Emigranti - Trent’anni dopo

Emigranti - Trent’anni dopo

Sono passati ormai quasi trent’anni da quando me ne andai da San Rocco ripromettendomi di non farci più ritorno.

Nei primi tempi, non riuscii a trattenermi dal farmi viva di tanto in tanto, almeno nelle occasioni importanti (feste, ricorrenze ecc.) ma non pensai mai di andare fin laggiù.

Dopo una decina di anni mi chiamarono allarmati per dirmi che mia madre stava morendo; per un attimo pensai di montare in macchina e andare per il funerale; ma dall’ufficio mi fecero presente che il momento era particolarmente delicato per il lavoro e questo, unito al ricordo ancora bruciante degli inviti ad ‘avere pazienza e sopportare’ che avevano condizionato la mia vita, mi fece decidere a rinunciare.

Lo stesso discorso è valso qualche mese fa, quando mi hanno comunicato che anche mio padre se n’era andato; ho pianto anche qualche lacrima cocente - soprattutto perché erano le mie radici che si spezzavano - ma mi sono convinta che è meglio non inficiare l’attuale situazione di benessere per un rituale ormai lontano dai miei interessi come un funerale.

In pratica, la memoria di san Rocco diventa sempre più sbiadita e sommersa in tanti altri ricordi.

Ma la convocazione che mi è arrivata stamane, corredata da un ampio e articolato dossier, mi pone davanti a quesiti di natura diversa e più pratica.

Ne ho parlato con un mio amico avvocato esperto di burocrazia e anche lui mi ha consigliato, prima di cestinare, di riflettere almeno un poco.

La lettera è di un avvocato di San Rocco (già il fatto che al paese ci sia ora persino un avvocato mi pone di fronte ad una realtà impensata) che per conto di una famosa agenzia immobiliare nazionale mi chiede di incontrarci per valutare l’ipotesi di vendere la casa dei miei genitori (che è in pratica diventata mia) e la mia parte della casa acquistata con mio marito Antonio (che non vedo da trent’anni e del quale ho perso qualsiasi traccia).

Secondo il mio amico, trattandosi di un’agenzia immobiliare con interessi nazionali, non è da escludere che possa permutare i due ‘beni’ di san Rocco con un appartamento in città dove la stessa agenzia ha molte importanti proprietà edilizie.

Sarà che il ‘vile denaro’ muove più di qualsiasi altra cosa; sarà che, in fondo in fondo, l’idea di tornare sui luoghi della mia infanzia non mi fa poi tanto schifo quanto io proclamo; sarà che l’idea di qualche giorno in montagna, sfruttando le ferie non godute che ho ancora a disposizione, può rivelarsi una scelta utile e opportuna; sarà chissà cosa, comunque decido di fare una passeggiata a San Rocco.

Trent’anni sono molti e pesano sui cambiamenti; me ne accorgo dal percorso stesso, in autostrada per la parte principale e, verso la fine, con una provinciale ben tenuta ed un percorso montano non molto tortuoso.

Più ancora, ho il senso di quanto le cose siano cambiate quando arrivo nei pressi del paese e scopro che lo sviluppo edilizio ha quadruplicato almeno il numero delle costruzioni e che molte gru indicano lavori in corso in ogni dove, mi ricordo solo ora dell’esplosione di turismo che ha interessato la zona e che, evidentemente, è arrivato fino a San Rocco.

E’ agosto, il mese degli emigranti rientrati, della festa patronale e insomma delle abitudini legate alla condizione di paese di emigrazione.

Ma non c’è niente di quello che ricordavo: una strada asfaltata entra nel bosco sul percorso dell’antico sentiero, vaste aree di parcheggio si aprono all’ingresso del paese e insegne multicolori di ristoranti, alberghi, discoteche e pubs colorano il paesaggio urbano.

Mi sento, a dir poco, stordita dalle novità che mi esplodono letteralmente in faccia.

La cosa che maggiormente mi colpisce, però, è l’indicazione ‘Hotel Casa degli Spiriti’ con 4 stelle, proprio sulla vecchia casa degli spiriti.

Mi ci dirigo decisa e scopro che l’impianto strutturale dell’edificio è stato conservato, anche se innumerevoli interventi lo hanno modificato, ampliato e arricchito fino a farne una residenza di lusso con annesso un enorme parcheggio per gli ospiti.

Sistemo la macchina e mi dirigo alla reception.

Quando vedo il giovanotto al bancone per poco non mi prende un colpo: è la copia sputata di Nicola come è rimasto nella mia memoria.

Penso a una strana coincidenza favorita anche dalla suggestione del posto e delle memorie che richiama; chiedo una camera e consegno il documento, che il giovanotto porta a qualcuno in un ufficio dietro.

Da lì sbuca una persona - a occhio e croce della mia età, più o meno - che mi chiede.

“Cristina …?”

Accenno di si con la testa.

“Ma tu sei la moglie di Antonio …”

Preciso

“Ex. Ex moglie, da quasi trent’anni”

“E non ti ricordi di me?”

Lo guardo con meraviglia: proprio non mi dice niente il suo volto.

“Carmine … non ti dice niente il mio nome?”

“Ah, si: tu eri il grande amico di Nicola insieme a Peppino e a Checco, mi pare.”

“Vedo che ricordi bene; sono proprio io; e, per colmo di sorte, sai chi è questo giovanotto?”

“Quando l’ho visto mi ha ricordato Nicola trent’anni fa.”

“E infatti e Sebastiano, figlio di Nicola, ed ha venticinque anni.”

“Ciao”

Gli faccio; il ragazzo accenna un sorriso e abbassa lo sguardo quasi timido.

“Sei qui per gli appartamenti?”

Mi chiede Carmine, annuisco.

Sparisce nell’ufficio e Sebastiano mi chiede del mio bagaglio; gli dico che è in macchina; mi consegna una chiave e mi dice che è al primo piano.

Carmine torna fuori dall’ufficio e dice al giovane.

“Cristina prende la suite ed è ospite dell’hotel per l’alloggio ed anche per il vitto”

Lo guardo stralunata, ma mi rassicura.

“ Mi hanno detto dalla Direzione che tutto sarà considerato nell’accordo che si farà per gli appartamenti.”

“Vuoi dire che l’Agenzia è proprietaria anche dell’hotel?”

“Si, in pratica ha fatto lei tutti i lavori di ristrutturazione nel paese e sta lavorando per recuperare altri immobili.”

Nonostante tutto, la risposta mi pare convincente e accetto la proposta.

Sebastiano mi accompagna alla camera e noto che, sul percorso, non smette di guardarmi il sedere e le tette; osservo anche che un bozzo di notevole grandezza gli si è disegnato sul pantalone; ‘avessi venti anni di meno …’ mi viene di pensare; comunque, accenno a sculettare mentre sento sulle natiche il suo sguardo di fuoco.

Entrati in camera, restiamo per un attimo fermi in imbarazzo ambedue.

Poi lui rompe gli indugi.

“E’ vero che lei ha avuto una storia con mio padre?”

“Mi sembra assai strano che non fai altro che guardarmi il sedere e le tette, mi chiedi se ho fatto sesso con tuo padre e continui a darmi del lei. Seba - sta per Sebastiano ma mi piace di più - se non ti decidi a darmi del tu e a chiamarmi Cris - che mi piace più dell’aulico Cristina ed era anche il modo in cui mi chiamava Nicola - io non accetto di rivolgerti la parola come persona ma solo come cliente.”

“Hai ragione, Cris; scusa; ma qui non usa ed io non osavo tanto.”

“Pace fatta. In quanto alla tua curiosità, si ho avuto un anno di grande passione e di sesso sfrenato con Nicola quando ancora non era tuo padre. Ma non abbiamo mai dato a quella storia un risvolto diverso dalla grande avventura di puro sesso.”

“Mia madre però è convinta che è stato per colpa tua che papà ci ha lasciato.”

“Mi dispiace per tua madre ma non sa neppure fare i conti: quando lei ha conosciuto Nicola, io ero andata via da San Rocco alcuni anni prima e nessuno ha mai saputo - e nessuno lo sa anche oggi - dove fossi andata. Quindi, mi dispiace per lei ma non c’è stata nessuna responsabilità mia nella vostra vicenda.”

“Ti piace molto il sesso?”

“Posso assicurarti che ne ho fatte di tutti i colori, anche con ragazzi della tua età; che non me ne sono mai pentita e che non ne intendo rendere conto a nessuno.”

“Quindi lo faresti anche con me?”

“Senza esitazione; oltretutto, da quando ti ho visto, non ho fatto che pensare a Nicola; se ci aggiungi che quest’albergo è proprio nel posto dove io incontravo tuo padre per fare sesso, credo che ti risulterà chiaro che avrei molti motivi per saltarti addosso, se non fossi stanca del viaggio. Ma tu, piuttosto, ti rendi conto che potrei essere tua madre?”

“Allora ti lascio riposare; se vuoi riprenderemo il discorso. Ah, se ti può interessare, la persona che più di tutte al mondo mi piacerebbe possedere è proprio mia madre; ma non posso neanche accennare, perché col suo bigottismo scatenerebbe una guerra mondiale maledicendo me, mio padre e te. Ciao”

Mi fa tanta tenerezza e, mentre mi passa a fianco per uscire, lo blocco e gli appiccico come una ventosa le mie labbra sulla bocca, gli forzo le labbra con la lingua e gliela frullo dentro leccando tutte le papille; intanto, lo prendo per le natiche e mi stringo sul ventre il suo bacino per sentire il sesso duro titillarmi la vulva da sopra i vestiti; con pochi contatti mi rendo conto che ha una mazza assai grande, sicuramente più di suo e padre e superiore alla maggior parte di quelle che ho preso dentro in tutti quegli anni.

La libidine comincia a montarmi dalle cosce al cervello e devo spingerlo via per non abbandonarmi ad una immensa seduta di sesso.

Lo licenzio con una pacca su una natica (dura e soda) e gli dico che ci saremmo visti per cena.

Dopo una doccia rigenerante, mi stendo sul letto e mi appisolo in un groviglio di sogni, incubi, speranze e memorie.

Sono le sette quando mi sveglio completamente e mi dedico a me stessa e al mio corpo.

Perdo quasi un’ora allo specchio per rifarmi il trucco e per scegliere l’abbigliamento.

Poi decido per una gonna ampia con cintura e una camicetta abbottonata davanti: anche se non me ne rendo conto sul momento, sto copiando esattamente l’abbigliamento che preferivo quando mi incontravo con Nicola, per dargli modo di infilarmi le mani tra i seni e tra le cosce.

L’unica variante sono il reggiseno di raso, a cui non è più prudente rinunciare per motivi di gravità, e lo slip minimo e trasparente che sostituisce la mutanda dozzinale di allora.

La cena è veramente deliziosa con prodotti naturali preparati alla perfezione; mangio di gusto e bevo anche un po’ di vino locale.

A fine cena, Seba mi invita a sedermi in un salotto appartato, dove abbassa le luci e dispone una bottiglia di cognac e due bicchieri.

Mi siedo sul divanetto per due persone e gli faccio cenno di sedersi a fianco a me; ancora una volta non prende iniziative e tocca a me rompere il ghiaccio.

“A proposito delle suggestioni di questo ambiente, ti ho detto che io e Nicola ci incontravamo qui, ma non puoi sapere che, allora, il palazzo era disabitato, che avevo allestito una sola cameretta per noi e che era proprio questa dove siamo adesso; anzi, fu proprio in questo stesso punto che avemmo il primo incontro sessuale.”

“Avete copulato qui la prima volta?”

“No, non ho detto ‘copulato’ e ormai avrai capito che non esito a chiamare le cose per nome; qui abbiamo fatto l’amore la prima volta; ma, per l’ardore giovanile, per le preoccupazioni (io ero appena sposata con quell’animale di Antonio che non era ancora partito per la Germania) e per la smania di godere, risolvemmo tutto con una masturbazione reciproca; ma ti assicuro che in trent’anni di copule non ho mai più provato un piacere tanto intenso come per quella doppia masturbazione. Perché, vedi, le cose non hanno valore per sé stesse, ma per come, dove e con chi le fai.”

Intanto, allungo la mano sulla patta e disegno con le dita il profilo di un membro che mi sembra assai simile a una lattina, per grossezza, e ad un grosso cetriolo, per lunghezza; lentamente lo accarezzo su tutta la superficie e vado a prendere la zip, apro il pantalone e prendo in mano la sua mazza mostruosa e meravigliosa.

