Il Biker - Pt.2
Era alto, fisicamente non massiccio, ma nerboruto e tosto come un animale selvatico: con calma richiuse la porta alle sue spalle e diede due giri di chiave.
Non ebbi il tempo di domandarmi perché fosse lì, mi sollevai dalla tazza del water cercando di raggiungere la porta e recuperare il perizoma del costume, ma non riuscì a fare un passo: mi serrò la strada bloccandomi col corpo, era più alto di me di due spanne, mi pose la mano alla gola per impedirmi di gridare e mi spinse contro le piastrelle della parete.
Stavo con le gambe divaricate a cavallo del wc e la ceramica fredda, alle mie spalle, a contatto della pelle nuda, mi tirò via il prendisole con un movimento brusco: lo sfilò dalle braccia e lo gettò verso un angolo del pavimento.
Solo il pezzo superiore del costume era rimasto a coprirmi: con uno strappo mi scoprì il seno e le tette sobbalzarono libere per il contraccolpo, la mano intorno al collo era una morsa ferrea che mi inchiodava alla parete, possedeva dita lunghe e ferme come tenaglie.
- Non voglio sentire un sibilo. – sussurrò, avvicinando la bocca al mio orecchio.
Parlava un italiano stentato, una voce bassa e rauca con una marcata inflessione che avrei detto del sud della Francia, avevo amici lì con quella stessa cadenza.
Aveva denti candidi e regolari, una tono deciso che dissuadeva dall'ignorare ciò che ti stava dicendo, gli occhi possedevano una nota fredda d'azzurro e una luce sinistra che ti metteva adrenalina in circolo nel copo.
Col l'imponenza del corpo mi schiacciava contro il muro, potevo sentire tutta la forza animale che possedeva, era ruvido nei gesti come carta vetro: una massa asciutta di nervi e muscoli gli conferivano quella potenza brutale.
Non tradiva emozione, era il segno di una consuetudine alla violenza, vederlo così risoluto lasciava presagire fosse capace di tutto: uno che poteva ucciderti con indifferenza, se lo avesse voluto, provai una vertigine di genuino terrore.
- Sei una piccola troia esibizionista. Ti diverte provocare gli uomini. E' così vero? -
Non credo si attendesse una qualche risposta, non era una domanda, ma una constatazione, non avrei comunque potuto rispondere poiché ero impegnata a boccheggiare, a cercare il respiro mozzato della sua stretta.
Punture di spillo mi tempestavano il corpo, bagliori rossi danzavano negli occhi, avevo la vescica gonfia e la paura acuiva quell'urgenza, temevo di farmi la pipì addosso da un attimo all'altro.
- Bene. – Disse – Vediamo di che pasta sei fatta puttanella, quando non giochi con i ragazzini della tua età. –
Mi colpì di manrovescio e di dritto i seni, con una serie di sberle veloci e ripetute, mi sfuggì un gemito strozzato, li prese con entrambe le mani e li strizzò con forza, catturò i capezzoli con due dita e li tirò verso l'alto, torcendoli con crudele lentezza: il mio lamento era un lungo gorgoglio, smorzato per paura che si adirasse, fui costretta a issarmi sulle punte dei piedi per non sentirmeli strappare.
Poi con una mano scese fra le cosce, che in quella posizione mi era impossibile serrare, mi stinse la vulva artigliandola tra le dita, provai una scossa calda al basso ventre, iniziai ad ansimare: nello specchio sul lavabo della parete di fronte, il mio volto era trasfigurato da una smorfia di angoscia.
Pinzò insieme le grandi labbra tra le dita, il succo che le aveva bagnate fino a poco prima, le rendeva scivolose, ma la sua presa era inesorabile: iniziò a farmi scorrere i lembi di carne su e giù, il clitoride, sollecitato e sodo come una nocciola, faceva capolino tra i lembi della pelle madida.
L'odore caldo del suo corpo, aveva una nota aggressiva, faceva pensare a qualcosa di selvaggio: una natura volitiva, abituata a prendersi ciò che desiderava, la calma inquietante e ombrosa di una pantera.
Mi passò lascivamente la lingua sul collo, la saliva lasciò una scia umida, mi procurò un fremito lungo la schiena, un riflesso di pelle d'oca: ma non era un sintomo di paura.
- Petite salope, avec sa chatte dégoulinante. - (Piccola troia con la figa gocciolante) mi sussurrò divertito: era padrone della situazione e la cosa lo divertiva.
Incollò le labbra alle mie: birra amara e tabacco, il sapore della sua lingua che morbida e mobile inseguì la mia, la risucchio tra le labbra, uno scambio concitato di carne e saliva, baciava maledettamente bene.
Avevamo entrambi labbra carnose, un contatto sensuale di mucose, su cedevoli cuscini di velluto: ci mangiammo labbra e lingue, irrorandoci mento di bave, con una veemenza di bocche ingorde, che si contendevano i respiri.
