, sopra, una camicetta con bottoni; di intimo, avevo solo una dozzinale mutanda senza reggiseno, senza calze e un paio di sandali.
Genny aveva una tuta leggera e zoccoli ai piedi.
Appena nella stanza, mi riprese per la vita, mi strinse a sé, tornò a premere le labbra sulle mie e mi forzò con la lingua per entrare; mi aprii e lo lasciai entrare nella mia bocca che perlustrò a lungo con la lingua appuntita e morbida che mi faceva provare uno strano solletico tra le gambe.
“Fai anche tu come me.”
Mi suggerì staccandosi per un attimo; ed io infilai con forza la mia lingua nella sua bocca e presi ad intrecciarla con la sua.
Il gioco di lingue mi stimolava i capezzoli che si inturgidirono premendo violentemente contro la stoffa della camicetta; e, fra le cosce, la vulva cominciò e prudermi innescando un desiderio di toccarmi o di farmi toccare.
Mentre io combattevo la mia personale battaglia di lingue con la sua, Genny mi prese le natiche con ambedue le mani e spinse il bacino fino a farmi sentire il suo osso pelvico contro il pube; contemporaneamente, un’asta grossa e dura mi premeva contro le cosce e verso il ventre.
Mi venne in mente il sesso di Nicola che Peppino aveva stretto in mano e poi preso in bocca e nel sedere e che già mi aveva ricordato quello che Antonio ogni sera mi sbatteva con violenza nella vagina; capii che era il suo membro a rizzarsi e a indurirsi (lo avevo visto fare a Nicola) e che si preparava ad entrare dentro di me.
Intanto, però, mi solleticava la vulva che sembrava reagire con gioia provocandomi fitte violente in tutto il ventre e via su fino al cervello.
D’un tratto una delle mani di Genny si spostò dal mio sedere e si insinuò tra i nostri corpi fino alla camicetta che sbottonò velocemente per mettere a nudo le mie tette; l’altra mano, invece, slacciò la cintura e si infilò nella gonna e nelle mutande: la sensazione del palmo della sua mano che attraversava accarezzandola la linea tra le natiche mi provocò una fitta più acuta delle altre ed un piccolo orgasmo; quando poi un dito si fece strada prima sull’ano e poi tra le labbra della vulva, le fitte si fecero innumerevoli, tutte di seguito e sempre più acute finché urlai il mio primo orgasmo vero; Genny fu pronto a soffocare l’urlo con un bacio intenso.
Mentre cercavo di riavermi dalla mia prima esperienza di orgasmo, lui si staccò dalle mie labbra per prendere in bocca un capezzolo che cominciò a succhiare con desiderio e passione; poi mi leccò tutt’intera l’aureola e la tetta.
“Anche l’altra!”
Lo supplicai mentre quasi venivo meno dal piacere.
Non se lo fece dire due volte e cominciò a leccarmi anche l’altra tetta.
Cominciai a sbrodolare come un rubinetto rotto e quasi mi vergognavo all’idea di quello che mi scorreva dalla vulva tra le cosce.
Quasi per pareggiare i conti, infilai le mani sotto la blusa della tuta e incontrai il suo torace leggermente peloso; accarezzai il suo busto e lo percorsi tutto quanto, davanti e dietro; Genny si cavò l’indumento dalla testa e ‘Succhiami anche tu i capezzoli’ mi invitò; lo feci con gioia e mi accorsi immediatamente che ogni leccata era una fitta dentro la mia vulva con orgasmi piccoli e brevi ma continui.
Per la rapidità degli avvenimenti, non mi ero quasi resa conto di dove fossimo; in un momento di stasi, notai che eravamo in una camera da letto con un lettone da una piazza e mezza, senza sponde, e un grande armadio con grandi specchi su una parete.
Genny si staccò per un momento, afferrò la gonna in vita e con un solo gesto la abbassò a terra; scalciai per spingerla via; mi fece arretrare di qualche passo e mi spinse supina sul letto. Ero ansiosa di sapere cosa mi aspettasse e, istintivamente, pensavo alla scena vista tra Nicola e Peppino, per cui ritenevo che mi avrebbe fatto prendere il suo sesso in mano.
Invece, quando fui distesa, mi sfilò delicatamente le mutande, divaricò con dolcezza le ginocchia, si inginocchiò su di me e cominciò a leccarmi l’interno delle cosce.
La sua lingua accarezzava la pelle metodicamente, dal ginocchio alla vulva per tornare indietro e ricominciare il percorso da un altro punto; ogni solco tracciato era una scossa elettrica continua che cominciava dal ginocchio ed esplodeva quando la lingua lambiva le grandi labbra senza percorrerle.
Dopo un tempo che mi parve interminabile, allo stremo della pazienza, presi con forza la sue testa e la schiacciai con violenza sulla vulva.
Docile e servizievole, cominciò a leccare le grandi labbra, prima la sinistra e poi la destra; quando finalmente la punta della lingua varcò le piccole labbra, dovetti mordermi una mano per non urlare a tutto il paese il mio immenso orgasmo.
Quando poi prese tra le labbra il mio clitoride e cominciò a succhiarlo divenni un’invasata e mi agitai per tutto il letto come un’ossessa.
Genny rallentò il ritmo, si sollevò dal mio ventre e prese a massaggiarmi tutto il corpo, in particolare le tette e i fianchi; dopo avermi fatto rigirare sul letto, dedicò le stesse cure alla mia schiena ma soprattutto al mio sedere che prese a leccare con gusto entrando più volte nell’ano con la punta della lingua.
I miei orgasmi si susseguivano senza limiti né di numero né di intensità.
La memoria del rapporto tra Nicola e Peppino mi fece pensare che la mossa successiva poteva essere quella di Genny che mi infilava nell’ano la sua mazza; avendo visto come aveva reagito il ragazzino, ero sicura che non avrei avuto problemi; e certamente non me ne sarei fatto nessuno.
Invece Genny si alzò in piedi e mi tirò a sedere sul letto con i piedi sul pavimento.
Solo a quel punto mi resi conto che io ero completamente nuda e che lui aveva ancora addosso i pantaloni della tuta, che lui aveva leccato e scavato tutto gli anfratti del mio corpo ed io invece non l’avevo ancora assaporato.
Quasi per farmi perdonare, presi i pantaloni dalla cintola e li abbassai di colpo fino ai piedi; scalciando un poco, li spinse lontano.
Mi trovavo di fronte per la prima volta ad un vero pene, grosso, lungo, duro, quasi immenso per me; lo guardai con amore e quasi timidamente allungai una mano a prenderlo.
Avevo ancora in mente la scena di Nicola e Peppino e non ebbi difficoltà, quindi, a cominciare a masturbarlo.
Mi mandava in estasi sentire vibrare sotto le dita la carne viva e pulsante, le vene gonfie; sollevai l’altra mano per accogliere i testicoli, due sfere sode e tese che non stavano insieme nella mia mano delicata.
Per un poco ammirai l’asta e me la gustai con le dita; poi Genny mi toccò sulla testa ed accennò una spinta; mi resi conto che ce l’avevo proprio all’altezza della bocca e che una fellatio era quello che la situazione imponeva, quello che lui si aspettava e quello che io ero determinata a fare.
Accostai la bocca, leccai un poco timidamente l’enorme cappella e piano piano la feci entrare in bocca.
La sensazione fu immensa e indescrivibile; tutti i terminali nervosi del ventre si agitarono e mandarono al cervello segnali di intenso e incontenibile piacere; la lingua si mosse quasi autonomamente a leccare nonostante lo spazio angusto che non consentiva grandi movimenti nella bocca; anzi, i denti qualche volta graffiarono la pelle delicata della cappella e Genny fu costretto a darmi suggerimenti per aprire al meglio la bocca, farlo entrare il più possibile in profondità e titillarlo con un gioco di muscoli delle guance e il palato.
Ad un certo punto, fu lui a spingere il bastone nella bocca con movimenti del bacino; lo assecondai al meglio aprendo al massimo la mandibola e sopportandolo nella gola fino ai conati di vomito.
Ma non era una fellatio quella che Genny voleva da me.
Ritirandosi delicatamente e strappandomi di bocca e di mano il suo meraviglioso verga, ‘Se continui così, mi fai venire.’ mi disse; lo guardai come un marziano.
Anche per darsi un po’ di riposo, provò a spiegarmi il senso della frase.
Avevo già ascoltato quelle cose dette da Nicola ai ragazzi sul terrazzo; ma solo in quel momento mi resi conto che dal forellino sulla punta della cappella ad un certo punto sarebbe sgorgata una cremina bianca detta sperma che Antonio versava abbondantemente nella mia vulva ogni notte, che era quella che faceva nascere i bambini e che bisognava stare attente a non prenderla in vulva senza precauzioni.
Genny mi spiegò anche i vari modi per fare arrivare un uomo ad eiaculare (o arrivare o venire o godere, secondo il linguaggio usato): non mi sorpresi della masturbazione né della copula in vagina, del coito anale o della fellatio; ma l’idea della ‘spagnola’ tra le tette mi lasciava alquanto perplessa.
Fu necessaria una pratica dimostrazione; Genny mi strinse le tette dai lati e nello spazio che le divideva inserì il sesso; sostituendo le sue mani con le mie, presi a stringere l’asta e a solleticarla finché la cappella giunse all’altezza della bocca e, sporgendo la lingua, cominciai a leccarla; vidi che Genny rovesciava indietro la testa e tratteneva il respiro, segno di grande piacere; ed insistetti nella carezza con le tette.
Mi fermò di colpo, avvertendomi che non aveva ancora intenzione di godere e che c’erano ancora molte cose da esplorare.
Ero ancora seduta sul bordo del letto con i piedi sul pavimento e lui era davanti a me in piedi; si piegò un poco verso di me e la sua mano destra andò ad artigliarmi la vulva; il dito medio si infilò dentro e cominciò a percorrere i tessuti molli del canale vaginale, provocando una lunga serie di scosse di piacere; poi si spostò sul clitoride e cominciò a martoriarlo premendolo, girandoci intorno, titillando come per masturbare; ansimavo come una locomotiva e strabuzzavo gli occhi per il piacere.
Di colpo, si ritrasse e ‘Continua da sola’ mi intimò; portai la mano destra sulla vulva, inserii due dita e cominciai a sollecitarmi come aveva fatto lui: ondate di piacere si levarono dalla vagina e percorsero il corpo fino ad esplodermi nel cervello; le mie mani divennero quasi frenetiche e, istintivamente, usai l’altra mano per titillarmi un capezzolo.
Genny mi guardava compiaciuto e abbozzava solo piccoli gesti come titillarmi l’altro capezzolo o rovistare nel mio pelo pubico fino a raggiungere, dall’alto, il clitoride per massaggiarlo in contemporanea con me.
Interrompendo i giochi erotici, mi sollevò di colpo e mi spostò indietro sul letto, finché anche i piedi furono sulla coperta; lui invece si sdraiò in posizione contraria, col viso rivolto alla vulva e i piedi verso il mio volto; mi prese per una mano e mi fece sogno di montargli addosso; mi trovai così col viso sul suo membro mentre la mia vulva gli si appoggiava sul volto.
“Ti piace un 69?”
Mi chiese; ed io non seppi cosa rispondere, ma istintivamente presi a leccare la verga che mi si ergeva davanti prepotente e, immediatamente dopo, la infilai di colpo in bocca facendola penetrare fino alla gola.
Genny, da parte sua, aveva ripreso a leccarmi la vulva e lo faceva con sapiente metodicità: partiva dal monte di Venere, percorreva lo spacco delle grandi labbra, si soffermava a succhiare il clitoride e proseguiva il percorso fino ad infilarsi nell’ano.
Ogni passaggio era una frustata di piacere che mi percorreva la schiena e si schiantava nel cervello.
Le vampate di calore mi montavano ripetutamente; a quel punto lo volevo in vagina, volevo che quel membro mi scavasse dentro, mi rompesse tutti gli argini e mi facesse godere come mai in vita mia.
Glielo dissi.
Sorrise, spostò il mio corpo, si sollevò a sedere e si spostò ai miei piedi, mi divaricò garbatamente le cosce e si mise in ginocchio sul letto piazzandosi proprio in mezzo.
Girando lo sguardo all’armadio vidi riflessa nello specchio l’immagine di me completamente scosciata e Genny nudo in ginocchio fra le mie gambe con la sua mazza enorme che puntava decisamente al mio ventre.
L’immagine mi eccitò quasi più della situazione e allungai le braccia per attirarlo a me in un bacio altamente sensuale.
Mentre con la bocca mi rinnovava il piacere dello scambio tra le lingue, sentii il suo corpo che si adagiava sul mio e il sesso che andava a strofinarmi i peli pubici; insinuai tra noi due una mano, presi il suo membro, lo strinsi con amore e lo guidai alla vulva; si accostò quasi con devozione e cominciò a strusciarsi sul clitoride provocandomi ondate incessanti di scosse di piacere che mi bruciavano il cervello: ormai mi sentivo viva solo lì dove il suo sesso e il mio si incontravano.
Genny mi prese per le caviglie e sollevò i miei piedi verso le sue anche; capii l’intenzione e lo abbracciai con i piedi sui fianchi, spingendo a colpi di reni il mio bacino verso il suo pene che penetrò quasi di colpo nella vagina facendola esplodere in fuochi artificiali di piacere che mi fulminavano il corpo fino al cervello; in un attimo di coscienza, ammirai nello specchio il mio corpo delicato abbarbicato al suo con le tette premute dal suo petto, l’inguine incastrato nel suo e le gambe protese dietro la schiena a stringerlo a me oltre ogni limite.
Il momento culminante lo raggiunsi quando la punta del membro, spinta con foga dentro la vulva, andò a colpire la cervice dell’utero: credetti quasi di scoppiare quando l’orgasmo mi esplose dentro; mi abbarbicai al suo corpo e non lo mollai finché l’onda di piacere non fu attenuata.
Genny intanto aveva cominciato a pompare dentro con dolcezza e ritmo, toccando tessuti interni che fino ad allora non era stati stimolati e che reagivano provocandomi sempre nuove emozioni, sempre intensi orgasmi.
Dopo un’esplosione più violenta, mi adagiai rilassata con la mazza saldamente impiantata nella vagina; presi a carezzare il corpo di lui che mi sovrastava ma non mi pesava e non mi disturbava affatto.
Pensavo che avrebbe concluso con una eiaculazione, dopo la quale - come mi aveva spiegato - avrebbe avuto bisogno di ricaricarsi prima di tentare un nuovo ‘assalto’.
Ma Genny aveva ancora qualcosa da insegnarmi.
Muovendosi delicatamente, si sfilò dalla vagina lasciandomi un vuoto ed un senso di rimpianto; si stese a fianco a me supino col suo membro innalzato come uno scettro alla sua mascolinità; a cenni mi invitò a montargli addosso: ero un po’ perplessa ma poi mi resi conto che mi chiedeva di essere io a montarlo; scavallai con una gamba il suo corpo e mi sistemai quasi seduta su di lui, sollevai il bacino, infilai una mano fra le cosce, afferrai il suo pene che sembrava d’acciaio, tanto era duro, e diressi la cappella verso la mia vulva; lo strofinai a lungo sulle grandi labbra e sul clitoride provocandomi non pochi orgasmi che bagnarono completamente il suo ventre con i miei umori; poi decisamente mi abbassai e faci entrare il sesso fino all’utero; con un ultimo, deciso colpo feci urtare violentemente la cappella contro la cervice: il gesto mi provocò una fitta di intenso dolore che immediatamente si trasformò in un’indicibile piacere diffuso che mi invase tutto il corpo.
Me ne stetti seduta per qualche attimo, manovrando i muscoli della vagina per risucchiare in me la verga fino alla radice; cominciai a muovermi sul suo corpo sollevandomi e abbassandomi per sentire il membro scivolarmi nella vagina con continui fremiti di piacere.
Genny gemeva come si lamentasse ma era evidente che godeva molto.
Quando già pensavo di spingere fino in fondo e farmi eiaculare in vagina, di colpo lui mi scavallò quasi con violenza e mi fece cadere sul letto accanto a lui; poi, quasi per farsi perdonare, prese a carezzarmi dolcemente la vulva e le tette; poi mi fece girare e si dedicò alla schiena e, soprattutto, al sedere che percorse lungamente e delicatamente con le dita e con la lingua; tenendo distanziate con le mani le natiche, portò in piena evidenza l’ano e cominciò delicatamente a sollecitarlo con un dito; poi si abbassò a leccarlo inserendo la lingua fin dentro.
Tutte le sue manovre non facevano che sollecitare i miei orgasmi sempre meno controllati; se ne accorgeva sicuramente, al punto che andava a raccogliere gli umori che mi sgorgavano dalla vulva ad ogni piccolo orgasmo e li usava poi per lubrificarmi l’ano e inserire un dito sempre più in profondità.
Preso quasi da una frenesia sessuale, cominciò a leccarmi l’ano sempre più velocemente e a carezzarmelo con più dita, due o tre, che infilava poi con decisione nello sfintere: in breve i muscoli dell’ano cedettero e le sue dita viaggiavano liberamente verso il mio intestino.