Seba non se ne sta fermo, stavolta, e sento la sua mano carezzarmi le ginocchia e insinuarsi tra le cosce; le allargo per farlo entrare e, in un attimo, mi afferra la vulva da sopra lo slip; si fa poi strada ai lati e infila un dito dentro.

Ho un primo brivido di piacere che si trasmette a tutto il corpo e poi al cervello.

Con la mano libera gli prendo il viso e lo bacio; stavolta è più rapido e reattivo; in un attimo mi sento la bocca completamente invasa dalla sua lingua che perlustra i denti a uno a uno, mi lecca il palato e si intreccia alla mia lingua in ghirigori di piacere.

Sento la vulva pulsarmi, anche per effetto delle manipolazioni di lui che attraversa avanti e indietro il canale vaginale strusciando il palmo sul clitoride che impazzisce di goduria.

La mia mano continua ad andare su e giù sul suo bastone che si fa sempre più duro e gonfio.

Staccando un momento la bocca dalla mia.

“Sto per godere.”

Mi sussurra languido.

“Non ti azzardare; aspettami ancora un momento  … ecco … ora … ora …”

E gli esplodo sulla mano il più intenso e violento orgasmo che potessi ricordare.

Seba è velocissimo a prendere un tovagliolo dal tavolo e a metterlo davanti all’organo per evitare di sporcare tutto l’ambiente: dal suo membro saltano fuori cinque o sei spruzzi di sperma caldissimo che si schiacciano contro il tovagliolo e precipitano sulla mia mano che tiene stretto il sesso.

Per un momento perdiamo il senso della realtà e navighiamo nel limbo del piacere; poi cominciamo a riprenderci: lui pulisce attentamente il membro e la mia mano; io lecco gli ultimi residui per assaporare il gusto del suo sperma caldo.

“Hai bisogno di andare in bagno?”

Mi chiede premuroso.

“No, grazie; vado in camera mia.”

“Va bene; ti raggiungo tra qualche minuto.”

“Ti lascio aperta la porta”.

In camera, mi spoglio rapidamente e vado in bagno a rinfrescarmi a lavarmi la vulva dagli umori che ho scatenato.

Prendo dalla valigia una vestaglia leggera e trasparente e mi sdraio sul letto.

Non si fa attendere molto.

Gli dico immediatamente di spogliarsi nudo e mi soffermo a guardarlo eccitatissima mentre lascia cadere un pezzo alla volta il suo abbigliamento; quando denuda il torace non posso fare a meno di ammirare la struttura compatta e forte della sua muscolatura probabilmente allenata da esercizi di palestra anche se non da palestrato; poi è la volta del ventre; gli chiedo di girarsi mentre si sfila lo slip, perché mi affascina ammirare le sue natiche compatte e sode come le avevo intuite baciandolo.

Poi è la volta dell’arnese, un vero omaggio al dio Priapo, un bastone di carne che sfiora i trenta centimetri ed è largo più della stretta della mia mano.

Mi sposto strisciando sul letto e vado a sedermi sul bordo inferiore dove lui mi domina davanti con l’asta all’altezza esattamente della mia bocca.

Prendo delicatamente nella sinistra i testicoli gonfi e tesi; con la destra impugno la mazza alla radice e comincio a menare la mano avanti e indietro; lui si accosta con il ventre al mio viso e non posso fare altro che aprire la bocca e dare i primi baci sulla punta, poi ci passo delicatamente la lingua e, infine, apro la bocca in maniera innaturale e faccio entrare la sua cappella enorme.

Contemporaneamente, massaggio le palle ricavandone un sottile godimento, manipolo procurandomi e procurandogli immensa goduria e con la lingua cerco di leccare nella mia bocca la cappella che la occupa tutta e la domina con mio enorme piacere.

Preso dal raptus della fellatio, Seba spinge un paio di volte il bacino contro la mia bocca, il membro mi penetra fino all’ugola ed io ho dei conati di vomito, per cui lo spingo indietro facendo pressione sull’asta.

Ma non voglio concludere tutto con una semplice fellatio; lo spingo fuori della bocca, abbandono testicoli e membro e mi stendo supina con le gambe appoggiate al pavimento e il sedere sul bordo estremo del letto.

Gli faccio cenno di abbassarsi, si inginocchia, mi divarica con le mani e prende a leccarmi l’interno coscia fino alle grandi labbra; dopo alcuni passaggi che mi fanno montare la libidine alle stelle, finalmente, giunto alla vulva, infila con prepotenza la lingua e prende a leccarmi con foga le piccole labbra e il clitoride; il mio orgasmo gli esplode in faccia.

“Esplodi come un maschio!”

Commenta Seba.

“No, si chiama squirtare ed è l’espulsione degli umori di orgasmo; capita quando un orgasmo è particolarmente intenso.”

Mentre riprende a leccarmi, mi abbranca le tette e prende a massaggiarle; con molta delicatezza prende tra le dita i capezzoli e me li tormenta facendomi provare intense emozioni.

Con la bocca ancora sulla figa, mi chiede.

“Ti spiace raccontarmi qualcosa dell’anno che hai vissuto con mio padre?”

“Tu sai qualcosa sulle vedove bianche in caccia?”

Mi accenna di si con la testa.

“Bene, queste signore, sposate a uomini che emigravano e restavano all’estero per undici mesi, si ‘consolavano’ andando a caccia di ragazzi rimasti in paese. Si trattava in genere di ragazzini dai dodici ai diciassette anni e non oltre perché poi prendevano la via dell’emigrazione. Le meno fortunate si accontentavano di dodici/tredicenni che potessero usare la lingua e le mani per stimolarle e farle godere; quelle mediamente fortunate potevano contare su quattordici/quindicenni che avevano un pisello in qualche modo utilizzabile; le più fortunate si beccavano i quindici/sedicenni che il sesso lo avevano già sviluppato e potevano farsi sbattere per bene. Poi c’erano le fortunatissime che si beccavano il sedici/diciassettenne più sviluppato con un membro da fare invidia a qualunque maschio; con lui copulavano alla grande fino al rientro dei mariti. Uno di questi, manco a dirlo, era tuo padre che aveva un membro notevole … non come il tuo, però, che è assolutamente fuoriserie”.

Interruppe per una attimo la leccata.

“Sei stata più fortunata delle altre?”

“No, la mia fortuna fu che un giorno lo sentii vantarsi con gli amici, proprio quel Carmine e gli altri due di cui abbiamo fatto cenno, che, dopo aver copulato come un mandrillo l’anno precedente, per l’anno successivo aveva in mente di farsi solo me. Poiché ero nauseata dei modi di mio marito che mi montava come una bestia e non mi degnava della minima attenzione (fa conto che in tutto il matrimonio non mi ha mai dato un bacio) mi organizzai per incastrarlo io. La ‘caccia’ cominciava quando i mariti partivano per l’estero, a fine agosto. Io, qualche giorno prima, preparai la camera, diedi appuntamento a Nicola e, come già ti ho detto, ci masturbammo solo reciprocamente … proprio come abbiamo fatto io e te. Gli dovette piacere molto perché, appena Antonio partì per la Germania, io e Nicola diventammo una coppia fissa; copulammo per undici mesi come se non ci fosse più un domani; a volte restavamo a letto, a cavalcaci come ricci, anche per un’intera giornata. Da una visita avevo appurato che non potevo avere figli e quindi non ci risparmiavamo niente; non c’è stato buco in cui non mi sia entrato; non c’è stata posizione che non abbiamo provato.”

Seba si solleva dalla vulva, scivola letteralmente sul letto, mi si stende addosso e mi penetra.

Sentirlo mi provoca effetti sconvolgenti; la mia vagina sembra tornata vergine, il bastone di carne si insinua con difficoltà e, contemporaneamente, con la  sollecitazione di zone del mio utero che forse erano sempre rimaste immuni; quando la cappella urta la cervice, ho uno scatto di dolore, ma poi tutto si trasforma in piacere puro.

Gli raccomando.

“Non venirmi in vagina; voglio qualcosa di grande da te.”

Ma intanto lui mi pompa con passione e metodo: sento la sua mazza attraversarmi la vagina, dall’utero alle grandi labbra fino quasi al punto di uscire; poi rientra con uno scatto violento o con lentezza studiata, ogni volta procurandomi nuovi piccoli orgasmi che si vanno ad accumulare verso l’esplosione finale.

Fermando per un attimo la monta, si abbassa sul mio corpo finché con le labbra raggiunge un capezzolo e prende a succhiarlo quasi con accanimento; lo spostamento del centro del piacere mi provoca nuova e violenta eccitazione.

E’ ormai più di mezzora che Seba mi possiede senza che il suo membro denoti il minimo cenno di flessione.

A quel punto si sfila dalla vagina, mi prende le gambe e mi ruota fino a farmi mettere bocconi sul letto.

Solo in quel momento si preoccupa di recuperare la vestaglia che era finita sotto la mia schiena, me la sfila e la lancia su una poltrona; col sesso ritto si avvicina al mio sedere ed io temo che voglia penetrare nel retto in quella posizione.

“Non ancora: non è ancora il momento di prendermi di dietro!”

Sposta leggermente verso il basso la punta del sesso e ritorna in vagina, stavolta da dietro; ed io provo ancora la sensazione della vulva che viene aperta ex novo con le esplosioni conseguenti di orgasmi.

Mi pompa per qualche minuto; poi mi sussurra.

“Vorrei godere.”

“Aspetta!”

Gli dico quasi preoccupata.

Lo spingo indietro, fuori dalla vulva, e mi rigiro di nuovo supina, gli alzo le gambe fino alle spalle e spingo il sedere in alto fino a poggiare sul letto solo con la cervicale.

“lo vedi l’ano?”

“Certo che lo vedo; e mi pare pure bello aperto!”

“Infilaci la mazza e falla entrare fino in fondo; se è necessario, allargami per fare spazio al tuo ventre fra le mie cosce; quando vedrai il membro ben piantato nel mio sedere, sbattimi fino ad eiaculare!”

Gli occhi di Seba brillano come se si fosse eccitato ancora di più.

Mi prende per le caviglie e divarica un poco le gambe; poi sento la cappella che preme sull’ano; per un momento ho paura che possa squarciarmi con la sua bestia; ma il ricordo di altri coiti anali mi rassicura; certamente non sarà un accoppiamento indolore, ma sono fermamente decisa a dargli e a prendermi una copula da ricordare.

Sento l’asta che entra; la avverto millimetro dopo millimetro e mi sento veramente squarciare l’intestino; provo dolore ma stringo i denti e lo incito a continuare.

“Dai … fottimi … stuprami … rompimi .. fammi ricordare per sempre il tuo sesso meraviglioso che mi spacca il sedere, che mi squarcia l’intestino …. che arnese stupendo … che amante infaticabile … è splendido farsi possedere da te …”

Seba è fuori della grazia di Dio; quando il membro è penetrato fino alla radice nel sedere, mi prende per le anche, mi solleva all’altezza del suo ventre e mi fa agganciare le gambe dietro le sue spalle, mentre io mi aggrappo con le mani al suo collo.

Mi trovo così aggrovigliata a lui, con il solo membro nel sedere e tenerci uniti; tenta un paio di volte di pompare in quella posizione, ma lo sforzo necessario è sovrumano; mi trasporta sul tavolino e mi appoggia sul piano pur rimanendo agganciati con le mani, con i piedi e soprattutto con il sesso nel sedere; la posizione gli consente adesso di pompare agevolmente; comincia a spingere dentro la mazza e a ritirarla fuori fino a farla uscire del tutto; poi la ripiomba dentro con forza e struscia le mie natiche sul suo ventre.

In quell’operazione mi sento aprire totalmente il ventre, l’utero sembra scoppiarmi e il clitoride è duro come un vero pene: ho una serie di orgasmi che mi squarciano una prima volta l’utero, poi la vagina, infine il clitoride: quando sento il membro vibrare nel retto, dall’intestino parte una scossa che colpisce lo sfintere ed attiva l’utero: l’orgasmo che ne scaturisce non ha niente di umano quasi come l’urlo che lancio e lo spruzzo di umori che scaglio sul ventre di Seba che, grugnendo come un maiale, mi esplode nelle viscere un orgasmo che sembra non terminare mai.