Una mano passava da una tetta all'altra, plasmando e strizzando con foga, mi sarebbero rimasti i segni della pressione di quelle dita per almeno due settimane.
Con l'altra, impresse un movimento rotatorio alla presa sulla vagina: le grandi labbra scivolavano come un cappuccio lubrificato sul clitoride gonfio, la sensazione diveniva incontenibile, oscillava tra una sensazione dolorosa e una punta soave di piacere.
Non riuscivo a stare ferma, mi dibattevo muovendo il bacino, non facevo così che aumentare l'effetto di quel massaggio: secrezioni mi colavano lungo le cosce.
Lo detestavo per la violenza che mi faceva, ma non potevo fare a meno di eccitarmi e desiderare la rudezza stimolante di quelle carezze.
- Piccola sporcacciona, hai la fica liquida. - replicò, nel suo italiano stentato, nel farlo aumentava il ritmo della manipolazione, pizzicando con vigore i capezzoli eretti.
Un lamento soffuso si levava dalle mie labbra, ormai non distinguevo dove il dolore cedesse il passo a una sensazione di stordente abbandono carnale.
Subivo quelle carezze soggiogata dalla sua brutalità che, mi intorpidiva la mente, lasciandomi priva di volontà fra quelle mani voraci.
Il timore per ciò che avrebbe potuto farmi di male, sfumava come un'eventualità debole e remota, cresceva invece la tentazione di lasciarmi andare, partecipe, a quella concupiscenza: desideravo continuasse a farmi cose sudicie e animali, in quel modo ruvido.
- Desideri che ti faccia un po' male, vero troietta? -
Bastardo! Distolsi lo sguardo, mi vergognavo che i miei occhi rivelassero ciò che stavo provando dentro.
Sentimmo battere alla porta della toilette: lui si voltò infastidito e urlò in malo modo di levarsi dai piedi all'incauto importuno. Seguì un immediato silenzio, nessuno replicò una sillaba, né più osò bussare a quell'uscio.
Portò la testa al mio seno e iniziò a leccare e mordere: la ventosa delle labbra risucchiava i capezzoli nella bocca, la saliva li rendeva lucidi e duri. Con le dita a unite paletta iniziò a colpirmi il sesso: colpi secchi e distanziati, ogni colpo mi faceva sobbalzare, le sberle a quella carne frolla risuonavano di un rumore liquido e osceno, il clitoride era turgido e dolente .
Mi sfuggì un urlo soffocato, lui prontamente mi sigillò le labbra con le sue, mi aggrappai a quel bacio con la frenesia di chi è sospeso su un precipizio.
Le sberle sul sesso avevano lasciato posto a una carezza portata con soave sapienza: sentivo le sue dita scivolare energiche nella carne cedevole. Si spingevano al fondo della vagina, per poi ritrarsi e subito tornare a sprofondare in quella calda vischiosità. Non controllavo le pulsazioni del mio sesso, colavo come miele fuso, la mia gola mugolava: volevo il suo sesso dentro me.
- Fottimi...ti prego!! - invocai con un singulto. Mi fissò con un sorriso distante e beffardo.
- Non ancora, petite salope. Tempo al tempo. -
Mi fece sedere sulla tazza del water: mi sollevò le gambe e piegò le mie ginocchia contro le tette, stavo in bilico sulla tavoletta, scosciata e aperta, con la fica e l'ano protese in sù.
Si inginocchiò e tuffò la bocca nella vagina liquefatta: la muoveva famelica, divorandomi le grandi labbra, succhiando, leccando, mordendo la carne viva e il clitoride esacerbato. Sbavava colmandola di saliva, impastava tutto con una lingua instancabile, mescolando in un'orgia di fluidi e mucose vermiglie la sua libidine e la mia voglia devastante.
- Spaccami! Fammi maleee! Fammi godere ti pregooo... -
Non avevo più ritegno e lo invocavo in un delirio singhiozzante.
Mi immerse quattro dita nel sesso, iniziò a sprofondarle fino alle nocche, scivolavano come un cucchiaio in una scodella di gelatina, ogni affondo mi toglieva il fiato.
Mi aveva dilata oscenamente, temetti volesse spingermi dentro il pugno fino al polso, poi portò le dita alla mia bocca e me le fece leccare, le inserì fino al fondo, ebbi un conato di vomito: le ritirò filamentose di saliva. Così intrise le condusse in basso a forzarmi l'ano. Si fece strada nel mio sfintere con una penetrazione lenta, sentì tre dita dischiudermi e poi slabbrarmi la frastagliatura della rosetta anale. Ero morbida e bagnata come un mastice: furono inghiottite con facillità dal mio budello, iniziò a muoverle dentro. Sentivo la vescica prossima a esplodere.
