Finché c’è vita …

  • Scritto da geniodirazza il 22/12/2020 - 15:33
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La lunghissima quarantena a cui la pandemia ha obbligato tutto il mondo ha finito per incidere, in forme diverse, anche sulla nostra vita; non molto su quella del mio compagno, che non so più quando è uscito di casa, l’ultima volta; condannatosi alla pensione, si è chiuso dentro le sue patologie, aggravate da una profonda depressione che gli fa sviluppare una latente forma di ipocondria.

Dopo una maturità passata a impegnare enormi energie per consentirci un attivismo perfino esagerato che ci portava a girare il mondo, a lavorare fino all’esaurimento e, per di più, a scopare come disperati, molto spesso e assai volentieri in situazioni ‘diverse’ e in qualche modo particolari, si è trovato all’improvviso, complici alcune ‘botte’ prese, a chiudersi in casa per problemi respiratori e, soprattutto, per l’asportazione della prostata che lo ha ridotto all’impotenza totale.

Per qualche tempo, ho cercato di mettermi nei suoi panni, sacrificando i miei bollori che sono stati sempre quasi irresistibili; abbiamo tentato in vari modi di sopperire all’impotenza con artifici sempre aleatori e quasi sempre insoddisfacenti o addirittura inutili; poi ho deciso che potevo e dovevo lasciarlo a crogiolarsi nel suo senso di inutilità, nel desiderio di scomparire, insomma nella depressione più nera da cui non sapeva e non voleva uscire.

Ho contattato alcuni amici con cui, in passato, avevo scopato con grande soddisfazione, da sola e qualche volta anche insieme e a lui; ed ho cercato di riproporre qualche buona abitudine, nonostante gli anni ormai passati e la condizione non certo ideale di una donna assai oltre la settantina che, benché mi proponessi con un aspetto che mi assegnava più di dieci anni in meno, aveva comunque i suoi problemi di tenuta del fisico da affrontare.

Naturalmente, anche i vecchi amanti hanno sofferto gli oltraggi dell’età e quasi tutti erano ormai così malconci che non ho trovato gran che risposte convenienti; su suggerimento di amiche fidate, ho cercato di spostare l’interesse su giovani rampanti, in qualche caso dell’età dei miei nipoti, disposti, in cambio di qualche regalo o di pochi soldi; particolarmente interessanti sono risultati alcuni neri, che in città abbondano, che, per voglia insoddisfatta o per qualche euro, non andavano troppo per il sottile.

Naturalmente, non potevo nemmeno pensare di portarmeli a casa, perché da troppi anni viviamo insieme e, nel suo stato di salute, quella è diventata la nicchia in cui si è ritirato e da cui non si muove nemmeno a cannonate; impossibile, quindi, pensare di andare a scopare dove lui era in perenne vedetta; per fortuna, era rimasto vuoto il locale in cui, fino a qualche tempo prima, avevamo la nostra attività commerciale e quell’ambiente si è trasformato facilmente in una mia personale alcova.

Costruirmi un modus vivendi per cui, spinta da lui, quotidianamente dovevo uscire per le incombenze più diverse, rientravo all’una per il pranzo e alle otto per la cena, dopo la quale finivamo inevitabilmente sbracati davanti al televisore ed io potevo restarmene a sonnecchiare sugli spettacoli che lo affascinavano, prima di andare a letto, ciascuno nella sua cameretta, poiché da anni ormai dormivamo in letti separati.

La quarantena mi ha fottuto, perché ha sconsigliato i rapporti fisici ravvicinati e, sinceramente, neppure mi viene voglia di rischiare il contagio per una scopata, per bella che possa essere, con uno sconosciuto; già prima bisognava che mi muovessi con cautela per evitare incontri pericolosi, soprattutto dal punto di vista sanitario; la pandemia aveva portato la paura allo stadio di terrore puro; sicché è da un bel po’ di tempo che la mia figa resta asciutta e vuota, con mio sommo rammarico.

