Freccia Rossa

Freccia Rossa

“Oreste, grandissimo, unico, immenso, povero amore mio,

sono sicura che questa mia confidenza / confessione ti darà un dolore infinito, non lenibile in nessun modo; sarebbe necessaria la forza di portare indietro le lancette e cancellare questa mattinata; ma sappiamo che non è possibile e non mi resta che dirti addio; è perfettamente inutile che mi cerchi; ti incontrerò io, in qualche modo.

Sai perfettamente che, quando ci siamo conosciuti, ormai molti anni fa, ero una povera montanara, rimasta quasi sempre chiusa nel nostro delizioso paesello sull’Appennino; che si limitava a gioire del successo che ottenevi nel tuo lavoro tu, il mio principe azzurro, l’uomo a cui avevo dato tutta me stessa quando me lo avevi chiesto; che non avevo quasi nessuna esperienza della vita, fino a che non mi hai sposata e portata a venire qui con te in città.

Non sapevo quante insidie si celassero nel benessere diffuso e nella disinvoltura dei comportamenti; credevo davvero che tutti quelli che ti circondavano fossero amici tuoi, come ero abituata al paese; ed ero anche pronta a considerare vere e giuste le cose che mi dicevano.

La mia disavventura è cominciata stamane, quando sono uscita per alcune piccole commissioni; solo in ascensore mi sono resa conto che avevo lasciato dentro le chiavi di casa e non potevo rientrare; poiché il tuo ufficio è vicino, non ho esitato a venire fin qui per prendere le tue; sfortunatamente, non c’eri perché impegnato non so dove; Polidori, il dirigente amministrativo, mi ha accolto con molto garbo ed eleganza, facendomi quasi sentire importante.

Ci siamo accomodati nel tuo ufficio; sono certa che sai quale abile parlatore sia; in pochi minuti è riuscito a intrappolarmi nelle sue chiacchiere e ci ha messo anche meno a mettere in crisi la mia cultura montanara per convincermi che se non imparavo qualcosa sul sesso non avrei mai potuto dialogare alla pari con te; ti avevo già sentito scherzare pesantemente con lui e con altri e mi ero riconosciuta inferiore; quando mi ha proposto di approfondire altrove, mi sono fidata.

Mi ha portato in un magazzino vuoto, con solo un vecchio divano; mi ha cominciato ad accarezzare; per non fare la figura della bacchettona, ho lasciato fare; mi sono eccitata e l’ho ricambiato; sentirmi le mani su tutto il corpo è stato un attimo; devo confessarti che provavo molto piacere; lui mi spiegava che fare esperienza era comune a tutte le donne, che tu saresti stato felice che diventassi disinibita per essere un’amante migliore; non c’era bisogno di convincermi; mi sono abbandonata a lui.

Mi ha baciato con una grande passione e ricordavo con gioia il confronto coi baci tuoi; sentivo che mi ruotava la lingua in bocca e che me la faceva succhiare come un piccolo sesso; ho pensato che dovevo farlo con te, per farti godere di più; quando mi ha tolto il vestito, ho provato un po’ di vergogna; ma poi ha cominciato a succhiarmi i capezzoli e sono andata nel pallone; non esistevano altro che il piacere e la mia vagina che piangeva fontane di umori per la lussuria che mi attraversava tutta.

Poi si è spogliato anche lui; non ha un gran fisico e la sua mazza è forse due terzi della tua; ma non era il confronto che mi interessava; mi stava palpando le natiche, il ventre; mi ha infilato in vagina due dita; ravanava dentro e io godevo, godevo da matti; quando mi ha fatto sedere sul divano e mi ha messo il fallo davanti alla bocca, ho capito che voleva lo succhiassi; lo sai che sono brava nella fellazione; l’ho leccato a lungo, quasi con amore; e provavo un piacere intenso a sentirmi riempire fino in gola.

Mentre giocavo col sesso in bocca, ha fatto una telefonata; poi mi ha fatto sdraiare contro lo schienale del divano ed è sceso fra le mie cosce; mi leccava la vagina con una perizia estrema ed io sentivo tutte le fibre titillate dal piacere che mi stava dando; ha dovuto tacitarmi, perché tendevo ad urlare troppo la mia libidine; ho sentito la porta che si apriva e tre persone sono entrate; le conoscevo tutte, Tarcisi del reparto vendite, Nicodemi del magazzino e Ludovici, quello degli imballaggi.