Capii a quel punto che l’intenzione era quella di penetrarmi nell’ano; godetti intimamente e l’attesa diventò una sorta di orgasmo continuo fino all’arrivo del sesso.
Mi sollevò le anche finché poggiai sulle ginocchia, si chinò dietro di me e continuò imperterrito a leccare e a spingere le dita dentro il retto; finché lo implorai di sfondarmi, di rompermi il sedere, di possedermi fino allo svenimento.
Si sollevò in ginocchio e si accostò col ventre alla mie natiche; sentii nettamente la sua mazza dura accostarsi all’ano e fare pressione.
“Quando comincio a spingere, tu sforzati come per andare di corpo; ci aiuterà.”
Accennai di si con la testa ed effettivamente, quando sentii la pressione dell’asta sullo sfintere, spinsi a mia volta come per defecare e sentii che la cappella passava di colpo con una fitta terribile; digrignai i denti e con la mano gli feci cenno di fermarsi; ma non uscì dal retto e, appena mi sentì più rilassata, riprese a spingere stavolta senza molto dolore.
In un attimo sentii che era tutto dentro, perché i peli del pube mi solleticavano il perineo e il ventre mi premeva sulle natiche.
Lo abbracciai da dietro per segnalare anche che volevo sentirlo un poco dentro; cercai di manovrare i muscoli dell’intestino per accarezzare la mazza che mi premeva dentro e in qualche modo riuscii a risucchiarlo dentro di me.
Poi cominciò a pompare con calma e metodo; sentivo tutti i terminali nervosi dell’intestino sollecitati dal piacere del bastone che mi stuprava e ne gustavo il piacere infinito che mi trasmetteva al cervello.
Pensai che Genny volesse concludere nell’ano la nostra copula, eiaculando dentro.
Ma io aveva ancora qualcosa da chiedere.
Misi le mani sulle anche e, un po’ spingendolo indietro un po’ ritraendomi davanti, costrinsi il membro a uscire dal retto; l’ultima parte fu dolorosa perché la cappella saltò fuori con sforzo e con un rumoroso ‘plof’ che quasi mi spaventò.
Genny sembrava perplesso.
Lo spinsi sul letto e lo posi supino col pene ben eretto.
Gli montai sopra, come prima aveva fatto lui, e mi piazzai col sedere sull’asta, che presi a direzionare con le mani.
Il mio ano era ormai aperto e, dallo specchio dell’armadio, vedevo la scena terribile di Genny steso sulla schiena coll’asta superbamente ritta e di me, accovacciata su di lui con l’ano spalancato come una fornace, che indirizzavo il suo membro al mio sfintere.
Quasi recitando una scena, mi abbassavo lentamente e lasciavo che l’asta entrasse nel mio corpo con qualche fitta di dolore ma tanto, tanto godimento che si trasmetteva dall’ano all’utero e da lì al cervello procurandomi emozioni immense.
In breve il sesso fu dentro di me ed io mi lasciai cadere col corpo su di lui accarezzandolo con le tette, con i capelli, con il ventre, con le mani, con la bocca.
Ci scambiammo un bacio, lungo, intenso, appassionato.
Genny cominciò a pomparmi spingendo da sotto; il membro scivolava dentro e fuori, fin quasi ad uscire del tutto per rientrare di colpo con una spinta quasi violenta.
Il piacere era alle stelle.
“Se vuoi, adesso puoi anche godermi dentro.”
Gli sussurrai: cominciò la cavalcata finale, lunga, intensa, irresistibile; Genny mi ribaltò con forza sul letto e mi spinse supina sotto di lui; nel movimento, gli passai le gambe intorno alla vita e mi trovai con l’inguine appiccicato al suo, la vulva che gli strusciava sull’osso pelvico e l’ano che si apriva totalmente alla sua penetrazione; mi possedette con violenza, facendomi sentire continuamente il peso del suo corpo sul mio e scatenandomi gli istinti più animaleschi del piacere.
D’un tratto, si accanì sul mio sfintere con particolare violenza, mi fece penetrare il membro fino allo stomaco e, con un suono gutturale che soffocava l’urlo compresso mi allagò l’intestino col suo sperma bollente.
Lo sentii spruzzare più volte ed ogni volta un orgasmo mi scosse con violenza dalle viscere fino al cervello.
Poi si abbatté su di me ansimando ed io strinsi le cosce intorno alla sua vita per non farlo uscire dalle mie viscere.
Restammo così abbracciati per un po’ di tempo; poi sentii che nel retto il membro perdeva consistenza, si afflosciava e tendeva a scivolare via.
Abbassai le gambe liberandolo dalla presa, mi sdraiai sotto di lui e lo spinsi leggermente di lato; si scavallò dal mio corpo e si sdraiò supino al mio fianco.
Sentivo che dall’intestino la colata di sborra che aveva versato tendeva ad uscire dall’ano e temetti di sporcare in giro; lui mi indicò la porta del bagno ed io mi sforzai a natiche strette di andare a liberarmi.
Seduta sul water scaricai una quantità industriale di sperma e un po’ di cacca, stimolata dallo stupro; mi spostai sul bidet e mi lavai vulva ed ano.
A quel punto entrò Genny che aprì il box della doccia, entrò e aprì l’acqua invitandomi a seguirlo; lo feci volentieri per liberarmi di sperma, umori e sudori che avevo accumulato.
“Sai, credo che la maggior parte delle donne al mondo in tutta una vita non ha fatto sesso come lo hai fatto tu in due ore!”
Lo guardai meravigliata.
“Beh, credo che poche donne si facciano penetrare analmente con la voglia che hai dimostrato tu; moltissime sono quelle che si rifiutano di prenderlo in bocca o di fare un 69. Insomma, la maggior parte si comporta come te con Antonio: lasciar fare, sopportare e tacere. Tu invece …”
“Io invece ho scoperto che mi piace fare sesso e che voglio farlo al meglio quando mi va e con chi mi va. Il matrimonio è una cosa, fare sesso è tutt’altra!”
Scoppiammo a ridere insieme.
Dopo esserci rivestiti e ricomposti, in qualche modo, tornammo nella camera di Donatella.
“Com’è andata?”
Chiese subito, premurosa.
Per primo rispose Genny.
“Stupendo: la più veloce a imparare, a elaborare e a fare propri i suggerimenti, una immensa voglia di piacere e di sesso, nessuna inibizione, insomma un’amante magnifica!”
Io mi limitai ad annuire e a sussurrare.
“Grazie … a tutti e due.”
Me ne andai contenta, sicura che era cominciata per me una vita nuova, diversa e ricca di piacere … anche se il sedere un poco mi doleva.
Naturalmente, dopo l’esperienza con Genny, la mia vita matrimoniale non fu più la stessa.
Intanto, passavo molto tempo in bagno a titillarmi la vulva come avevo imparato; e mi procuravo orgasmi violenti che a volte rischiavano di essere chiari a tutto il condominio per le urla che lanciavo godendo.
Di più, avevo appreso - indirettamente e casualmente - che tutta una serie di ortaggi potevano essere utili a sostituire un membro in certe funzioni.
Il godimento maggiore allora era masturbarmi con una carota, o con uno zucchino o con un cetriolo e poi servirlo in insalata ad Antonio, in maniera che almeno assaggiasse un vago sapore della vulva che maltrattava senza farla godere.
Perché, in realtà, lui non aveva mosso di un millimetro le sue abitudini: ogni notte mi montava addosso due o tre volte, infilava il sesso nella vagina, eiaculava e si addormentava; inutilmente avevo tentato di infilare in mezzo una mano per tentare di stimolarmi il clitoride mentre mi prendeva; anche pensare al sesso di Genny, mentre prendevo dentro il suo, non valeva.
Con pochi colpi veloci, arrivava all’orgasmo e se ne andava.
Ormai il desiderio di un rapporto convincente diventava quasi necessità fisica.
Purtroppo, Genny non era disponibile.
Per scelta categorica e prudenziale, non tornava mai ad incontrare le ragazze che aveva ‘svezzato’ col rischio di creare situazioni pericolose; Donatella fu chiara ed esplicita: se volevo ancora sesso, dovevo procuramelo altrove.
L’idea di sedurre Nicola non era molto peregrina, ma troppe indicazioni - implicite ed esplicite - segnalavano che era un giovanotto non molto affidabile e che, se non c’erano tutte le garanzie di segretezza, era meglio rinunciare.
Dalle ‘voci di piazza’ avevo saputo che qualche paesana aveva trovato sfogo con i ‘forestali’, agenti inviati periodicamente sul territorio con funzioni di controllo; ma le stesse voci aggiungevano anche che per qualcuna era finita assai male, quando i paesani se n’erano accorti, soprattutto per l’odio che tutti provavano per i ‘controllori’ che impedivano di andare nel bosco per legna, per frutti o per piccola caccia.
L’idea di sedurre un ‘forestiero’ però mi allettava parecchio, pur rendendomi conto dell’enorme pericolo che rappresentava.
E, comunque, meglio non pensarci perché non era ancora stagione di controlli e quindi di forestali neanche l’ombra.
Ma, come è noto, spesso il diavolo ci mette la coda; e, una mattina che ero andata per frutti nel bosco intorno al paese, il forestale apparve lì, con la sua bella divisa, mentre orinava allegramente dietro a un albero.
Ero troppo lontana, quando apparve; e non riuscii neppure a capire cosa stesse facendo; ma l’apparizione mi sembrò quasi un segno del destino e, istintivamente, presi ad ancheggiare mentre mi avvicinavo.
“Ciao, bella, dove vai?”
“In giro …“
“Scommetto che cerchi frutti vietati”
“Frutti?! Che frutti?”
Intanto eravamo arrivati ormai a contatto.
“Quelli che ti fanno così bella e soda”
Nel dirlo, il forestale aveva allungato una mano sul sedere che aveva palpato voglioso.
Sentii una vampa montarmi dalla vulva al cervello.
Allungai a mia volta una mano verso la patta e palpai il verga da sopra i pantaloni.
“Si vede che ne fai uso anche tu.”
L’altro non ebbe esitazioni: aprì la lampo e tirò fuori una mazza assolutamente fuori misura.
Lo guardai ad occhi sbarrati: ancora barzotto, il membro raggiungeva una misura ragguardevole, ma soprattutto era enorme la circonferenza che raggiungeva la dimensione di una lattina; con molta esitazione lo presi alla radice e lo sentii gonfiarsi nella mano; istintivamente, presi a masturbarlo e in un attimo me lo trovai immenso nella destra, totalmente scappellato e sormontato da una cappella di diametro surreale.
Il forestale non aveva perso tempo e, sollevata la gonna, si era infilato nelle mutande andando ad artigliarmi la vulva in cui aveva inserito due dita tozze e nodose che presero a titillare grandi labbra, vagina e clitoride insieme: ebbi un primo leggero orgasmo e, d’istinto, cominciai a menare il membro in una sapiente masturbazione.
Andammo avanti qualche minuto, lui a stimolare vulva con due dita dentro, mentre il pollice accarezzava l’ano e lo forzava delicatamente e io a mandare su e giù la pelle del sesso in una masturbazione magistrale; a un certo punto lui sussurrò.
“Attenta, sto per venire”
Raccomandai.
“Aspetta dammi tempo di venire anche io.”
L’altro accelerò il movimento della mano nella vulva.
“Ecco … ecco … vengo!”
Sussurrai e ci lasciammo andare insieme all’orgasmo.
Guardai ammirata l’asta che la mia mano sosteneva ma che copriva solo per una piccola parte e rimasi incantata ad osservare il primo spruzzo di sborra che andava a schiantarsi ad almeno tre metri da noi, seguito da altri cinque /sei spruzzi di pari intensità.
Quando ci ricomponemmo.
“E’ stato bello, ma io qui non ti ho mai vista”
Ammonì il forestale.
“E io non ci sono mai stata”
Ribadii, conscia solo adesso del pericolo corso.
Scappai via leggera ed allegra: vedere e toccare un sesso così grosso mi era piaciuto e anche molto; e me ne tornavo contenta di avere finalmente fatto qualcosa per la mia vulva, per me stessa.
Ma la gioia durò solo per poco.
Quando, a sera, Antonio mi salì addosso per la prima montata della notte, non potei sottrarmi ad un senso di fastidio; istintivamente, mi rifugiai nel ricordo di quel membro meraviglioso che avevo stretto per pochi minuti nella mano; mi tornò la visione dello schizzo di sperma ‘sparato’ a tre metri da noi e mi prese la nostalgia di sentirne almeno il sapore.
“Non tanto, ma almeno una leccata potevo darla.”
Riflettevo fra me e me; e decisi che la prossima volta non sarei stata così stupida; se necessario, mi sarei anche fatta sfondare il sedere da quella lattina!
L’occasione non arriva se non te la vai a cercare; ed io l’occasione per quel sesso volevo cercarla.
Per questo tornai ancora nel bosco, per frutti, nei giorni seguenti; purtroppo, sempre senza incontrare nessuno. Intanto, cercavo di capire come avrei potuto ‘incastrare’ Nicola senza correre rischi o creare problemi.
Sapevo che aveva voglia di possedermi (e anche alla grande) ed ora ero anche certa che ‘io’ volevo copularci.
Il problema era trovare il modo, il tempo e il luogo, soprattutto il luogo perché era quello che poteva creare problemi di essere visti, di destare sospetti e insomma, di creare casini.
C’era una casa, poco fuori del paese, la cui proprietà era molto controversa e che, per molti versi, apparteneva anche alla mia famiglia; degli ultimi proprietari si erano perse le tracce nel secolare flusso di emigrazioni; da piccoli la usavamo per giocarci; ma, dopo che si ebbe notizia di un caso di pedofilia avvenuto in una paese relativamente vicino, avevamo avuto l’ordine tassativo di non avvicinarci mai a quel posto stregato e maledetto.
Con questa fama, era quasi l’ideale - adattandolo un poco - per riceverci una amante clandestino.
In una veloce ricognizione, mi ero resa conto che una saletta giusta c’era, con un pagliericcio con delle coperte, un bagno non molto schifoso e perfino qualche sedia.
Individuato il ‘dove’ si trattava di stabilire il ‘come’ per poi decidere il ‘quando’.
Non trovavo percorsi semplici per contattare Nicola e proporgli di copulare.
Immersa nei miei pensieri, tornai per l’ennesima volta a passeggiare nel bosco, ufficialmente alla ricerca di frutti e funghi, in realtà con la speranza di incontrare ancora il forestale col sesso meraviglioso.
Solo adesso mi rendevo conto che non ci eravamo detti neppure il nome, presi com’eravamo dalla libidine della doppia masturbazione.
Comunque, il sentiero pareva deserto e non era molto prudente avventurarmi troppo verso l’interno.
Stavo per tornare indietro delusa, quando vidi un certo movimento in fondo al sentiero; mi acquattai nel fitto degli alberi e vidi avanzarsi i due forestali, Sessobello che avevo masturbato e l’altro assolutamente sconosciuto.
Giunti a qualche metro da me, si fermarono un poco a discutere, poi si separarono: lo sconosciuto si addentrò nel fitto del bosco in direzione opposta e Sessobello venne dalla mia parte.
Quando mi fu vicino mi disse semplicemente.
“Ciao.”
Appoggiò ad un albero il fucile e il tascapane, mi prese per le braccia, mi fece ruotare e mi abbrancò da dietro prendendomi per le tette mentre mi piantava il ventre sul sedere dove avvertii immediatamente lo spessore del suo sesso che si sistemò nella piega tra le natiche.
I bottoni della camicetta si slacciarono immediatamente e, poiché non portavo reggiseno, le mie tette furono preda delle sue mani che delicatamente carezzarono i capezzoli e massaggiarono le mammelle: le sue manovre mi fecero immediatamente bagnare fino a sentirmi correre tra le cosce la prima broda.
Non capivo cosa stesse facendo alle spalle e mi preparavo a sentire il suo enorme sesso sfondarmi dolorosamente l’ano; ancor più me ne convinsi quando avvertii che mi sollevava la gonna fino sui fianchi e mi abbassava le mutande.
Mi appoggiai ad un albero e piegai leggermente il busto in avanti quasi per dargli un migliore accesso al mio ano.
Sentii che abbassava la cerniera del pantalone e poco dopo avvertii la frescura del membro che si apriva la strada tra le mie natiche, sfiorava l’ano e scivolava più giù alla ricerca della vulva.
Capii che intendeva prendermi da dietro; infilai una mano tra cosce, raggiunsi la sua mazza e la guidai verso le grandi labbra.
Pur avendo già fatto esperienza della masturbazione, mi esaltai ancora stringendo in mano la sua mazza terribile e affascinante: era dura come l’acciaio e, al tatto, morbida come un piumino da cipria, e le vene pulsavano per tutta la lunghezza.
Mi strofinò un poco la cappella prima sull’ano poi sulle grandi labbra e infine, guidato da me che non lo mollavo un attimo, si appoggiò all’ingresso della vulva; tutti gli umori che avevo già versato facevano un percorso lubrificato e aperto sicché, nonostante la mole decisamente eccezione del bastone di carne, il sesso scivolò lentamente e decisamente nella vagina.
