Suor Anna non mi salutò neppure e io me ne tornai verso casa, ora ancor più perplesso ma almeno leccandomi eccitato le labbra e, rivolto verso il basso – “Tu stai tranquillo che appena arrivati ci penso io a farti abbassar la testa” – lo tranquillizzai!
E così feci dandogli quel piacere mancato, giocando nella mente l’artefice del suo desiderio in tutti i modi più sconci possibili, masturbandomi volgare e dedicando a lei i miei caldi getti di piacere.
Non capivo bene quel che stavo vivendo ma mi esaltava, lavoravo tranquillo al giorno con quel tarlo fisso nella testa che mi riscaldava i sensi ma che contemporaneamente non sapevo gestire, sviluppare, organizzare. Poi convenivo che in fondo non era importante, bastava lasciarla fare e prendere tutto ciò che avesse voluto donarmi, sempre ammesso che continuasse con me a giocare e nel caso alle sue necessità semplicemente “assoggettarmi”. E nella mia testa per la prima volta quella parola assumeva connotati conturbanti, sfumature eccitanti; “assoggettarmi” mi ripetevo, e l’idea di essere a servizio delle sue apparenti stranezze mi incuriosiva, mi attraeva.
Dopo pranzo mi accolse il mio verde rifugio dove sdraiato mi rinfrescavo spiluccando qualche amarena, sicuro che quel giorno non l’avrei vista mi stavo appisolando tranquillo quando sentii i suoi passi sull’erba bruciata dal sole. Era a piedi scalzi e mi passò vicino vicino, senza guardare dove stavo sdraiato passò oltre e si sedette al suo solito posto immergendo i piedi nell’acqua fresca e aprendo il suo libricino. Tranquilla si rilassava ogni tanto alzando lo sguardo dalla lettura e spaziando tutto intorno nel parco, io nascosto dalle foglie solo la spiavo curioso. Si bagnò un po’ le gambe e nulla di più ma vedevo che qualcosa dalla mia parte la incuriosiva, ne attirava l’attenzione. Feci involontariamente rumore sedendomi e lei si alzò di scatto, come spaventata. “Impossibile” pensavo – “lei ormai sa benissimo che sono qui, perché andarsene visto che nulla di male sto facendo”. Poi la vidi avvicinarsi tranquilla a lenti passi, fermarsi di fronte a me nascosto e allungare la mano verso i rossi frutti del mio rifugio e in silenzio la osservavo coglierne una per volta portandole alla bocca.
Le mordeva succose e se ne dissetava, lentamente, cercando di vedermi tra le foglie della mia tana e fissandomi, poi parlò tra se ad alta voce: “Morbide e succose come piacciono a me” – disse in un sussurro – “un pochino agre magari, ma si possono facilmente addolcire” – concluse prima di farmi precipitare ancora una volta nella sua trappola morbosa. Bastava allungare una mano tra i rami e potevo toccarla, ma ben me ne guardavo dal farlo per non ostacolare il suo gioco e solo me ne stavo li dentro seduto e zitto ad osservarla. Lei si guardò intorno e lentamente tirò su la veste. Vidi apparire i suoi polpacci, le sue cosce tornite e per ultimo il suo ventre e le mutandine bianche, il cuore mi batteva forte mentre da lei dipendevo in attesa. Anna allargò le gambe posizionando meglio i piedi e sporgendo il bacino verso me già perso nello studiare quell’incavo nei suoi slip, quell’umido che a lei le appiccicava lasciando intravvedere la forma di quel fiore e di quelle labbra che avevo succhiato la sera prima. Attendevo senza neanche respirare. Raccolse ancora una coppia di amarene mostrandomele, poi scostò le mutandine liberando quello spettacolo nascosto che ora al sole brillava bagnato e le immerse dentro di lei. Le vidi sparire accompagnate dalle sue dita, immerse dentro quelle labbra lucide e poi abbandonate come per farmi vedere il sol peduncolo che sporgeva, io nel frattempo sbavavo dalla voglia e già mi toccavo. Le estrasse ora madide e luccicanti e le portò alla bocca sussurrando: “chissà se sono più dolci ora” – mordendone una e porgendomi l’altra infilando la mano in mezzo ai rami – “mmmh, si, ora sono più buone, quasi mielate”. Abboccai come un cagnolino e