Mi hanno rasserenata subito, dicendomi che l’esperienza così era più ricca e valida, che in città si faceva in quel modo e tutti ne erano felici; che tutte, impiegate ed operaie, in fabbrica facevano quei giochi e sicuramente saresti stato molto contento anche tu; di colpo, erano tutti e quattro nudi; non erano gran cosa, i loro attrezzi, e non li usavano bene come fai tu; hanno cominciato a darmeli in mano, in bocca, tra le natiche, tra le cosce; avevo sempre la bocca impegnata in una fellazione.

Mi invitavano a masturbarli con sapienza ed ero bravissima; poi uno ha deciso di penetrarmi, mi ha fatto piegare con le braccia sulla spalliera del divano e mi ha preso a pecorina; non è stato doloroso, anzi ho goduto; da quel momento si alternavano nella mia vagina ma non arrivavano all’orgasmo; poi uno mi ha fatto ruotare e, mentre mi prendevano a pecorina, mi ha messo il sesso in bocca per succhiare; gli altri due me l’hanno dato in mano da masturbare.

Ad un certo punto, Polidori si è steso sul pavimento di legno e mi ha fatto montare alla cavallerizza; mentre mi possedeva, da dietro un altro ha lubrificato l’ano e di colpo mi ha penetrato nel retto; Polidoro con un bacio ha soffocato il mio grido; poi il terzo è venuto verso di noi e mi ha ficcato l’asta in bocca; ero quasi felice di sentirmi posseduta da tutte le parti; ero certa che avresti goduto molto quando ti avessi raccontato; il quarto mi ha messo il sesso in mano e mi ha indicato di masturbare.

Non so dirti quanto tempo siamo stati in quel magazzino; hanno eiaculato tutti più volte, in vagina, nel retto, in bocca; la cosa peggiore è cominciata quando l’atmosfera si è fatta calda; mi sono sentita apostrofare da espressioni volgari di cui la più corretta era scrofa o troia; mi hanno detto che ero la peggiore donna del mondo, che nessuna femmina avrebbe sopportato quel che stavo facendo e che quel cornuto del direttore adesso poteva anche considerarsi contento di una moglie prostituta.

Ti confesso che mi sono sentita morire; improvvisamente è risultato chiaro che mi ero fatto raggirare come un’imbecille; ho cercato di reagire, ma mi hanno minacciato di farmi girare per gli uffici in quello stato, discinta, seminuda e ricoperta di sperma; ho pianto tutte le mie lacrime, ma non ho avuto la forza di reagire; sono spariti di colpo, lasciandomi sola; mi sono rivestita ed ho cercato di ricompormi; ho visto un bagno e mi sono un poco lavata.

Poi sono venuta qui, a scrivere questa mia confessione; so che non puoi più nemmeno pensare di tenermi come moglie e non mi sento degna neppure di guardarti ancora in faccia, l’unica cosa che posso fare è scomparire per sempre dal tuo mondo, di andarmene e non tornare più; ho commesso un errore gravissimo e non mi resta che pagare il prezzo della mia imbecillità, non solo ingenuità, ma autentica mancanza della minima capacità di ragionare; il mio mondo è crollato e non posso più fare altro.

Addio, amore mio; se ti riesce, perdona questa povera piccola montanara inesperta che non ha saputo adattarsi al mondo che ora è tuo; non mi cercare; sarò io a farmi trovare da te. Ti auguro di avere più fortuna con un’altra donna meno imbranata di me. Tua per sempre Elettra.”

Trovo la lettera sulla mia scrivania quando torno dal giro di visita delle strutture dove ero andato per quella giornata; ho appena letto l’ermetico messaggio, quando un agente di polizia si fa annunciare per avvertirmi che mia moglie si è lanciata contro un convoglio Freccia Rossa in corsa, nella stazione ferroviaria cittadina; pare si sia trattato di un suicidio.

Le giornate successive all’evento sono per me un inferno di burocrazia e di adempimenti per riconoscere il corpo dai frammenti che sono stati trovati sparsi per decine di metri; per far trasportare il cadavere al paesello e seppellirlo nella tomba di famiglia; per discutere con la polizia e con i medici incaricati dei motivi che possono avere provocato un gesto così estremo; parlo con Gagliardi, il capo del mio ufficio legale, della lettera e delle accuse.

