Continuo con le storie legate al mio peregrinare in giro per l’Europa volto a studiare le lingue e costruirmi una carriera in ambito alberghiero. Corre l’anno 1982 e sono arrivato in Germania, a Düsseldorf. Sono racconti legati ad esperienze di vita vissuta, ma ricordo ai lettori che sono romanzati dalla mia fantasia. Tutti i nomi delle persone e dei luoghi citati nei racconti potrebbero non essere reali, capire ciò che è reale e ciò che è fantasia, lo lascio all’interpretazione del lettore.
Prima di leggere questo capitolo consiglio la lettura dei capitoli precedenti relativi la Germania, altrimenti si fa fatica a comprenderne la trama.
Germany 2
È fine agosto, sono qui da meno di tre mesi, e il primo portiere mi dice che sono convocato in direzione. Non ne comprendo il motivo, deve essere successo qualcosa, ma non ricordo d’aver fatto cazzate, a parte l’aver, forse, importunato Hanna, la centralinista figa, quando gli ho chiesto di uscire con me. Sono un po’ in ansia quando apro la porta dell’ufficio. Tra l’altro questo direttore mi sta parecchio antipatico, è arrogante e borioso, al suo cospetto ho sempre la tentazione di parlare in dialetto veneto, per rimarcare la sua umile, ed uguale alla mia, estrazione sociale e provenienza. So che non lo sopporta, si sente un privilegiato ormai arrivato. La sua fortuna, invece, è solo quella di aver conosciuto la proprietaria dell’albergo quando faceva il cameriere in un ristorante italiano di Düsseldorf, che per lui ha perso la testa e se l’è portato a casa facendolo diventare il suo toy-boy e il direttore dell’albergo, ma di fatto il suo unico compito è quello di scoparla, come direttore conta meno del due di picche. Lui è sui 40 anni, è indubbiamente un bell’uomo, di statura media, snello, sempre vestito elegantemente e in maniera inappuntabile, la Sig.ra è ben oltre i 60, anche se ben portati e ancora piuttosto affascinante, sempre elegantissima e cliente fissa delle migliori boutique di Parigi. Qualche maligno dice che, la sera tardi, quando il cameriere va a ritirare il carrello della cena consumata nel loro appartamento al quinto piano, si riesce a capire dalle grida della Signora se stanno scopando normale o se il direttore la stia inculando. Io credo di averlo capito guardandola la mattina quando scende, se la vedo tutta contenta e sorridente, con un passo un po’ incerto e la schiena arcuata a spingere in fuori il culo, capisco cosa hanno fatto la sera prima. Sarà anche uno stronzo, ma questo direttore deve avere un cazzo da sfondamento!
Sono in piedi davanti a lui, aspetto, come il solito vuole farmi aspettare senza parlare pensando di mettermi in soggezione, in parte ci riesce perché non so davvero cosa cazzo voglia. Sta facendo finta di leggere qualcosa su dei fogli che ha davanti, finalmente alza la testa e mi guarda, anch’io lo fisso dritto negli occhi, dopo poco abbassa lo sguardo, lo sapevo, è un pavido, il suo sguardo è sempre sfuggente e non sopporta chi lo fissa come faccio io.
“Allora, Carlo, ti passo al ricevimento prima del tempo concordato dei 6 mesi, il capo ricevimento mi dice che ha bisogno di uno che parla e scrive l’inglese come te, perché la clientela americana è in costante aumento e sono in difficoltà. Mi ha raccontato di come hai gestito un gruppo di texani un paio di mesi fa, lui ti voleva subito al ricevimento, ma io ho ritenuto fosse troppo presto, ma adesso penso tu sia pronto. Come va con la lingua tedesca? Credi d’essere in grado di affrontare i clienti tedeschi se ti chiedono qualcosa?”
Rimango basito, ero convinto mi volesse dare una lavata di capo per aver importunato la centralinista e invece mi promuove. Per dar prova della mia, già discreta conoscenza della lingua, rispondo in tedesco: “grazie Signor Direttore dell’opportunità, sono molto contento, vedrà che non la deluderò, spero che il mio tedesco sia sufficiente per iniziare”.