le addentai quel frutto dalla mano succhiandolo goloso, mentre lei ne proseguiva la raccolta. Le guardavo dentro di lei affondare e attendevo che me le porgesse ancora, schiavo del suo gusto e di quell’incredibile fare, lei gemeva piano ad ogni coppia di amarene indossate e subito me ne faceva dissetare. Io mi masturbavo di nuovo indifferente al suo capire, forse al suo vedere, e ad ogni suo porgermi di frutti le succhiavo anche le dita che lei provvedeva a subito ribagnare. “Buoni i frutti di queste piante, chissà se sono unici o altro ancora hanno in maturazione” – disse facendomi sobbalzare. Presi coraggio e mi alzai, timoroso si di rovinare il tutto ma lo feci: spinsi il ventre contro i rami, tra le fitte foglie, e lo sporsi gonfio al di là, verso di lei, paonazzo e con le vene gonfie, con la mano che lo scappellava piano e una goccia di piacere che scivolava giù dalla sua punta. Lei non scappò come temevo, rimase li immobile con la veste raggruppata intorno alla vita e due amarene ancora dentro nascoste, respirava forte e lo guardava mordendosi le labbra, ora sfiorandosi la figa, senza toccarmi come speravo, senza chinarsi e avvolgerlo nella bocca come sognavo. Solo guardava la mia mano strizzarlo, solo fissava quella goccia che cadeva filamentosa nell’aria, solo si univa al mio segar osceno toccandosi e gemendo piano con le gambe che tremavano pari alle mie.
Il primo spruzzo caldo, il più potente, la colpì quasi all’ombelico, gocciolando poi sulla sua mano immersa in lei, gli altri si spensero sui fianchi, sulle cosce, “rivolando” subito sino alle caviglie e poi a terra. Lei ora mugulava ad occhi chiusi godendo e succhiandosi le dita lorde del mio piacere, leccandole minuziosa per poi raccoglierne altro dalle sue cosce e assaporandolo ancora. Io continuavo a torturarmelo sguaiato mentre piano si sgonfiava ancora gocciolante… e suor Anna era già sparita, lasciata andare giù la veste si era velocemente dileguata e sui suoi passi ritornata.
Chissà se ora in Cappella a pregare e pentirsi, e soprattutto chissà se ancora colma di quell’ultima coppia di amarene e peduncolo che non ero riuscito a gustare, chissà. Io, ancora una volta solo segaiolo, meditavo sul mio egual piacere che, preda dei suoi elettrizzanti giochi, era forse più intrigante di una classica scopata. E al suo fare mi inchinavo sempre più succube, sempre più curioso e preda di quegli splendidi flash di lei. Giocava con me come il gatto con il topo appagando così il suo apparente esibizionismo e sicuramente il suo fantasioso erotismo, gestendo sul filo del rasoio il suo svago saltuario di cui io ero ufficialmente “trastullo non pericoloso”. E devo ammettere che ciò mi eccitava molto, un po’ per il rischio in sè, un po’ perché privo di implicazioni sentimentali e un po’ perché convinto in fondo di riuscire prima o poi a prendere in mano la situazione e di “fargliela pagare”, di prenderla, gestirla e punirla. Di farla espiare dei suoi peccati e del suo ardire quindi, anche se nel frattempo solo la aspettavo e sognavo. E lei mai mi deludeva e continuava a usarmi, oltretutto senza neanche fin’ora avermi mai rivolto neanche la parola.
Il tranquillo tram tram del Convento continuava imperterrito nonostante noi, e le giornate estive si snocciolavano via una dopo l’altra veloci, già ponendomi in preoccupazione per l’inverno ormai alle porte per la conseguente difficoltà al nascondersi nel nostro ritaglio di parco. Suor Anna era ligia ai suoi doveri quotidiani e inattaccabile per tutti, tranne me che ovviamente ne ero complice, ma trovava il tempo ed il modo di stupirmi ancora nelle sue seppur rade visite. Me la dormicchiavo ben bene ieri nella mia tana sicura, mi godevo il mio pisolo prima di iniziare il programma pomeridiano. Tutto intorno solo silenzio e canto di grilli, anche il convento si rilassava dall’afa e tutti cercavano relax nelle celle o nel chiostro al suo centro. Tutti tranne lei.