Un poco mi consolo con la memoria dei passati momenti di gloria; e mi sollevo un poco lo spirito, anche solo davanti ad una immagine di una città da noi visitata, ricordando le grandi scopate che ci siamo fatti, io e lui o anche io con altri amanti incontrati sul posto o perfino in gruppi più numerosi, dalla doppia coppia alla vera e propria orgia in cui venivano coinvolte più coppie contemporaneamente.

Questo avveniva prevalentemente al mare, d’estate, quando i freni si allentano e ci si ritrova, dopo cena, in un locale oppure in spiaggia, sapendo che prima o poi la voglia di sesso si scatenerà e sarà solo un gorgo di cazzi e di fighe ad animare i movimenti; assai spesso, mi trovo a ricordare il cazzo del nostro amico siciliano, una mazza di forse venticinque centimetri, con la quale mi feci più volte sfondare l’utero fino al dolore, godendo come matta ad ogni colpo che piantava.

Mi sparo i ditalini migliori quando ripenso al salotto di Totò, dove mi facevo scopare con grande gusto, spesso per ore, preferibilmente sul divano che sembrava messo lì apposta; godo nel ricordare la monumentalità di quel cazzo ritto col quale mi sarei deliziata non appena mi avesse invitato a mettermi a sessantanove su lui, per leccarmi con larghe spatolate la figa e il culo.

Quando mi aveva fatto godere più volte e sentiva di non resistere ancora molto, mi metteva piegata col busto sul divano e m’infilava in figa quel mostro quasi disumano; anche solo ricordare quelle emozioni, mi eccita al punto che quasi godo solo toccandomi la figa; molto spesso, poi, quasi come accadeva nelle scopate con lui, riprendo a martellarmi il clitoride e l’effetto sono lunghissimi orgasmi che mi fanno ancora squirtare.

Ma ‘il ricordo, come sai, non consola’ come cantava Battisti in una famosa canzone; e la voglia di assaggiare ancora in figa un bel cazzo duro e nodoso non passa, anche dopo decine di serate di masturbazioni; l’obiettivo è trovare un maschio convincente che mi possa sbattere ancora per bene e farmi ritrovare il piacere di sentirmi viva soprattutto là dove mi sento ancora femmina e non ho nessuna voglia di disarmare e farmi rottamare.

La mia fortuna si chiama Maria Rosaria ed è una vicina più giovane di me, ma assai malmessa in quanto a condizioni di salute; tutte e due madri e nonne, ambedue con un vissuto alle spalle assai interessante di separate che hanno fatto esperienze di convivenza e di sesso libero, parliamo spesso di sesso, ma lei con molta nostalgia ed io con immutata lussuria; naturalmente, in lei non c’è nessuna intenzione di sollecitare o favorire la mia smania di scopare.

Tra le altre cose, mi racconta di un suo cugino alla lontana, un suo quasi coetaneo (qualcosa sopra i sessanta), che da giovane l’ha fatta spesso ballare sul suo cazzo cavallino; ha di lui ha un ricordo meraviglioso, perché, a suo dire, effettivamente, rappresentava l’alternativa ideale a suo marito, un ipodotato tutto casa e lavoro che solo nei primi anni di matrimonio l’aveva fatta godere veramente; nel giro di pochi anni si erano assopiti, lui e la sua verga, e lei si era buttata in braccio a Giuseppe.

Quando Maria Rosaria mi racconta qualche episodio delle scopate che si era fatta con il cugino, sento che la figa mi comincia a prudere e, istintivamente, mi tocco; se ne accorge e, quasi sadicamente, insiste su particolari scabrosi che contribuiscono ad accentuare la mia libidine, sicché devo andare in bagno a masturbarmi; capisce immediatamente che il racconto mi scuote.

“Non vorrai dirmi che provi ancora desiderio di scopare!”

“Tu puoi anche avere rinunciato; una bella mazza che mi sfondi mi attizza ancora; e non credo che sia uno da lasciarsi scappare, questo tuo cugino.”

“Vuol dire che, se dovesse capitarmi di invitarlo da me, ti avverto e te lo lascio concupire.

“E’ ancora sulla breccia?”