Sgrana gli occhi e mi guarda, non se lo aspettava: “perbacco, ma hai imparato così bene il tedesco in soli tre mesi che sei qua? Anche l’accento è molto buono, io in 10 anni che sono in Germania ancora non lo parlo così bene!”
“No Signor Direttore, l’ho studiato bene a scuola e in Italia ho potuto fare abbastanza pratica con i turisti, e poi ho la fortuna di essere molto portato, imparo facilmente le lingue e assorbo anche le cadenze dialettali di dove vado a lavorare”.
“Beh, è una bella fortuna. Puoi passare al ricevimento da subito, o meglio, prima ti mando in vacanza per una settimana, così hai anche il tempo di procurarti la divisa. Questo è l’indirizzo dove te la puoi far fare su misura”, e mi passa un bigliettino con l’indirizzo di una sartoria sulla Königsallee, meno di 1 Km. a piedi dall’albergo.
“Vai dal capo ricevimento a farti dare l’orario del tuo primo servizio. Buon lavoro e in bocca a lupo”. Adesso il direttore mi sembra quasi un umano, mi è un po’ meno antipatico. Anche se non lo stimo per niente, vedrò di non essere troppo stronzo con lui in futuro.
Scendo le scale tutto contento e mi presento da Herr Klaus, il capo ricevimento, un bell’uomo, snello, sempre tirato come un damerino nella sua divisa ‘mezzo tight’ e perennemente abbronzato. Mi fa entrare nel piccolo ufficio a fianco del banco, chiude la porta e mi guarda in maniera lasciva. Lo sanno tutti che lui è una checca patologica, Lorenzo mi aveva avvisato, “cerca di non rimanere mai solo con lui dietro il banco di ricevimento perché ti molla di quelle palpate al culo e alle palle che neanche immagini”.
Mi si avvicina, so già cosa cercherà di fare e arretro di un passo, lui si ferma, capisce che non è il caso con me: “spero mi sarai riconoscente, ti ho fatto promuovere con tre mesi d’anticipo”, mi dice.
“Veramente il direttore mi ha detto che è stato lui a decidere la mia promozione perché vedeva che voi, qui giù, siete sempre in merda con gli anglofoni”.
Vedo un moto di stizza, si incazza: “quella testa di cazzo del direttore, è proprio un idiota incompetente”.
“Herr Klaus, potrei anche essere d’accordo con lei, ma lui rimane sempre il direttore e il compagno della Signora, non credo sia il caso esternare certe considerazioni, con me poi, che sono l’ultimo arrivato e non mi conosce, a parte il fatto che sono italiano come il direttore, e tra di noi un minimo di solidarietà esiste sempre”.
Mi guarda, adesso sembra spaventato: “non glielo dirai vero? Non fare il figlio di puttana con me. Vedrai che insieme lavoreremo bene, ma non dirgli niente, sto aspettando che mi confermi l’aumento di stipendio che ho chiesto la scorsa settimana”.
“Non si preoccupi Herr Klaus, io di solito mi faccio i cazzi miei, mi basta solo che anche lei si faccia i suoi e andremo sempre d’accordo”.
Vedo che rimane impressionato, mi ha sempre visto come un facchino, un povero emigrante italiano, non si aspettava il mio caratterino spinoso. Sorride e mi dice di iniziare fra 7 giorni, ore 8, puntuale. Divisa completamente nera, camicia bianca, cravatta nera, scarpe nere classiche rigorosamente di cuoio, no scarpe in stoffa o simil ginnastica, calzini neri lunghi, non quelli corti per evitare che camminando si possa intravedere la pelle delle caviglie, barba fatta tutte le mattine, niente baffi e, almeno il colletto della camicia, sempre candido ed inamidato. Se, quando entro in servizio, mi vede con la camicia non stirata o che puzzo di sudore, mi manda a casa senza paga per un giorno. La disciplina e i rigidi protocolli tedeschi iniziano a permearsi dentro di me, scoprirò nel corso degli anni futuri che saranno fondamentali per la mia formazione.
Lo ringrazio e adesso sono io ad avvicinarmi a lui, gli prendo la mano con disinvoltura e l’appoggio sulla mia patta, lui diventa paonazzo, non se lo aspettava, sorrido e gli faccio l’occhiolino, mi giro ed esco dall’ufficio lasciandolo senza parole.