Lui spingeva poco e a tratti; anzi, sembrava godere a tiralo indietro e tornare a spingerlo dentro, sempre un poco più a fondo, finché, di colpo, la cappella andò a sbattere contro la cervice dell’utero scatenandomi un gemito appena soffocato.
Quando l’asta fu tutta dentro, le sue mani si spostarono dai seni - che aveva continuato a stringere e carezzare - e mi artigliarono le anche: mentre lui spingeva con forza l’inguine contro il mio sedere, io spingevo il didietro contro il suo ventre per ricevere quanto più sesso possibile, quanto più godimento possibile.
Andammo avanti per un bel po’ ed io mi godetti con tutta l’anima la penetrazione della mazza in zone ancora vergini della mia vagina: ogni millimetro che il membro conquistava nella sua penetrazione era un fiume di orgasmi che mi faceva sbrodolare come una sorgente incontrollata.
Due o tre volte si fermò, col sesso rigidamente piantato nella mia vagina, e sembrò che ritardasse l’orgasmo o che si concedesse di godere fino in fondo il piacere di copulare con me.
Poi ad un tratto mi sussurrò all’orecchio.
“Voglio goderti dentro: posso?”
Gli feci cenno di si con la testa.
Con tutte le volte che Antonio mi aveva montato in quei giorni rimanere incinta non era un problema.
Si lanciò in un ultimo assalto di inaudita violenza; il membro usciva quasi del tutto dalla mia vagina e vi rientrava poi con inaudita violenza; ed io lo accompagnavo col sedere che si ritraeva e si accostava in sintonia per accoglierlo fino in fondo.
“Gooodo!!!!”
Mi urlò ad un certo punto ed io massaggiai con violenza il clitoride che esplose nell’orgasmo più intenso, più bello, più lungo e più sazio che avessi mai avuto: per qualche minuto si trattenne nella vagina provata dalla copula; mi accarezzò con dolcezza le natiche, il seno e il ventre arrivando fino alla vulva che titillò lievemente e brevemente mentre il suo sesso lentamente perdeva un poco di consistenza, pur rimanendo molto grosso; poi, di colpo, lo sfilò ed io sentii un fiotto di sperma esplodere dalla vulva e riversarsi per terra.
Mi passò dei fazzolettini che io usai per tamponarmi; dopo aver tirato su le mutande, sistemai altri fazzolettini a mo’ di assorbente, richiusi i bottoni della camicetta e diedi qualche colpo alla gonna per rimediare a qualche piega.
Poi gli feci ‘ciao’ con aria civettuola e mi allontanai sul sentiero verso il paese.
Poco più avanti, sul sentiero, vidi venirmi incontro proprio Nicola e, per un momento, temetti che mi avesse seguito e scoperto tutto.
Ma quando fummo ad un passo di distanza, dal rossore del viso e dall’aria impacciata capii che semplicemente mi aveva incontrata per caso e non sapeva che pesci pigliare.
In preda a un’improvvisa voglia di maltrattarlo, gli feci con aria spavalda.
“Ciao, è vero che vai dicendo in giro che vuoi possedermi in tutti i modi?”
Si bloccò come colpito in pieno petto e cominciò a balbettare.
“No … non so .. non è vero …”
“So che è vero e che lo hai detto. Ma so anche - e tu non lo sai - che io voglio effettivamente farmi possedere da te, anzi voglio possederti io in tutti i modi; ma che lo farò solo se avrò la certezza che sai tenere la bocca cucita e che accetti di farlo quando, come e dove dico io e, se capiterà, sarò io a scegliere cosa fare e cosa non fare senza lasciarti nessuna iniziativa.”
Sentivo che quasi barcollava fisicamente, investito da tante verità sparate in faccia in un solo colpo.
Non gli lasciai il tempo di riprendersi.
“Conosci la casa degli spiriti?”
Accennò di si con la testa senza avere la forza neppure di parlare.
“Bene, oggi pomeriggio alle quattro ci andrai e mi troverai là. Ma se vieni meno anche a uno solo degli impegni che ti ho detto, giuro che ti strappo i testicoli e li do da mangiare ai porci.”
Lo lasciai inebetito sul posto e me ne andai sculettando provocatoriamente.
Corsi finalmente a casa e dopo aver orinato, mi sedetti sul bidet per lavarmi la vulva ancora gocciolante di sperma e ne approfittai per dedicarmi a una lunga ed appassionata masturbazione in cui il ricordo del sesso che mi aveva riempito la vagina poco prima si alternava all’ipotesi di quello che avrei fatto poco dopo con il sesso di Nicola che già conoscevo di vista ma che desideravo molto assaggiare fisicamente in ogni buco.
Come ormai per prassi quotidiana, preparai un pranzo veloce; la salsa, non a caso, era una che, si dice, prende nome dal fatto che sembra molto elaborata ma è veloce e semplice ed è quella in voga tra le prostitute o tra le fedifraghe (per questo in qualche zona è conosciuta anche come ‘salsa del cornuto’); di lì a poco Antonio rientrò dal giro di carte, birre e amici emigrati che frequentava per giornate intere, quasi non volesse interrompere le abitudini del paese dove lavoravano da emigrati; si sedette a tavola e divorò tutto senza neanche rendersi conto di quel che mangiava.
Subito dopo scappò via per tornare al bar, al giro di birre ed agli amici di sempre.
Io mi preparai a quella che poteva essere la prima occasione per farmi un amante fisso, giovane, ben dotato e disponibile alle mie voglie anche perverse.
Verso le tre e mezza, uscii e mi incamminai verso l’esterno del paese: quando da piccoli andavamo a giocare alla casa degli spiriti, avevamo costruito una serie di percorsi per entrare ed uscire senza farci notare; ed io scelsi per l’appunto il percorso esterno, quello che dai campi portava sul retro della casa senza vedere o essere visto da anima viva.
Entrai nella stanza che avevo predisposto e mi accinsi ad attendere; non ci volle molto.
Ancor prima delle quattro, sentii la voce di Nicola che chiamava dal portone; come una furia mi precipitai fuori e lo aggredii.
“Che diavolo urli?!?! Vuoi fari sentire da tutto il paese?”
Arrossì e abbassò gli occhi contrito; lo presi per un braccio e lo tirai nella camera con me; una volta chiusa la porta, ripresi volutamente a maltrattarlo.
“E allora? Cosa aspetti? Un invito scritto?”
Reagì con violenza e mi abbrancò le tette; mi toccò fermarlo, prenderlo tra le braccia e stampargli le mie labbra sulle sue, infilandogli immediatamente la lingua in bocca.
Mi pareva assai strano, dopo averlo visto dominare con convinzione il piccolo Peppino ed aver visto come usava con lui la lingua, le mani e il sesso, che invece fosse così imbarazzato con me, che pure aveva dichiarato di voler possedere in ogni modo; ma poi pensai che forse i miei modi aggressivi lo avevano in qualche modo inibito.
Però non intendevo in nessun modo lasciargli lo spazio per sentirsi padrone di me e del nostro rapporto.
Più dolcemente, comunque, lo strinsi a me tirandolo per le natiche sul mio ventre finché sentii il turgore del suo sesso che mi solleticava la vulva da sopra la gonna e le mutande.
Nonostante il baluardo della stoffa, quel membro mi vibrava sul corpo in totale pienezza, quasi fossimo già completamente nudi e, favorita anche dal fatto che tutti e due ci strusciavamo con forza gli ossi pubici, cominciai a bagnarmi e a rilasciare umori che mi impregnarono immediatamente le mutande.
Nicola si riprese rapidamente e le sue mani si spostarono immediatamente sul mio seno; in un attimo i bottoni della camicetta si aprirono e, poiché non portavo reggiseno, le mie tette furono immediatamente a portata delle sue mani che presero a massaggiarle, a stringerle, a carezzarle titillando dolcemente i capezzoli.
Le nostre bocche erano rimaste incollate in un bacio lungo e intenso e le lingue avevano cominciato un gioco di intrecci che alimentavano il piacere in vagina e procuravano continue scosse di godimento, quasi piccoli orgasmi in rapida successione.
Poi Nicola staccò la bocca dalla mia e si abbassò a prendere tra le labbra un capezzolo; il contatto con le sue labbra mi diede un brivido intenso e nuovo: quando cominciò a succhiarlo, poi, mi sembrò quasi che mi succhiasse il piacere direttamente dalla vulva e me lo scaricasse nel seno.
Feci scivolare una mano tra i nostri corpi e andai a prendere la cerniera del pantalone, la abbassai fino in fondo e infilai la mano nel’apertura: non portava mutande e mi trovai immediatamente a contatto con la sua mazza.
Lo avevo già visto, quel membro, quando Peppino lo aveva manipolato per masturbarlo e poi lo aveva preso in bocca per una fellatio; e soprattutto quando lui lo aveva infilato nell’ano di Peppino e glielo aveva piantato fino in fondo, fino a godere.
Lo avevo desiderato quella volta, solo a vederlo, e lo desideravo ancora di più adesso che lo sentivo palpitare nella mia mano e ne raccoglievo il calore, la forza, il senso di possesso.
Manovrando come potevo con il pantalone, lo tirai fuori e lo accarezzai per tutta la sua lunghezza: niente a che vedere con la ‘lattina’ del forestale, naturalmente: quello era di una categoria extra, un bastone come se ne vedono pochi ed io lo avevo già non solo visto ma anche assaggiato in mano e in vagina.
Ma era comunque un gran bel membro, con una circonferenza che la mia mano poteva appena stringere e con una lunghezza per la quale due volte la mia mano sarebbe stata insufficiente.
Insomma, avevo tra le mani una mazza di tutto rispetto che manipolavo con voluttà e da cui ricavavo infinite scosse di elettricità che mi facevano palpitare tutti i recessi del ventre.
Preso dal piacere della manipolazione che gli stavo praticando, Nicola allentò per un attimo il suo impegno, sollevò la testa in atteggiamento di lussuriosa estasi e trascurò per un attimo i miei seni; poi si riprese immediatamente e, spostandosi un poco indietro col corpo, allungò una mano dietro la mia schiena, si infilò sotto la gonna ed andò ad artigliarmi una natica che strinse goduriosamente per poi far scivolare la mano su tutto il sedere in una carezza lussuriosa che continuò dentro le mutande, semplicemente spostandole; quando le dita scivolarono sull’ano, Nicola raccolse col medio gli umori che scorrevano e infilò il dito umido nel retto; spinsi il bacino indietro per accoglierlo meglio e il dito scivolò più dentro fino ad entrare nel tutto.
Subito dopo, la mano si spostò verso la vulva: da dietro, risultò quasi più facile far entrare due dita e cominciare a titillare il clitoride che era finito tra le dita.
Per alcuni minuti rimanemmo con il fiato sospeso: io mandavo su e giù la pelle del membro nella manipolazione più bella che avessi mai immaginato; lui ravanava nella mia vulva martoriandomi il clitoride e cercando i tessuti più interni della vagina fin quasi all’utero.
L’orgasmo era nell’aria: da un momento all’altro sarebbe esploso inevitabile; e Nicola non era, evidentemente, in grado di controllare troppo a lungo il suo orgasmo.
“Sto per venire.”
Mi disse quasi preoccupato.
“Non azzardarti a farlo se prima non mi fai godere!”
Intimai quasi con ferocia.
Lasciata la mia tetta, portò l’altra mano sulla vulva e riprese a titillarmi vagina e clitoride; spostò intanto l’altra mano un po’ più indietro e infilò di nuovo il dito nel retto provocandomi una fitta di piacere che partì dallo sfintere, passò per il clitoride e si scatenò nell’utero.
Fu un orgasmo violento che accompagnai con un urlo a malapena soffocato da me e da Nicola che mi infilò la lingua in bocca per non svegliare il paese.
Appena ebbi goduto, Nicola sembrò liberare il suo mostro che sganciò uno spruzzo di sperma contro la parete opposta ad almeno un metro e mezzo di distanza; gli altri quattro spruzzi caddero per terra un po’ più vicino.
Ci sedemmo sul letto quasi disfatti dall’orgasmo; continuai a giocare col sesso che aveva perso consistenza ma non era meno piacevole da accarezzare.
“Tra poco si riprende e possiamo ricominciare.”
Mi propose Nicola; ma non era questa la mia intenzione.
“No, questo era l’aperitivo che avevo pensato di farti assaggiare; se ti comporti bene e non parli con nessuno, se stai attento a non farci scoprire: insomma, se ti comporti a modo, dopo che Antonio sarà tornato in Svizzera, sarai il mio amante e faremo sesso in tutti i modi. Per ora, però, è bene interrompere e attendere la partenza degli emigranti che non è poi tanto lontana.”
Cominciava per me il primo anno da ‘vedova bianca’ ma per la ‘caccia’ non avevo problemi, almeno per quest’anno.
Come era prassi, ogni anno le quattro fresche spose fummo convocate dal medico condotto che ci inviò all’ospedale della vicina città per verificare la nostra capacità di procreare: in una civiltà strutturalmente contadina ed arcaica, risultava pregiudiziale a tutto e fondamentale per il matrimonio.
La noia cominciò la mattina assai presto, con l’unica corsa dell’autobus che aveva luogo in orario antelucano.
Continuò poi in città con le enormi difficoltà a orientarci; e peggiorò in ospedale dove gli infermieri ci facevano spogliare continuamente e completamente per le visite, per le radiografie, per i controlli (ma di più, secondo me, per ammirare integralmente delle belle ragazzotte montanare bene in carne); i medici infilavano le mani dappertutto e qualcuno pareva godesse a tenerle dentro l’intimo fin oltre il lecito: insomma, il nostro profondo senso del pudore ne risultò logorato e offeso.
Infine, il versamento di orina in contenitori microscopici e la raccolta delle feci che mi fece alquanto schifo.
La parte più dolorosa, per ragazze come noi poco avvezze all’ago della siringa, fu il prelievo del sangue.
Poi il tormento si concluse con il viaggio di ritorno, in pomeriggio avanzato.
Qualche giorno dopo, il medico condotto mi convocò all’ambulatorio: considerata la particolarità della richiesta, mia madre si precipitò ad accompagnarmi.
Il referto ci gelò: il mio utero, per una conformazione particolare, non era in grado di procreare.
Per mia madre fu una vera mazzata che la stordì.
Inutile dire che in breve tutto il parentado entrò in lutto per la novità e tutto il paese commentò la notizia nella maniera più varia: il commento più acido fu.
“Così potrà copulare senza problemi.”
Nella interpretazione del posto, valeva un esplicito ‘troia’.
Antonio sembrava non essersi reso conto del significato della notizia: continuò imperterrito a montarmi tre volte a notte e ad addormentarsi dopo ogni orgasmo, quasi che il problema non esistesse.
Solo col tempo ne avrebbe preso coscienza e avrebbe deciso di non tornare più a San Rocco dimenticando la moglie.
Io presi la notizia con rabbia incontenibile: più di ogni altra cosa, mi faceva incazzare l’idea di essermi costretta ad accettare la violenza di un marito - animale solo in nome della continuità della famiglia e di trovarmi ora a sopportarlo senza neanche quella prospettiva.
L’unica consolazione veniva proprio da quella considerazione di ‘troia’ libera di fare sesso che apriva un nuovo paesaggio di corna al marito - animale.
Dopo lo “svezzamento” di Genny, dopo la sperimentazione di libertà con il forestale e dopo la progettazione di copule con Nicola, il fatto di non dovermi più preoccupare di dove finisse lo sperma mi metteva in condizione di sperimentare il sesso in tutte le sue forme e possibilità.
Rispondevo con uno sberleffo alle paesane che mi esibivano i figli come ipotesi non prevista per me e cominciai a sculettare con aria provocatoria di fronte a qualunque maschio, quasi a sottolineare.
“Io posso e voi no.”
Un’altra novità di quella settimana fu rappresentata dall’arrivo di una macchina dalla Svizzera con quattro paesani che avevano dovuto ritardare la partenza.
Con loro c’era anche un quinto passeggero, un tale Mario, che in Svizzera condivideva con Antonio il lavoro, la camera e, in qualche modo, l’esistenza.
Mario era però l’opposto esatto di mio marito.
Fine nei modi, elegante nell’abbigliamento, bello di aspetto e senza i limiti di struttura che caratterizzavano i paesani, montanari tozzi, muscolari e sgraziati.
Lui e mio marito mi piombarono in casa a mezza mattinata, mentre ancora rassettavo; e solo allora Antonio mi comunicò che il suo ‘caro amico Mario’ sarebbe stato nostro ospite per tutto il giorno, avrebbe dormito nel divano del soggiorno e sarebbe ripartito l’indomani mattina per la città dove avrebbe ripreso il viaggio che lo portava a casa sua, qualche centinaio di chilometri più a sud, in un’altra regione.
Capii anche che lui aveva ritardato la partenza dalla Svizzera e aveva approfittato, per risparmiare, del passaggio in macchina per il percorso maggiore.
Dissi che non c’erano problemi e che avrei preparato il letto sul divano; Mario si presentò con molto garbo, addirittura abbozzò un baciamano e disse con molto sussiego.
“Felicissimo di conoscere una donna incantevole come lei, signora Cristina.”
Antonio reagì a modo suo.