“Dai racconti che sento, scopa ancora come un mandrillo; in fondo, ha meno di settant’anni … “

Dell’episodio mi sono quasi dimenticata e riprendo il mio monotono tran tran familiare, sperando inutilmente che mi capiti l’occasione buona, anche se ho perfetta coscienza che troppe incognite suggeriscono di non lanciarsi in strane avventure, coi tempi che corrono; con cetrioli, zucchine e un dildo che avevo comprato, per le emergenze estreme, continuo a tenere sotto controllo mie voglie e cerco di soddisfare la mia libidine coi ricordi.

E’ una domenica mattina e non ho niente da fare in casa, lui si è sprofondato nel computer e sta facendo non so quali ricerche; cerco di risvegliarlo per proporgli almeno un ditalino o un cunnilinguo, tanto per rompere la monotonia; ma lui sembra ormai non sentirci più, da quell’orecchio, e mi invita a cercarmi qualche altra cosa da fare, per esempio leggere un libro o dedicarmi al giardinaggio, per riempire il vuoto.

Ma sono particolarmente eccitata e decido di andare a trovare la mia amica quanto meno per distrarmi parlando di stupidaggini; mi apre e si disegna sul suo viso un’espressine malandrina che mi lascia perplessa; entro e trovo seduto in salotto un uomo non più giovanissimo, ma ben messo, aitante, tonico, affascinante; sussurro a lei che non voglio essere di disturbo e che possiamo vederci in altro momento; mi invita ad entrare con un largo sorriso sornione.

“Entra, Ginevra, ti presento mio cugino Giuseppe … Lei è la mia cara amica Ginevra.”

Mi immobilizzo; la maledetta ha progettato e realizzato; ora il maschio che desidero forse è davanti a me; e mi piace pure; di colpo divento salottiera e disinvolta; lui è cortesissimo e garbato; mi fa i complimenti per la mia figura ed io mi profondo nelle mille solite moine che sono di prammatica in un caso del genere; intanto guardo la patta e, nonostante la condizione di assoluto riposo e l’ingombro dei vestiti, la narrazione di sua cugina mi aiuta ad intuire una bella dotazione in attesa di me.

Sono più che certa che Maria Rosaria mi ha preparato una situazione interessante; quello che non riesco ad immaginare è il ruolo che si è riservata e il posto dove pensa che potrei realizzata una bellissima scopata col suo cugino dal cazzo bello, per quello che lei volentieri ricorda: mi rilasso sulla poltrona e, quasi involontariamente, comincio ad affascinarlo tirando la gonna il più in alto possibile sulle gambe, quasi a mettergli sotto gli occhi le brasiliane che mi fanno il culo bello.

Lei mette sul tavolino dolcetti e vino passito, si siede sull’altra poltrona e danno la stura ai ricordi ed agli aneddoti di famiglia; inevitabilmente, ma forse volutamente, il racconto scivola verso l’intimo e si affacciano i primi episodi scabrosi, che ci danno modo di ridere di gusto; mi accorgo che lui si fa sempre più audace e che la sua mano si poggia su un mio ginocchio; decisa a concupirlo, mi sposto sul divano accanto a lui e gli faccio sentire il calore del seno sul braccio e quello delle natiche sul fianco.

Fingendo di allungarmi a prendere un oggetto sul tavolino accanto a lui, gli passo la mano sulla patta e carezzo il sesso che reagisce immediato e dà subito la sensazione di una mazza ben grossa e dura; Maria Rosaria si allontana per una improbabile incombenza in cucina; la sua mano corre al seno e lo carezza; la mia scatta verso la patta e afferrò il cazzo ben disegnato ormai sotto al pantalone, forse in un boxer, vista la forma; lei si affaccia dalla cucina e suggerisce che la camera è disponibile.

Si alza, mi prende per mano e si dirige verso la camera; guardo lei interrogativa; mi fa cenno con la mano di andare; capisco che mi lascia campo libero, almeno per ora; lo seguo, chiude la porta alle mie spalle e mi avvolge nell’abbraccio; per la prima volta, dopo un tempo interminabile, sento il sapore di una bocca maschia sulla mia e una lingua forzarmi le labbra, entrare in bocca, perlustrarla con la gioia della lussuria che monta; spingo la lingua e faccio lo stesso con lui.