Un leggero rumore di frasche mi colse le orecchie destandomi un attimo dal mio sonnecchiare, poi di nuovo silenzio e il mio orologio che mi concedeva ancora un quarto d’ora di relax. Richiusi gli occhi sdraiato beato a pancia all’aria, a petto nudo e braghe larghe da lavoro attendevo la sveglia programmata. Ma la sua mano mi destò prima. Anna era entrata e si era inginocchiata dalle mie gambe, anzi, tra le mie gambe a dire il vero perché me le aveva allargate e ora era intenta a slacciarne la cintola dei pantaloni. Mi tirai su di scatto con la schiena e lei mi rimandò subito giù con la mano, perentoria, facendomi segno di stare zitto con il dito davanti al naso. E come sempre la lasciai fare sol rimirandola. Slacciata la cinta mi calò appena le braghe, quel tanto che bastava a lasciarmi a lei esposto in slip, mi carezzò quel che vi si stava ergendo dentro senza degnarmi di uno sguardo, lo palpò sopra l’indumento scendendo poi tra le gambe a tastare le palle, a stringerle, chinandosi con il viso ad annusarmi il tutto. Con la testa alzata la seguivo nella sua esplorazione godendomi il momento tanto atteso; oggi l’avrei finalmente avuta! Passò le dita sotto l’elastico e seguì la mia eccitazione nella sua lunghezza, poi tirò giù di colpo lo slip, quasi strappandolo, e il mio cazzo ora liberò andò a sbattere sul mio ventre pulsando. Lei lo prese in mano e lo scappellò violenta tenendolo poi dritto stretto alla sua base, studiandolo da vicino e schiacciandolo forte, risalendo lentamente con la mano fino a richiuderlo e a far sgorgare e risaltare quella goccia trasparente di voglia che brillava sulla sua cima. Se ne bagnò un dito e ritraendolo ne seguì il filamento argenteo che la seguiva, mi fissò finalmente, solo per farmi ancora più eccitare mentre la poggiava sulla lingua succhiandola. Ero in paradiso e nei suoi occhi mi perdevo.
Mi ricondusse subito all’ordine iniziando a masturbarmi in un lento e studiato su e giù, concentrata ora di nuovo solo sul mio cazzo, lo strizzava quasi dolorosamente con una mano, l’altra dedicata alle mie palle e sotto loro, pericolosamente pensavo. Volevo la sua bocca e cercavo di abbassarle la testa su di me, ma lei mi cacciava la mano, volevo toccarla, spogliarla, scoparla, ma lei mi bloccava e “solo” mi toccava, ora aumentando il ritmo. Se continuava così avrei presto ceduto al piacere e rinunciato a prenderla, ma intransigente e sicura lei continuava disinteressandosi totalmente di me.
Poi si tolse da ginocchioni tra le mie gambe e si accucciò sui piedi continuando a segarmi, io ormai me la godevo ad occhi chiusi tranquillo, almeno fino al primo spruzzo caldo. Si era tirata su la veste e a gambe larghe mi aveva bagnato il ventre, sino all’ombelico, e adesso mi guardava il cazzo gocciolante della sua pipì… e adesso si era abbassata passando la lingua lungo l’asta raccogliendo quel suo liquido caldo tra le labbra. Mi degnò di un nuovo sguardo, giusto per studiare la mia reazione mentre un secondo zampillo dorato disegnava un arco più lungo arrivando ad infrangersi sul mio petto e sul viso. Mi stava semplicemente e tranquillamente pisciando addosso, parlandomi anche per la prima volta!
Chinata ora sul mio petto mi leccava dicendomi: “Ecco, ora sarai contento no? visto che ti piaceva tanto spiarmi mentre la facevo nel rigagnolo. Ora la puoi finalmente assaggiare”. E io obbedii di lei drogato, cercando di leccarmi il viso e di gustarla tra le labbra mentre lei si era alzata e aperta ancora mi irrorava, ora colpendomi precisa e colmandomi la bocca. Si chinò di nuovo ricominciando a segarmi forte, veloce, decisa a farmi venire, con il viso vicino lo studiava senza accogliermi nella sua bocca e quando sentì gonfiarmi ulteriormente e salire lungo l’asta il mio piacere mi fissò di nuovo senza spostarsi, facendosi colpire in pieno viso dal mio godere. Mentre la mente mi esplodeva seguivo con gli occhi i mie schizzi lordarle le gote, le labbra, il mento, per poi gocciolarmi ancora bollenti addosso. Lei mi fissava finendo di mungermi il cazzo, oscenamente bellissima così di me imbrattata, ancora gocciolava guardandomi mentre con la lingua si leccava la lebbra. Poi come prassi esige, il solito veloce sventolar di vesti ed era già sparita, mentre il mio orologio suonava l’ora del lavoro.