”Ma che le dai del lei e la chiami ‘signora’: Cristina è solo mia moglie, niente altro!”
“Si vede che non sei in grado di apprezzare il bello anche se ce l’hai sotto il naso tutto il giorno!”
Mario insisteva ad essere galante.
“Forse è meglio se mi chiami Cristina e ci diamo del tu.”
Intervenni cercando di essere conciliante.
“Se me lo permetti tu, ne sarò felicissimo”
Concluse Mario e si apprestò a seguire Antonio che non vedeva l’ora di tornare al bar a giocare e bere con gli amici.
Mario, su mia indicazione, poggiò in un angolo la sua valigia e lo seguì senza entusiasmo.
“Se tu vai al bar, io faccio una passeggiata nel paese: non mi va di rinnovare anche qui la noia delle solite facce nel solito bar; già in Svizzera è troppo.”
“Se lo preferisci, puoi anche riposarti un poco prima del pranzo; io ho lasciato in sospeso una partita e non voglio perderla.”
Mario mi chiese se poteva starsene sdraiato un poco per riprendersi dal viaggio; gli proposi di preparare un caffè e accettò.
Vivevo con un certo imbarazzo la situazione di un estraneo che restava solo con me in casa: ma era stato mio marito a volerlo e quindi non avevo nessuna responsabilità; il pizzico di vanità che ormai mi agitava dentro però si era espanso oltre ogni limite di fronte al garbo ed al velato corteggiamento di Mario: una volta preparata la macchinetta e messa sul fuoco, mi precipitai in camera, tolsi il camicione che avevo per la cucina e indossai una gonna fresca, leggera ed ampia, con sopra una camicetta alquanto trasparente.
Non indossai reggiseno e neanche mutande.
Sull’uso delle mutande, c’era una vivace discussione tra le ragazze del paese: le generazioni più giovani avevano imparato ad usare mutande di tela, spesso confezionate in casa, semplicemente per arginare eventuali fuoruscite involontarie; le giovanissime si sbizzarrivano sulle riviste di moda con i modelli più recenti di mutandine e slip, ma difficilmente potevano permettersene.
Girare per casa senza intimo, con una gonna ‘ti vedo - non ti vedo’ e una camicetta semitrasparente diventava quindi un modo civettuolo di attizzare i presenti; ma anche una soluzione per essere elegante senza strafare.
Sicché, quando tornai nella sala e mi dedicai al caffè, desideravo molto che gli occhi di Mario si fissassero sulle mie nudità e che facesse qualcosa per sollecitare il mio desiderio di attenzione e, perché no, la mia voglia di vendicarmi della grettezza di Antonio, piantandogli un paio di corna inequivocabili e meritate.
Cominciai a sculettare con civetteria mentre mi muovevo; in più occasioni, mi piegai eccessivamente in avanti per fargli ammirare la linea perfetta del mio sedere e delle mie tette; ogni tanto lanciavo occhiate assassine sul suo pacco che vidi crescere molto e rapidamente; quando mi chinavo in avanti con le scuse più banali (raccogliere un oggetto, spolverare un angolo e così via) di sottecchi osservavo se il suo sguardo si posava sul mio didietro; in alcuni momenti, sentii lo sguardo attraversare gli abito e posarsi sulle natiche o sulle tette.
Avrei voluto copulare immediatamente: sapevo che Antonio non sarebbe rientrato prima di un paio d’ore, giusto col pranzo in tavola; e non mi dispiaceva l’idea di ‘fare qualcosa’ in quel lasso di tempo.
Ma avevo anche la sensazione che Mario fosse troppo ‘perbenino’ per fare le corna ad un amico mentre era ospite in casa sua; e non trovavo un modo per spingerlo.
Avevo appena spento il fuoco sotto la macchinetta del caffè, quando Mario mi chiese di andare in bagno e glielo indicai: all’ultimo momento, rendendomi conto che non c’era un asciugamano ‘di cortesia’, mi precipitai davanti a lui verso il bagno; sulla porta, mi trovai stretta fra lo stipite e lui che, inevitabilmente, si trovò col ventre appiccicato al mio sedere; sentii nettamente il volume del sesso che mi premeva sulle natiche e mi resi conto che era bello grosso; mi soffermai a gustarmelo e mi ci strofinai un poco con la conseguenza di sentirmelo crescere dietro.
Scusandomi per non aver pensato prima agli asciugamani per lui, lo precedetti in bagno, ma lui entrò immediatamente dopo e chiuse la porta alle sue spalle.
Mentre io fingevo di trafficare con i teli da bagno, mi venne alle spalle e fu lui a piantarmi con decisione il membro nel canale tra le natiche; mi afferrò da dietro le tette con le mani e cominciò a strusciarmi il membro tra le cosce e le natiche, in maniera confusa e occasionale, provocandomi fitte di piacere; cominciai a bagnarmi e allungai la mano dietro per catturare il membro: lo trovai e lo afferrai da sopra al pantalone.
Sentii che si irrigidiva e capii che era titubante per l’arrivo di mio marito.
“Prima che sia in tavola non viene; abbiamo un po’ di tempo.”
Sussurrai; Mario aprì deciso il pantalone e mi appoggiò il bastone in mano: era bello grosso, come avevo intuito; e provai il piacere previsto menandolo per tutta la lunghezza fino alla cappella che giganteggiava in cima: il cerchio formato da pollice e indice non riusciva a chiudersi intorno alla grossezza dell’asta; e la mia mano lo conteneva solo per un terzo circa.
Sentii che mi sollevava la gonna fin sulla vita e appoggiai immediatamente l’asta bollente fra le cosce, tra ano, perineo e vulva; mi mossi un poco avanti e indietro per sentire il bastone di carne sollecitarmi tutte le parti sensibili del sesso; guidai dolcemente la cappella verso le grandi labbra: quando ve lo appoggiai, mi resi conto che era una bella sberla da far entrare; ma la voglia determinata, gli umori colati e una vulva ormai non più stretta fecero sì che la mazza mi piombasse dentro senza problemi.
Lasciai l’asta e portai la mano fra le cosce, afferrai la vulva e cominciai a sfregarla; presi fra due dita il clitoride e lo masturbai a lungo, amorevolmente; quando Mario mi sussurrò in un orecchio.
“Sto per godere: cosa faccio?”
Io non ebbi esitazioni.
“Va’ fino in fondo”
Dissi e accentuai il movimento sul clitoride sicché godemmo insieme con urla soffocate.
Quando ci fummo un poco calmati, Mario andò sul water ad orinare ed io mi sedetti sul bidet, scaricai orina e sperma insieme; poi mi lavai la vulva, mi asciugai e tornai in sala.
Mario era in evidente imbarazzo.
“Mi dispiace … non volevo … è stato più forte di me.”
Continuava a balbettare; lo rimproverai.
“Calmati: non crederai di essere stato solo tu. Anch’io l’ho voluto. E se hai capito chi è mio marito, non ti deve essere difficile dedurre perché l’ho fatto. E, per spiegarti che non sono pentita, ti aggiungo pure che il tuo garbo, la tua educazione, il modo stesso con cui mi hai preso sono l’esatto opposto di lui; sei stato la compensazione di tante violazioni che lui mi fa a letto.”
“Cosa fa?”
“Mi monta, si sbatte una decina di volte e si mette a dormire.”
“E a te?”
“A me? Niente! Io per lui non esisto, sono solo una vagina da riempire di sperma!”
La rivelazione sembrava veramente colpirlo.
“E questo tutte le notti?”
“Tre volte a notte!”
“Come provvedi?”
“Quando mi riesce, mi masturbo. Se poi mi capita un bell’uomo con un bel sesso, con modi gentili, che mi copula con amore e con raffinatezza, allora non ti meravigliare se lo faccio. E’ solo una piccola rivincita, ma me la faccio bastare.”
Finalmente ci sedemmo a bere il caffè che fu solo l’occasione per riprendere ad accarezzarci e a ricoprire di baci e le mani e le braccia.
Finché mi alzai, gli andai vicino, lo feci alzare in piedi e lo baciai con grande trasporto: la mia lingua saettò immediatamente nella sua bocca che prontamente si aprì a riceverla; si avviò un intreccio fra le due lingue che caricava di desiderio l’abbraccio, col membro che si strusciava sulla vulva attraverso gli abiti e le mani che tormentavano i capezzoli e le aureole provocando incontenibile eccitazione.
Presa dalla smania di sesso, gli aprii di nuovo la patta e tirai fuori il membro, in tiro e ritto come un dardo: lo manipolai per qualche momento godendomi le pulsazioni delle vene che correvano lungo tutta l’asta; poi accennai a piegarmi sulle ginocchia; Mario capì e accompagnò il movimento con le mani sulle spalle; mi accosciai sui talloni e baciai in punta la cappella che venne a trovarsi giusto all’altezza della bocca; passai la lingua sulla cappella e, inumiditala, la lasciai entrare in bocca, dove continuai a titillare il forellino con le punta della lingua, leccai un poco anche l’asta, disegnando ghirigori di saliva; spostai il membro verso la guancia e continuai a solleticarlo con la lingua; lo spostai di nuovo verso il palato e, coi movimenti della testa, me lo feci entrare dentro, verso la gola fino all’ugola.
Mario mi lasciava fare e godeva del mio trattamento; i suoi mugolii erano il segno inconfondibile che si stava godendo la fellatio.
Ad un tratto cominciò a muovere il bacino spingendomi il membro in gola; lo assecondai per un tratto prendendone quanto più potevo bocca; poi un conato di vomito mi impose di smettere e tirai indietro la testa; si fermò per qualche tempo, poi riprese a copulare in bocca con più cautela e più lentamente.
La mia mano destra era intanto scivolata verso la vulva spalancata e tre dita entrarono a stimolarla; muovendola avanti e indietro, con il palmo schiacciato sul monte di Venere riuscivo anche a titillare il clitoride e ad avere intensi momenti di goduria.
Con la testa cominciai un movimento di vai e vieni, mentre con le labbra tenevo l’asta che masturbavo con la bocca e con la mano; a tratti, mi fermavo a succhiare la cappella fino in fondo alla gola.
Quando sentii che l’asta vibrava più intensamente e, oltre a gonfiarsi al di là di ogni limite, pulsava quasi a pompare fuori l’anima, capii che stava per godere; scatenai la mia masturbazione del clitoride ed esplosi insieme a lui; gli schizzi di sperma che sbattevano sul palato mi provocavano altrettanti orgasmi; furono almeno cinque, incluso l’ultimo che mi fece sentire come squartata a metà a partire dalla vulva per culminare al cervello; ingoiai quasi con devozione lo sperma e, quando la sentii scorrere in gola, ancora l’orgasmo si prolungò.
Mario si lamentava sommessamente e mormorava frasi incomprensibili, quasi addirittura delle preghiere; la cosa che più frequentemente ripeteva era ‘bello … meraviglioso … mai visto’ o altre cose del genere.
Mi ripresi per prima e cominciai a preoccuparmi della tavola da apparecchiare e del pranzo da allestire.
Mario si andò a sdraiare sul divano a lui destinato per la notte e, per effetto forse anche di due recenti abbondanti orgasmi, si appisolò ronfando delicatamente.
Mario ancora dormiva quando Antonio tornò a casa.
“Si vede che era stanco.”
Fu il suo commento; poi lo svegliò senza molto garbo.
Il pranzo passò veloce coi due che si comportavano come se fossero soli e parlavano di conoscenze di lavoro e dalle vita in Svizzera.
Per interrompere l’isolamento, allungai un piede sotto il tavolo e intercettai la gamba di Mario che guardò con aria preoccupata prima Antonio e poi me: effettivamente il gesto era gravido di grossi rischi; sorridendo, ritirai il piede.
Consumato il pasto, Antonio mi comunicò che quella sera avremmo cenato molto presto, perché Mario l’indomani avrebbe dovuto partire con la corriera, quindi prima dell’alba, e doveva riposare.
Fissai per le sette e i due se ne andarono al bar.
Io rimasi a lungo incerta se andare a riposare: anche per me le due copule del mattino erano state pesanti; ma poi preferii inventarmi qualcos’altro.
L’oratorio era un posto dove era possibile incontrare fermenti di vita.
D’inverno vi si ritrovavano quasi tutti gli abitanti, intorno a mille progetti che si facevano col solo scopo di riempire giorni monotoni.
D’estate, invece, con la infinite occasioni che il rientro degli emigrati obbligava a concentrare in pochi giorni, l’oratorio diventava una fucina perenne di attività dove tutti potevano trovare un modo di rendersi utili.
Ci andai sapendo che stavano preparando diverse cose intorno alla festa del patrono.
Come era prevedibile, ci trovai tutti i ragazzi del paese, compreso Nicola e i suoi amichetti; ma osservai anche qualche presenza ‘foresta’ e, in particolare, un giovane esile e dall’aria delicata - sembrava quasi ammalato - che voci sicure mi indicarono come il nipote del parroco venuto da una città lontana a stare per qualche settimana con lo zio prete, mentre i suoi erano in viaggio (per alcuni, di lavoro; per altri, di piacere).
Ad ogni buon conto, l’unica cosa notevole era l’apparente età (17/18 anni) che per i paesani era già l’età dei veterani dell’emigrazione.
Lo osservai con curiosità ma non mi suscitò nessun interesse.
Più interessante, invece, fu l’atteggiamento di Nicola, che sembrava guardarmi con cupidigia mentre, come era abituato a fare, teneva concione con i suoi fans su chissà quale verità assoluta.
Alcune signore stavano preparando delle decorazioni di carta per la festa e mi proposero di partecipare.
Accettai e mi intrattenni con loro un paio d’ore; poi decisi di rientrare per preparare la cena.
Alle sette e un quarto i due compari erano a casa e la cena era sul tavolo.
Mangiammo quasi velocemente; il motivo della partenza all’alba era sufficiente ad accelerare tutti gli adempimenti.
Andammo a letto poco prima delle nove.
Come previsto, appena fui nel letto completamente nuda, Antonio mi montò addosso, mi allargò le gambe, entrò in vagina, si mosse una trentina di volte ed eiaculò; subito dopo già ronfava al mio fianco.
Nuda come ero, mi mossi per andare a lavarmi in bagno.
Inevitabilmente, dovetti passare per la sala e vidi Mario seduto sul suo divano - letto.
“Sai che quasi non ci credo?! In meno di un minuto ti monta, ti gode dentro e si addormenta!!!!”
“Io te l’avevo detto. Ma tu come lo sai?”
“Diamine, la porta era aperta, i muri sono di cartone, potrei quasi dire che c’ero anch’io!”
“Sarebbe stato veramente grave se fossi stato tu!!! Aspetta che vado a lavarmi.”
Andai in bagno, svuotai la vulva dall’orina e dalla sborra, mi sedetti sul bidet, mi sciacquai la vulva e mi asciugai.
Quando mi rialzai, lo trovai di fronte a me, col pene già ritto.
“Posso essere la compensazione?”
“Molto volentieri; per almeno un paio d’ore il caprone non si sveglia.”
Mi sedetti sul water, dopo aver abbassato la tavoletta, e mi sistemai con le tette al’altezza del verga: non solo volevo fare le corna al caprone che umiliava la mia femminilità, ma volevo anche esibirmi al meglio nel sesso e godermi tutte le varianti possibili.
Le mie tette di misura extra e di forma perfetta erano da sempre il mio vanto, l’invidia delle donne e il desiderio proibito degli uomini; le presi tra le mani e le accostai tra di loro riducendo al minimo il solco tra le due sfere; accostandomi a Mario, feci entrare in quel varco il suo sesso e ve lo strinsi forte, fino a farlo scomparire.
“Una spagnola!”
Sussurrò lui con voluttà, e prese a far andare il membro su e giù nel solco con evidente goduria per lui e con una certa eccitazione per me, che in casa non venivo mai molto stimolata; quando però il membro, diventato ancora più grosso, cominciò a sfiorarmi il mento con la punta, abbassai di più la testa e feci in modo che, nel movimento di risalita, la punta della cappella incontrasse la punta della mia lingua tirata fuori al massimo.
Sforzandosi di alzarsi al massimo sulla punta dei piedi, Mario fece in modo che almeno l’intera cappella mi entrasse in bocca; in tal modo, lui veniva stimolato più accentuatamente, ed io sentivo finalmente la vulva agitata da scosse di piacere.
Ma non volevo che godesse così, tra le tette o in bocca.
Lo volevo nella vagina … e non da dietro, come la mattina.
Lo presi per mano e andammo sul suo divano, mi stesi supina e allargai le gambe; anzi, le spalancai portandone una a terra e l’altra sullo schienale: in quella posizione, ero completamente scosciata con la vulva esposta al massimo ed aperta che più non si poteva.
Mario si adagiò su di me, puntò il membro e mi penetrò fino alla radice: sentivo i testicoli battermi sull’ano e i peli pubici mescolarsi e intrecciarsi coi miei.
Mi penetrò lentamente e quasi cautamente; il membro entrava fino in fondo con un percorso lento e usciva fino ad essere del tutto estratto, ma sempre con esasperante lentezza; poi, di colpo, affondava con violenza, si tratteneva nella vagina e muoveva il pube a stimolare il mio; poi di nuovo usciva del tutto.