Facendo un ultimo sforzo, mi solleva dal tavolo e mi sposta sul letto dove piombiamo a corpo morto ma senza interrompere neppure per un attimo la penetrazione che ci congiunge: il suo sesso vibra ancora a lungo nel mio intestino ed io me lo accarezzo coi muscoli interni fino a che lo sento ridursi quasi alla metà della dimensione con cui era entrato; rilassandosi ancora, comincia a scivolare fuori dal retto; in un momento di resipiscenza, prendo dal comodino dei fazzoletti di carta e li appoggio tra ano e membro, sperando di arginare il flusso di sperma; ci riesco per buona parte, poi Seba prende dal bagno un asciugamano e me lo pone sotto al sedere.

Ci guardiamo appassionati.

“Mai fatta una cavalcata così.”

Dico; e lui.

“Ma non hai detto che con mio padre avevi fatto di tutto e di più?”

Mi esce spontaneo.

“Stupido! E credi che avrei fatto tante storie per fare con te qualcosa che già avevo fatto con altri?”

“No; scusami; scherzavo, ma forse ho esagerato.”

“Scusato. Vuoi fare una doccia?”

“Per lavare il tuo sapore dal mio corpo? No grazie, preferisco portarmelo ancora finché è possibile”

“Adesso vai a casa?”

“Si, mia madre non si rasserena se non mi vede rientrare.”

“E se annusa qualcosa?”

“Difficile; lei sembra ormai al di là e al di sopra di tutto. Valeria, piuttosto … “

“La tua ragazza?”

“Si; se sapesse si sentirebbe tradita.”

“E naturalmente è impossibile spiegarle che si è trattato solo di sesso e di suggestioni da antiche storie.”

“Già … a proposito: ma quanto c’entra, in quello che è successo tra noi, la storia con mio padre?”

“La mia amica psicoterapeuta ci impiegherebbe almeno tre o quattro anni di studio per chiarire; ed è già troppo impegnata a cercare di capire quanto la mia storia - genitori bigotti e stupidi che mi costringono a un pessimo matrimonio, marito animalesco ottuso, amante intenso ma senza prospettive e poi trent’anni di copule senza limiti senza obiettivi, senza amore - insomma tutti gli errori della mia vicenda possono avere condizionato certe scelte. Se le porto una meravigliosa cavalcata fatta col figlio del primo amante, addirittura negli stessi ambienti e qualche volta copiando la vicenda; se le racconto tutto questo, o lei impazzisce o mi fa chiudere in manicomio. Ma l’unica verità è che lo volevo, mi è piaciuto e lo ripeterei … a patto che non mi complichi la vita.”

“Ci si vede domani, allora.”

“Si. E forse non ci ricorderemo neppure di esserci già conosciuti.”

Mi sveglio tardi e mi trattengo a lungo in bagno; quando esco, non servono più la colazione e mi accontento di un caffè al bar dell’hotel: Seba non c’è, il suo turno comincia a pranzo.

Mi dirigo a piedi verso la piazza - ormai irriconoscibile - e vedo subito l’insegna dell’Agenzia indicatami nella lettera; entro: dietro al bancone c’è una signora intenta a digitare sulla tastiera di un computer; mi saluta con garbo.

“Buongiorno, desidera?”

Riconosco senza ombra di dubbio la voce di Donatella: invece che davanti alla macchina per cucire, stavolta siede davanti ad un computer, con la stessa efficienza e sicurezza.

Le porgo la lettera ricevuta.

“Lei quindi è la signora Cristina …”

Alza la testa e mi guarda più attentamente.

“Cristina!!!!!! Ma sei proprio tu?!? Quanti anni, Dio mio, quanti anni …”

 “Trenta; ma tu non sei quasi cambiata”

Suggerisco io.

“ Se è per questo, tu sei anche senz’altro migliorata. Come stai?”

Esce dal bancone e mi viene ad abbracciare; ricambio con convinzione il suo affetto.

Mi prende sottobraccio e mi guida verso l’uscita; ad una ragazza che stava sull’uscio raccomanda la ‘baracca’ e dice che sarebbe tornata di lì a poco.

Le chiedo dell’avvocato e mi dice che la residenza a San Rocco è solo ufficiale e burocratica; in realtà se ne sta in città e viene in paese solo in alcune ore della settimana o per incombenze particolari ‘come il tuo caso’ aggiunge.

La guardo con aria interrogativa.

Mi spiega allora che, approfittando dell’interesse che intorno alla zona si stava scatenando, l’Immobiliare aveva deciso di sfruttare alcune strutture edilizie per rilanciarle in una nuova dimensione.

Nel condominio dove io e i miei genitori avevamo l’appartamento, tutti gli altri proprietari si erano già convinti a vendere; restavano solo i due appartamenti di mia proprietà e poi avrebbero potuto realizzare il progetto di una struttura multipla con bar, ristorante e varie attività.

“Ma manca comunque la quota di Antonio.”

Obietto.

“No! Tu hai mai firmato un documento di separazione o chiesto il divorzio?”

“No!”

Rispondo categorica.

“Perfetto! Proprio in questi gironi, l’Agenzia è riuscita ad appurare che Antonio è morto in un paese della Germania del Nord per un incidente sul lavoro. Questo vuol dire che tu sei proprietaria unica dei due appartamenti. Se accetti di vendere, il progetto decolla dal mese prossimo. Che ne dici?”

“Quanto tempo pensi che durerà la faccenda?”

“Hai premura?”

“No, mi sono concessa una settimana di vacanza e potrei anche passarla qui.”

“Bene; allora credo sia il caso di dare un’occhiata e decidere se c’è qualcosa che vuoi salvare nelle case. Penserà poi l’Agenzia e fartele avere a Brescia.”

Troppe coincidenze cominciano a piombarmi addosso con il loro carico di suggestioni: il posto dove avevo fatto sesso con Nicola trasformato in hotel dove alloggio per qualche giorno e dove ho copulato con il figlio di Nicola; la persona che mi aveva ‘salvato’ da un ‘matrimonio da emigrante’ e mi aveva aperto gli occhi su altre dimensioni della vita che, ancora una volta, interviene ad indicarmi la strada.

Infine, rivedere la casa dei miei genitori, dove, comunque, mi sarei trovata di fronte a ‘reliquie’ del mio passato; ed anche la mia prima casa dopo il matrimonio che, con tutte le memorie fastidiose - se non dolorose - era comunque un riferimento per le mie radici.

Mi sento alquanto stordita e non sono neanche certa di voler affrontare tutto in una sola volta.

Ma Donatella è ormai una macchina avviata e che non poteva essere fermata; va a recuperare le chiavi dei due appartamenti e si dirige all’edificio che li contiene.

Quasi per un obbligo rituale, le chiedo di Nicola.

“Ormai vive stabilmente in Germania; ha incontrato una donna che possiede una gelateria e, in qualche modo, è diventato un suo uomo di fatica. Al paese è rimasta la moglie, una ragazza che forse hai anche conosciuto ma che sicuramente non ricorderai perché quando sei andata via aveva ancora le treccine. E con lei vive il figlio, suo e di Nicola, Sebastiano, un ragazzo in gamba che ha completato il corso di scuola alberghiera e ora lavora proprio alla ‘Casa delle Streghe’; sicuramente lo incontrerai.”

Non ritengo di farle sapere che ho già conosciuto, anche intimamente, Sebastiano e chiedo invece.

“E Genny?”

Visto che eravamo in clima di rimpatriata, mi pare inevitabile completare il giro.

“Si è sistemato in Svizzera, ha un ristorante ben avviato, è sposato e padre di ben tre figli”

Sorridiamo insieme, stupidamente; ma Genny accasato e padre di figli merita almeno un sorriso.

Le due ore successive passano a fare la ricognizione delle cose esistenti nei due appartamenti.

Le dico di dare in beneficenza tutto quello che ha un qualche valore e scegliamo alcuni oggetti (fotografie, vecchi giocattoli e ninnoli vari) che mi richiamano la mia infanzia; Donatella si impegna a farne un pacchetto da spedirmi a Brescia.

Poiché è ormai ora di pranzo, la saluto con affetto impegnandomi a passare ancora a salutarla prima di andare via; e ritorno all’albergo.

 signore piuttosto elegante al quale Seba fa cenno verso di me: capisco che mi aspettava.

Lo sconosciuto mi si avvicina con fare amichevole.

“Ciao Cristina.”

Poi, vedendomi decisamente perplessa.

“Non ti ricordi?”

Faccio cenno di no con la testa.

“Peppino … al tuo servizio.”

Con fare galante accenna un baciamano.

“Peppino … perbacco … non potevi essere che tu.”

Esclamo e lo abbraccio con affetto.

“Come stai?”

“Io benissimo; ma mi pare che anche tu sia proprio in forma. E’ vero che sei qui per la storia degli appartamenti?”

“Sarà pure cresciuto, San Rocco, ma resta sempre il paesello dove si sa tutto di tutti!”

“No, in questo ti sbagli. Io, oltre ad essere piccolo azionista dell’Agenzia, sono anche il loro architetto di riferimento. Quindi, capirai che seguo anche la tua vicenda; e ti posso assicurare che non è stato facile rintracciarti.”

“Ma è meraviglioso!!! Quindi tu riesci a fare l’architetto da San Rocco.”

“No. Le mie radici e la mia sede di riferimento sono a San Rocco; ma passo gran parte dell’anno in giro per il mondo dietro al mio lavoro.”

Lo guardo con curiosità; lui capisce le mie perplessità.

“No, non ricordi male; sono orgogliosamente omosessuale, ho avuto ed ho le mie storie, anche importanti; ma le vivo lontano da qui.”

“Non volevo essere indiscreta. Piuttosto, se sei l’architetto di riferimento forse puoi dirmi che intende fare la direzione.”

“In che senso?”

“Beh, piuttosto che vendere, io preferirei scambiare gli appartamenti di San Rocco con uno grande a Brescia, dove vivo da trent’anni. Credi che posso proporlo?”

“Certo, Anzi, saranno felici di accordarsi in questo senso. Abbiamo a Brescia belle proprietà e c’è almeno un attico che ti starebbe da Dio. Anzi, se arrivate ad un accordo, mi impegno a risistemartelo io, assolutamente gratis, e perfettamente adatto a te.”

“Ti ringrazio. Ma per questo abbiamo tempo. Piuttosto, che fai? Pranzi con me?”

“Molto, molto, molto volentieri.”

“Dammi dieci minuti per rinfrescarmi e intanto ordina, a tuo gusto anche per me.”

Quando mi siedo al tavolo, il pranzo è già ordinato e, come ho già avuto modo di rendermi conto, il cibo è di qualità superiore e il vino scende piacevolmente. Dopo pranzo, invito Peppino ad appartasi con me nella stanzetta che già avevo conosciuta; e noto che Seba ha nei suoi confronti un atteggiamento di disgusto, quasi come se la condizione di omosessuale lo turbasse; guardo con aria interrogativa Peppino e lui mi sussurra a fior di labbro.

“Lascia stare: è giovane!”

Ma io non sono d’accordo a lasciar stare e parto all’attacco.

“Sai; Peppino, in questi anni quando pensavo a noi - a te, a me e a lui - mi veniva in mente un famoso romanzo che fu anche un film, ‘Rebecca, la prima moglie’.”

“Non mi pare che sia molto calzante come paragone.”

“La storia no; ma il titolo si. In fondo tu sei stata in qualche modo la prima moglie a cui io ho preso il maschio …”

“Beh …  è un po’ pesante; io ho perso poco quando Nicola ha cominciato a copulare con te.”

“Poco!?!? … ma se lo spompavo fino all’osso …”

“Si … e poi lui correva a farsi perdonare e si faceva succhiare e mi penetrava nel retto fino a farmi sanguinare per riaffermare il potere sulla ‘sua schiavetta’. Più tu lo dominavi, più lui correva a possedermi.”

“Quindi tu sapevi praticamente tutto di me e di lui … “

“Certo; so benissimo che è stato proprio in questo punto che la vostra storia è cominciata e che in questa stanza si è consumata; potrei addirittura raccontarti quante volte lo avete fatto, come lo avete fatto e tu come reagivi.”

Sono sorpresa e un po’ delusa; ma sorrido soprattutto per la lealtà e la chiarezza di Peppino.