Fino a pochi momenti prima dell’approccio, avevo una gran paura che un certo rilassamento del ventre potesse diventare un impedimento; registro con gioia che la figa va a catturare il cazzo e si muove a titillarlo, da sopra i vestiti; la secchezza vaginale che temevo fortemente all’improvviso sparisce, perché comincio a versare umori dalla vagina che inondano persino la mia bella brasiliana che per fortuna quella mattina avevo inaugurata; sento già un lago fra le cosce.

Deve essere davvero un buon amante, Giuseppe, perché, mentre mi stordisce con un bacio voluttuoso che mi scuote tutta, riesce quasi senza farmene rendere conto a sfilarmi la camicetta; mi sgancia il reggiseno e mi prende le mammelle nelle mani; si stacca dal bacio e sposta la bocca sui capezzoli, che ho grossi come fragole su aureole pronunciate e sensibili; quando prende un capezzolo fra le labbra e comincia a succhiare, sbrodolo come mai mi era capitato.

Gli sfilo la giacca e lo costringo a togliere la camicia, lo spingo di schiena sul letto e apro la cintura dei pantaloni; li abbasso alle caviglie e afferro il cazzo che fa vela dentro il boxer; lo smanetto da sopra l’indumento; mi spinge via, si sfila i pantaloni e si toglie anche il boxer; mi fermo incantata davanti a quell’asta bellissima che mi esplode davanti agli occhi in tutta la sua possanza; allungo un mano e finalmente il calore della mazza si trasmette alla mia epidermide, fino al cervello.

Mi lascia fare e si limita a carezzarmi come può, mentre mi inginocchio e appoggio le labbra sulla cappella; lecco delicatamente specialmente il meato urinario in cui infilo la punta della lingua; freme per un attimo e geme; passo la lingua su tutta la cappella e i brividi si rincorrono; mi poggia una mano sulla nuca e mi spinge delicatamente verso il basso; afferro il cazzo alla radice e affondo la bocca guidandolo con la lingua prima verso il palato poi verso l’ugola.

Afferro le anche e muovo la testa su e giù facendomi scopare in bocca fino alla gola; spinge un poco dal basso verso l’alto e, sincronicamente, preme sulla nuca per la massima penetrazione; non è facile da gestire in bocca, quel cazzo assai grosso, lungo e nodoso; ma le sensazioni che mi provoca sul palato, sulle guance, sulla lingua, mi fanno godere continuamente; dalla mia figa un torrente di umori si scatena giù, forse fino al pavimento; godo straordinariamente, a ritrovarmi in bocca un bel cazzo.

Di colpo, Giuseppe me lo sfila dalla bocca, si alza in piedi e mi fa scorrere giù la gonna; afferra la brasiliana dalle anche e la fa scendere fino alle caviglie; coi piedi scalcio via gonna e slip; lui mi spinge con le spalle sul letto e si inginocchia tra le mie cosce; sono anni che non sento la mia figa leccata con amore da una lingua maschia e quasi prepotente; afferro lui per le tempie e guido il movimento dirigendolo con la pressione sulla testa; raggiungo l’orgasmo e urlo.

Maria Rosaria si affaccia alla porta, guarda lo spettacolo, mi manda un bacio e scompare; capisco che ho trovato il mio Eden e decido che su quel letto consumerò tutte le scopate che potrò, con un maschio forte e sapiente, che usa il cazzo come un piumino o come un ariete, la bocca come un dildo vibrante sul clitoride e le mani per carezze infinite e saporose; mi abbandono alle sue leccate e mi gusto i brividi di piacere che mi scoppiano nell’utero.

Adesso però comincio a sentire il bisogno irresistibile di sentire quel cazzo che mi sfonda; gli sollevo delicatamente la testa e mi sposto al centro del letto, divarico le gambe e sollevo le ginocchia, aprendomi scosciata a lui e alla sua monta, spero che sia eccitato al punto giusto; lo è, senza alcun dubbio; il suo cazzo è la lancia di un cavaliere al torneo, puntata diritta contro il mio ventre; allargo le braccia per riceverlo; si inginocchia fra le cosce.