Il gioco durò alcuni secondi: non potevamo stare molto tempo col rischio che Antonio si svegliasse.
Con lo sguardo feci capire a Mario che volevo il suo sperma.
Affondò una lunga e intensa serie di colpi, spinse fino alla radice, fino al dolore all’inguine, il membro nelle profondità più remote dell’utero ed esplose in un orgasmo pieno, intenso, appassionato.
Come avevo già sperimentato in mattinata, il primo spruzzo del suo orgasmo mi scatenò un godimento parallelo che si andò a congiungere con quelli che mi provocavano gli spruzzi successivi; e fu un orgasmo unico, lungo, infinito, meraviglioso.
A malapena riuscii a trattenere un urlo che avrebbe scatenato una guerra.
Mario si staccò da me ed io potei riprendere la posizione eretta a gambe strette per non colare per terra e per non perdere niente di quell’orgasmo che volevo tenermi dentro.
Ci salutammo con un bacio affettuoso, sicuramente leggero rispetto a quelli che ci eravamo scambiati; ed io tornai a infilarmi nel mio letto, camminando con difficoltà per tenermi dentro lo sperma.
Sapevo che di lì a poco Antonio si sarebbe svegliato per la seconda monta della notte: era quasi un ragioniere, in questo; e stavolta lo avrei accolto con la vulva piena e l’avrei costretto a penetrare, senza saperlo, nello sperma del suo amico e mio amante per una giornata.
Mentre cercavo di addormentarmi, una ridda di immagini mi attraversavano la mente e in tutto io ero alle prese con un sesso; il primo era quello di Mario che avevo appena sperimentato, ma si affacciava prepotente quello di Nicola che rappresentava la promessa da mantenere; oppure il forestale, oppure Genny che aveva dato la stura alle mie voglie insane.
Tutti me lo mettevano nel didietro: mi piaceva molto il sesso anale, ma l’avevo sperimentato fisicamente una sola volta, nello ‘svezzamento’ con Genny; e volevo provare ancora il piacere dell’intestino che si riempie di sperma dopo che è stato forzato da un bastone di carne.
Su una scena assurda del mio retto nel quale entravano liberamente e in successione tutti i membri di cui avevo conoscenza, caddi in deliquio e forse mi addormentai un poco.
Mi svegliò inevitabilmente Antonio che mi montava addosso per la seconda copula della notte: avevo ancora la vagina piena dell’orgasmo di Mario e non sapevo se temere o augurarmi che se ne accorgesse: ma non ci fece neppure caso: divaricò le cosce, entrò e cominciò a sbattermi; io sentivo lo sciaguattare che faceva il sesso nella pozza di liquido al mio interno; ma lo ‘sciaff, sciaff’ della mia vulva suonava come musica di sottofondo a mio marito che, forse, fece durare un poco più a lungo la copula; poi eiaculò come sempre e come sempre si girò sul fianco a dormire.
Ero rabbiosa; adesso volevo davvero fare sesso, ma tanto; e farlo soprattutto nel retto: avrei chiesto a Mario di penetrarmi analmente con violenza e di farmi godere anche dal sedere, benché non sapessi se e come si potesse fare.
Scesi dal letto ed andai direttamente in bagno a svuotarmi della doppia razione di sperma; ne approfittai per svuotare la vescica e, in previsione dell’inculata, anche l’intestino; sul bidet completai l’opera usando una peretta per liberare del tutto l’intestino.
Finiti i lavacri, andai verso il divano dove Mario dormiva con un sorriso beato sulle labbra, nudo, completamente scoperto e col pene leggermente duro.
Presi in mano la mazza e la segai per qualche momento, osservandola diventare dura e ritta; poi abbassai la testa e presi a succhiarla.
Quest’ultima iniziativa lo fece svegliare, con un sospiro di piacere: mi accarezzò la testa e mi tirò dolcemente su di sé accarezzandomi i fianchi e baciandomi con intensità.
“Voglio regalarti la verginità del mio ano.”
Dissi in un fiato, mentendo clamorosamente visto che Genny aveva sapientemente aperto la strada.
Si alzò di colpo a sedere sul suo giaciglio, guardandomi come stralunato.
“Cosa hai detto?!?!”
“Ho detto che voglio che mi svergini dietro. So che non ci vedremo mai più; ma sei stato così dolce che ho voglia di conservare di te il ricordo più bello e vario che possa costruire. Quindi ho deciso che sarai tu a farlo. Ti va?”
“E me lo chiedi?”
“Però dovrai essere molto delicato e farmi il meno male possibile. Andiamo in bagno!”
Mi seguì arrendevole e quasi imbambolato.
In bagno, ci sistemammo in piedi davanti al water, sul quale appoggiai le mani piegandomi ad angolo retto; presi la boccetta di vaselina che il medico mi aveva prescritto per altri usi e gliela consegnai perché me la spalmasse bene.
Amorosamente mi unse con due dita l’ano e lo sfintere; entrò poi dentro con due dita che ruotava per allargare il foro e lubrificare il condotto; alla fine, passò la vasellina anche sul membro, appoggiò la cappella all’ano e mi sussurrò.
“Adesso te lo spingo dentro; tu aiutami spingendo come per andare di corpo; vedrai che sarà meno doloroso di quanto dicono.”
Feci cenno di si con la testa e mi rilassai tutta; quando sentii la cappella spingere sul muscolo, spinsi a mia volta e la cappella passò rapidamente oltre l’ostacolo dello sfintere.
Dovetti reprimere con tutte le mie forze l’urlo di dolore che si scatenò, ma dopo un attimo c’era solo il piacere del sesso che sfregava il condotto verso l’intestino, nel quale la mazza, passata la cappella - che era la più impegnativa -, scivolava facilmente stimolando tutte le mie terminazioni nervose e trasmettendo al cervello inattese vertigini di piacere.
Godevo, godevo, godevo, e, dentro di me, silenziosamente, gridavo al mondo il mio piacere di copulare e di farmi penetrare analmente da un uomo che mi trattava da donna e mi possedeva con gioia e piacere reciproco.
Mario andò avanti e indietro per un po’ di tempo: aveva goduto già tre volte nel mio corpo, quel giorno; e questo quarto assalto, benché di eccezionale valore emotivo per la particolare penetrazione, comunque sembrava pesargli un poco: anche per questo ero felice di averglielo proposto.
“Se non riesci, non importa; hai fatto già troppo per me, oggi.”
“Sei matta? Non rinuncerei per niente al mondo a godere adesso nel tuo intestino, anche se dovessi morire sul colpo. Non solo hai un fisico eccezionale in tutti i punti, non solo il tuo didietro è un monumento alla bellezza dei deretani; ma tu sei veramente una donna meravigliosa, nel fare l’amore; e non perderò nemmeno un istante del piacere di questa giornata. Quindi, non preoccuparti per me e preparati a godere col sedere, se ci riesci.”
“Col tuo sesso nel retto, sono certa che riuscirò ad avere un orgasmo anale, anche se non so se esiste e, nel caso, che cosa sia.”
“Neanche io lo so; ma sono certo che stai provando tanto, tanto piacere. Ed io sto per venire .. ecco … ci sono … tu ce la fai???”
“Siiiiii!!!! Sto godendo dal sedere … è pazzesco …. È indicibile … godo dall’ano, dalla vulva, dalle tette, dalla testa, da tutto il corpo. Che meraviglia!!!!!!”
Se Mario non mi avesse sorretto, credo che sarei caduta direttamente sul water; ma anche lui non aveva più forze; si sfilò con cura dal retto, cercando di attenuare al massimo l’effetto di strappo quando la cappella uscì dall’ano; mi fece sedere sul bidet, mi baciò con dolcezza sulla fronte.
“Vado a dormire un’oretta. Non so se riusciremo a salutarci, prima che io parta. E non so neppure se ci vedremo mai più. Forse in futuro crederò che sei stata un sogno meraviglioso. Ma adesso so per certo che sei una realtà incredibile. Ti auguro di avere ancora momenti e occasioni di godimento come quella di oggi. Ciao.”
E sparì oltre la porta; io svuotai quanto potevo il retto dallo sperma che Mario vi aveva scaricato abbondante, mi sciacquai con acqua fredda per attenuare il bruciore che cominciava a farsi sentire, mi asciugai e tornai a letto, cosciente che solo tra qualche ora Antonio sarebbe tornato ad assalirmi per la terza monta della notte.
Ma col didietro in fiamme che mi ritrovavo, la cosa non mi toccava più per niente.
La vita con mio marito non era di quelle che si possono portare a modello di convivenza.
Convinto, per atavica educazione, di essere il maschio dominante e che io dovessi essere devotamente al suo servizio, non si curava per niente di problemi di casa che erano lasciati alla mia competenza; l’unica cosa che sapeva fare era uscire al mattino per andare tra gli amici al bar, rientrare per un veloce pasto a pranzo e a cena e tirare notte al bar tra partite e bevute.
Molte volte arrivava a casa ubriaco marcio ed ancora più aggressivo e violento del solito; qualche volta addirittura dovettero portarlo a braccia gli amici ubriaconi.
La cosa dovette in qualche modo arrivare all’orecchio di Alfredo, il compare d’anello al nostro matrimonio, un ruolo che in quegli anni era quasi equiparato a quello del padre (di fatti, la radice del nome è appunto da cum patre, quasi equiparato al padre).
Compare Alfredo decise di intervenire con garbo e tatto: chiese quindi ad Antonio di invitarlo un giorno a pranzo per dargli modo di conoscere meglio me, la figlioccia adottiva.
La sorpresa fu enorme per mio marito, che non si riusciva a spiegare quella che gli appariva come una ‘interferenza’; dal momento però che la richiesta veniva da una certa forte autorità, a cui non poteva opporsi, accettò di invitarlo.
Come era naturale nel suo comportamento, non si preoccupò di avvisarmi e mi piombarono in casa un giorno senza che avessi pensato di preparare qualcosa per quella che, nelle usanze del paese, era una ‘occasione importante’.
Glielo feci notare con la massima delicatezza, ma mi aggredì immediatamente dichiarando che in casa comandava lui e che io dovevo fare solo quello che lui ordinava.
Bastò questo a far capire tutto a compare Alfredo che lo inchiodò immediatamente.
“Chi diavolo credi di essere per usare queste espressioni e questo tono, per di più in mia presenza, con una mia figlioccia così bella delicata e amorevole?! Chiedi immediatamente scusa o te ne faccio pentire per il resto dei tuoi giorni!!!!”
Temevo che sarebbe scattato come una belva; invece, abbassò lo sguardo e la testa, arrossì e cominciò a balbettare qualche frase sconnessa.
“Ma io … ma lei …”
“Chiedi scusa e basta!”
“Scusa … mi dispiace .. non volevo …”
Seguitò a balbettare; allora lo presi per un braccio e gli dissi.
“Non importa, tutto passato; pensiamo a metterci a tavola.”
E intanto rivolgevo uno sguardo di complicità a compare Alfredo come per dire.
“Non è il caso di infierire.”
Mentre mangiavamo, il compare si informò minuziosamente sull’intimità della nostra vita; ci chiese chi ci avesse dato qualche consiglio; io feci presente che mia madre mi aveva solo raccomandato di essere paziente e docile; Antonio disse che lui da anni frequentava le prostitute in Svizzera e che quindi non aveva avuto bisogno di insegnamenti per montare la sua donna tre volte a notte (naturalmente, lo diceva con l’enfasi del dominatore).
Compare Alfredo scattò come punto da una vipera.
“E tu ti permetti di paragonare tua moglie a una prostituta svizzera?!?!? Ma ti rendi conto che sei un animale, che sei peggio di un caprone e ti comporti come il più incivile dei selvaggi? Una moglie è la donna che hai scelto per viverci tutta la vita e che devi amare, rispettare e adorare come una dea. Parli di monta come se fossi un toro o uno stallone e lei la tua cavalla o la tua vacca; non riesci nemmeno a pensare che è una persona e che sono ben altre le cose che devi offrire, prima di chiederne altre da lei.”
Si vedeva chiaramente che Antonio era inebetito, che non capiva nemmeno di che parlasse il compare; e, quasi sbottando, lo disse apertamente
“Io non so nemmeno di che parlate, compare Alfredo, io ho sempre saputo che le mogli devono solo fare figli e che bisogna montarle per questo. Ora voi mi parlate di amore, di cose da dare e di cose da ricevere e io non so nemmeno se queste cose esistono e come si chiamano. Quindi, caro compare, scusate la franchezza, ma preferisco affidarmi a quello che conosco e farlo a modo mio. E ora, se non vi dispiace, ho cose importanti da fare e devo uscire.”
“Quali cose importanti?”
Chiese compare Alfredo; ma Antonio era già fuori della porta.
Il compare mi guardò con aria interrogativa ed io timidamente dissi.
“I compagni di partite ..le partite … i compagni di bevute …”
“Oh, mio Dio!”
Il pover’uomo non si capacitava.
“E tu non dici niente?”
“A me è stato insegnato di fare quel che vuole mio marito, anche se mi facesse male; e questo è il primo motivo per essere a disposizione; ma di fatto anche io non so niente di queste cose e se una persona matura e capace come voi ci insegna ad amarci, io posso solo essere felice di adeguarmi.”
“Cosa vuol dire?”
“Dai discorsi sentiti qualche volta da bambina, quando i miei credevano che dormissi, avevo capito che nei tempi passati era addirittura il compare che doveva testimoniare la verginità della sposa novella, il che significava che era il primo a penetrarla: mi piacerebbe ripristinare la tradizione e farmi ‘educare’ da voi, compare, ai segreti del sesso.”
In realtà, mi stuzzicava l’idea di provocare il compare; quindi, giacché c’ero, facevo il ‘pesce in barile’ ma sperando di cogliere l’occasione; e la cosa mi intrigava di più perché il compare dava l’idea di saperci proprio fare: se lo avessi saputo prima, forse mi sarei rivolto a lui, piuttosto che a Genny, per farmi svezzare al sesso.
Mi chiese quante volte Antonio mi avesse baciato prima e dopo il matrimonio; la risposta fu.
“Mai.”
Compare Alfredo strabiliava letteralmente.
“Quindi senza neanche chiedertelo, è chiaro che non ha mai succhiato le tue tette, masturbato o leccato la tua vulva, accarezzato il tuo sedere: e ti assicuro che, per una persona normale, baciare quella bocca da baci sarebbe una goduria; e più ancora sarebbe accarezzare e succhiare fino a svenire due tette belle come le tue; non ti dico poi di palpare e leccare una vulva così splendida o un sedere così scultoreo.”
Dentro di me, intanto, mi congratulavo per l’abilità con cui usavo insegnamenti sbagliati per cause giuste; e l’idea che le cose scivolassero verso una possibile grande copula, alla faccia di mio marito, con il compare Alfredo che era un gran bell’uomo di poco più che cinquant’anni: beh, la prospettiva mi allettava molto e già mi sentivo bagnare fra le cosce.
“Allora cominciamo subito un corso di educazione rapida.”
Concluse compare Alfredo; si alzò da tavola, venne accanto, mi fece alzare e mi abbracciò in vita, afferrandomi per i lombi con una presa che dava già netta la sensazione della sua capacità di dominio e di controllo nel sesso.
“Diamoci del tu e chiamami Alfredo, come io ti chiamerò Cristina.”
Precisò; mi prese il viso tra le mani e incollò le sue labbra alle mie, spingendo dentro la lingua: aprii la bocca per riceverla e le intrecciai la mia dando inizio ad una giostra di succhioni e leccate che mi fecero rizzare i capezzoli fino allo spasimo.
Ma anche qualcos’altro si era rizzato: il pene di Alfredo si ergeva in tutta la sua potenza tra le cosce e si strusciava sulla mia vulva con effetti devastanti di umori che colavano, mentre lui spingeva avanti e indietro come se mi stesse possedendo in vagina, portandomi assai vicina ad un vero orgasmo.
Fu un bacio lunghissimo, durante il quale si mosse con effetti devastanti sul mio clitoride, stritolato tra sesso e gonna, e forse anche sul suo membro che diventò sempre più duro ma non arrivò all’orgasmo desiderato.
In un attimo di sosta, le labbra si staccarono e lui accostò il viso strettamente al suo; con la bocca vicino all’orecchio, gli sussurrai.
“Continua ancora un poco.”
Mi strinse con maggiore furore e quasi mi sollevò da terra stretta nel suo abbraccio; si mosse avanti e indietro col bacino come se mi montasse e invece si strusciava solo col pube sul mio inguine; lo imploravo.
“Ancora un poco così … si … si … siiiiiiiii.”
E mi sentii esplodere in un orgasmo totale.
“Sei venuta?”
Chiese, con dolcezza; capii che era meglio fare la gnorri.
“Non so. Mi sono sentita sconvolta e qualcosa mi è esploso giù, nel basso ventre, qualcosa che non mi era mai successo”
“Ma, quando ti possiede Antonio, non hai di queste emozioni?”
“Per la verità, no; lui entra, mi monta, mi versa in corpo qualcosa, esce e si addormenta. Io non so cosa sia godere; forse è proprio quello che ho provato adesso.“
“Non ancora; quando esploderai, te ne accorgerai, vedrai.”