Fu un piacere dedicarmici, così, così fradicio di lei, della mia musa.
Aveva visto giusto in effetti, stava cogliendo e sviluppando/attuando tutte le mie più nascoste fantasie e lo stava facendo in un crescere incredibile, frenato appositamente con maestria per meglio apprezzare ogni piccola sfumatura, ogni minimo passo. Non un’abbuffata confusa seppur saziante, ma un disegnare minuzioso d’ogni diverso stimolo e particolare che gratificasse la mente lasciando però spazio alla curiosità di quello successivo. L’attesa di una sua nuova visita, di un suo nuovo gioco, mi riempiva le giornate parimente all’eccitazione costante data dai momenti già vissuti, e la voglia di saggiare ancora i suoi sapori, come pure i suoi diktat, era ormai quasi superiore a quella del “semplicemente” (tra virgolette) scoparla.
L’occasione per stupirmi ancora non tardò molto, fortunatamente, e disegnò pure un nuovo luogo, una rinnovata alcova quindi, in grado di accogliere i nostri vizi anche una volta finita l’estate. Mi ero recato nella mia cantina magazzino al convento per posare la motosega e le lunghe cesoie da potatura. Il pomeriggio era stato impegnativo e ancora afoso, e il lavoro fatto su una siepe e un albero di cipresso mi avevano ben snervato. Stanco aprii il portone con la mia chiave privata e entrai nel fresco buio interno del magazzino, le spesse mura antiche in sasso del convento mantenevano a mò di grotta la temperatura costante praticamente tutto l’anno. Lei, suor Anna, non era venuta oggi a trovarmi nel nostro boschetto e mio malgrado avevo tranquillo pisolato, erano già un paio di giorni in realtà che non la vedevo ma mi consolavo ricordando quell’oscena “doccia” che mai avrei pensato di così apprezzare e quel suo viso imbrattato e gocciolante del mio piacere. Il fresco improvviso del vetusto ambiente unito all’umido che vi aleggiava mi fecero immediatamente grondare di nuovo sudore, mentre ripulivo gli attrezzi in attesa del necessario bagnetto prima della cena. Sentii chiudere il portone alle mie spalle e mi girai per vedere chi fosse entrato, o chi mi avesse chiuso dentro la cantina, strano però pensavo, mai nessuno veniva in quest’ala del convento usata praticamente solo da me. Vidi nella poca luce che filtrava la porta ora socchiusa e nessun altro, oltre alla vecchia mobilia accatastata che prima o poi dovevo decidermi a buttare o sistemare, curioso tornai verso l’ingresso e lo trovai chiuso e privo di chiave. Mi guardai ancora intorno e vidi un movimento nell’angolo più buio, lì dove svettava un vecchio e grosso baule pieno di cianfrusaglie intravedevo una figura scura che mi mise un attimo in apprensione.
Un attimo solo però, giusto il tempo di riconoscerla: suor Anna mi aveva intrappolato e ora mi fissava con occhi felini.