Mi dice senza mezzi termini che le accuse contenute, anche se corrispondono alla verità dei fatti, non possono essere oggetto di una denuncia giudiziaria; in fondo, l’unico reato ascrivibile sarebbe l’istigazione al suicidio; per il resto, sono banali copule; inoltre non c’è niente a sostegno delle affermazioni fatte da Elettra prima di morire; basterebbe poco per dimostrare che sono parole scritte per lo meno in uno stato d’animo squilibrato e rischiare una controdenuncia per diffamazione.

Sono inferocito fino alla follia e devo impormi tutta la forza d’animo che posso trovare in me, per arrestare l’impeto a spaccare la faccia a qualcuno; decido di consumare a freddo la vendetta che l’episodio richiama; il momento più assurdo è quello in cui torno nel mio ufficio e si annuncia una delegazione per le condoglianze di rito; ricevo il gruppo e i muscoli si contraggono immediatamente quando vedo che ne fanno parte anche gli autentici assassini di mia moglie.

Non esito a dichiarare che non intendo accettare carità pelosa da nessuno; normalmente, le condoglianze sono ipocrite; ma qui lo schifo mi sommerge perché, tra gli altri, vengono proposte anche da qualcuno che se ci fosse una giustizia dovrebbe essere portato in tribunale e condannato per istigazione al suicidio; annuncio che mia moglie ha lasciato una lettera, nella quale spiega che è stata indotta a fare quel gesto perché mi ha tradito facendo sesso con miei dipendenti.

Ad irretirla, istigarla e ingannarla sono state quattro persone i cui nomi e cognomi risultano con chiarezza nella confessione che mi ha lasciato; faccio presente che sul piano morale vi sono almeno tre colpe gravissime, stolking, istigazione alla prostituzione e istigazione al suicidio; l’avvocato Gagliardi mi ha già chiarito che l’unico reato penale sarebbe l’istigazione al suicidio, perché i fatti di sesso non sono rubricabili come reato.

La lettera lasciata da Elettra, per me è una denuncia chiara delle colpe di squallidi individui; non è documento sufficiente per perseguire giuridicamente i colpevoli; ma la legge non può impedirmi di prendere altre mie decisioni; ho perso una moglie giovane, bella e innamorata, per le manovre sporche di maiali; è stata distrutta la mia famiglia; ho perso tutto; ma altri perderanno anche di più; chi ha sbagliato deve pagare; il sindacalista Cecere chiede se posso chiarire che cosa sia successo.

Gli dico che preferisco non spiegare, perché i colpevoli sanno già e non gli resta che tremare; pressato da Nobili, il capo degli operai, mi chiede se tutti i lavoratori rischiano di trovarsi in pericolo; mi limito a dire che la cosa è avvenuta in fabbrica, ad opera e per colpa di dipendenti della fabbrica; se i nodi si sciolgono all’interno, con mia completa soddisfazione, pagheranno solo i colpevoli; se si determina un clima di omertà, dovrei assumere decisioni che riguardano tutta l’azienda.

Quel che è successo testimonia una chiara incompatibilità tra alcuni figuri e la struttura aziendale; se si fa pulizia, l’episodio si può anche tacitarlo e forse dimenticarlo; se i colpevoli restano completamente impuniti, è l’azienda che si sente incompatibile col territorio e non escludo l’ipotesi di una dislocazione in altra regione parimente importante ed interessata alle installazioni industriale; Nobili chiede a Cecere di parlarne in un’assemblea per fare chiarezza.

Se ne vanno tutti alquanto sconvolti, soprattutto i colpevoli che si vedono stretti in una pericolosa morsa, ora che l’avversario da combattere non è una sprovveduta ragazza di montagna senza esperienza, ma uno che, dalle loro stesse condizioni di base, ha scalato i vertici ed ora è alla testa della struttura e forse arbitro della loro stessa sorte; sono certi che l’omertà li può salvare perché contro di loro non c’è altro che una lettera scritta da una che poi si è buttata sotto al treno.

Come primo elemento, vengono svolte accurate indagini interne e risulta chiaro che nessuno degli operai è coinvolto nella ‘bravata’ che ha avuto conseguenze tanto orribili; i due rappresentanti vengono a farmi presente che gli operai non c’entrano; replico soltanto che, se i reprobi escono dall’ombra e si autoaccusano, saranno i soli puniti nei modi che i regolamenti sindacali consentano; se restano nascosti, la mia scelta potrebbe essere la dislocazione della fabbrica e il rinnovo dei quadri.