Quando accosta la punta alla vagina, allargo le gambe, le sollevo in alto e sono tutta aperta per lui; un solo colpo e mi penetra fino all’utero; provo dolore, tanto improvvisa e violenta è la penetrazione; ma il canale vaginale si impossessa immediatamente dell’asta e la stringe delicatamente, quasi a succhiarlo; affonda dentro, dopo avere estratto quasi del tutto la mazza; il rumore del ventre che sbatte sull’inguine è un motivo in più per eccitarmi; comincia a sbattere con metodo.

Prima mi cavalca lentamente, gustandosi e lasciandomi godere l’ariete che entra fino alla cervice; poi mi sbatte con violenza e rapidità con una serie di colpi che mi fanno sentire la potenza della mazza; godo in continuazione e sento gli orgasmi scorrermi a fiumi dal ventre, dalla figa fino a perdersi sul cazzo; sto andando in paradiso e lo costringo a baciarmi per aggiungere libidine a libidine, godimento a godimento; esplodo ancora due volte mentre mi cavalca.

Non è un ragazzo; e non ha  voglia di godere subito; si ferma decisamente incuneato nella figa e mi abbraccia con tutto il corpo; sento i muscoli sciogliersi, il ventre godere in tutta la superficie, il canale vaginale mungere la sua asta e cercare ad ogni costo la sborrata che mi inonderà il ventre; ma Giuseppe mi vuole godere tutta; mi fa rotolare sopra di lui; io mi siedo impalandomi e mi godo la penetrazione più profonda che io stessa cerco di affondare al massimo.

Mi afferra il culo con le due mani e i due medi si accostano all’ano, lo penetrano per una nocca e lo aprono verso l’esterno; ‘è bello aperto, non avere esitazioni’, gli sussurro; ‘allora me lo prendo’ è la risposta; sfilo il cazzo dalla figa, lo prendo in mano e guido la cappella all’ano; ho goduto tanto che anche il culo è lubrificato dai miei umori; il cazzo scivola dentro per un primo tratto; mi fermo perché lo sfintere oppone resistenza; mi rilasso e spingo ancora; è tutto dentro.

Sento i peli del pube che mi solleticano il coccige; le sue mani mi artigliano la figa e i due medi, insieme, penetrano in vagina e la riempiono; mi sembra di andare in paradiso; la mia figa recupera la memoria delle grandi scopate e si rilassa per far entrare tutto quello che vuole infilarmi dentro; a questo punto, gli darei tutto, perché mi sta riempiendo e mi sta facendo godere come non ricordavo più da tanti anni e come forse non ho mai goduto in vita mia.

Vorrei che sborrasse, che mi inondasse di sperma l’intestino; ma lui evidentemente aspettava da tempo una scopata così ricca e bella; si frena in maniera evidente e mi afferra per le anche per spingere il culo in basso, quasi a penetrarsi nel ventre coi miei glutei; capisco che lo fa godere la sensazione delle natiche che premono sul ventre e mi muovo delicatamente in tondo, mulinando sul suo osso pelvico la figa e il culo; siamo completamente preda della lussuria e godiamo insieme.

Ma lui non sborra ancora; mi vuole godere in tutti i modi; si sfila dolcemente e lentamente dal culo; mi sposta via e mi fa mettere carponi; viene alle mie spalle, spazzola con la cappella i peli della figa, trova l’accesso alla vagina, ormai completamente aperto, e infila la mazza fino a che urta la testa dell’utero; una sensazione nuova mi assale, di essere riempita totalmente da quell’arnese meravigliosa che mi sconvolge la figa; urlo e godo in continuazione finché uno spruzzo enorme di squirt lo colpisce.

Sfila di nuovo il cazzo, sposta la cappella verso l’alto, trova l’ano ancora aperto dall’inculata precedente e ne riprende possesso, stavolta penetrando fino all’intestino, da quella posizione favorevole; trovo un momento per sussurrargli che deve sborrarmi in bocca perché voglio sentire il sapore del suo sperma; mi sbatte ancora per una decina di colpi facendomi sentire l’osso pelvico fin sull’ano spalancato dalla sua mazza; mi urla ‘attenta’, sfila il cazzo e si precipita ad offrirmelo in bocca.