“Certo, dovevi essere assai innamorato … “

“Non di Nicola, con lui i sentimenti non attecchivano”

“Questo lo so, perché anch’io sono diventata come lui, con una madre che mi incitava a sopportare, con un marito che mi montava come una bestia, anzi peggio di una bestia, e con un amante che aveva come timone della vita il suo membro e correva dietro a qualunque mano lo masturbasse, a qualunque bocca disposta a succhiarlo, a qualunque vagina si facesse riempire e qualunque sedere si facesse sfondare. Ho imparato a non mettere amore per le persone ma solo per il piacere che posso ricavarne.”

“Io invece ho creduto sempre all’amore. Mi sono innamorato del sesso di Nicola - bada bene, del suo sesso, non di lui - quando ancora ero un ragazzino e neppure sentivo pulsioni sessuali. Vedere la sua mazza farsi gigantesca al tocco della mano mi faceva credere quasi ad un miracolo e rimanevo incantato per tutto il tempo di una masturbazione; quando poi esplodeva l’orgasmo e vedevo partire dalla punta fiotti di sperma che andavano a schiantarsi a quasi due metri di distanza, mi prendeva la frenesia di assaporarla, di farmela spruzzare sul corpo e sul viso, di spalmarmela sulla pelle. Quando mi disse perentoriamente ‘Prendilo in mano’ ebbi un colpo al cuore: eravamo sul solaio e c’erano anche Carmine e Checco; mi accostai quasi tremante e gli presi in mano il sesso con un’emozione che ancora ricordo fisicamente; lui mi prese il polso e mi guidò nella masturbazione; quando esplose l’orgasmo, il cuore mi si fermò per un attimo, dall’emozione, e portai il sesso alla bocca per ingoiare lo sperma; detto tra noi, era tanta che rischiai di soffocare e dovetti dirottarla per terra.”

“Ma, quindi, con Carmine e Checco facevate gruppo fisso?”

Annuì.

“Anche loro allora sono stati sempre al corrente?”

Accennò di nuovo di si con la testa.

“Che maledetto! E aveva giurato di mantenere il segreto …”

“A quello che dice Nicola, anche oggi, non bisogna credere per niente.”

Di sott’occhi guardavo Seba che si fingeva impegnato a spolverare mobili ma aveva le orecchie ben tese ai nostri discorsi; ormai ero morbosamente curiosa.

“E dopo quella prima masturbazione?”

 “Beh, tante e poi tante e poi tante altre manipolazioni. Io ero la ‘sua schiavetta’ e quando chiedeva ero pronto a tirarlo fuori dal pantalone, farlo indurire come l’acciaio e fargli una masturbazione strepitosa; anche più volte al giorno, in qualunque posto, non appena gliene veniva la voglia.”

“Quindi è vero che sei stata la prima moglie innamorata e forse anche fedele.”

“Quello si, senza alcun dubbio: da bravo ‘macho’, Nicola non accettava neppure l’idea che qualcun altro mi toccasse; ero e dovevo rimanere solo ‘sua’.”

“E gli altri due compari come si regolavano?”

“A parte il fatto che a quel tempo Carmine e Checco avevano - come del resto io - piselli minimi e ancora non eiaculavano, la consegna era poi categorica e assoluta: guardare, masturbarsi ma non sognarsi neppure di toccare; in pratica, nella mia lunga esperienza, non ho mai toccato nessuno dei due.”

“Tu sai che io una volta ho assistito ad un vostro incontro in terrazzo?”

Mi fece no con la testa con somma meraviglia.

“Beh, adesso sai che tutto è cominciato da quella volta che vi sorpresi sul terrazzo senza che ve ne accorgeste; direi che facesti ben altro, oltre alla grande masturbazione.”

“Ah, si; subito dopo venne l’ordine perentorio ‘leccalo’. Io ero spaventato perché ‘quella cosa’ la facevano solo le prostitute; ma visto che ormai ero la ‘sua’ toria e che già il sapore dello sperma lo conoscevo, mi abbassai a lambirlo con la punta della lingua, per poi infilarmelo direttamente in bocca. Fu un’emozione tremenda, sentirlo vibrare tra lingua e palato; credo di essere andato in estasi per qualche attimo; poi Nicola cominciò a pomparmi in bocca e provai fastidio, fino ai conati di vomito. Lo fermai decisamente e lui si calmò e cominciò a spingere in gola con più delicatezza. Ero estasiato dalla sensazione del sesso in bocca che vibrava e mi sollecitava le papille di tutto il cavo orale. Le ginocchia mi si piegarono dal piacere quando avvertii dalle vibrazioni che si avvicinava il momento più intenso, quello che aspettavo da sempre, l’eiaculazione in bocca. Quando arrivò, fu un’esplosione di fuochi d’artificio nel cervello, nel cuore e nelle viscere; appoggiai la lingua sulla punta per regolare il flusso e mi feci scorrere in gola tutto il contenuto dei testicoli che si svuotavano dentro di me. Fu una apoteosi di sesso, un’estasi dei sensi.”

“Poi gli desti anche il sedere.”

“Ah, che ricordi! per qualche settimana mi alternai tra masturbazione e fellatio, ogni volta inventandomi cose nuove per stimolare la sua eccitazione. Quando quella domenica pomeriggio mi disse ‘Oggi ti monto nel sedere’ lo abbracciai con amore, al pensiero di realizzare il mio sogno, farmi entrare nel sedere quel meraviglioso bastone di carne.”

“Come si comportò?”

“Non ti riesce di intuirlo? In quei momenti era peggio di tuo marito Antonio. Membro duro appoggiato all’ano, mi abbrancava per le anche e mi tirava verso di sé, mentre col bacino spingeva per dare forza alla penetrazione, senza preoccuparsi di lubrificare o di entrare piano per non squarciarmi. Quando mi sentì lanciare il primo urlo - assolutamente disumano, credimi, perché la cappella mi aveva lacerato il buchetto decisamente troppo piccolo e stretto per una mazza come la sua - solo allora si spaventò e si fermò. Successivamente, per fortuna, avrebbe imparato a leccarmi il buco a lungo: e ti dirò che ci sapeva anche fare, con una lingua lunga e sottile che entrava fin oltre lo sfintere, quasi nel retto. Infatti tutte le penetrazioni successive furono lente, dolci e piacevoli. Solo la prima risultò dolorosa; ma io ero disposto a tutto per prendermelo dietro.”

“Quindi, in qualche modo ti dimostrava affetto e un po’ di rispetto … “

“Ma scherzi?!?! Era insensibile e spietato. Fa’ conto che un’infinità di volte, mentre me lo metteva in mano, in bocca o nel sedere, si eccitava parlandomi delle ‘vedove bianche’ che al momento lo richiedevano e mi descriveva nei particolari quello che facevano; più ancora, mentre pompava con rabbia nel mio sedere, mi descriveva che cosa avrebbe voluto fare a quelle che ancora non gli si erano concesse.”

“Quindi, ti ha penetrato anche parlando di come voleva copulare con me … “

“Non puoi immaginare neppure quante volte! Eri diventata quasi la sua ossessione; ormai ogni giorno, da quando ti eri sposata, non faceva che contare i minuti che ci separavano dalla partenza di Antonio per potere avere campo libero con te.”

“Lo so, perché anche quella volta che vi ho ascoltato sul terrazzo parlò della cosa con estrema convinzione e ti confesso che non riuscivo a capire se stesse eiaculando perché ti pompava nel sedere o perché già sognava il mio, di sedere.”

“Un po’ tutte e due le cose; ma lui non aveva sensibilità e il mio sedere poteva anche identificarsi col tuo che non conosceva.”

Seba aveva ascoltato tutto e se ne andò stravolto; ma non me ne curai: in fondo, l’aveva meritato.

“A proposito di culi indifferenziati, ti è mai capitato di fare sesso anale con una donna?”

“Strana domanda. … Si mi è capitato e non me ne sono mai pentito; ma tu hai fatto quest’esperienza?”

“Si, ho provato anche questo: mi incuriosiva il fatto che uno, assolutamente e totalmente passivo, in certe occasione si eccitasse e penetrasse il compagno che, teoricamente, avrebbe dovuto essere solo attivo. Una sera andai in camera con tutti e due e, quando furono ben eccitati, il primo penetrò il secondo; io mi misi davanti, a trenino, e me lo presi nel sedere. Alla fine, al mio amico per poco non prendeva un infarto per avere penetrato una donna. Ma credo che siano solo pregiudizi; il piacere ha altre vie.”

“Stai suggerendomi una soluzione a tre?”

“Se si trovasse un terzo valido e disposto … “

E mentre lo dicevo, il mio sguardo andava a Sebastiano.

“Mi pare che il tuo obiettivo sia assolutamente fuori portata non è suo padre …”

Commentò Peppino.

“No, è meglio e peggio …“

“Che vuoi dire? E che ne sai?”

“Voglio dire che è meglio perché ha una dotazione che è una volta e mezza quella del padre, la sa usare meglio, apprende rapidamente e si adatta al nuovo. E’ peggio perché ha ancora una fodera di pregiudizi nel cervello e tocca a noi fargli chiarezza.”

“Scusa, ma tu che ne sai?”

“L’ho provato ieri sera, cominciando proprio da qui dove siamo adesso … e credo che stia maturando una coscienza e una conoscenza diverse …”

“Complimenti!!!! Sei veramente sorprendente! Posso fare un pensierino sulla tua ipotesi?”

“Quanto vuoi; e, quando avrai trovato una risposta, quale che sia, io sono disponibile: ho voglia di provocarti e di coinvolgerti.”

“E dici che questo non è amore?”

“Per il sesso, non per te; ed è anche amore per il piacere e per la curiosità nel piacere. Adesso vado a riposare. Ciao!”

“Vado a riposare anch’io. Ho la suite proprio accanto alla tua; ma mi trattengo a bere ancora un poco.”

Seba si è avvicinato con un’aria meno ostile e più incuriosita.

“Vado a riposarmi qualche ora; se per le sei e mezza non mi vedi giù, mi fai la cortesia di svegliarmi?”

“Ti porto anche il caffè, se non scendi prima?”

“Grazie, sei un tesoro. Ti lascio la porta aperta così sei libero di entrare.”

“Ciao”

Ed esco facendo un occhiolino a Peppino che sorride sornione.

Rientrata in camera, vado in bagno per struccarmi e lavarmi; indosso la solita vestaglietta di seta e mi stendo sul letto; mi libero anche della vestaglia e mi accarezzo un poco tutto il corpo.

Mi accorgo che ho copulato bene, per essere una vacanza; ma soprattutto che ho fatto le cose quasi come in un pellegrinaggio, esattamente quello che non volevo accadesse.

Però, a parte le emozioni legate agli appartamenti in sé e alla storia che raccontavano; a parte l’incontro inatteso con Donatella, le scopate con Seba sono certamente conseguenza del legame che inevitabilmente ho ancora con le mie radici.

E questo vale anche per Peppino, che certamente è improbabile come obiettivo sessuale, ma che comunque mi richiama alla mia vita passata.

Tutto, però, in questo viaggio sa di ricordo, di recupero, di vendetta o chissà ancora che; e non posso sottrarmi al piacere sensuale di godermi le situazioni, le persone, le parole e tutte le suggestioni intorno.

Penso alla prospettiva di serata e mi sorprendo a ipotizzare scene straordinarie di rapporti multipli per mettere insieme il passato e il presente, i protagonisti veri e i loro surrogati, il piacere del sesso e la voglia di recuperare quello che si pensa di aver lasciato dietro lo spalle.

Insomma, l’idea del cazzo di Seba che si incontra col sedere di Peppino e che tutti e due i loro cazzi si incontrano con la mia vagina e il mio sedere mi manda in brodo di giuggiole.

Mi trovo con la mano che ravana nella vulva quasi senza accorgermene e, quando ne prendo coscienza, mi do da fare a masturbarmi con infinita sapienza.

Mi interrompe il rumore della porta accanto che si apre: deve essere Peppino che va nella sua suite; non è solo, perché parla con Seba ma il tono è amichevole, quasi affettuoso: forse si sono chiariti.

Mi piacerebbe che il sogno si realizzasse.

Su questa dolce suggestione cado lentamente in deliquio e sprofondo nel sonno.

Mi sveglia l’odore dl caffè e, quando apro gli occhi, mi vedo completamente nuda sdraiata di traverso sotto lo sguardo acceso di Seba che mi fa.

“Ben svegliata; il caffè è pronto!”

Mi sollevo a sedere e per un attimo appoggio una mano sulla sua patta già gonfia in maniera evidente; mi ritraggo subito e prendo il caffè.