Mi rassicurò Alfredo; invece, avevo goduto; e lo sapevo bene; ma era meglio tacere; piuttosto mi consolava sapere che il compare non aveva goduto, perché, se il gioco andava avanti, avrei voluto farlo eiaculare io.
Alfredo, intanto, mi aveva sbottonato la camicetta, aveva tirato fuori le mie tette e le carezzava sensualmente: inutile dire che i capezzoli in pochi attimi si indurirono fino a diventare chiodi appuntiti che lui immediatamente prese a stringere e a titillare per poi afferrarli con le labbra e succhiarli come per strapparne davvero il latte.
Poppò a lungo, con l’entusiasmo di un lattante; intanto, con un a mano aveva preso a sollevarmi la gonna; quando la sua mano arrivò all’inguine, ebbe un piccolo sobbalzo scoprendo che sotto ero nuda; subito dopo le sue dita si infilarono nella vulva e fui io, allora, a sobbalzare per la fitta improvvisa di piacere che mi fece colare abbondantemente sulle sue dita: da come mi strinse la vulva a piena mano, intesi che avrebbe voluto leccarle, quelle dita bagnate dei miei umori, ma non poteva in quel momento perché non faceva parte della ‘lezione’; ebbe però la prontezza di passare alla lezione di ‘masturbazione del clitoride’ e cominciò a titillarmelo come un piccolo pene, spiegandomi che dopo avrebbe fatto la stessa cosa con la bocca, attuando su quella sorta di pisello un’autentica succosa fellatio.
Intanto, sollecitai la manipolazione muovendo il bacino ed ebbi una altro violento orgasmo.
Di fronte alla situazione quasi surreale che si era creata, compare Alfredo abbandonò ogni remora e passò rapidamente agli insegnamenti successivi.
Continuando a manipolarmi la vulva con le dita, prese con l’altra mano la mia destra e la portò sulla patta dei pantaloni ormai evidentemente gonfia; aprì la cerniera e mi fece infilare le dita nel pantalone, dove incontrai il sesso, libero da mutande o altro intimo; ebbi un piccolo sobbalzo al contatto con la carne viva e istintivamente allungai la mano ad accogliere la mazza nella sua larghezza che risultò essere notevole.
Sollecitata dalla sua mano, lo tirai fuori dai pantaloni e mi apparve una bestia di più di venti centimetri, larga da poter appena essere contenuta dalla mia mano e umida di preorgasmo; istintivamente, presi a menarla masturbandola; ma, resami conto che saltava la mia immagine di candida ingenua, mi fermai e strizzai il membro con malgarbo; Alfredo mi fermò con un gesto e prese la mia mano per accompagnarla nel movimento corretto della masturbazione.
Allora mi mise una mano sulla spalla e mi forzò ad abbassarmi finché la mia bocca fu a pochi centimetri dal suo sesso: spinse la punta verso le mie labbra e mi incitò a baciarlo.
Per tener fede al ruolo della candida apprendista, esitai un momento e mi feci indicare cosa fare: quando il membro mi entrò nella bocca, lo accolsi con giochi di lingua che avrebbero fatto godere chiunque; ma Alfredo era troppo preso dalla funzione didattica e resistette imperterrito, anche se non smetteva di decantare la mia disponibilità e la naturalezza con cui facevo cose difficili da eseguire, se non vieni educata a farle, ‘per naturale disposizione a fare l’amore’ la definì, con mia somma soddisfazione.
Allora misi in atto tutto quel che avevo appreso: assaporavo con le labbra l’asta per tutta la sua lunghezza mentre la manipolavo; e intanto con la lingua lo stimolavo sulla cappella e sul frenulo; mi spingevo la mazza fino in gola, fino al soffocamento; leccavo i testicoli e l’asta in lungo e in largo e mentre mi manipolavo con frenesia, succhiavo a più non posso.
Alfredo fu obbligato, per non eiaculare rapidamente, a staccarmi quasi con forza la bocca dal sesso e mi rimise in piedi, ma solo per spingermi verso il divano accanto al tavolo e alzarmi le cosce allargandole fino a che la mia vulva fu tutta spalancata alla sua vista.
“Per la miseria, che grande vagina!”
Esclamò con ammirazione e subito dopo si fiondò con la bocca sulla vulva.
La giostra che Alfredo avviò con il mio sesso era prova di una grande abilità amatoria: partiva da lontano, quasi dalle ginocchia, la sua leccata; e si estendeva per l’interno coscia fino a lambire le grandi labbra; poi si fermava, deviava e riprendeva in altra direzione: io restavo lì con tutto il corpo teso ad attendere lo stimolo sferzante nella vagina, ma ogni volta mi rilassavo quasi delusa e, all’improvviso, un suo dito entrava prepotente in vagina o premeva sull’ano e la sferzata arrivava comunque, imprevista e inattesa.
Poi riprendeva a leccare con devozione dall’altra parte, con la stessa intensità, per lui e per me; e ancora una volta la sferzata veniva improvvisa, da un dito in vagina o nell’ano.
Quando la punta della lingua si insinuò fra le grandi labbra e le separò per arrivare alle piccole labbra e, più su, al clitoride già gonfio, inarcai la schiena e spinsi l’inguine contro il suo viso alla ricerca dell’orgasmo; che fu ancora rinviato.
Quasi non ne potevo più: ricevere in vagina qualcosa (un sesso, due dita, la lingua, un cetriolo o un giocattolo qualsiasi) era ormai quasi vitale e non rinviabile; cercai di farlo capire ad Alfredo, non avendo il coraggio di chiederlo espressamente (per non apparire più smaliziata di quanto dichiaravo); ma lui preferiva giocare con il mio sesso: prese in bocca il clitoride e cominciò a succhiarlo davvero come un piccolo pene.
Mi sentivo l’anima concentrarsi sulla vagina, quasi che tutto il mondo sparisse e fossimo vivi, io e lui, solo sulle sue labbra e sul mio ‘pisello’ gonfio da scoppiare.
Esplosi, alla fine, in un orgasmo che non ricordavo uguale; e furono fiumi di umori che mi scorrevano dall’utero e finivano direttamente nella sua bocca succhiati come miele.
Mentre mi rilassavo godendo, mi venne di pensare che io non avevo avuto nei suoi confronti la stessa premura e non gli avevo consentito di venirmi in bocca: sembrava mi leggesse nel pensiero, Alfredo; e mi rassicurò.
“Se godi ora, tu puoi riprenderti immediatamente e godere un infinito numero di volte, addirittura fino a svenire; ma io, se eiaculo, dopo ho bisogno di tempo per recuperare; ed io voglio insegnarti tutto quello che è possibile, sul sesso, prima di concedermi il lusso di una eiaculazione o, se sarà possibile, anche di due.”
Non avevo risposte; mi limitai a stringere la sua testa contro il mio ventre; frenando un poco l’impeto amoroso, Alfredo mi prese per la mano e mi guidò alla camera, mi tolse gonna e camicetta e si fece togliere da me il pantalone e la camicia; quando fummo entrambi nudi.
“Questo te l’insegno ma non so se ti servirà spesso.”
Mi avvertì; si avvicinò col bacino al mio volto e sistemò il membro tra le mie tette: continuai a fingere il massimo candore e mi feci guidare a stringere le poppe tra le mani per premerle contro il sesso, che rimase così imprigionato tra i due globi con evidente piacere per lui che spingeva verso l’alto: quando mi sfiorò il mento, abbassai la testa e, guidata da Alfredo, feci arrivare la cappella tra le labbra.
Sentire il membro che mi scorreva tra le tette e la cappella che mi stuzzicava la bocca mi fece eccitare molto; ad un certo punto lui prese con le due mani le tette e strinse i capezzoli tra pollici e indici strizzandoli e tormentandoli: la reazione della vagina fu così forte che cominciai a sbrodolare e temetti quasi di fare la pipì sul letto, tanto colavo; urlai quasi quando raggiunsi l’ennesimo orgasmo.
Alfredo, allora, si staccò e mi spinse supina sul letto; poi montò su anche lui e si dispose con la testa infilata tra le mie cosce, mentre i piedi si spostavano verso la mia testa; riprese a leccarmi con autentica passione l’interno coscia, le grandi labbra e il clitoride; poi giostrò in maniera da finire lui steso supino e spinse il mio corpo a montare sul suo; mi trovai così con la bocca sul suo bastone che succhiai subito fino in gola, mentre davanti a lui si spalancava la mia vulva ormai così aperta che più non poteva, ma anche il clitoride che sporgeva quasi orgoglioso tra le grandi labbra e l’ano al quale aveva accesso sia con le dita che con la bocca.
Mi dedicai appassionatamente alla fellatio facendo scivolare tra le labbra il membro che dirottavo contro le guance o contro il palato, come veniva; con la lingua seguivo le linee della cappella e dell’uretra insistendo sul foro in cima nel quale sembrava molto sensibile.
Per conto suo, Alfredo, dopo avermi leccato e lungo e ben lubrificato l’ano, ci infilò le dita (inizialmente era uno, poi avvertii che erano diventate due; infine credo che manovrasse con tre facendole ruotare mentre il mio sfintere si dilatava e si adattava a lui); intanto, succhiava come una ventosa il clitoride che rispondeva con scariche di orgasmo che a mano a mano andavano verso l’esplosione finale; e, per giunta, leccava e accarezzava, di tanto in tanto, le grandi labbra, quasi a rallentare la tensione sul clitoride.
Andammo avanti per un po’, fermandoci ogni tanto a carezzarci reciprocamente; Alfredo, fedele al ruolo del ‘compare che insegna’ mi spiegava le fasi successive indicandomene anche il nome: così seppi che la ‘spagnola’ era la copula in mezzo alle tette con la combinazione della ‘fellatio’, la copula in bocca; che ‘69’ era denominata la doppia sollecitazione con la bocca, per via della posizione bocca - sesso che ambedue realizzavamo nel rapporto.
In realtà, tutto il suo darsi da fare a spiegare era il bisogno di dare una parvenza di giustificazione alla copula super che stava facendosi con la figlioccia, tutta tesa, a sua volta, a cercare di apparire ‘candida e immacolata’ come non era ormai più da qualche settimana (e non solo per la deflorazione operata dal marito, d’altronde limitatosi a quello).
Su tutto, quindi, dominava l’intensa passione di Alfredo per Cristina e di lei per il sesso, qualunque fosse.
Mentre ci rilassavamo dalle intense emozione dell’eccessivo godimento (a stento controllato per non arrivare ad un orgasmo che poteva condizionare la durata del rapporto) Alfredo mi anticipò che adesso mi avrebbe spiegato alcuni modi di copulare in vagina; tenendo fede al ruolo, feci finta di appassionarmi al tema e chiesi di provare tutte le emozioni più forti e desiderabili.
Mi fece sdraiare supina e mi passò col membro praticamente su tutto il corpo; cominciò dalla bocca: postosi a cavalcioni del mio petto, mi appoggiò la cappella sulle labbra e la spinse leggermente alcune volte; scese poi, col corpo e, soprattutto, col membro, lungo il solco fra le tette che io provvidi a stringere intorno al’asta; lentamente attraverso lo stomaco e la pancia, giocando un poco con l’ombelico che io avevo molto pronunciato; quando arrivò al boschetto dei peli pubici, giocò a sconvolgerli; poi la cappella sfiorò il clitoride, si aprì la strada tra le grandi labbra e scivolò tra cosce; intanto, Alfredo si attaccava a me con tutto il corpo.
Godevo molto, a sentire i suoi pettorali sulle mie tette, il suo ventre strusciare sopra il mio, gli ossi pubici strofinarsi provocandomi scintille di piacere; sollevandosi in ginocchio, mi divaricò leggermente le cosce e, con un dito,separò le grandi labbra e la peluria intorno; abbassò il bacino, puntò la cappella sulla vulva e spinse il sesso un poco più avanti.
Cominciò così una penetrazione lenta e sapiente, di cui avvertivo i minimi passaggi esaltati dalle scosse di piacere che la vagina scatenava a mano a mano che il bastone penetrava; finché, urtando la cervice dell’utero, avemmo la certezza che l’asta era tutta dentro.
Si fermò un poco, schiacciandomi quasi sotto il suo corpo; ed io mi gustai il piacere di questa ‘copula totale’ che coinvolgeva non solo la vagina ma tutto il ventre, la pancia e il corpo intero; poi Alfredo cominciò a pompare, prima lentamente e con calma, poi sempre più velocemente e con forza.
Il piacere mi squassava le viscere e mi inondava il corpo di calore; sentivo il piacere salire dalle parti più segrete del mio essere ed emergere nella vulva, nello sfintere, nel sesso tutto; l’orgasmo mi prese all’improvviso, non inatteso né strano, ma comunque sconvolgente.
Lui, con mia grande sorpresa, ancora una volta riuscì a frenarsi al limite dell’orgasmo; ma ebbe bisogno di fermarsi e di rilassarsi un momento, dopo lo sforzo della frenata: uscì delicatamente dalla vagina lasciandomi una sensazione di vuoto e di desiderio non completamente soddisfatto, mi accarezzò su tutto il corpo un po’ a casaccio e uscì per andare a bere; temetti avesse finito, ma mi sbagliavo.
Tornato nella camera, mi chiese di mettermi carponi sul letto e lui si pose alle mie spalle; mi prese da dietro le tette me le palpò un poco, quasi beandosi della loro morbida abbondanza; sentii che mi spostava le ginocchia per farmi aprire; poi con un dito percorse lo spacco della vulva fino all’ano, tornò di nuovo alla vulva e inserì due dita: con pochi colpi sapienti mi fece bagnare e la vagina si lubrificò; allora puntò il membro alle grandi labbra e con una spinta mi penetrò fino all’utero: gemetti per la scossa, ma non di dolore.
“Prima ti ho presa alla ‘missionaria’; ora lo faccio ‘a pecorina’ e poi ti possiederò anche ‘a smorza candela’ mi precisò; e sarebbe stato perfettamente inutile spiegargli che avevo già sperimentato tutto; cominciò a pomparmi con il solito garbo e con la maturità che ormai conoscevo; il membro scivolava con allegria nella vagina e suscitava intense e continue emozioni che mi portarono ad un nuovo rapido orgasmo.
“Quante volte vuoi farmi venire?”
Gli chiesi, anche un po’ impressionata.
“Tutte le volte che ce la farai. Tu te la senti di continuare?”
“Si, si, nessun problema.”
Fu la mia pronta risposta.
Si sfilò dalla vulva, si sdraiò al mio fianco , indicandomi il suo pene ritto come un palo.
“Smorzami questa candela”
Mi sollecitò; non ebbi bisogno di ulteriori indicazioni; scavalcai con una gamba il suo corpo, portai la vagina sul sesso e cominciai lentamente a calarmici sopra indirizzandolo in vagina con la mano tra le cosce.
Stavolta toccava a me muovermi con sapienza e garbo: cominciai a far scivolare la mia vulva su e giù lungo la suo verga, a volte con un ritmo rapido e intenso, a volte con studiata lentezza e calma; dal suo respiro coglievo i movimenti che lo eccitavano di più e insistevo su quelli per dargli piacere; ogni tanto, mi calavo seduta facendo sprofondare il verga fino in fondo, fino a sentire i miei peli mescolarsi coi suoi, finché i testicoli mi premevano sull’ano, quasi a volerlo penetrare; e me ne stavo così per alcuni secondi, lasciando che il piacere ci inondasse.
Mentre mi riempivo tutta di piacere e di sesso, Alfredo mi ribaltò e mi pose sotto di sé; si mise in ginocchio fra le mie cosce, mi fece sollevare il bacino e inserì due cuscini sotto i lombi: in tal modo la mia vulva coincideva esattamente col suo membro e riprese a possedermi, stavolta montandomi ancora da sopra, ma con un movimento più ‘orizzontale’ che dava la misura precisa della sua asta e della penetrazione in vagina; sentendo avvicinarsi un altro orgasmo, dovetti pregarlo di non farmi venire ancona, se lui non era pronto ad eiaculare.
Fermò il movimento del bacino e si limitò a tenersi afferrato a me col sesso decisamente piantato nella vagina; poi mi chiese di mettermi di nuovo in ginocchio, si accostò ancora una volta da dietro e cominciò a spennellarmi ano e vulva con la cappella; di colpo, infilò l’asta in vagina e la mosse un poco avanti e indietro; portò la punta del membro sull’ano e lo solleticò ma forse lo bagnò un poco con la sbroda che ricavava dalla vulva e che gocciolava dalla cappella; ripeté il gesto tre o quattro volte: non mi ci volle molto per capire che stava per incularmi.
“Questo che ti insegnerò adesso, ma forse non lo farai mai. Anzi, conosco molte donne che in vita loro non l’hanno mai fatto; ma tu mi sembra che hai un naturale istinto per il sesso e voglio che almeno lo conosca, come rapporto possibile tra uomo e donna.”
Poi mi suggerì (come già sapevo perfettamente) di spingere come per andare di corpo, quando avessi sentito la pressione sull’ano; ed io, da candida innocente come lui mi credeva, accettai l’indicazione.