Mentre sono a casa a piangermi ancora addosso per una svolta nella mia vita che non avrei augurato nemmeno al peggiore nemico, mi telefona e chiede di parlarmi addirittura la moglie di Polidori, autentico artefice dell’inganno che mi ha privato della donna che amavo più della mia vita; sarei tentato di respingerla sdegnato, ma qualcosa nel tono accorato mi convince a invitarla a casa mia; naturalmente, non sa cosa sia veramente successo, ma intuisce da alcuni segnali che suo marito è tra i colpevoli.

Non ho mai avuto modo di incontrare quella donna; di lei so a malapena che insegna in un scuola media di città ed è molto stimata come professoressa; quando apro la porta e me la trovo davanti, sono sorpreso alquanto dalla persona che mi si presenta, una donna giovane, decisamente bella, elegante, di una sobrietà che non riesce a nascondere un fisico da modella, curato ed armonioso.

La lascio entrare; in un niente prende quasi possesso della casa e si muove come fosse lei ad ospitare me; mi da subito del tu e parla quasi a raffica, dimostrando ottimo eloquio, ma grande capacità di dire le cose giuste al momento giusto; si fa accompagnare in cucina dove si muove completamente a suo agio e si mette a preparare il caffè; la guardo meravigliato e mi spiega col suo affascinante garbo che le donne fanno le cose più o meno allo stesso modo; sa dove trovare gli oggetti.

Seduti al tavolo di cucina col caffè fumante, mi esorta a parlare perché, dice, la maniera migliore di esorcizzare un grande dolore è comunicarlo a chi sappia mettersi in empatica comunicazione e comprendere, se non addirittura condividere, per altri motivi, il profondo abisso che la perdita lascia; nel nostro caso, si rende perfettamente conto del vuoto che ho in me con la perdita del mio amore più vero e caldo; lei può intuire qualcosa anche se il morto ce l’ha, ma in casa e forse troppo presente.

Non riesco a seguirla e glielo dico; sorride e mi fa osservare che già riesco a staccarmi un momento dal mio dolore, se mi incuriosisco al problema che lei mi sta sottoponendo; chiarisce poi che io devo accettare la certezza che sono solo e che posso, al massimo, chiudere nel cuore il ricordo di Elettra e cercare una nuova sintonia con una donna degna di quella che ho perduto; lei invece sta vivendo un matrimonio rivelatosi presto infelice; per di più, adesso sa che il marito che non ama è anche un porco.

A queste condizioni, preferirebbe piangere un amore vero, pulito, morto da vittima disgraziata piuttosto che andare a letto con uno stupratore maschilista che segue il sesso come faro di orientamento e non sa essere umano in niente; conclude.

“Non credere che sia qui a consolarti pietosamente del tuo dolore; piuttosto cerco di farti capire che quell’amore è ormai tuo in maniera intoccabile, non si potrà sciupare in nessun modo; tu però sei vivo ed hai il diritto, anzi il dovere, di preoccuparti di ridare vita, entusiasmo e contenuti al tuo bisogno di amore; la stessa Elettra non accetterebbe di portare la responsabilità di averti impedito di continuare ad amare e a vivere con gioia, amicizia, empatia, simpatia, passione.”

“Sembra quasi che tu voglia dirmi che sei venuta per riempire il vuoto in me, piuttosto che esprimere condoglianze o maledire tuo marito.”

“Oreste, io fino a questa vicenda sapevo di te solo che eri ‘il padrone’; ti ho visto all’obitorio, ho letto il tuo dolore e mi sono sentita tanto vicina e solidale; non so se sono venuta a portarti la mia empatia, a consolarti del tuo dolore o ad offrirti di tenermi vicino per avere un riferimento umano; ora che sono qui, mi sento attratta fortemente dal profondo dolore e dalla dolcezza dei tuoi modi. Ti da fastidio se ti parlo quasi da donna innamorata?”

“No, Elena; non mi dai nessun fastidio; sono io che ti ringrazio perché davvero avevo bisogno di empatia, di comunicare; sento che con te le mie pene sono alleviate; mi piace sentirti vicina e desiderare anche di toccarti come se fossi la concretezza dell’amore che avevo per mia moglie.”