“Forse è meglio aspettare stasera!”

Mi dice con aria complice e discretamente esce dalla camera.

Sorseggiando il mio caffè, vado in bagno e mi ficco sotto la doccia; una sferzata d’acqua fresca è la sveglia migliore dopo un riposo pieno; per vestirmi decido di partire dal presupposto che la serata sarà piena e intensa: solo un abito lungo, di seta, legato in vita da una cinta della stessa stoffa che parte dai due lembi, attraversa la stoffa in un’asola e si richiude davanti; sotto, niente reggiseno, niente mutande; in pratica, se si scioglie il nodo della cintura, io rimango nuda completamente; ma è così disponibile che voglio essere stasera.

Scendo le scale tra gli sguardi più che ammirati di tutti, ospiti e personale, e qualche commento più o meno contenuto che sottolinea l’effetto della mia mise; Peppino è già al bar.

“Allora, che progetti hai? Ceniamo qui o hai altre ipotesi?”

“Facciamo tutto qui.”

La risposta contiene tutte quelle che avrei potuto desiderare: cena e dopocena in hotel; ‘con Seba’ speravo tra me e me; ma non potevo avere nessuna certezza.

“Prendiamo un aperitivo?”

“Si, ma andiamo a berlo in saletta.”

Peppino è decisamente una persona squisita e mi fa sentire bene; ci andiamo a sedere sull’ormai ‘solito’ divanetto per due e Seba viene a portarci da bere; in quel momento, Peppino viene convocato nell’ufficio e per qualche momento restiamo io e il giovanotto.

“Allora?! Cosa ne pensi?”

“Di cosa?”

“Non cercare di fare il furbo con me: so già che sei pieno di pregiudizi e che molte cose ti sono apparse sotto una luce completamente diversa. Adesso cosa ne pensi?”

“Posso raccontarti qualcosa di molto intimo?”

Faccio una smorfia per dire che parli liberamente

“Stamattina ho avuto una lunga chiacchierata con mia madre. Le ho detto che sapevo tutto della storia tua e di papà, le ho detto che ho fatto l’amore con te; si è inviperita e mi ha quasi aggredito; le ho confessato che farlo con te era stata solo un’alternativa a farlo con lei. Quasi non ci credevo; mi ha messo le mani nel pantalone e ha preso il mio sesso; senza parlare, le ho catturato la vulva da dentro alle mutande e ho voluto che ci masturbassimo a vicenda, esattamente come ho fatto con te ieri sera. Stasera, se non torno tardi, o al massimo domani mattina finalmente ci copulerò e credo che sarà il giorno più bello della mia vita.”

“Ne sono convinta e sono felice per te; credimi, a queste condizioni, non devi neanche pensare di tradire la tua fidanzata; ma lei è meglio che non sappia; non capirebbe. Invece è giusto che tu abbia capito e che abbia scelto per quello che a te pare il meglio.”

“Sai, ho parlato anche con Peppino; non riuscivo neppure a immaginare che ci fosse stata tanta intensità di rapporti tra lui e mio padre - che, detto tra noi, si è comportato veramente da porco, con lui, con te e con mia madre: ma questo è un altro discorso -; mi ha chiesto se stasera ero disposto a un incontro a tre con te e con lui; gli ho detto di si.”

Prendo una sua mano e me la porto sotto il vestito fino alla figa.

“Sono così felice che, come puoi constatare, mi bagno solo a pensarci.”

“Ma sei completamente nuda!!!!”

“Certo, vi sto già aspettando.”

Peppino rientra e Seba educatamente si ritira.

“Problemi?”

Gli chiedo.

“No, l’avvocato sarà qui domani dopo pranzo ed ha carta bianca per chiudere con te; ho detto che ci sarò e valuteremo insieme.”

“Grazie, sei proprio un caro amico.”

Mi sporgo a baciarlo sulla guancia e faccio in modo da scivolare per un attimo sulle labbra, che accennano ad aprirsi.

Dopo l’aperitivo Peppino mi chiede se sono disposta ad affrontare i pettegolezzi del paese passeggiando con lui sul corso; lo prendo sottobraccio e ci avviamo all’uscita.

Effettivamente dagli sguardi dei cittadini, dai commenti a fior di labbro, ma soprattutto dalle persiane chiuse ma palpitanti di vita si capisce che siamo l’oggetto del pettegolezzo e non so se per la coppia mai vista prima, se per il mio abito ‘troppo’ in quell’ambiente o se per la particolarità di Peppino - di cui tutti conoscono i gusti ‘perversi’ - con una bella donna per molti sconosciuta.

Sulla piazza, quasi inesorabilmente, incontriamo Donatella, che ci abbraccia affettuosa e commenta.

“Che bella coppia!”

“Già, come Bonny e Clyde.”

Aggiungo ironicamente; Donatella mi saluta con un buffetto sulla guancia che è più di una carezza e svolazza via.

Peppino commenta.

“E’ proprio così, a San Rocco: ufficialmente, siamo una bella coppia, alle spalle, siamo due pervertiti alla Bonny e Clyde.”

“Se ci pensi, però, la situazione è la stessa anche a Brescia o a Milano.”

Decidiamo di fregarcene e lo prendo nella vita come fossimo due fidanzatini alla prima uscita.

“Seba mi ha detto che stasera sarà della partita.”

“Si; e non ho neanche dovuto forzarlo, si è proposto da solo.”

“Ti avevo detto che è meglio del padre, soprattutto pronto a capire e a fare sue le cose. Ha il limite dei preconcetti paesani, proprio quelli di cui parlavamo adesso; ma quelli nei miei confronti mi ha detto di averli cancellati; e credo che abbia cancellato anche quelli nei tuoi confronti.”

“Ok; vuol dire che sarà un bel dopocena. Non ti nascondo che mi emoziona non poco l’idea di copulare col figlio del mio primo grande amore; tu che l’hai già sperimentato, che sensazioni ne ha ricavato?”

“Senza dubbio è un momento di forte impatto; però, in primo luogo le nostre situazioni erano e sono diverse; in secondo luogo, io ho diluito le emozioni in almeno due momenti; mi pare di averti già detto che prima ci siamo limitati ad una masturbazione reciproca e poi abbiamo copulato alla grande. Inoltre, l’incognita maggiore per te è il rischio di farti coinvolgere dal sentimento; se riesci a mantenerti nei limiti della pura sessualità sarà tutto più facile.”

“Hai ragione; comunque, spero molto nel tuo aiuto.”

“Puoi contarci.”

Abbiamo intanto ripreso la via verso l’hotel e ci sediamo a cenare.

La cena si svolge nella massima cordialità; tra le altre cose, Peppino è un ottimo conversatore e con lui non si rischia certo la noia; dopo la cena, Seba ci prepara il solito angolo riservato con liquori e dolcetti; ci sediamo sul solito divanetto per due; dopo qualche tempo, faccio in modo da sollevare il vestito fino ad avere il sedere quasi nudo e, se non in vista, almeno accessibile immediatamente: Peppino nota il movimento e, senza esitazione, infila una mano sotto il vestito, dietro la mia schiena, e si infila direttamente nel solco tra le natiche da cui scende lentamente fino all’ano; prima che io stessa me ne possa rendere conto, due dita si sono infilate nella mia vulva, raccolgono gli umori che già trasudano abbondanti e si vanno ad infilare direttamente, ben lubrificati, nello sfintere che reagisce con potenti pulsioni al ventre; i primi piccoli orgasmi mi squassano la vulva; con la scusa di togliere una pagliuzza, mi infila una mano nel vestito e va a carezzare un capezzolo già dritto come un fuso; sono sconvolta da queste iniziative “etero” di Peppino; ma ne sono anche molto eccitata.

La situazione si fa calda, in tutti i sensi; anche perché in quel momento si presenta Seba e si pianta diritto davanti a noi, in parte per entrare nel gioco, ma più ancora per coprire la visuale dalla porta; naturalmente, Peppino ne approfitta per abbandonare il mio sedere, aprirgli la patta e tirar fuori il membro, che lo lascia quasi stordito; vedo che si ferma ad osservarlo un po’; Seba ne approfitta per sollevarmi dal divano e infilarmi immediatamente una mano fra le cosce fino ad arpionare la vagina in cui infila almeno tre dita (nell’orgia dell’eccitazione non riesco neppure a contarle); non contento, mi tira fuori una tetta e si china a succhiarla.

Peppino, quasi per gelosia, riporta la mano fra le natiche e torna a infilarmi due dita nel sedere titillandomi con passione; per quanto eccitante, la situazione non mi piace: sentirmi manipolata in figa e sulle tette, da Seba, e nel sedere, da Peppino, senza aver nessun ruolo attivo mi fa sentire in qualche modo usata; mi libero quasi con malgarbo, mi riassetto l’abito sgualcito e decido.

“Ok; per ora basta; riprenderemo con più calma e maggiore discrezione più tardi nella mia camera.”

Anche se, mentre lo dico, sento i miei umori scorrere dalla vulva fin quasi al pavimento; i due si arrendono e si ricompongono.

“Quando stacchi?”

Domanda Peppino a Seba.

“Stasera ho anche la chiusura; almeno ancora un’oretta.”

“Allora ci vediamo sopra da Cristina.”

Saluto Seba con una carezza sul viso e insieme a Peppino vado verso le camere: mi accorgo che lui è particolarmente teso e gli chiedo perché.

“Mi succede sempre ai primi appuntamenti; figurati poi a questo dove spero di farmi sbattere dal figlio del mio primo amore e di potermi divertire un poco con quella che in parte me lo strappò.”

“La motivazione vale anche per me: il figlio e il primo amante del mio primo amante; a raccontarla, non ci crede nessuno. Ma io è da tempo che queste emozioni ho imparato a dominarle e quasi non mi fanno più effetto!”

“Beata te! Ma ora cerchiamo di non pensarci. Che facciamo? Vengo già da te o aspettiamo Seba?”

“No, fai quel che devi e poi vieni da me; io intanto mi rinfresco un poco. Anzi, ti lascio la porta aperta così appena vuoi, entri.”

In bagno, mi strucco, mi sciacquo un poco la figa, indosso la mia solita vestaglia e mi sdraio sul letto; dopo poco la porta si apre e Peppino entra avvolto in un kimono giapponese di elegante fattura; lo guardo ammirata, scendo giù dal letto e vado ad abbracciarlo dietro le spalle; provocatoriamente, appoggio tra i glutei il monte di Venere e spingo mimando una penetrazione anale; sento di urtare qualcosa all’altezza dell’ano, sposto il Kimono e mi appare un nodoso bastone che emerge tra le chiappe

“Ti sei preso avanti?!”

Commento e mi abbasso a studiare il dildo che si è infilato nel sedere.

“Venticinque centimetri con vibrazione a velocità regolabile: roba di lusso!”

Esclamo provocatoria; faccio scivolare a terra il kimono e la mia vestaglietta, appoggio la figa al manico del dildo e comincio a spingere; sento che ansima; insinuo una mano e sposto la manopola sulla massima vibrazione; sento le chiappe ballare con tanta energia da trasmettere la vibrazione anche alla mia vulva e provocarmi intensa goduria.

Trema anche col petto; stringo l’abbraccio e incollo sempre più il mio ventre alla sua schiena accentuando la vibrazione di riflesso sulla mia figa; gli passo le mani davanti e sento il petto villoso; raggiungo i capezzoli e prendo a titillarli: come immaginavo, è molto sensibile in quel punto e comincia a vaneggiare.

“Si … si … ancora … ancora … “

Faccio scivolare le mani sul ventre e incontro il sesso: è molto più duro di quanto potevo immaginarmi in un omosessuale in intimità con una femmina; ed è soprattutto un membro assai notevole; comincio a masturbarlo con tutta la mia sapienza (che non è poca!); ricordandomi della sua auto definizione di ‘schiava’ comincio a rivolgermi a lui con arroganza machista.

“Belle le tue chiappe; te le voglio proprio martirizzare; … che buco di sedere : è proprio spanato, ma io te lo devo rompere ancora di più, deve essere mio!”

lo sento agitarsi in preda ad una vera sofferenza, ma so che è piacere puro.

“Adesso ti faccio vedere io come ti spacco il sedere, come ti squarcio l’intestino, come ti lacero lo sfintere!”

Ormai è entrato nella parte ed è quasi scatenato; picchio quasi con violenza sul manico del dildo; me lo faccio penetrare nella vagina, tanto sono appiccicata a lui; e sento che si apre sempre più, al di là di ogni limite umano.