Il suo era un bel membro, anche se non particolarmente grosso; sicché dovetti quasi subito gemere al sentirlo premere sullo sfintere; ma con gioia lo sentii entrare dritto e immediato nell’intestino; mi preparavo a un orgasmo anale che già conoscevo e a cui mi sentivo predisposta; ma Alfredo aveva voglia di rendere molto più interessante l’insegnamento: cominciò dapprima a pomparmi nel retto mentre mi stringeva le tette e mi manipolava artigliandomi la vulva da dietro con una mano; poi diede una forte spinta che mi fece sentire il sesso fin nello stomaco, e per un po’ se ne stette appoggiato alle mie natiche mentre io cominciavo a mettere in azione i muscoli interni per massaggiare il membro.
Poi cominciò autentiche peripezie per rotolarci sul letto finché mi trovai seduta sul suo bastone con le spalle rivolte al suo volto: immaginai che da quella posizione potesse ammirare con goduria le mie natiche intere e l’ano dilatato e riempito dal suo verga di marmo.
Mi mossi a salire e scendere da quell’obelisco dandogli la possibilità di guardarsi mentre la sua asta mi scivolava in corpo, avanti e indietro; strusciai un poco le natiche sul ventre chiamando a partecipare alla lussuria tutto il corpo; afferrai il clitoride che ormai era duro come un membro eccitato e lo tormentai finché l’ano reagì con la goduria che conoscevo ed il primo piccolo orgasmo mi agitò il retto.
Alfredo mi chiese di ruotare col corpo, facendo perno sul sesso, fino a trovarci faccia a faccia: non era semplice; ma a furia di salire e scendere dalla mazza, ruotando intanto progressivamente la posizione, riuscii alla fine a guardarlo in viso mentre mi scopava il retto con la massima gioia; ne approfittò immediatamente per stringermi fra le dita i capezzoli facendomi vibrare di piacere; poi prese tra due dita il clitoride e fu lui a masturbarmi: sentivo il piacere montarmi ad ondate successive che partivano dalle tette, si esaltavano nella vulva ed esplosero infine nell’ano con un orgasmo violento e imprevisto.
Rimase quasi sbalordito dalla mia reazione; mi fece scendere da quella posizione e mi sistemò al suo fianco, a pancia sotto, con due cuscini sotto il ventre; infilò due dita tra le natiche e le portò fino alla vagina dove cominciò a inumidirle dei miei umori; ma ormai era quasi superfluo.
Dovunque, tra monte di Venere e ano, ero una sola colata di umori da orgasmo; si sdraiò sopra di me, appoggiò il sesso tra le natiche e guidò con una mano la cappella verso l’ano.
La penetrazione fu dolce e pacata: sentii l’asta che entrava nel canale ormai ampiamente dilatato e che mi sollecitava i muscoli dell’intestino.
Forse non avevo più margini per godere e mi rilassai completamente godendomi la penetrazione fino alla radice del membro.
Si mosse sopra di me con tutto il corpo, per consentire all’asta di scivolare nel retto per naturale conseguenza dello spostamento di tutto il corpo; sentivo che tutti i suoi muscoli partecipavano alla penetrazione anale; i miei rispondevano allo stesso modo anche se con intensità minore perché avevo goduto troppo.
Poi Alfredo accentuò il movimento, la spinta si fece più forte e scosse tutto il letto, il membro sembrò farsi più duro e più grosso (anche se, in realtà, non era possibile) e la tensione dell’orgasmo si trasmise dalla pelle del membro ai muscoli del retto rendendomi partecipe dell’eiaculazione che arrivò violenta, improvvisa e devastante: furono cinque gli spruzzi che ‘sparò’ il sesso nell’intestino; e per ognuno io ebbi un orgasmo a dir poco distruttivo.
Alfredo, al momento di arrivare, esplose in un urlo disumano che mi fece temere per la nostra discrezione; poi si abbatté a corpo morto sulla mia schiena e vi rimase per un bel poco quasi senza dare segno di vita; sentii che però respirava e capii che era semplicemente crollato dopo tanta tensione sessuale.
Lentamente e delicatamente lo scrollai finché il membro mi scivolò via dal retto e lui si trovò sul letto accanto a me; andai in bagno, espulsi nel water tutto lo sperma che mi aveva scaricato dentro, oltre all’orina e ad altro che era stato stimolato; mi infilai sotto la doccia e mi sciacquai rapidamente; rientrai in camera con un asciugamano intorno.
“Cosa ti è sembrato di questa lezione di sesso?”
Mi chiese Alfredo appena fu in grado di rimettersi a sedere sul letto.
“Io ho imparato un sacco di cose che neanche pensavo che potessero esistere; mi è piaciuto tutto ed ho goduto quasi fino a svenire, come dicevi tu. Tu, piuttosto, hai dovuto sacrificare a lungo la tua eiaculazione e non so se te la sei goduta come volevi.”
Ribattei; fece un gesto come per dire ‘non importa’; poi, forse ripesandoci.
“Forse però una bella goduta me la merito, specialmente se è nella tua splendida vagina.”
Per tutta risposta mi stesi sul letto, lui mi salì addosso, aprì le gambe e mi penetrò delicatamente.
“Cavolo, si è già ripreso.”
Pensai, ma ne ero felice; mi cavalcò per un poco, a cosce strette per sentirmi meglio, senza agitazione con calma e metodo; lo accompagnai serenamente senza partecipare molto alla sua eccitazione finché sentii che, quasi naturalmente, il suo sperma mi scorreva in vagina e lui, dopo qualche leggero affanno, si sdraiava su di me completamente rilassato.
Non potei impedirmi di pensare che quella era stata in fondo la copula più bella per entrambi.
La vita in paese scorreva monotona e noiosa anche in agosto, quando la presenza degli emigrati qualche iniziativa la produceva; specialmente per noi donne, atavicamente ridotte ad occuparci solo della casa (solo in certi periodi, a piccoli lavori nei campi o alla raccolta nei boschi), la giornata era difficile da riempire.
La parrocchia era un ottimo diversivo e si trasformava spesso in salotto per pettegolezzi, luogo privilegiato di incontro e di conoscenze; in agosto, poi, in prossimità della festa patronale, l’attività si faceva notevole: tagliare e cucire, incollare e intrecciare, colorare, aggiustare, insomma i piccoli lavori per allestire le decorazioni della festa erano una solida attrattiva per uscire dal chiuso della casa.
Tra donne, si parlava di tutto ma specialmente dei piccoli eventi che animavano il paese; un soggetto privilegiato era il mercato paesano che ogni quindici giorni si teneva sulla piazza e nelle strade intorno: a realizzarlo erano venditori ambulanti provenienti da tutta la regione che nel corso dei decenni si erano attrezzati a raggiungere quel posto sperduto e a portarvi tutta la chincaglieria che era di moda oltre ai materiali utili e necessari per la vita in campagna e su per la montagna.
Per le signore (ma anche, e forse più, per le ragazze) il tema preferito era ovviamente l’abbigliamento e, in particolare, l’intimo che, a san Rocco, era legato ancora a tradizioni contadine.
Le donne anziane non lo conoscevano e non si spiegavano la necessità di usarlo: le urgenze fisiologiche si espletavano nei campi dove lavoravano e in piedi, protette dalla gonna lunga fino alle caviglie; le mutande allora diventavano solo un fastidio inutile e costoso; le donne giovanili (o anche giovani) si erano convertite alle mutande di tela grezza, spesso fatte in casa con procedimenti e mezzi artigianali; ma tutte si sarebbero vergognate di esibirle, anche in privato, per l’evidente indecenza dell’indumento; le giovanissime, abituate anche a sfogliare riviste di attualità, sognavano gli slip di raso con decorazioni varie o almeno mutandine molto mini con disegni ammiccanti.
La più informata disse che quelle cose, a san Rocco, non arrivavano neppure, perché i venditori ambulanti (gli unici che avrebbero potuto farne mercato) erano stati diffidati minacciosamente, dai maschi del paese, dal farne comparire sui loro banchi: qualche raro esemplare, che si era visto circolare in paese, era stato conquistato da qualcuna più disinvolta, pare in cambio di prestazioni sessuali.
A quel punto il chiacchiericcio si faceva più interessante e scivolava sul tema dei ‘forestieri’ vale a dire gli ambulanti che da decenni venivano a fare mercato: l’ultimo arrivo era della volta precedente, un nero immigrato che aveva sollevato la curiosità e il dibattito del paese, poco disponibile a cambiamenti così radicali; tra le altre cose, tra donne il tema principale diventò quanta verità ci fosse nella diceria che i neri erano superdotati.
Naturalmente, la solita super informata era pronta a giurare che Nella, una vecchia prostituta da tempo ormai morta (l’unica di cui si fosse avuta notizia nel circondario) avrebbe spergiurato che aveva sperimentato personalmente la diversità di dotazione, quando - dopo la guerra - gli Alleati erano transitati da lì e molti di loro erano passati dal suo letto; naturalmente nessuno aveva elementi per obiettare e la conversazione finì per languire; a me però erano rimasti molti dubbi, sia sui minislip che non avevo neppure visto nei cataloghi che, si diceva, circolavano in giro; sia soprattutto sulla consistenza del sesso dei neri che, a parere delle anziane, doveva avvicinarsi a quello degli asini; ma il riferimento mi pareva per lo meno esagerato.
Poiché con il sesso avevo cominciato a prendere una certa dimestichezza, mi chiedevo come potevo cercare di approfondire il tema e, nel caso, verificare: il sabato successivo si sarebbe tenuto per l’appunto il mercato quindicinale e probabilmente ci sarebbe stato anche Mustafà, il nero che il paese non vedeva di buon occhio ma che non ancora era stato formalmente cacciato.
Uscii presto per andare al mercato e cercai subito il banco di Mustafà: ovviamente, era stato relegato nel punto più lontano e disagevole, proprio davanti alla mia amata casa degli spiriti: cominciai a rovistare tra grembiuli e gonne, camicette e bluse, poi passai all’intimo e sfiorai svogliatamente alcune mutande; chiesi al nero se avesse degli slip moderni; come era prevedibile, rispose che a San Rocco quel materiale non si poteva portare; di fronte alla mia espressione ironica, ammise che qualcuno se ne portava ma solo per clienti speciali e si rifiutò di precisare la natura della ‘specialità’.
Decisi di passare direttamente all’attacco: fingendo di guardare ancora la merce esposta, gli chiesi se era vero che i neri ce l’hanno molto grosso; non potei distinguere se arrossiva, ma l’aria era molto imbarazzata.
“Me lo fai vedere?”
Chiesi facendo finta di guardare controluce una mutanda di tela.
“Tu vuoi farmi ammazzare.”
Gli indicai il portone alle sue spalle.
“Se ti metti lì io ti vedo ma non ti può vedere nessun altro.”
Si lasciò convincere, arretrò nel portone e, quando fu abbastanza al coperto, aprì il pantalone e tirò fuori una bestia incredibile, un membro di almeno venticinque centimetri, largo come una lattina, con una cappella rosea ancora più larga dell’asta; mi leccai le labbra vogliosa e Mustafà rimise dentro la bestia e tornò fuori.
“Come fanno le donne a prendersi dentro una mazza così?”
“Sei tu che esageri: da una vulva esce un bambino che è assai più grosso di questa mazza!”
La risposta mi convinse ma acuì anche in me la voglia di assaggiarlo, quel mostro, e di farmelo infilare nella vulva.
“A che ora smonti il banco?”
“Tra le due e mezza e le tre; poi vado via.”
“Nel palazzo alle tue spalle c’è una stanza ancora in ordine; io alle tre sarò lì; se vuoi, mi piacerebbe assaggiarti.”
Non trovò la forza di rispondermi e non gliene diedi il tempo, perché scappai via volteggiando e canticchiando.
Per mia fortuna, Antonio non perse tempo nel pranzo, come faceva comunque abitualmente; e subito dopo scappò via per la solita urgenza di non perdere una partita avviata; non erano ancora le due e mezza ed anche io era per strada, diretta alla casa degli spiriti.
Come al solito, ci arrivai dalla facciata posteriore con la certezza che nessuno poteva avermi visto; entrata nel cortile, mi accostai al portone e spiai Mustafà che riponeva la sua merce e la caricava sul camioncino; mentre si muoveva, mi fermai a guardare il suo pacco e capii che, anche in riposo, la sua mazza era veramente enorme: per un momento fui presa dal timore di non sopportare una penetrazione così violenta; poi riflettei su quello che mi aveva detto il nero, ricordai le dimensioni del forestale, ripensai a quello di Mario e mi resi conto che anche Nicola e Genny, in fondo, non scherzavano.
Alla fine, riflettei, potevo comunque cavarmela con le mani, con la bocca o con una spagnola che sarebbe stata anche più agevole; solo se avessi avuto la certezza di prenderlo bene, mi sarei fatta possedere in vagina e, perché no, anche nel retto.
Mustafà intanto, completato il carico, si guardava intorno con aria di sospetto, di timore o di incertezza: se fosse tutta una trappola, per lui potevano essere guai.
Avanzai un poco verso l’uscita e sibilai un leggero fischio, si girò, mi vide e, quasi rasserenato, chiuse il camioncino e si avviò verso di me.
Lo precedetti nella camera attrezzata; quando entrò, mi prese tra le braccia e stampò sulla mia bocca un bacio a ventosa che mi aspirava perfino l’anima; risposi con gusto e gli infilai la lingua in bocca; cominciammo a giostrare con le lingue mentre tra le cosce sentivo crescere il suo membro ancora più imponente ed aggressivo di quando l’avevo solo visto; la libidine dell’abbraccio doveva eccitarlo al di sopra di ogni previsione, perché sentivo il membro crescere a dismisura e, col movimento del suo bacino avanti e indietro, sollecitarmi tutto l’interno coscia, le grandi labbra e il perineo; ero certa che, se avessi allungato la mano dietro, l’avrei sentito sbucare dalle cosce sotto le natiche; e, per constatarlo, allungai la mano e sentii l’enorme cappella.
Sollevai la falda posteriore della gonna finché le mie dita incontrarono il calore del membro; spinsi sotto la cappella per farla aderire e la sfregai sull’ano; Mustafà sollevò la falda anteriore della gonna e il membro si trovò ad immeditato contatto con la folta peluria della vulva: naturalmente, non avevo messo mutande; quando ebbi il membro completamente piantato fra le cosce e strettamente accostato alla vulva, lui riprese il movimento di copula.
Le grandi labbra, sollecitate, cominciarono a produrre umori da orgasmo; il clitoride, gonfiandosi, si trovò strusciato continuamente dall’asta che si muoveva e mi provocò ancora altre sensazioni di orgasmo; aspettavo da un momento all’altro la grande esplosione conclusiva; ma lui non era disposto a concludere in fretta; per tutto il tempo non aveva smesso di baciarmi, ricambiato con la stessa intensità; a quel punto, però, si staccò dalla mia bocca e portò le sue labbra a ventosa su un seno, appena spostando un lembo della camicetta; mi succhiava il capezzolo come se davvero dovesse estrarre il latte per la sopravvivenza; e qualcosa mi scorreva, ma dalla vulva sul suo membro e poi giù lungo le gambe, tanto era abbondante.
Vide alle mie spalle il materasso a terra e mi ci portò sollevandomi di peso: mi adagiò sulla coperta, mi divaricò le gambe facendomi appoggiare i piedi sulla stessa coperta, si inginocchiò e le sue labbra si posarono direttamente sulle grandi labbra: fu un bacio aspirante difficile da raccontare; leccava, succhiava, mordeva e poi tornava a leccare, succhiare mordere; prese tra le labbra il clitoride e lo aspirò profondamente nella bocca: il clitoride lo seguì accompagnato dal mio urlo che segnalava il primo grande orgasmo.
Ma io volevo il membro in vagina: per questo lo avevo sedotto.
“Mettimelo dentro.”
Non so neppure io stessa se fu un’implorazione o un ordine; si alzò, allentò la cintura e fece cadere a terra i pantaloni portando in luce il suo monumento a Priapo, un’asta immensa, lucida, tesa, dritta; accostatosi al materasso, mi spennellò la vulva con la cappella, a lungo, finché non godetti di nuovo e bagnai il suo membro e le mie cosce; sollevandomi di peso, mi spostò verso il bordo, salì in ginocchio sul materasso, si collocò fra le mie gambe, appoggiò la cappella alla vulva e cominciò a penetrarmi.
Le fibre della mia vagina reagivano bagnandosi a mano a mano che quel mostro le invadeva obbligando il canale ad allargarsi al limite della capienza per riceverlo; quelle che non erano già state coinvolte esplodevano in orgasmi nuovi; e il mostro scivolava così lentamente dentro di me finché raggiunse l’utero: temetti che potesse farmi male; ma forse era ben allenato; quando la cappella urtò la cervice, io ebbi una reazione col ventre che lo spinse indietro, lui arretrò e cominciò a pomparmi lentamente, gustandosi tutto il percorso vaginale intorno al membro; io misi in moto i miei muscoli vaginali e lo carezzai sensualmente.