“Vedi che dalla morte siamo passati all’amore? Si potrebbe dire che il corpo di Elettra è ancora caldo, eppure tu provi il desiderio di andare avanti; facendosi da parte, tua moglie è come se ti avesse offerto lo spazio per dare il tuo amore a un’altra; non la dimenticherai, mai; ma hai ancora tanto da dare … “

Mentre dice queste ultime cose, mi prende la mano ed intreccia le dita alle mie; mi rendo conto che è come se mi trasmettesse forza, energia, calore; solo nei momenti di grande empito amoroso con Elettra, avevo provato sensazioni simili.

“Elena, ti rendi conto che ci stiamo trasmettendo un’elettricità strana?”

“Vuoi dire che tu hai la sensazione di tenere la mano a tua moglie viva ed io di stringere le dita al marito che non ho più da mesi, ormai? Si, ti sto sostituendo a lui; diversamente da te, io so lucidamente che sto operando il transfert e non me ne dispiaccio; sto prendendomi da te il bello che c’era nell’uomo da cui mi lasciai sverginare perché lo amavo; mi sento come se stessi offrendo la stessa verginità ad uno che ha bisogno di fiducia, di sintonia, di amore; se ti offende, scusami e smetto.”

“Sei una donna di eccezionale intelligenza e di grande sensibilità; ma se scoprissi che sei anche una femmina meravigliosa, che sa amare e farsi amare? Capisci che, se portiamo avanti questo gioco intellettuale, potremmo tra poco abbandonarci anche all’amore? Cosa succederebbe, allora?”

“Ti fa tanta paura avere un momento di passione così poco tempo dopo che tua moglie è morta? O ti spaventi all’idea di quel che potrebbe succedere dopo nel caso che perdessimo la testa? Hai paura di una storia tra due amanti?”

“Elena, abbiamo già parlato troppo, probabilmente; ci stiamo preoccupando solo dell’altro e mettiamo il carro davanti ai buoi; forse è il caso di essere un pizzico egoisti; ci vieni con me di là, a fare l’amore ognuno coi suoi fantasmi?”

“Che aspetti a portarmici? La strada la conosci meglio … “

L’emozione che mi prende quando varco la soglia della camera, dove fino a quindici giorni fa facevo l’amore con tanta passione con Elettra, mi blocca per un attimo il respiro; Elena se ne rende conto, mi stringe la mano, mi afferra e mi bacia con voluttà; sento la sua bocca che divora la mia, la lingua che si insinua nella cavità orale e la esplora tutta, in tutti gli angoli; saliviamo di libidine e i corpi si stringono fino a dolere.

“Senti, amica, visto che hai tutto chiaro, perché tuo marito e gli altri si sono comportati da maiali e mi hanno distrutto la vita?

“Si sono comportati da gregge stupido che si lascia prendere da un gioco senza limiti; la molla che li spinge è la frustrazione; prendi mio marito; io mi sono laureata, lui s’è fermato al diploma; fa il ragioniere e tu, che avevi cominciato come lui da impiegato, sei un imprenditore; è normale, per i vigliacchi, i deboli, gli incapaci, scaricare i loro fallimenti sugli altri, odiarli e cercare di infangarli; lo hanno fatto con il bersaglio più grosso, tu, attraverso l’elemento più debole della sua vita, una povera ragazza ingenua; ma sappi che mio marito ogni giorno cerca di umiliarmi imponendomi schifose mortificazioni.”

“Se stai cercando l’antidoto al matrimonio in crisi, sono con te, a qualunque costo.”

“Siamo davvero all’innamoramento? Ricordati che la nostra è solo e pura passione!”

“Ha una scadenza questa passione?”

“No, può anche essere eterna; non ha bisogno di riti, di quotidianità, di manifestazioni, di certificati; ma può riempire la vita.”

Le sbottono la giacca del tailleur e mi fermo un attimo ad ammirare il seno scultoreo, non grande ma perfettamente disegnato; allunga la mani dietro, sgancia il reggiseno e lo fa cadere; la spingo sul letto, prima a sedere sul bordo, poi con la schiena sulle lenzuola; monto in ginocchio al suo fianco, sfilandomi solo le scarpe, e mi abbasso a succhiare i capezzoli; rabbrividisce di piacere e mi prende la testa guidando la bocca alternativamente sui due seni.

Le passo la lingua su tutto il busto, bacio la gola, la bocca, il viso intero e la fronte fino ai capelli; scendo di nuovo e torno sui seni; la sento godere dolcemente quando mi soffermo a poppare come un neonato e mi pare di strapparle il piacere direttamente dalle mammelle; faccio scivolare una mano sul petto e la sposto verso il ventre, fino all’ombelico, infilandomi nella gonna che mi frena; fa scorrere la cerniera e se la sfila.