All’improvviso, si volta, mi afferra per le braccia e mi obbliga a piegarmi sul letto; mi sbatte con violenza il membro sulle natiche, me lo struscia con forza sull’ano e spinge per farlo entrare, ma lo sfintere non cede; rabbiosamente, sposta la cappella in giù e la infila nella vagina, fino all’utero, con violenza; ma ritira subito fuori la verga e, lubrificata come esce, riposiziona di nuovo la cappella sull’ano, spinge quasi con violenza e la mazza mi sprofonda dentro fino alla radice.

“Ecco, grande troia, ecco come ti possiedo; … ecco come ti sfondo, ti rompo, ti lacero, ti squarto …  così impari a rubarti il maschio che è mio …”

Lui è decisamente molto eccitato e, mentre mi violenta il sedere, spinge con una mano il dildo in fondo nel suo intestino per prendersi due piaceri contemporanei; anche io, però, sono sovreccitata ed accolgo la sua mazza nel sedere con grande soddisfazione: non è più grossa di tante che ne ho prese nella mia vita; ma la situazione surreale di un amante in qualche modo ‘tradito’ che si vendica di chi lo ha offeso spaccandole il sedere è di una eccitazione enorme: ed io me la godo fino in fondo; anzi, all’apice del piacere mi trovo a squirtare con violenza bagnando il ventre a lui e le natiche a me.

Entrando in camera, Seba ci trova così: io completamente nuda piegata a pecorina sul letto con un arnese che mi martella incessantemente il sedere e lui in piedi dietro di me che picchia con forza il ventre sulle mie natiche, mentre dalle chiappe gli sbuca il manico di un dildo di grosse dimensioni; si ferma sorpreso per un attimo; e Peppino è velocissimo a sfilare il membro dal mio sedere, facendomi urlare dal dolore (un arnese duro strappato via da uno sfintere provoca più dolore dello stesso arnese quando viola per la prima volta lo stesso sfintere!); con la stessa rapidità si strappa dal sedere il dildo e lo butta su una sedia; e si lancia sulla patta di Seba come un lupo affamato si lancia sulla preda appena conquistata: in pochi secondi, gli sfila la cintura, abbassa insieme pantaloni e mutande; ingoia letteralmente il sesso ancora barzotto; e comincia a succhiarlo come un gustoso bastone di caramello.

Mi riprendo anche io, mi avvicino ai due e comincio a togliere a Seba la camicia che mi dà via libera ai suoi pettorali; strofino le tette contro le sue e con le dita accarezzo i capezzoli che si irrigidiscono al’istante; anche l’asta subisce una netta impennata e Peppino deve rallentare per non rimanere soffocato dalla mazza che gli è cresciuta in gola; bacio appassionatamente Seba sulla bocca, mentre Peppino, sotto di lui, provvede a liberarlo da pantaloni e mutande; tutti e tre ormai nudi, ci accostiamo al letto; spingo Seba sul letto e Peppino si precipita a prendere di nuovo in bocca il membro che per un attimo aveva abbandonato; con una manovra contorta, ma pensata a lungo, sposto il mio basso ventre sulla faccia di Seba che intuisce e prende a leccarmi vulva e sedere; con altre contorsioni, rivolgo la testa al ventre di Peppino e mi prendo in bocca il suo membro.

Comincia così una triplice fellatio in cui non è possibile stabilire per ciascuno degli attori se sia maggiore il piacere che prova ad essere succhiato o quello che gli dà succhiare; per quello che mi riguarda, ho sempre amato le azioni ad una sola direzione: succhiare non mi fa godere l’essere succhiata come il sentirmi strappare l’anima dalla figa con un’abile succhiata mi impedisce, al tempo stesso, di godermi un sesso risucchiato fino in fondo ala gola; ma quella situazione è talmente intrigante che tutto è piacere allo stato puro; dopo un po’ di tempo trascorso a carezzare, leccare, succhiare, farsi penetrare in profondità fino quasi a  soffocare, Peppino sembra prendere una decisione.

“Ora ti voglio nel sedere.”

Dice a Seba e si sistema gattoni sul letto per farsi penetrare; l’altro non si fa pregare; gli si accosta in ginocchio alle spalle, appoggia la cappella all’ano e con una spinta decisa sprofonda nel retto fino ai testicoli: il dildo aveva già provveduto ad aprire la strada; e i numerosi orgasmi miei che gli erano passati sul sedere avevano in parte lubrificato il condotto; ma mi lascia comunque senza fiato la semplicità con cui il sedere di Peppino riceve la mazza che io avevo provato con qualche difficoltà e certamente con dolore: lui invece non fa una piega e, girate le mani indietro, lo prende per le anche e se lo spinge contro per accentuare la penetrazione; lo guardo meravigliata, mio malgrado.

“Te l’avevo detto che per me era di grande importanza prendermi nel sedere il membro straordinario del mio primo grande amore; è quasi come prima, quando ero entrato nella logica di violentare la donna che mi aveva sottratto una parte di quell’amore; non ce l’avevo con te, ma volevo riprendermi dalla vita qualcosa che sento perduto.”

“Giusto! E allora mi pare più giusto anche questo!” Commento e, dicendolo, mi accovaccio davanti a lui col sedere diretto al suo sesso; infilo la mano tra le cosce, prendo la mazza e me la infilo direttamente nello sfintere che ancora mi duole per la violenta uscita precedente.

Ancora una volta, Peppino sembra scatenarsi, quando si rende conto che il suo membro viola il sedere di una femmina.

“Certo, hai ragione; è proprio così: io adesso sto prendendomi nel retto il sesso del figlio di Nicola e sto infilando il mio membro nel sedere della sua amante migliore: non poteva esserci situazione più completa.”

Rispondo come avevo fatto prima, cominciando a provocarlo per scatenare tutta la sua libidine.

“Dai … scopami … fammi vedere che vali … spaccami il sedere … squarciami le budella … spanami lo sfintere … montami a sangue … sfoga la tua libidine nel mio sedere …”

A mano a mano che incito, sento la sua voglia farsi maggiore e il sesso premermi sempre più a fondo nell’intestino al punto che qualche colpo mi fa persino male; ma la libidine che si è scatenata prende ormai tutti e tre: Seba che picchia con ardore il suo enorme arnese nel sedere di quello che è, involontariamente, diventato il ‘suo’ amante; Peppino, che martella il mio sedere con il suo sesso non indifferente; ed infine, io, che godo soprattutto nel gestire e dirigere quella sessualità sfrenata.

Un colpo più violento, il membro che mi si inchioda nel sedere e Peppino che urla con voce soffocata ‘Godo, godo … sto esplodendo!”; gli fa eco immediatamente Seba ‘Vengo … vengo!’ Io non ho neppure bisogno di comunicarlo perché comincio a squirtare addosso a Peppino mentre lui mi inonda l’intestino di sperma e si prende, intanto, quella, assai più abbondante, di Seba.

L’esplosione conclusiva ci ha distrutto letteralmente: Seba fa fatica a sfilare il membro dal sedere di Peppino e, una volta libero, si sdraia a fianco a me per riprendere fiato; Peppino deve assorbire le emozioni della mazza presa nel sedere prima di riuscire a rilassare il membro che mi ha piantato in corpo; quando si sfila e si sdraia anche lui, dall’altro lato, sono io a rilassarmi e a stendermi a corpo morto sul letto, nel punto stesso dove sono stata posseduta.

“Che situazione meravigliosa!”

E’ il commento di Peppino; lo accarezzo sul viso per dimostrargli solidarietà nel giudizio e l’intenso piacere che ancora mi cullo addosso; Seba non fa commenti ma dalla rilassatezza del corpo si deduce che ha goduto moltissimo; Peppino va in bagno per liberarsi dello sperma preso in corpo e degli umori che gli ho schizzato sul ventre; Seba ne approfitta per sussurrarmi.

“Io tra poco devo andare via.”

E, di fronte al mio sguardo interrogativo.

“Ti ho detto che ho avuto un approccio positivo con mia madre. Se torno presto voglio proprio copularci.”

“Sono felice per te; domani spero che mi racconterai. Se ci pensi, hai avuto proprio una bella esperienza sessuale: prima io, l’amante privilegiata di tuo padre; poi Peppino, il grande amore misconosciuto; e, alla fine, anche tua madre. In pratica, ti sei preso il meglio della storia di tuo padre. Forse era proprio questo che volevi. Anche per questo, sono felice per te.”

Per tutta risposta, mi accarezza una guancia.

Intanto Peppino è rientrato ed io decido di lanciare l’ultima provocazione.

“Decidiamo che ognuno torna al suo lettino o ci facciamo un ultimo giro di giostra?”

Seba ha qualche perplessità, ma l’entusiasmo di Peppino lo travolge e mi si lanciano addosso insieme.

Dico a Seba di sdraiarsi supino sul letto, gli monto sopra e comincio a strusciarmi su lui; Peppino si butta sul membro e lo prende in bocca, dietro la mia schiena, per farlo tornare rapidamente duro; Seba non ha bisogno di sollecitazione e dopo poco la sua asta si erge superba; guido la cappella verso la mia vulva, infilandomi la mano tra le cosce, e comincio a muovermi sul sesso in un saliscendi ad alta tensione erotica; quando sento che l’asta è tutta piantata nel mio ventre, mi siedo sopra ed impongo a lui di stare fermo; mi abbasso a baciarlo e lo obbligo a succhiarmi le tette giunte la livello della sua bocca.

“Voglio provare una doppia.”

Sussurro; e Peppino capisce il mio intento, si accosta alle mie spalle, punta l’asta all’ano e spinge; ma l’asta non entra, impedita com’è dalla mazza enorme di Seba che mi riempie il ventre e impedisce altri ingressi; Peppino va in bagno e torna con il lubrificante che ha già visto sulla mensola; me ne spalma abbondantemente sull’ano e dentro lo sfintere, infilando prima una e poi due dita; se ne spalma in abbondanza anche sul sesso; al tentativo successivo, il cazzo penetra lentamente; mi sento letteralmente squartare: mai avevo provato una sensazione così violenta di apertura delle carni: i due sessi in contemporanea sono decisamente troppo anche per condotti dilatati come i miei.

Ma nessuno dei tre vuole arrendersi e sento, sotto di me, Seba che preme il sesso contro l’utero con forza sovrumana; Peppino, alle mie spalle, che spinge la mazza come se fosse l’ultima speranza di vita; ed io che metto in atto ogni conoscenza e mezzo per attivare i muscoli interni, dilatarmi al massimo e lasciarmi penetrare: alla fine il bastone passa, con un mio urlo disumano; i due si fermano per un attimo a lasciare che il mio corpo si adatti alla penetrazione e poi cominciano a muoversi in armonia: uno spinge dentro mentre l’altro tira fuori ed io sento tutto il ventre scosso da emozioni che non sono più il dolore ma continui piccoli orgasmi che si sommano e preparano l’esplosione violenta; lo strofinio tra i due membri, separati da un velo di tessuto molle, raddoppia il piacere della penetrazione; la pressione su aree nuove della vagina e del retto accentua il mio godimento; il gioco del dentro - fuori continua per un bel po’ ed io sento l’eccitazione dei due salire alle stelle insieme alla mia.

L’esplosione è improvvisa, anche se è stata perseguita e ricercata per tutto il tempo; e sembra bruciare gli ultimi residui di coscienza di tutti e tre; sento Seba esplodermi nell’utero una sua enorme eiaculazione che, ad ogni spruzzo, mi scatena un orgasmo nuovo; dietro, Peppino mi inonda il retto e provo uno stimolo feroce a defecare, mentre il suo sperma mi lava l’intestino; resisto e aspetto; alla fine, crolliamo impilati l’uno sull’altro; Peppino cede per primo: il suo membro s’ammoscia, scivola via dal sedere ed io lo spingo giù sul letto; lentamente, mi sfilo anche dal sesso di Seba, mentre dall’ano e dalla vulva mi colano giù fontane di sperma che si riversano sul letto; e mi scavalco dal suo corpo per distendermi a fianco; rapidamente, Seba approfitta dello stato di deliquio di noi due per rivestirsi e imboccare l’uscio, con un ultimo saluto della mano e un ‘grazie’ sussurrato e fior di labbra.

Vado in bagno a lavarmi almeno sedere e figa che ancora colano sborra; quando ho finito, torno in camera e trovo Peppino che, sdraiato sul letto, guarda il soffitto con aria trasognata.