Approfitto di questa settimana di vacanza anche per andare alcuni giorni a Londra, dopo oltre 3 mesi, voglio rivedere Michelle e sua mamma Daisy, magari ci scappa una bella scopata con tutte e due (vedi: Esperienze – Londra).
Quando attraverso in auto la frontiera tra Germania e Belgio, diretto a Calais, mi ferma la polizia di dogana tedesca, mi fanno scendere dall’auto, mi perquisiscono e mi mandano in una saletta d’attesa sotto scorta, controllato a vista da un poliziotto. Non capisco cosa vogliono e cosa stia succedendo. Dopo oltre due ore (!), entra un altro poliziotto, mi riconsegna passaporto e chiavi dell’auto e mi comunica che posso andare, mi hanno scambiato per qualcun altro. Ho perso due ore, ma penso che è bene tutto ciò che finisce bene. Cambio idea appena giro l’angolo e vedo in che condizioni è la mia auto nuova, è praticamente smontata, tutti i sedili sono stati buttati fuori, sull’asfalto sotto il sole, parte del cruscotto smontato, anche esso sull’asfalto, la ruota di scorta sgonfia e fatta uscire dal cerchione, i quattro pannelli interni delle portiere staccati e penzolanti, tenuti su solo dai cavi degli altoparlanti. Sembra un’auto depredata dai ladri.
Guardo sbigottito il poliziotto: “ma cosa avete fatto alla mia auto, adesso chi la rimette a posto e chi mi ripaga?”. Il poliziotto sogghigna e alza le spalle: “noi abbiamo solo fatto il nostro lavoro, non è compito nostro rimontare le auto che ispezioniamo. Sulla bacheca in ufficio c’è il numero di telefono del carro attrezzi e del meccanico con cui collaboriamo, chiamalo, entro due ore la tua auto sarà rimontata e nuova come prima”.
Incazzato come una iena, mi dirigo verso gli uffici della dogana per telefonare e vedo altre due auto con targa estera che vengono fermate per la loro “ispezione”. Figli di una grandissima puttana, hanno messo su un business mica male. Mi chiedo quale percentuale riceveranno da quel bastardo del meccanico, ma è sicuro che stanno facendo i soldi. E poi criticano noi italiani, loro sono anche peggio.
Riesco ad arrivare a Calais alle 18, tra dogana e meccanico ho perso oltre 5 ore e 300 marchi tedeschi, una fortuna, sono dei ladri da denunciare, ma cosa posso fare? Loro si giustificano dicendo che stanno facendo il lavoro per cui sono pagati. Bastardi, bastardi, bastardi, bastardi!
Quando rientro a Düsseldorf da Londra, faccio un giro più lungo, ma passo per la frontiera olandese e tutto fila liscio. Ho trascorso tre giorni a Londra stupendi, scopando come un matto sia Michelle che Daisy, mi hanno svuotato così tanto che dormirò per due giorni di fila.
È lunedì mattina, manca un quarto d’ora alle 8, entro per la prima volta in albergo dalla porta principale, prima questo privilegio mi era inibito, ero solo un facchino e come tale obbligato all’ingresso dello staff sul retro, adesso che sono del reparto ricevimento posso farlo tranquillamente, che soddisfazione. Mi guardo di sfuggita sui grandi specchi della hall, cazzo, sono davvero figo! Impeccabile nella mia elegante divisa nera in fresco di lana, ho scelto la giacca due bottoni con i risvolti a lancia, taglia 46 i pantaloni e la vita, ma le spalle sono quasi da taglia 50, il sarto ha dovuto farmela su misura e mi veste perfettamente. Prima di iniziare ho giusto il tempo per un caffè, mi dirigo verso la saletta riservata alla direzione, altro privilegio, e passo davanti il banco del centralino. Hanna, la bellissima ragazza che punto da un po’ ha appena preso servizio ed è seduta sulla sua postazione con la cuffietta indossata, alza gli occhi e quasi non mi riconosce, sgrana gli occhi e apre la bocca, la sento balbettare qualcosa che non comprendo, io faccio il pavone, gli faccio l’occhiolino e tiro dritto. Tu sei la prossima cara mia, penso tra me e me, spero che sia vergine di culo perché quel piccolo culetto a mandolino vorrei davvero essere io il primo a profanarlo. Però devo stare attento a controllare questi pensieri, mi tocco e mi sta quasi diventando duro, se Herr Klaus se ne accorge, come minimo mi trascina in bagno per tirarmi un pompino!