Scendo con la bocca sullo stomaco, verso il ventre e raggiungo lo slip; lo tiro giù coi denti, lei lo sfila e rimane nuda; mi fermo incantato a guardare la sua bellezza; il triangolo di pelo corvino che circonda la vulva è più intrigante di quanto pensavo, con la moda della depilazione completa a cui evidentemente non soggiace; pascolare in quel boschetto con bocca e lingua mi eccita al punto che il sesso mi duole, chiuso com’è ancora in slip e vestito.

“Maledetto, mi fai morire di piacere; che aspetti a spogliarti anche tu?”

“Perché non lo fai tu?”

Non se lo fa ripetere; in un attimo mi sfila giacca e camicia, mi sbottona i pantaloni e li cava via insieme allo slip e ai calzini; mi stende supino sul letto e si sdraia al mio lato; tiene la mia asta in mano come un trofeo e non si stanca di guardarla ammirata.

“Ce l’hai il porto d’armi? Questo è un mostro; sei sicuro che non ammazza?”

“Non ho mai fatto morire nessuno; ma spesso sono riuscito a dare una grande felicità.”

“Perbacco, mio marito non ne ha neanche due terzi ed è convinto di essere un grande copulatore.”

“Io non so copulare; so solo fare l’amore; farò l’amore con te; e perdonami se qualche volte ti chiamerò Elettra; il ricordo è troppo vivido.”

“Chiamami come ti pare; se ti riesce, chiamami amore e fammi sentire che c’è amore in questo nostro incontro; mi farebbe assai piacere.”

“Non offendo nessun se ti amo in questo momento, con la testa a lei; forse solo tu potresti risentirtene … “

“Ti ho detto che voglio darti un po’ di tranquillità; se passa per il tuo amore, mi fai felice .. “

Le prendo la testa e la spingo verso la mia asta; passa delicatamente la lingua sulla cappella e gode delle vibrazioni del sesso; si muove a leccare e sembra riempirsi del piacere che deriva dalla mazza che si gonfia; allungo una mano fra le cosce e prendo a masturbarla, mi viene incontro per favorirmi e in pochi tocchi riesco a farla godere; senza quasi rendermene conto, ho trovato il punto chiave del suo piacere; ci insisto decisamente e la faccio esplodere in un grosso orgasmo.

Per reazione, quasi, affonda la bocca sulla mazza e se la fa arrivare oltre l’ugola; la prendo per i capelli e la fermo, per non farle provare disgusto e per non eiaculare all’improvviso; la prendo per i fianchi e la faccio ruotare fino a disporci a 69; inizio a leccare con determinazione il clitoride e lo succhio come una pompa idrovora; non può urlare perché il sesso in bocca la impedisce; ma gode a più riprese.

Stringe le cosce intorno al mio viso e capisco che vuole alternare il gioco; mi fermo col clitoride tra i denti e lascio che lei pompi alla grande l’asta facendosela arrivare fino in gola; con meraviglia, sento che la bocca arriva ai peli del pube; le blocco la testa e comincio a leccarla tutta, dal monte di venere per tutto il perineo fino a infilare la lingua nell’ano; sento gli orgasmi che si scaricano sulla mia bocca e dalla gola sul sesso.

“Ti voglio dentro; ti prego, prendimi!”

Si solleva, si sdraia a fianco e mi invita a montarla; mi colloco tra le cosce, accosto la bestia alla vagina e spingo.

“Controllami; avvertimi se spingo troppo.”

“Vieni dentro, come stai facendo. Non sono una verginella e ne ho assaggiato falli; ma il tuo è tutta un’altra cosa; non solo è molto più grande della media; ma riesci a non farmi sentire lo spessore; entra e solletica, accarezza come una piuma, scivola dentro con dolcezza e sento solo piacere che mi invade; forse è proprio vero che mi stai amando, non solo penetrando.”

“Non faccio sesso se non ci metto tanto amore; con te mi trovo a perfezione; sembra che la tua vagina aspettasse solo me; sei tu che mi possiedi, non io che ti violento.”

“E’ vero; forse mi sono già innamorata veramente di te; comunque, mi stai portando in paradiso e sento un coro di angeli che mi accoglie.”