“Che ti prende?”

Chiedo.

“Ancora non ci credo: mi sono fatto penetrare nel retto dal figlio di Nicola e ti ho penetrato nel sedere due volte in una sera.”

“E con questo?”

“Tutta una vita in due ore, dalla mia omosessualità tradita al mio bisogno di fare sesso ancora con Nicola, pur se attraverso il figlio che, detto tra noi, è anche assai meglio come amatore.”

“Questo te lo avevo già anticipato; per quel che riguarda il rapporto con me, un sedere è un sedere, non importa se di femmina o di maschio; e tu credo che ne abbia già provati, di sederi. Il problema sarebbe se tu mi scopassi in vagina.”

“Problema per chi?”

“Mah … per te, ovviamente, che ti fai tanti scrupoli; per me sei prima di tutto e soprattutto un organo sessuale da prendere in mano, in bocca, nel sedere o in vagina, dovunque, con la sola condizione che mi faccia godere.”

“E se io adesso ti proponessi di penetrarti in vagina?”

“E’ una minaccia o una promessa? Qui ci vuole proprio, questo luogo comune. Se ancora ne hai la forza - e lo sperma - fammi godere e mi faccio penetrare in tutti i buchi.”

Non scherza, Peppino: mi prende per la vita e mi fa piombare sul letto accanto a lui; comincia a limonarmi come un vero macho: mi bacia con intensità e mi fa sentire la sua lingua in tutta la bocca, mentre con le mani mi stimola i capezzoli e la vulva, contemporaneamente; mi sdraia supina e mi sale addosso, sempre continuando a baciarmi e leccarmi tette, ventre e figa.

Quando si rende conto che sono ‘calda’ al punto giusto - anche perché colo dalla vulva come da un rubinetto rotto -  si colloca fra le mie cosce, accosta la cappella alla vulva e spinge dentro: lo sento entrare dolcemente, lentamente, quasi volesse godersi e farmi godere intensamente la penetrazione; i muscoli della vagina cominciano a contrarsi e vibrare spingendomi verso un nuovo, imprevedibile orgasmo; quando la cappella urta la cervice e capisce di avermi penetrato fino in fondo, comincia a pomparmi con maestria e voluta lentezza: ogni tanto spinge a fondo d’improvviso e con violenza; in quei momenti mi sembra che la figa mi esploda con l’orgasmo che si avvicina; ma, subito dopo, si ritrae e rallenta, solleticando dolcemente la vagina con tutta l’asta.

Va avanti per un poco in questo gioco: piccoli tratti di delicatezza e poi, di colpo, alcune spinte violente che mi scatenano piccoli orgasmi: quando ritiene di non essere in grado di proseguire a lungo il gioco, mi monta con frenesia dieci, venti, trenta volte, ed esplode in un orgasmo eccezionale; lo sperma che mi colpisce la cervice fa esplodere contemporaneamente il mio orgasmo che non è il più forte ma è certamente il più dolce della serata; rimaniamo distesi un poco, l’uno a fianco all’altro; poi lui si solleva a sedere, scende dal letto e recupera il suo kimono, il suo dildo e le sue pantofole.

“Se ne hai voglia, puoi anche dormire qui.”

Gli suggerisco.

“No, grazie; non riesco a dormire nel letto di un altro. E adesso ho veramente bisogno di riposare un poco. Grazie per questa straordinaria serata; grazie per tutto quello che in poche ore mi hai dato. Ci vedremo domani ma solo per gli adempimenti burocratici. Poi, più avanti, ci vedremo anche a Brescia, ma solo da amici.”

“Grazie a te per la disponibilità e per l’amicizia. Ho bisogno anch’io, ogni tanto, di buone sensazioni.”

“Buona notte.”

Mi dice, mentre già è sulla porta.

Come è mia antica abitudine, la mattina appena sveglia, comodamente seduta nel mio personale ‘pensatoio’, mentre scarico dal corpo tutte le scorie, cerco anche di porre in ordine i pensieri e di preparare la scaletta degli impegni per il giorno.

Se si eccettua l’appuntamento pomeridiano con l’avvocato, non ho incombenze da assolvere; ma proprio l’idea di incontrare l’avvocato mi porta inevitabilmente a riflettere sul senso di questo viaggio, nato come obbligo burocratico e risoltosi in una serie di sensazioni (dovrei dire ‘emozioni’ ma la parola mi spaventa, in qualche modo) che interessano tutta la fase della mia vita fino alla ‘fuga’ a Brescia: le case dove ho vissuto la fanciullezza (quella dei miei genitori) e la mia giovinezza (quella del matrimonio); Donatella che mi ha ‘svezzato’ (con la complicità del fratello Genny) al sesso libero da impegni matrimoniali o derivati; la casa degli spiriti con il ricordo di Nicola e il ‘transfert’ sul figlio Sebastiano; l’incontro straordinario con Peppino un tempo antagonista ed ora amico: insomma, mi sembra di aver attraversato tutta la mia esperienza e di potere essere contenta di essermi riappacificata con me stessa o, almeno, con la parte di me che era rimasta a san Rocco.

Un dato però mi sembra mancare al quadro d’insieme: in realtà, a parte la ‘lezione di sesso’ di Genny (e, quindi, Donatella), la mia prima vera esperienza in totale autonomia era stata nel bosco con il forestale sconosciuto, prima prova di ‘un colpo e via’ che nel tempo avrei praticato con grande gusto; mi pare allora che il mio ‘pellegrinaggio’ non sia completo se non torno nel bosco a verificare le ‘sensazioni’ che posso ricevere da quel posto che, a prima vista, mi è sembrato il più stravolto dal nuovo, anche se mantiene caratteristiche di zona verde assai interessante.

Decido allora di andare a vedere sul posto: faccio rapidamente colazione e avverto che sarò di ritorno per il pranzo; prendo la macchina dal garage e mi avvio al bosco; quando arrivo alla curva da dove partiva il sentiero, scopro che ora c’è una strada asfaltata che si inoltra nel fitto verso la cresta dei monti e che una serie di cartelli turistici indicano il lago (che trent’anni prima nessuno aveva mai visto e di cui si aveva notizia come di una favola) il ‘belvedere’ con la caserma della forestale ed altre specificità per specialisti (sentieri particolari, percorsi di salute ecc.)

Seguo la direzione della forestale, che per il mio ‘pellegrinaggio’ era una sorta di meta, e dopo poche centinaia di metri incontro una piccola deviazione asfaltata, anch’essa opportunamente segnalata, che conduce ad una spianata su cui domina una costruzione alpina, di pietra e legno, che intuisco essere la caserma: in realtà, arrivata al parcheggio, scopro che si tratta piuttosto di un punto di ristoro (incluso un bazar per souvenirs e piccolo supermercato) con tavoli e sedie ricavati da tronchi direttamente in loco: il posto è piacevole e ameno, anche se ha perso tutto il senso della naturalezza che ricordavo.

Nella speranza di ritrovare (sul posto e nella memoria) il punto in cui feci la prima masturbazione al forestale e quello dove, poco tempo dopo, mi feci possedere con grande entusiasmo, vado a curiosare sul bordo del bosco osservando gli alberi quasi uno ad uno; ma è praticamente impossibile orientarsi in un ambiente che in trent’anni si è completamente trasformato, aggiungendo, togliendo, ingrandendo, rimpicciolendo: insomma, quello non è più quasi il posto delle mie prime esperienze di sesso libero.

Sto ancora indugiando ad esplorare con la vista il bordo del bosco, quando da dietro alla casa vedo apparire un giovanotto decisamente ben piantato: intuisco che deve essere uno dei forestali e lo saluto vezzosamente; mi risponde con un largo sorriso; senza neppure dover fare molte domande, mi spiega che il locale è chiuso per turno e che nella piccola caserma annessa è rimasto temporaneamente da solo per cui non può essermi di molto aiuto se ho bisogno di qualcosa; gli rispondo che non sono lì per particolari esigenze e che, nel caso, lui sarebbe stato certamente adeguato; mi guarda perplesso e capisco che la voluta ambiguità della risposta lo ha colpito ma che non ha inteso perfettamente; si allontana sul retro, svolta dietro la costruzione e sparisce.

Io non riesco neppure a chiarire a me stessa cosa diavolo sto a fare lì, cosa mi aspettassi e cosa ora vorrei che succedesse; trent’anni prima, una ragazza che girasse per i boschi, sorprendesse un uomo che orinava dietro ad un albero e con lui facesse sesso; tutto questo era accettabile e perfettamente comprensibile; ma, trent’anni dopo, a situazioni completamente ribaltate, una donna matura che incontra ai bordi del bosco un giovanotto prestante o si fa avanti e propone qualcosa o rischia di sbattere contro il muro dei pregiudizi: il problema é semplicemente decidere se e quanto ho voglia di fare sesso con il forestale, se e quanto desidero riempire anche quell’ultimo tassello del mio ‘pellegrinaggio nella memoria’ e copulare con un surrogato di quella prima esperienza.

Decidendo questo, tutto deriverebbe logicamente; naturalmente, il calore fra le cosce si fa intenso e comincio e colare senza neanche un pensiero perverso: a scompigliare le carte, riappare il giovane forestale, che però si è tolto camicia e pantaloni e si presenta in tutto lo splendore della sua giovinezza, bello, piantato, muscoloso e intensamente desiderabile; briga in qualche modo davanti a quella che ritengo essere la caserma e mi lancia frequenti occhiate di appetito represso; per parte mia, lo sguardo è calamitato dal pacco che il boxer non riesce neppure a controllare e l’unico pensiero che riesco a formulare è domandarmi cosa proverò a prenderlo dentro.

Quasi intuendo i miei pensieri, il giovane si gira verso il retro dell’edificio e scompare di nuovo; ma stavolta lo seguo e mi trovo davanti ad una porta socchiusa, esattamene nella parte posteriore della costruzione: non sono certamente nuova, a queste situazioni; ma un vago senso di disagio mi coglie ancora una volta, quando decido di spingere l’uscio ed entrare: non so affatto che accoglienza mi aspetta e non vorrei fare una figuraccia, se mi dovesse respingere perché la divisa lo inibisce, perché mi considera troppo vecchia o per qualsiasi altro motivo.

Ma, come al solito, quando sono in ballo, io ballo, semplicemente lo faccio.

Quindi, spingo la porta ed entro.

L’ambiente è spartano, per non dire povero: un letto da una piazza e mezza, un armadio pesante e senza stile, proprio da vecchi montanari, qualche sedia e due comodini; ma il giovanotto da solo illumina il tutto col vigore dei suoi muscoli, con la bellezza dei lineamenti, col colorito roseo che urla gioia di vivere; non deve essere molto esperto visto il disagio notevole che manifesta di fronte alla mia ‘intrusione’; ma l’istinto della nave-scuola che già in molte altre occasioni mi aveva favorita mi rende sicura che è il momento buono per svezzare un inesperto (se non addirittura un vergine) e che certe fortunate coincidenze non vanno sprecate.

Per buona sorte (o forse per scelta inconscia) ho indossato un abitino semplice senza chiusure se non una cintura in vita, aperta la quale, resto completamente nuda avendo rinunciato anche all’intimo; appoggio la borsa su una sedia, gli vado vicino e gli stampo la bocca sulla bocca mandando la lingua ad esplorare tutto l’interno fino alle tonsille; dopo un attimo di smarrimento, mi ricambia entusiasta cingendomi la vita e piantandomi contro il ventre la verga che è esplosa immediatamente in un’erezione monumentale: gli passo le mani dietro la schiena e vado ad afferrare le natiche dure come marmo stringendolo contro di me finché il membro non mi si strofina contro le grandi labbra; riporto indietro la mano destra e la insinuo fra i nostri corpi per andare ad afferrare il sesso, da sopra il boxer, per sentirne il calore e la potenza che promana.

Quasi applicando a menadito una lezione che apprende progressivamente, mi accarezza la schiena dall’alto in basso e va ad afferrare le mie natiche con ambedue le mani: la sua stretta è così forte che mi solleva quasi da terra e fa giocare il mio inguine sulla sua asta; mentre io mi stacco un poco per abbassarmi a baciargli il petto e succhiargli i capezzoli, lui infila la mano tra di noi, aggancia la cintura e scioglie il nodo; senza esitare; mi scuoto dalle spalle il vestito e sono tutta nuda tra le sue braccia.