Ma Mustafà ancora non voleva eiaculare; ed io non volevo che finisse il piacere; lui si sdraiò su di me facendo aderire ventre a ventre, tette a tette, cosce a cosce: attimi di intensa libidine che si accentuava ad ogni piccolo movimento di uno dei due.
“Vuoi provare qualcosa di più?”
Mi chiese, accennai di si con la testa; si sollevò e scese; si inginocchiò ai piedi e mi tirò verso il bordo; mi prese per le caviglie e si portò i miei piedi all’altezza del collo; prese in mano il bestione e lo diresse fra le mie cosce; non capivo cosa stesse per fare ma ero curiosa ed eccitata anche dall’incertezza; quando la cappella sfiorò l’inguine, la diresse decisamente all’ano: capii che voleva incularmi da quella posizione e, ancora una volta, provai un certo timore.
“Non preoccuparti. Farò piano.”
Mi rassicurò; sentii la cappella premere con forza e continuità sullo sfintere che reagì serrandosi con forza; mi ricordai i suggerimenti e spinsi come per defecare, lo sfintere si allentò e la cappella entrò quasi del tutto.
“Attenzione!”
Suggerì lui e, con una spinta, fece passare la cappella oltre lo sfintere; soffocai un grido di dolore; un attimo dopo l’ano mi mandava segnali di goduria mai provata e la violazione delle sfere più intatte delle mie viscere diventò in breve una copula dalle enormi valenze di godimento.
Lentamente, il mio intestino veniva invaso da un mostro assolutamente imprevisto, portatore di tanto piacere quanto non avrei saputo immaginare: con mia somma meraviglia, tutto il canale rettale sembrava quasi predisposto a ricevere quel mostro; ed io cominciai a giocare coi muscoli interni per godermelo; manovrandoli sapientemente, sembrava quasi che gli facessi una fellatio dal retto; e intanto sentivo caricarsi quell’orgasmo anale che non sempre è consentito di provare ma che io avevo già conosciuto e potevo quindi individuare anche adesso.
“Sto per venire dal retto.”
Mi sentii in dovere di avvertirlo.
“Anch’io sto per venire … nel tuo retto.”
Per quello che potevo, lo abbracciai con le gambe per indicare la mia solidarietà: esplodemmo insieme, in un orgasmo violento, quasi animalesco, nel quale lui mi inondò completamente le viscere di sperma ed io squirtai bagnandolo tutto non so più se di umori o di orina.
“Adesso stai calma perché, quando lo tirerò fuori, potresti sentire dolore.”
Mi avvertì, strinsi i denti preparandomi al colpo; ed effettivamente mi sentii squarciare le budella quando la cappella uscì dall’ano; subito dopo un vento freddo mi entrò nel corpo, quasi che fossi stata privata di qualcosa; e in verità mi sentivo quasi vuota, senza quella mazza nel retto.
Mustafà prese dei fazzolettini e si pulì sommariamente il membro e il ventre; me ne diede un pacchetto perché mi pulissi anch’io.
“Come è stata l’esperienza?”
Mi chiese sornione.
“Meravigliosa!”
Gli dissi sinceramente.
“Peccato che non potrà avere nessun seguito!”
Sentii un che di rammarico nella voce e guardai con aria interrogativa.
“A parte che comunque sarebbe troppo pericoloso continuare a fare sesso con te, mi hanno avvisato che non devo più tornare, se non voglio rischiare di brutto.”
“Mi dispiace!”
Potei solo commentare; con un delicato bacio sulla guancia, mi lasciò ed uscì dalla stanza; impiegai un po’ di tempo, a ricompormi, con lo sfacelo che avevo fatto degli abiti rimasti sotto per tutto il tempo e, soprattutto, con il mio sedere che adesso cominciava a dolermi sul serio; la vulva, invece, sembrava aver assorbito benissimo la violenza sessuale; tornai canterellando a casa.
Quando ero costretta a trascorrere in casa intere mattinate o tutto un pomeriggio, l’unica attività che mi desse piacere era andare sul terrazzo in cima all’edificio con le più banali incombenze (stendere il bucato, conservare nel nostro sgabuzzino oggetti disusati, mettere a posto qualcosa, insomma qualunque piccolo lavoro utile per la casa), anche perché ne approfittavo per prendere un po’ di sole (quando l’occasione era favorevole anche con nudo integrale) e, soprattutto, spaziare con lo sguardo intorno e curiosare sulla vita del paese.
Quel mattino, dopo aver sistemato degli utensili, mi soffermai alla balconata e girai lo sguardo intorno: mi colpì un luccichio che veniva dalla parrocchiale; aguzzando lo sguardo, mi resi conto che da un balcone della zona interdetta (era quasi cadente) una persona che stentavo a riconoscere stava spiando col binocolo verso il basso: seguendo la linea di visuale ideale, capii che stava spiando i bagni dell’oratorio, che avevano i tetti scoperti (per lavori ancora da decidere) e in cui era possibile osservare le signore che espletavano le loro funzioni corporali esponendo le intimità.
Mi sforzai ancora di individuare l’autore della trovata, e scoprii con somma sorpresa che si trattava del nipote del parroco, un ragazzo di sedici/diciassette anni venuto da poco a passare qualche settimana con lo zio perché i suoi erano in viaggio, non si sapeva bene se di lavoro o di piacere: il diavoletto che in me non si fermava mai mi suggerì che la scoperta poteva prestarsi per lo meno a uno scherzo feroce nei confronti del ‘forestiero’ un po’ sulle sue che tutti speravano di veder umiliato anche se, in verità, suscitava intorno a sé molta simpatia.
Detto fatto, mi precipitai in strada diretta all’oratorio e al nuovo divertimento: appena giunta, mi guardai attentamente intorno, ma non vidi nessuna traccia del nipote del parroco; intuii che forse era ancora a godersi lo spettacolo; mi diressi allora ai bagni e scelsi il gabinetto che, a occhio e croce, era il più direttamente esposto alla vista dello spione; entrata, mi tolsi la gonna apparendo nuda dalla vita in giù; e mi sfilai anche la camicetta apparendo in tutta la mia prorompente nudità; sapevo di avere un corpo da urlo e cominciai a sottolinearlo carezzandomi le tette e insistendo sui capezzoli duri come chiodi; mi lisciai le natiche rotonde e piene come una scultura antica, girai anche il sedere verso il suo punto di osservazione e indugiai a lungo per farlo godere della vista: sicuramente si stava sparando una delle masturbazioni più belle della sua vita; completai l’esibizione titillandomi a lungo le grandi labbra e masturbandomi il clitoride come fosse un pene; in ogni gesto, facevo in modo che la parte interessante fosse esposta alla sua vista; contemporaneamente con gli occhi e con la bocca lanciavo sguardi e smorfie ammiccanti, che sicuramente vedeva e interpretava.
Di colpo, smisi, mi rivestii e tornai nella sala comune; ma del ragazzo nemmeno l’ombra; ritenendo che fosse ancora impegnato a masturbarsi con calma, forse anche con la visione di un’altra vulva in bagno, mi diressi alla scala che portava ai piani interdetti per lavori; con mille precauzioni salii le due rampe di scale ed entrai in una sala ben conservata: ad uno dei balconi vidi il ragazzo alle prese con il suo sesso che manipolava con intensità quasi rabbiosa.
Mi colpì molto la conformazione dell’organo, lungo e sottile con un’ampia cappella in cima: niente di eccezionale e nemmeno paragonabile ai membri che nell’ultimo mese avevo frequentato; ma la freschezza giovanile che emergeva già solo alla vista e l’esilità complessiva del corpo (compreso il membro, naturalmente) mi scatenarono un moto di piacere che si trasformò subito dopo in voglia di sesso: gli arrivai alle spalle in silenzio e lo feci sobbalzare.
“Non credi che sia sprecato farlo da solo?”
Mi guardò quasi impaurito, temendo forse una mia denuncia allo zio prete con le imprevedibili conseguenze; suggerii.
“Stai calmo! Non voglio fare niente di male; solo, mi piacerebbe partecipare al divertimento.”
“Ma … tu … sei quella … “.
Balbettò.
“Si sono quella che poco fa si masturbava per te nel cesso. L’ho fatto apposta per continuare con te qui.”
Sembrava incapace di connettere e mi guardava stralunato.
Afferrai decisa il suo giovane sesso e presi a masturbarlo: mi inteneriva la dimensione limitata della circonferenza, che stringevo agevolmente con la mano, e la consistenza serica della carne che mi trasmetteva alle mani uno strano calore che passava direttamente dalla vulva al cervello e tornava alla vulva che si bagnava senza che neppure la toccassi; mandai la mano avanti e indietro per un po’ godendo dell’asta che si gonfiava nella mia mano; lo rimproverai.
“Non restare impalato! Fai qualcosa anche tu!”
“E … cosa posso fare?”
Lo guardai feroce, presi la sua mano e me la infilai sotto la gonna, direttamente nella vulva; sembrò risvegliarsi dal sogno e prese a masturbarmi con maggiore sapienza di quanto mi aspettassi: in breve, colavo umori come un rubinetto spanato.
“Cavolo, sei proprio bravo: chi ti ha insegnato?”
“Mia mamma.”
Disse in un soffio e, di fronte alla mia faccia decisamente sbalordita, proseguì.
“Mio padre non è mai con noi e mamma dice che, piuttosto che far entrare un estraneo nella sua vita, preferisce fare con me le cose che le servono.”
“Ma allora le fai tutto? La lecchi, la masturbi, la possiedi?”
Ogni volta accennava di si con la testa.
“La prendi anche nel sedere?”
Stavolta la testa segnò un no deciso.
“E lei te lo succhia?”
Altro no.
“Come mai”
“Ha sempre detto che ha bisogno di copulare in vagina continuamente ma che nel retto ci ha provato una volta, ha sentito molto male e ha deciso di non farlo più,”
“E per la fellatio?”
“Qualche volta l’ha fatta, ma le fa schifo e preferisce non farla.”
“Ottima scuola. Scommetto che anche spiare nel bagno lo hai imparato da lei.”
Annuì ancora una volta.
”I tuoi hanno problemi grossi adesso?”
Fece spallucce per indicare che non era certo.
“Il parroco di chi è fratello?”
“Di mio padre.”
“Quindi ti hanno spedito dallo zio prete per discutere del loro matrimonio?”
“Non so.”
E forse davvero non sapeva; comunque non ero curiosa e passai al concreto.
“Bene; evviva tua madre che ti ha educato. Tu allora datti da fare, fammi vedere come mi fai godere.”
Per tutta risposta, mi abbracciò stretta, mi infilò la lingua in gola e prese a intrecciarla alla mia; premette il ventre contro il mio; io non avevo lasciato il suo membro che palpitava duro nella mia mano; presi a strofinarmelo sulla vulva da sopra alla gonna; lui spostò lo mani sulle natiche e le strinse con voluttà.
Con la mano libera sbottonai la camicetta facendo mille acrobazie per agire nella stretta delle sue braccia; il mio seno esplose all’aperto; lui lasciò la presa sulle natiche e agguantò una tetta che prese a leccare succhiando avidamente il capezzolo ormai duro come il suo sesso.
Cominciò la sua fase orale sulle mie tette che percorse in lungo e in largo con la lingua succhiandomi a più riprese le aureole appena pronunciate e i capezzoli ben ritti; lo lasciai fare ma intanto, sempre con mille acrobazie, sollevavo la falda anteriore della gonna e, quando la vulva fu all’aperto, ci appoggiai contro il suo sesso giovane e sottile, infilandolo tra le grandi labbra e strusciandolo sul clitoride con continui piccoli orgasmi consecutivi.
Sentirsi colare i miei umori sull’asta accentuava la sua libidine; lasciò la presa sulle tette, mi fece girare e mi obbligò a piegarmi a pecorina; sollevò la falda posteriore della gonna e, inginocchiato dietro di me, cominciò a leccarmi ano e vulva con amore e con foga quasi violenta; sentivo la sua lingua calda lambire l’ano e penetrarci per un attimo per poi uscire e continuare a leccare il perineo e le grandi labbra; sapientemente, prese in bocca il clitoride e lo succhiò come una tettarella: godendo, espulsi anche l’anima e lui bevve devotamente tutti i miei umori.
Qualche rumore giù dalle scale ci diede la sensazione che fossimo a rischio di un grosso scandalo; ma il ragazzo pareva abbastanza sicuro di se; resami conto che in quell’ambiente non era possibile stendersi a terra senza riempirsi di sporco e di polvere, lo feci alzare in piedi, mi strinsi col sedere al suo ventre, mi piegai di nuovo a pecorina, infilai la mani tra le cosce, catturai il sesso dietro di me e diressi la cappella verso la grandi labbra: capita la mia intenzione, mi afferrò sulle anche e spinse col ventre il sesso fino in fondo alla mia vagina.
Non raggiunse l’utero e la sua piccola verga nel canale vaginale un po’ ci ballava; ma i miei muscoli vaginali erano in grado di sopperire e di fargli sentire la stretta e il calore della mia sensualità; cominciò a pompare con passione e quasi con metodo: colpi rapidi e ravvicinati alternati ad altri lenti e distanziati; lunghe soste col membro ritto in vulva, per godere fino in fondo il piacere del sedere sul ventre; poi di nuovo, e all’improvviso, assalti violenti e rapidi; questa alternanza imprevedibile mi scatenava violenti fiotti di umori e orgasmi più o meno intensi; lui sembrava non fermarsi mai.
“Duri parecchio!”
Commentai.
“Mia mamma mi ha fatto esercitare a non eiaculare fino a che lei non mi autorizza a farlo; e mi autorizza solo quando lei ha goduto in maniera soddisfacente.”
“E chiamala scema!”
Fu il mio commento; ma, soprattutto, ero felice della resistenza del ragazzo, che compensava largamente la minore consistenza del sesso, peraltro ancora giovane; decisi di portare il gioco un poco più avanti; spingendolo indietro con le mani, lo obbligai a sfilarsi dalla vulva; mi staccai dalla sua presa, mi girai e mi accovacciai sui calcagni; presi in bocca il verga che era ora all’altezza giusta e lo succhiai verso la gola fino all’ugola; mi fermai per non avere conati; presi a masturbare il membro con le labbra facendolo andare avanti e indietro nella bocca e spingendolo, per precauzione, contro la guancia: sentivo il suo corpo irrigidirsi e temetti che potesse esplodere all’improvviso, senza neanche avvisarmi.
Decisi di interrompere la fellatio; mi alzai e mi chinai di nuovo a pecorina; infilai di nuovo la mano tra le cosce, presi il membro che ora grondava di umori e di saliva e spostai la cappella verso l’ano; lo sentii irrigidirsi per un attimo, poi si rilassò e diede una piccola spinta col bacino; mi allargai con le mani le natiche e portai l’ano in piena evidenza; spinsi anche io col sedere cercando di dilatare lo sfintere dall’interno; la cappella delicata e non immensa sembrò valicare agevolmente la strettoia dello sfintere e sentii l’asta scivolarmi nel retto; la accompagnai con le contrazioni dei muscoli, quasi una carezza masturbatoria dall’interno; lo sentii gemere dolcemente e capii che l’esperienza nuova lo inebriava.
“Da questo momento, puoi godere dentro in qualunque momento; basta solo che un attimo prima mi avverti e godiamo insieme.”
Dalla mia posizione non potevo guardarlo in viso; ma ero certa che avesse gli occhi spiritati di chi ha toccato un cielo sempre sperato, spesso intravisto ma mai ottenuto: senza contare, poi, che il mio sedere era particolarmente bello, sodo, ben disegnato e assai accogliente: non passò molto tempo che lo sentii ansimare.
“Godo … godo … oh, mio Dio, gooooooodooooooo!!!!!!!”
Picchiai con violenza sul clitoride e lo tormentai con foga finché l’orgasmo mi esplose da dentro il ventre e si dilatò fino al cuore e al cervello.
“Vengo … vengo … venngoooooooooo!!!!!!”
Urlai a mia volta quasi all’unisono; non ebbe bisogno di attendere molto, prima di sfilarsi dal retto: appena si furono rilassati i muscoli del retto, l’asta scivolò via libera; io invece dovetti sollevare la gonna e accosciarmi per scaricare a terra il volume di sperma che mi aveva caricato nel retto; insieme, svuotai anche la vescica di un po’ di urina; e forse anche un po’ di cacca, stimolata dal coito anale, scappò fuori insieme. Il ragazzo, intanto, si era rapidamente defilato ed era sceso nella sala comune.
Non avendo di che darmi almeno una rapida pulita superficiale, fui costretta a tenermi sporco il basso ventre finché non raggiunsi i bagni ed usai la carta igienica per darmi una veloce rassettata; quando feci la mia comparsa nella sala dove si preparavano i festoni, una delle fresche spose mi diede di gomito e sussurrò.
“Hai visto Fernando?”
“Fernando chi?!?!”
Ero veramente basita.
“Il nipote del parroco!”
Sembrava scandalizzata che non conoscessi il nipote del parroco.
Ed io scoprii invece che solo adesso, dopo una enorme copula, conoscevo finalmente il suo nome: lui, peraltro, forse non conosceva il mio o forse l’avrebbe appreso allo stesso modo, per un intreccio di pettegolezzi.
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