Non ho bisogno di montarla; è lei che mi munge il sesso contraendo i muscoli della vagina e quelli dell’utero.

“Elena, devo starci attento?”

“No, amore; sono protetta; vieni liberamente e fammi sentire il momento più bello; sono certa che mi inonderai del tuo seme e aspetto solo che tu scarichi in me le tue tensioni.”

Ed è proprio come se scaricassi di colpo giorni e giorni di tensione, di sofferenza, di rabbia; lo sperma esplode nella vagina e lei lo sente goccia per goccia; urla come se la stessero ammazzando; urlo anch’io, insieme a lei, crollo sul corpo come morissi; in un lampo di lucidità, mi sposto sul fianco e scivolo via per non premerle addosso col mio peso; mi prende una mano e se la porta su un seno, allunga la sua sul sesso rorido di umori e di sperma.

Quando ci riprendiamo dal languore che ci ha preso, siamo quasi storditi; mi alzo e vado in bagno per rinfrescarmi; torno sul letto e la accarezzo dolcemente.

“Elena, adesso lavati e vestiamoci; se torniamo a baciarci nudi come siamo, bellissima come sei, non ti garantisco che mi fermo e non ti faccio passare una notte da inferno.”

“Guarda che finora mi hai portato solo in paradiso; hai ragione a raccomandare prudenza; ma, se fosse per me, mi fermerei da te per sempre, passerei la vita su questo letto a darti tutto l’amore di cui sono capace. E’ stato solo un assaggio; ma è chiaro che sei l’amante che vorrei.”

“Cosa pensi di fare?”

“Tu mi vuoi ancora?”

“Sono certo anche io che sei l’amante che desidero; ma sei sposata col farabutto, non lo dimentico.”

“Il farabutto, appena sarà accertata la sua colpa, viene in tribunale e divorziamo; ma di lui da questo momento non mi interessa; se tu per telefono, in un messaggio, a voce davanti a tutti o comunque vuoi, confondi il mio nome e mi chiami con quello di tua moglie, io non esito un attimo a portarti in questo letto o dovunque vuoi tutto l’amore di cui sono capace; sono abbastanza razionale e cinica per rendermi conto che non devo destare scandalo; ma sono abbastanza calda ed anche innamorata, adesso, per dirti che se mi vuoi sono sempre pronta a sostituirla, a fare con te l’amore, non il sesso soltanto.”

“Il mio avvocato mi suggerirebbe di essere cauto e di muovermi con prudenza. Sei la cosa più bella che potessi avere dopo il terremoto che mi è caduto addosso; ho bisogno di te e dell’amore che sai dare, non solo a letto; ma dobbiamo essere cauti; ogni volta che sarò giù di corda, ti chiamerò ’Elettra’ e tu saprai che ho bisogno del tuo amore.”

La chiamai più di una volta, nella settimana successiva; ci rifugiammo a casa mia per fare l’amore e mi diede tutto, senza riserve e senza problemi; ne approfittammo anche per parlare di quello che avveniva e seppi che c’era stata l’assemblea degli operai nella quale molte accuse spietate erano state lanciate, molte ritorsioni erano state minacciate e i quattro erano stati messi di fronte ad una scelta terribile; il loro gesto configurava incompatibilità ambientale con la fabbrica.

Se si dimettevano volontariamente, non ci sarebbero state conseguenze; se si rifiutavano, era a rischio la sopravvivenza della fabbrica e i loro posti di lavoro; anche se giuridicamente non erano perseguibili, avrebbero dovuto fare i conti con una quarantina tra operai ed impiegati che non intendevano restare disoccupati per una stupida bravata di quattro imbecilli; il rappresentante sindacale mi chiese un incontro con alcuni protagonisti; ci trovammo nel mio ufficio.

Il legale della fabbrica mi consegnò le dimissioni dei quattro di cui certificò la autenticità e la volontarietà; furono mandati via i colpevoli, ma il capo degli operai si fermò col sindacalista e l’avvocato; mi fecero presente che quei posti andavano comunque coperti; tra gli operai avevano scoperto che almeno tre erano dotati dei requisiti per essere ammessi ai ruoli impiegatizi; Nobili mi chiedeva, prima di procedere ad altre assunzioni, di considerare quella ipotesi; non avevo motivo per dissentire.