Cinque minuti e torno dal caffè, ripasso davanti il centralino, Hanna è ancora da sola, la sua collega non arriva prima delle 9, mi fermo, ho ancora alcuni minuti prima di iniziare: “adesso che ho la divisa nera, uscirai con me? Oppure camperai un’altra scusa?”.
Mi guarda con un sorriso un po’ deluso: “Sei davvero elegante e un bel figo, ma adesso è tardi, la settimana scorsa mi sono messa assieme con Jürgen, era da un po’ che mi filava e alla fine ho detto di si. Mi spiace”.
“Jürgen chi? Quello sfigato di secondo Maître famoso perché, dicono, si faccia tre pippe al giorno?”.
“Nooooo, non è niente vero, sono solo maldicenze, è un ragazzo molto dolce e, sono certa, che sarà anche un bravo amante”.
“Ma perché, non lo avete ancora fatto? Cosa aspettate?”.
“Jürgen è un bravo ragazzo che mi vuole bene e mi rispetta, quando arriverà il momento giusto faremo quello che dobbiamo. E a te queste cose non devono interessare”.
Sono deluso, ma cerco di non darlo troppo a vedere: “Ok, contenta te, ma, per mia esperienza, quel ragazzo ha qualcosa che non va. Forse la storia delle tre pippe al giorno non è poi così falsa. Comunque, ricordati che io per te ci sono sempre, ti ritengo troppo bella per uno come Jürgen, e anch’io ti rispetterei, ma facendo all’amore con te tutti i giorni, ti farei innamorare di me, io di te sono già mezzo cotto”.
Vedo che diventa paonazza, apre la bocca, ma non riesce a parlare. Ho sempre pensato che parlare schiettamente e senza peli sulla lingua, ripaghi, ma lei non se lo aspettava di sicuro e rimane di stucco. Mi allontano pensando a quanto è bella e allo spreco di saperla con quel segaiolo di tedesco. Spero che se ne accorga in fretta, certo è che gli ho dato materiale su cui pensare.
Alle 8 in punto faccio il mio ingresso dietro il banco, Herr Klaus mi guarda e accenna un lieve sorriso, si avvicina e mi stringe la mano: “benvenuto”, mi dice. Lo stesso fanno tutti gli altri, dietro il banco siamo in 7 persone e, difficilmente si riesce a stare con le mani in mano, le ore scorrono velocissime e già il primo giorno imparo tantissimo. L’organizzazione del lavoro e la disciplina tedesca sono incredibili, da riferimento. In breve tempo imparo a ragionare come loro, senza però dimenticare la fantasia e un po’ dell’improvvisazione, italiana.
In albergo sono arrivate un paio di nuove ragazze che lavoreranno ai piani, pulizia delle camere. Una è greca, piuttosto anonima, a parte il seno enorme, almeno una sesta, mentre l’altra è italiana, 23 anni di Brescia, si chiama Daniela, non bellissima, ma con un fisico che viene voglia di palpare a fondo, leggermente burroso e sexy. Mi colpisce soprattutto l’espressione del volto, è sempre come se ti stesse provocando e invitando a scoparla, anche se in realtà non è così. Fatto sta che mi eccito ogni volta che la guardo. Di solito non considero molto le ragazze italiane, se la tirano troppo pensando di averla d’oro, ma lei mi prende un casino e inizio un corteggiamento discreto, ma serrato.
Daniela ha un viso interessante, sguardo intenso, ogni volta sembra volerti leggere la mente, una lunga chioma di capelli castano chiaro ondulati, occhi verdi e due labbra che invitano ad essere costantemente baciate. Madonna come mi sta prendendo questa ragazza. Il fattaccio avviene dopo un paio di settimane che è arrivata, mi dicono che non è venuta a lavorare perché indisposta, decido di andare a trovarla durante la pausa pranzo. Le ragazze straniere che lavorano ai piani sono alloggiate in albergo, in una dependance vicino l’ingresso di servizio. Cercando di non farmi notare, mi infilo nella porticina e salgo le scale, lei occupa la prima camera sulla destra con la ragazza greca, che però adesso sta lavorando. Busso……”chi è?”, sento rispondere.