Credo che la sua emozione sia pari a quella del bambino che apre il sacco dei regali a Natale e trova tutto quello che aveva sognato e che non sperava: mi bacia e mi lecca il viso e le orecchie, poi scende sulla gola e si perde nell’incavo delle clavicole; si sforza ancora di abbassarsi, senza smettere di tenermi arpionata per il ventre al suo, e scende lentamente e sensualmente verso le tette che - belle sode, piene e grandi per loro natura - gli devono apparire un’immensa montagna di libidine per anni inseguita; le lecca amorosamente: ‘Succhiale’ gli suggerisco e si scatena con le labbra a cercare di strappare un impossibile latte da mammelle inadatte a produrne: sento il piacere sciogliersi nei capezzoli e lo seguo mentre scende a precipizio verso la vulva ed esplodo in un primo, leggero orgasmo che sembra comunicarsi al suo arnese, che si rizza ancora più potente fra le mie cosce: mi faccio allora un dovere di prendere il boxer dai due lati e spingerlo verso le ginocchia; si decide a coordinarsi e lo abbassa ancora di più finché lo può lanciare via scalciando; a quel punto, afferro la mazza di carne e la poggio delicatamente tra le cosce, appiccicata ai peli della vulva, serrandolo fra le grandi labbra e facendo in modo che strusci contro il clitoride rizzatosi come un piccolo pene eccitato.

Decido di essere nave-scuola fino in fondo; gli prendo la testa e la riposiziono su una tetta.

“Lecca, succhia e mordicchia ma delicatamente, senza farmi male.”

Forse ha proprio bisogno di una guida: esegue diligentemente e io sento scatenarsi nel mio petto una turbinio di scosse elettriche che mi attraversano il ventre fino alla vulva e da lì vanno a fulminare il cervello; perdo quasi il senso dello spazio e del tempo; l’unica sensazione è la libidine che mi inonda; l’unico problema è godere al massimo; ma il ragazzo è troppo giovane per resistere a lungo ad un trattamento troppo elaborato; lo fermo e lo guido verso il letto dove lo faccio sdraiare; monto in ginocchio accanto a lui e mi impossesso del suo sesso come fosse un trofeo di guerra: pochi colpi con la mano e lo sento guizzare sempre più eccitato, sul punto di esplodere.

“Riesci a resistere ancora?”

“Si, non c’è problema: ho una certa abitudine a frenarmi.”

“Quando ti masturbi?”

“… Si …”

“Ok; cerca di farmi godere molto.”

Mi abbasso su di lui e comincio a baciare il membro dai testicoli - tesi, gonfi, pronti a scatenare un’autentica eruzione di sperma - attraverso l’asta su cui si possono contare e seguire anche i capillari più sottili, tanto è tesa, fino alla cappella rossa, enorme, gonfia come un grandissimo fungo pronta a violare qualunque piccola fessura si offra.

Dopo aver lambito tutta l’asta, arrivata alla cappella, allargo la bocca allo spasimo e la spingo dentro, verso la gola, titillando le papille di tutta la cavità; provo anche a solleticarla con la lingua, ma è davvero così grossa che non c’è spazio per muovere adeguatamente la lingua; lo muovo in bocca per un po’ e cerco di succhiare al massimo l’enorme cappella; poi mi accorgo che rischia di eiaculare e mi fermo, perché il gioco è solo all’inizio; per dargli anche il tempo di recuperare, mi stendo al suo fianco, spalanco le cosce, prendo la sua testa per i capelli e la forzo ad appoggiarsi sul mio ventre.

“Leccami!”

Gli ordino; e il ragazzo ubbidiente comincia a percorrere con la sua lingua calda e grossa prima l’interno delle cosce poi la vulva; dimostrando grande duttilità, prende a leccare con devozione la vulva tutto intorno, fino al monte di Venere, poi ridiscende e si dedica con amore alle grandi labbra: inserendo due dita, apre al massimo la figa e lecca delicatamente le piccole labbra, finché arriva sul clitoride e intuisce che è là che deve insistere: ‘Succhiami’ gli suggerisco e diligentemente lo prende in bocca e comincia a succhiarmi come una ventosa; i fremiti di piacere cominciano a percorrermi sempre più intensi e ravvicinati finché, inevitabilmente, gli esplodo in bocca un orgasmo straordinario; lecca, succhia e ingoia tutto dimostrando anche un grande godimento.

Non appena mi riprendo dal languore dell’orgasmo, lo afferro per le braccia e gli indico di salirmi addosso: mi viene sopra e si sposta sul mio corpo finché incontra le mie tette; afferro il membro e lo colloco nello spacco tra i due meloni; li prendo ai lati con le due mani e li spingo a stringere dentro il sesso; gli faccio cenno di cavalcarmi così e lui lo fa: dalle smorfie del suo viso, capisco che è una goduria sentire scivolare nel morbido delle tette il suo arnese d’acciaio e spinge sempre più verso il mio viso, per cui, quando mi rendo conto che è possibile, apro la bocca e faccio in modo che la spinta dei reni mi porti direttamente in bocca la cappella, unendo la sensualità della fellatio al piacere della spagnola; la sua espressione è quella di chi sta intravedendo il paradiso: avrei quasi voglia di concludere lì e di farmi eiaculare in bocca e sulle tette: ho goduto abbastanza per me e potrei anche fermarmi; ma la soddisfazione di vedere la sua gioia della copula mi spinge ad andare più avanti: facendo forza sui suoi pettorali, lo convinco a sollevarsi e staccare il sesso dal mio seno.

Spingendolo, lo esorto a spostarsi più indietro e con le gambe gli indico che deve sistemare le sue ginocchia in mezzo alle mie; quando la posizione mi pare giusta, afferro il sesso e dirigo la punta verso la mia vulva; quando capisce le mie intenzioni, si assesta un poco sul letto, afferra lui il membro e mi strofina più volte la cappella tra le grandi labbra: il contatto con quella voluttuosa mazza umida mi fa sbrodolare involontariamente e rende ancora più agevole il passaggio dell’asta che, lentamente, si impossessa della mia vagina.

Quando sento che la cappella colpisce l’utero, comincio una strana danza per portarlo ad allargare le cosce fino a consentire alle mie di collocarsi tra le sue, me lo schiaccio sul corpo quasi a volermi compenetrare e gli faccio cenno di muoversi in su e in giù sul mio corpo per sentirmi posseduta da tutta l’epidermide su tutto il corpo: non ha bisogno di molte indicazioni e comincia a strusciarsi addosso facendo partecipi della copula le mie tette, i capezzoli e, innanzitutto, il ventre e il monte di Venere, il clitoride ritto e sporgente dalla vulva ed infine la vagina nella quale il sesso si muove quasi entusiasta.

Godo come un’ossessa e sento che anche lui gode: mi chiedo allora se voglio l’esplosione conclusiva; e mi dico che no, che il ragazzo merita un regalo per come ha aderito al ruolo di grande copulatore, senza esserlo, in realtà.

“Se continuiamo così, io non resisto ancora molto.”

Mi dice: io allora stringo le cosce, blocco il movimento del sesso e gli chiedo se ha pensato ad un modo eccezionale di eiaculare; sta pensoso per qualche attimo, poi …

“Nel sedere …”

Dice quasi in un soffio.

“Pensi di farlo a pecorina o faccia a faccia?”

La domanda lo sconvolge; decido di scegliere io e di guardarlo in faccia mentre mi penetra nell’ano.

Lo faccio sfilare ed alzarsi, raccolgo un cuscino e me lo sistemo sotto le reni, sollevo in alto le gambe finché poggio sul letto quasi solo con le spalle; poi lo invito a penetrarmi analmente.

Un po’ esitante, accosta l’enorme cappella al buchetto e comincia a spingere.

“Piano … mi fai male … aspetta un poco … ecco … riprendi”

Diligente e volenteroso segue le mie indicazioni e la sua mazza entra lentamente nelle mie viscere; lui crede che io abbia voluto far godere lui; ma non sa quale piacere trovo nel sentire un bastone di carne, per quanto grosso e nodoso, che mi viola l’intestino e va a stimolare papille del mio corpo ancora non toccate dal piacere sessuale: il suo cazzo ha questo effetto e non glielo nascondo: a mano a mano che lo sento penetrarmi, mi lascio andare al piacere con lamenti, gemiti e urla per lui insospettati e nuovi di zecca, per me la conferma di un coito anale meraviglioso di cui godo con tutto il mio essere

“Ti piace?”

Qualunque cosa gli chiedo, si limita a fare cenno di si con la testa e ad atteggiare il viso a smorfie di piacere.

“Riesci a vedere il sesso che mi entra nel sedere? Ti eccita? E’ bello il mio sedere? Mi avvisi quando stai per gdere?”

Ci sono momenti nel rapporto sessuale in cui mi piace anche comunicare con il partner del momento, anche se è solo una copulaoccasionale; ma con un ragazzo come lui è ancora più affascinante perché mi rendo conto che al tempo stesso lo eccito e lo spavento: e questo rende ancora più straordinaria la mia eccitazione.

“Sto per venire!!!!”

Sussurra quasi in un respiro.

“Si, sto per godere anche io, forza, facciamolo insieme!”

E ci riusciamo: io scarico dappertutto, su me, su lui, sul letto, gli umori più intensi del mio piacere, mentre sento che nel mio sedere si sta scatenando uno tsunami di sperma, frutto probabilmente di lunga astinenza e di grande eccitazione per la copula attuale; a mano a mano che si rilassa, sento il membro perdere consistenza finché scivola via quasi naturalmente dall’ano (per la verità, enormemente spanato, vista la dimensione che comunque conservava il membro che era ‘scivolato’ via).

Gli chiedo dov’è un bagno per lavarsi e mi indica una porta fuori: un po’ seccata, mi copro alla meno peggio con la vestaglietta recuperata da terra e scappo nel bagno (un piccolo cesso, in realtà) dove posso solo scaricare nel water lo sperma che rischiava di colarmi fuori e asciugarmi dopo con un po’ di tovagliette igieniche; mentre ancora lui cercava in qualche modo di rivestirsi, afferro la mia borsa, vado alla macchina e quasi scappo via; tornata all’albergo in tutta fretta, mi precipito sotto la doccia e subito dopo scendo alla reception, dove Carmine mi avverte che nel pomeriggio incontrerò l’avvocato; ci sarà anche Peppino, mi precisa.

Il pranzo scorre veloce; al momento del caffè, mi raggiunge Peppino che mi fa dare una rapida occhiata al documento che hanno stilato per la cessione; di fronte alle mie esitazioni, mi avverte che ne ha già inviato copia a Brescia, al mio amico avvocato, e che posso sentire anche lui prima di accettare; lo faccio immediatamente e l’invito ad accettare mi conferma che Peppino è persona degna di fiducia; mi ritiro in camera e avverto che mi chiamino quando arriverà l’avvocato; puntualmente, alle tre e mezza vengo avvertita che tutto è pronto; dopo una rapida rinfrescata, scendo in sala e mi trovo di fronte al più tipico esemplare di burocrate che potessi immaginare: l’avvocato della società è una figura grigia in tutti i sensi, dai modi all’abbigliamento, dal linguaggio alle espressioni; per fortuna è anche molto efficiente e veloce e in pochi minuti la pratica è risolta.

“Allora non mi resta che riprendere la via di casa!”

Esclamo quasi felice rivolta a Peppino.

“Si, anche se noi poi ci rivedremo a Brescia per la sistemazione dell’appartamento.”

“Va bene, intendevo solo che, per ora, ci possiamo salutare qui; domattina conto di partire assai presto.”

“Buon viaggio, allora!”

Mi congeda Peppino con un lieve bacio sulla guancia.

Vorrei salutare anche Sebastiano ma mi avvertono che è la sua giornata libera e non verrà fino a domani pomeriggio; chiedo a Carmine di salutarlo e mi accomiato anche da lui; mi ritiro in camera, quasi come rifugiandomi; e ripasso gli ultimi due giorni con la ventata di emozioni che mi hanno portato, dalla ‘rimpatriata’ allo scatenamento sessuale, dal ‘pellegrinaggio’ nel passato alla ‘quasi vacanza’ in un ambiente ancora (per poco, forse) abbastanza vivibile e sereno; senza molti rimpianti mi preparo al ritorno e comincio a pregustarmi una nuova vita, in condizioni alquanto più serene, nella città che da molti anni è ormai la mia.

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