Cecere, in aggiunta, fece un discorso che a molti appariva strano, ma che io capii benissimo; mi aveva fatto sapere che la vigliaccata non era passata inosservata e che quasi tutti i rappresentanti sindacali erano d’accordo a fare in modo che i reprobi non venissero assunti da nessuna parte, dopo le dimissioni ‘con disonore’ dalla fabbrica; chiarì che le vittime peggiori diventavano le mogli e i figli che si trovavano da poveri innocenti a dover affrontare una condizione di miseria, che ricadeva solo su di loro .

Poiché Polidori non aveva figli e sua moglie era stimata professoressa, proponeva che tre dei quattro posti che rimanevano disponibili, col passaggio degli operai al ruolo impiegatizio, fossero destinati alle mogli che potevano garantirsi uno stipendio per sopravvivere; la cosa poteva quasi configurarsi come un passaggio, spesso attuato, di contratto da marito a moglie; a qualcuno suonava paternalistico; ma la certezza che i colpevoli non avrebbero trovato lavoro spingeva il sindacalista ad agire.

Poiché era certo dell’accettazione, aveva invitato per il giorno seguente le signore che furono fatte entrare; Elena fu perfetta nella finzione di non conoscerci quasi; esposti i fatti, fu lei a dichiarare che per se stessa non voleva niente perché il suo stipendio poteva sostenere anche un maiale parassita; ci tenne però a precisare che Nicoletta, la moglie di Tarcisi, era andata assai vicina alla laurea in economia, prima di essere obbligata dal marito a stare in casa ad occuparsi dei due figli.

Ad opinione di chi li conosceva, era anche più brava e capace di suo marito, in amministrazione; l’interessata annuì con molta umiltà; Nobili confermò; fu deciso, quindi, che la sostituzione del capo dei servizi amministrativi scattava per naturale subentro, tre operai occupavano gli altri posti, secondo le competenze; due delle signore erano assunte come operaie il quarto posto era assegnato per legge; la partita così si chiudeva in serenità e in qualche modo il gesto di Elettra trovava una compensazione.

Elena colse l’occasione per ‘chiudere in bellezza’ e chiese all’avvocato se poteva aiutarla nella causa di divorzio da suo marito; immediatamente le altre tre si accodarono; l’avvocato dichiarò che poteva anche dare una mano, ma solo per le tre dipendenti della fabbrica; l’altra doveva considerarla una richiesta privata; per non farmi spiazzare completamente dalla ‘trovata’ di Elena, chiesi a Gagliardi se potevo essere io a garantire per Elettra; mi fecero notare che si chiamava Elena.

“Non importa, capo, chiamami Andromaca, Ecuba, Clitennestra, Cassandra, chiamami come vuoi; ti ringrazio per essermi vicino; se devo assumere privatamente l’avvocato, mi sta bene; voglio solo liberarmi di un peso che mi è diventato immorale e immondo; e mi rendo conto che sei riuscito a quadrare un cerchio senza vendette e senza ritorsioni; forse, se le cose vanno per il verso giusto, hai anche dato una bella rogna da grattarsi a quei supermaschilisti da strapazzo. Bravo, capo.”

“Guarda che mi chiamo Oreste, non capo.”

“Non posso chiamarti anch’io come mi viene? No, dai scherzo; lo so che ti chiami Oreste ed ho giocato anch’io; l’importante è che possano uscire da questo ufficio degli amici che hanno ritrovato il sorriso, anche nell’enorme disgrazia che ti è capitata; non faceva bene a nessuno sentir parlare di dislocazione e di disoccupati.”

“Nella tua scuola insegni anche queste cose?”

“Quelle che non conosco, me le faccio insegnare da chi mi ama.”

L’invito era chiaro e, a fine orario, trovai Elena che mi aspettava a casa; ormai eravamo quasi apertamente amanti e il gioco di beccarci in pubblico non funzionava più; dopo qualche tempo, fu Elena stessa che, tra una copula e l’altra, mi raccontò che le nuove assunte si erano perfettamente integrate e godevano di un’amicizia tra gli operai assai più intensa dell’odio che i mariti avevano scatenato.

I quattro, dopo le sentenze di separazione che Gagliardi aveva seguito quasi con passione personale, erano finiti alla Caritas, perché non trovavano occupazione; si diceva che dormissero in posti rabberciati; pare che li avessero sentiti, in una taverna di infimo ordine mentre si gonfiavano di pessimo vino, dichiarare che alla fine buttarsi sotto una Freccia Rossa era anche più dignitoso.

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