Apro la porta ed infilo la testa, la vedo distesa a letto con un libro in mano: “ciao, sono io, non voglio disturbarti, come stai?”.
“Ciao, presto entra, che se qui vedono un uomo succede un casino. Adesso sto meglio, ma stamattina mi girava la testa e la governante mi ha dato un giorno di riposo”.
Entro e mi siedo sul bordo del letto, indossa il pigiama e il lenzuolo è tirato fino alla vita, non ha il reggiseno e la leggera stoffa del pigiama fa generosamente vedere in trasparenza il contorno delle tette, i capezzoli si vedono bene, le aureole sono scure e larghe, gli prendo la mano e l’accarezzo. Dopo un po’ chiedo se ha bisogno di qualcosa: “se hai dieci minuti puoi farmi compagnia, continua ad accarezzarmi, mi piace”, risponde.
Porca miseria, penso, se avessi più tempo gli salterei addosso, mi rendo subito conto che lei ci starebbe, ma non posso, non qui e non adesso. Continuo a guardarla e provo a infilare la mano sotto il lenzuolo, non reagisce e mi guarda con occhi maliziosi, ho davvero poco tempo e vado deciso ad accarezzare l’interno coscia, non indossa i pantaloni del pigiama, con i polpastrelli sento la sua morbida pelle e inizio a salire, continua a non rifiutarmi, anzi, allarga un po’ le gambe. Lo prendo come un incoraggiamento e arrivo alle mutandine, le sfrego delicatamente con le dita, sono leggermente umide, lei chiude gli occhi e geme un sommesso si. Continuo nella mia azione e scosto il bordo, col pollice sono sul suo clitoride che massaggio piano, il medio provo ad infilarlo dentro. È stretta, ma anche già molto bagnata, riesco a infilarlo senza difficoltà. Lei inarca un po’ la schiena, gli occhi chiusi e le mani lungo i fianchi a stringere il lenzuolo, i gemiti si fanno più decisi, inizio ad entrare ed uscire col dito, il pollice sempre sul clitoride, si bagna un casino, poi, improvvisamente, ha una scossa, si irrigidisce con un gemito lungo e profondo, sento che la mano si bagna dei suoi umori, ha goduto, un orgasmo quasi silenzioso, continuo a guardarla in volto, la sua espressione è così erotica che il mio pene scoppia dentro i pantaloni. Non posso fermarmi oltre, tiro fuori la mano da sotto il lenzuolo, è piena dei suoi umori, guardandola negli occhi mi lecco le dita: “sei buona, i tuoi umori sono dolci”, gli dico sottovoce.
Ha uno sguardo un po’ stravolto: “sei un maiale, noi due dobbiamo fare un po’ di porcherie insieme, sei riuscito a farmi godere in due minuti, facendomi risparmiare il ditalino che volevo farmi prima che entrassi”.
Daniela è una ragazza caldissima ed erotica, vorrei fargli di tutto, ma il tempo è scaduto, mi limito ad alzare il lenzuolo, scosto gli slip e ammiro la sua vulva pelosa, i peli ricci sono bagnati, mi chino e assaporo con alcune profonde leccate il suo nettare. Lei geme forte, mi rialzo, devo fare uno sforzo sovrumano per controllarmi, gli prendo la mano e l’appoggio sulla mia patta, ho il cazzo durissimo: “questo è ciò che ti aspetta la prossima volta”.
Lei stringe e sgrana gli occhi sorpresa: “mamma mia, cos’hai al posto dell’uccello, una barra d’acciaio?”
“Ciao, ci vediamo domani”.
Come ero entrato, esco senza farmi vedere, ho ancora alcuni minuti prima di riprendere il lavoro. Non posso andarci in queste condizioni, anche se la giacca chiusa copre molto, l’erezione è visibile in modo imbarazzante. Vado nei bagni e mi sparo una sega da urlo, vengo in 30 secondi e la sborra schizza a quasi un metro lordando la parete sopra il water. Ok, mi sono svuotato, torno al lavoro.
Continua
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