In hotel

  • Scritto da italsex il 01/06/2020 - 04:25
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Giada si fermò davanti alla porta della stanza 169. Un cartellino verde pendeva dalla maniglia e invitava a “Per favore, pulire la camera”. La ragazza scostò il grembiule azzurro e infilò la mano nella tasca del jeans a estrarre il passepartout magnetico.

Con un gesto automatico lo inserì nella fessura e spalancò la porta spingendo dentro il carrello delle pulizie. Un’altra camera da rassettare, altri clienti da servire. Asciugamani, pigiami e lenzuola. Beautycase ricolmi, vestiti eleganti negli armadi. A volte qualche sorpresa: un vibratore dimenticato su un comodino, i segni evidenti di un amplesso. La routine di una cameriera di una piccola pensione ben curata, dove devi fare un po’ di tutto.

Forse avrebbe dovuto accorgersene dalla luce del comodino accesa. O dai lievi respiri affrettati. O dall’odore nell’aria. La camera non era vuota. Per il momento non era da rifare.

Appena scorse i due, in controluce sul letto, la testa di lui affondata tra le gambe di lei, Giada mormorò una scusa e si precipitò, rossa in volto, fuori dalla camera.

Sentiva il cuore agitarsi nel petto mentre risaliva il corridoio a passi più rapidi del solito, spingendo il carrello con un po’ più di vigore.

Eppure non aveva nulla da rimproverarsi. Il cartellino era verde. Si era scusata. Cose che succedono.

Poi, passo dopo passo, prese a rallentare, con l’impressione che il corridoio diventasse sempre più lungo. Aveva fissi in mente gli occhi della ragazza, che aveva alzato la testa sentendola entrare, e la guardava. Due occhi chiari, trasparenti. Puntati dritti a cercare i suoi. Senza vergogna. Anzi.

Giada prese in mano la lista delle camere da rifare. 171-172-175. Si fermò davanti alla prima.

Anzi.

Quasi divertiti. Quasi come se…

L’aveva già notata, la ragazza. Così magra e bella. Così a suo agio e affettuosa col suo compagno.

Le era caduto un coltello la sera, a cena. Giada stava servendo il vino e si era chinata a raccoglierlo. Aveva incrociato il suo sorriso. E, chissà perché, la notte, in camera, si era sorpresa a ripensare alle gambe che aveva scorto sotto la tovaglia, fasciate in calze leggere.

Non ne era più così sicura, ma non era la stessa donna che, la sera stessa, al bar, si era sporta sul bancone per ordinare da bere? Camicetta scura. Un bottone slacciato che lasciava intavedere il seno.

Ancora, quegli occhi chiari, un invito a guardare dentro.

Occhi inquieti, ballerini.

Occhi di chi mangia la vita, con gli occhi.

E quello sguardo, poco prima, cosa diceva? Giada rivedeva il lento movimento a reclinare il capo lasciando scivolare i capelli. La spinta del bacino ad affondarlo nella bocca dell’uomo. Un lento voltare del capo. E quello sguardo, che diceva: guardami, mangiami…

Giada lasciò il carrello davanti alla 175 e riprese il corridoio nella direzione da cui era venuta. I passi, da lenti si fecero più affrettati. La mano in tasca cercava il passepartout.

La targhetta sulla porta diceva 169.

Il cartellino ancora verde invita a “Per favore, per favore… se ti va… se hai la stessa fame di vita negli occhi…”.

Dall’interno proveniva solo un lievissimo ansimare.

Giada prese la tessera magnetica e la inserì nella fessura con un click.

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