Lo ingoio per un buon terzo e lo lavoro con la lingua mentre mi penetra fino all’esofago; il primo getto di sperma mi colpisce in gola come fosse una fiamma ardente; lo ingoio; poi metto la lingua a contrastare gli altri e faccio scorrere la sborra sotto la lingua, raccogliendola tutta; riesco a non perderne niente; sento il cazzo che si sgonfia, perde vigore e si adagia in bocca dolcemente molle, quasi sazio della scopata; lo lecco a lungo, tutto intorno a raccogliere residui di sperma.

Con un ultimo risucchio, lo lascio uscire dalla bocca e lui si stende a fianco a me; con delicate carezze, mi stimola il seno, stringendo ogni tanto i capezzoli; dopo i brividi di goduria, si sono fatti sensibili e fermo le mani che li avevano catturati e li titillavano; gli indico di adagiarsi e di calmarsi; lo sento a mano a mano rilassarsi e lasciarsi andare al languore di quella bellissima scopata; mi seno piena, soddisfatta, felice.

“E’ stato meraviglioso; sei un’amante straordinaria. E’ stato solo un momento o può avere un seguito?”

“Avevo una voglia disperata di scopare; ti cercavo, forse; e, grazie a tua cugina, ti ho trovato; quando mi vorrai, sono qui; non so se possiamo approfittare sempre della cortesia di Maria Rosaria; non ho bisogno di alibi o di giustificazioni; ma sapere che ti posso avere qui a due passi, quando ne avessimo voglia, mi porterebbe in paradiso.”

La mia amica ha capito, dal silenzio, che avevamo concluso in bellezza; si affaccia dalla porta ed entra, quando ci vede rilassati.

“Allora, ragazzi, tutto bene?”

“Benissimo, maga meravigliosa; mi hai preparato una sorpresa eccezionale; una scopata così non la ricordo da tempo immemorabile; grazie per avere organizzato tutto questo per me.”

“Beh, che vuoi? Lui mi ha detto ch aveva voglia di una donna eccezionale, tu mi avevi parlato del tuo bisogno di sesso; la cosa più sensata era farvi scopare qui, in santa pace e vicino a casa tua. Giuseppe mi ha detto che può anche venire a trovarmi e che, se vi foste trovati bene, gli piacerebbe vederti spesso; se vi mettete d’accordo, io do a lui la chiave di casa e, anche se non ci fossi, potete venire a scopare qui in santa pace; lo farete anche per me che non posso più.”

“Davvero torneresti a farmi andare in paradiso con la tua mazza?

“In ogni momento; ti lascio il numero; un messaggio, un colpo di telefono e sono qui ad aspettarti.”

“Ragazzi, è stata un’occasione meravigliosa; non riuscirò mai a dirvi quanto vi sono grata; adesso torno a curare il mio povero compagno; lui è meglio se non sappia niente; sono stata sempre leale con lui; ma voglio scopare spesso con Giuseppe; è meglio che non sappia. Ti chiamo fra qualche giorno, appena mi organizzo al meglio; voglio ancora farmi sventrare da te, in tutti i modi. Ciao. Grazie a te, Maria Rosaria; ci vediamo dopo.”

Rientro a casa e lo trovo ancora inchiodato al computer, a quella sua ricerca; vado in bagno a lavarmi ed a cambiarmi; ho troppo odore di sesso addosso; se mi avvicino, scopre tutto; quando sono rimessa in ordine, mi avvicino, gli accarezzo la testa con affetto; un poco mi dispiace dovere farlo alle sue spalle; forse capirebbe pure e accetterebbe la novità; ma non vorrei che la nuova rassegnazione pesasse sulla sua depressione e lo rendesse ancora più cupo; gli chiedo se ha voglia di pranzare.

Non mi risponde neppure, preso com’è dalle sue ricerche; ad un tratto, non so perché, gli vien fatto di dire.

“Finché c’è vita, c’è speranza.”

Senza rifletterci mi viene in mente un’altra considerazione che non esprimo.

“Finché c’è un cazzo che funziona, c’è vita che continua; se finché c'è vita, c'è speranza; allora, se c’è un cazzo, c’è anche speranza che la vita sia migliore.”

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