Allungai le mani verso lei ma me le tolse spingendomi con la schiena contro il muro ammuffito, mi sfilò subito la canotta tenendo poi con una mano i miei polsi in alto, sopra la testa, senza profferir parola. Mi spiava a un nulla dal mio viso, dalla mia pelle, così vicina che sentivo il soffio del suo respiro fresco sul mio sudore. Iniziò a leccarmi. Prima sulle labbra senza baciarmi, poi lungo il collo e sul torace, cercava ogni minima goccia salata e la puliva via con cura succhiandola, mi mordicchiava forte un capezzolo e poi andava sulla pancia a cercare l’ombelico tra la mia folta peluria, prima di tornare all’altro capezzolo e strizzarlo dolorosamente tra i denti tirandolo. Mi liberai e le passai le mani dietro il culo palpandolo, ma lei stizzita me le riprese continuando a leccarmi, sempre più giù, slacciandomi la cintura e facendo cadere le mie braghe per poi rialzarsi e baciarmi il viso schiacciando il suo ventre contro la mia erezione. Le ripresi il culo insistendo e questa volta mi lasciò fare, ora succhiandomi le labbra, tirai su la sua veste da dietro palpandola a piene mani e lei fece passare le sue dietro toccando il mio, le scivolai dentro le mutandine e lei mi imitò nelle mie guardandomi con un sorriso malizioso. Mi gustavo quel suo bel culo come pure le sue carezze e presto gliele abbassai per meglio curiosarlo. Lei fece lo stesso scivolando con le dita tra la mia canala, tra le mie chiappette, sogghignava ora quasi a sfidarmi ad andare avanti. Eccitato le cercai da dietro il laghetto poco sotto celato per inumidirmi le dita e andai a bagnarla tra i glutei, su quel piccolo buchetto nascosto. Lei tolse una mano da me e si frugò tra le cosce ad occhi chiusi per poi scivolare con le dita bagnate sul mio culo e lisciarlo con fare pericoloso. Mi guardava lasciva mentre sentivo sulle dita il suo ano palpitare caldo, provai quindi: le scivolai dentro con un dito e “lui” cedette goloso e ben mi accolse, lo accompagnai con un altro ma venni subito fotocopiato dalle sue dita, dentro me. Colto impreparato mi bloccai turbato sfilando le mie mentre lei mi canzonava - “tutto qui quello che sai fare, che sai giocare? Un solo ditino e già ti spaventi”? Tergiversai andando a cercare di frugarla davanti e lei mi scostò ridendo –“Il mio culetto merita ben di più” – mi disse – “ma se tu hai solo che da difendere il tuo arrangiati e ora accucciati”! Naturalmente obbedii inginocchiandomi a terra, lei si sfilò le mutandine e le passò sulla mia bocca prima di girarsi, tirarsi la tunica fin sui fianchi e chinarsi in avanti. Si allargò le chiappe con le mani davanti ai miei occhi, piegandosi ancora di più e aspettando la mia bocca, in quell’oscurità che mi impediva di vedere quello scuro buchetto che lei mi stava offrendo. Lo cercai però subito con la bocca e iniziai a leccarlo perso nell’eccitazione, lo sentivo palpitare in punta di lingua, guizzare e invitarmi, e dentro vi scivolavo ammorbidendolo e rendendolo man mano più accogliente. Ora la mia lingua riusciva a scoparlo, entrando ed uscendo golosa, mentre sul mio mento sbattevano le sue dita perse nel masturbarla. Nel silenzio ovattato della cantina sentivo lo sciacquio del suo laghetto così torturato e i suoi gemiti in crescere e inutilmente sopiti. La spinsi appoggiata sul baule a culo all’aria per allargarla e succhiarla ancora mentre tremava e si godeva un lungo orgasmo, poi appena calmata mi alzai e lo poggiai paonazzo in mezzo al pacciugo che regnava tra le sue cosce, ma lei si rialzò subito negandosi e gelandomi con un secco - “Ora tocca a te! Lasciati fare e lasciami giocare”. Mi obbligò di nuovo contro il muro obbligandomi a poggiare le mani e chinarmi in avanti mentre lei si inginocchiò per terra aprendomi le chiappe. Confuso e imbarazzato sentivo la sua lingua che mi leccava cercando di violarmi e la sua mano che mi aveva fatto allargare le gambe per poi prendermi le palle e tirarle, strizzarle, poi il piacere del suo insano fare mi conquistò coinvolgendomi. Sentii le mie mani andare sulle mie chiappe e allargarle, e non obbiettai anzi, rilassai il mio culo per meglio sentirla entrare, cercavo di allargarlo per godermi la sua lingua esplorare e facendo anche finta di niente quando ogni tanto le scappava un pollice curioso. Lei ora mi segava il cazzo da sotto, con una mano tra le mie gambe lo sforzava verso il basso e lo masturbava secca, e io mi stavo perdendo nel tutto. Gemendo dal piacere la supplicai di fermarsi e di darmela, di farsi scopare, ma come risposta ottenni solo il suo ulteriore accanirsi con le dita dentro il mio culo e l’aumentare dello smanettarmi: esplosi svergognato spruzzando quel muro scalcinato, gocciolando sul pavimento e nella sua mano. Si alzò leccandosi le dita, lasciandomi lì scioccato e tremante si ricompose e uscì guardinga, rimettendo le mie chiavi prima trafugate sulla toppa del portone.
Era appena finita e io già solo attendevo eccitato la sua prossima mossa, ma proprio in quella mi ribellai per la prima volta.
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