Mentre dilatava l'ano, portava ampie leccate alla fica, alternando risucchi e colpi di lingua al mio grilletto, era un godimento incontenibile: fremiti di piacere passavano dall'ano alla vagina, non riuscì a trattenermi e squirtai ciprigno, unito a uno schizzo caldo di orina, nella sua bocca.
Alzò il volto dal suo lavoro di lingua, non pareva arrabbiato, disse solo:
- Guai a te se ti scappa un'altra goccia, puttanella! La farai quando decido io. -
Stavo malissimo, ero prossima al pianto, due pulsioni fisiologiche mi opprimevano estenuanti: dovevo assolutamente liberare la vescica e godere un orgasmo, altrimenti sarei impazzita.
Ma lui non aveva fretta: si sollevò e iniziò, con calma, a sbottonare i bottoni metallici dei vecchi Levi's, guardai impressionata la dimensione del suo membro, sporgere eretto, oltre il bordo degli slip.
Mi osservava dall'alto con l'aria soddisfatta di un lavoro ben fatto che si apprestava a terminare. Mi sollevò dal water e con un gesto brusco mi fecce voltare faccia al muro, le gambe divaricate con la ceramica della tazza tra di esse. Le piastrelle, verdino pallido, riflettevano lucide la mia immagine stravolta, la luce algida del neon segnava ombre nette sui nostri corpi.
Mi poggiò una mano sulle reni, premette verso il basso per farmi inarcare la schiena e portare le natiche all'infuori, con l'altra mano iniziò ad assestarmi sculacciate sonore e dolorose.
- Piccola puttana, sei piena di voglia vero? -
- Sii! Infilami il cazzo, sbattimi la fica! Ti prego, non resisto più... -
Il suo respiro alle mie spalle si era fatto più pesante, sentì un filo della sua saliva calarmi nel solco tra le natiche, il suo pollice spalmò quel liquido sulla soglia dell'ano. Sudavo, avevo la pelle coperta da un velo umido, l'aria del condizionatore era gelida a contatto della mia epidermide, attendevo col respiro sospeso che mi penetrasse, la sua preparazione era snervante.
Poggiò la grossa cappella all'entrata del mio sfintere, poi lo sentì avanzare dentro per un breve tratto, ansimavo lascivamente, il mio buchetto aveva contrazioni come di labbra boccheggianti. Da dietro mi prese le tette e mi tirò a sé, diede un colpo vigoroso e affondò nel mio intestino: lanciai un urlo, ma non fu per il dolore, fu un grido liberatorio, la fine di una tensione non più sostenibile, finalmente mi sentivo riempire della sua carne imperiosa e possente.
Muoveva il bacino con sapienza, mi stava slabbrando l'ano con quella verga dura e grossa, farlo gli piaceva in mondo perverso, voleva dilatarmi allo spasimo lo sfintere, lo capivo dal modo che aveva di fottermi: era lento nel movimento come in una danza balinese.
La saliva avevano lubrificato la penetrazione si generavano rumori sconci ed eccitanti a ogni affondo.
Mi sentivo una porca, era quanto di più peverso potessi immaginare: il capo di una banda di bikers mi stava scopando il culo, nel cesso di un locale sul lungomare di Forte dei Marmi, pareva davvero più incredibile di qualsiasi fantasia erotica.
Aumentò la frequenza e la forza dei colpi: mi sentivo sfondare, la vescica non resse a quegli assalti, a ogni colpo uno spruzzo di pipì scappava nella tazza che avevo sotto, come un rubinetto dalla guarnizione difettosa.
Lo sentì ridere di gusto - Ahaha! Troietta pisciona. Non ce la facevi proprio più! -
Si era fermato all'interno del mio intestino, i suoi testicoli gonfi premevano le mie natiche, con un braccio mi avvinghiava al suo bacino, portò una mano davanti, fra le labbra della mia fica.
- Dai porcella, allora piscia, falla tutta ora! -
Con le labbra della vulva tra le sue dita, mi abbandonai al flusso, iniziai a farla: finalmente mi svuotavo, era tale il sollievo che l'anima pareva sfuggirmi attraverso l'uretra.
Il flusso, trattenuto così a lungo, usciva sotto pressione con un getto irregolare, quasi una doccia calda: le sue dita giocavano con lo spruzzo, un sentore di orina e sesso riempiva l'ambiente.
Quando terminai ero scossa e tremante come dopo un'orgasmo, lui sorridente mi porse le dita bagnate dai miei liquidi alle labbra.
- Lecca, piccola cagna, lecca il tuo sapore! -
Leccai il salato di quelle dita che erano state nella mia fica, nel mio culo e ora zuppe della mia pipì, nella mia bocca.
Ero una cagna obbediente nelle sue mani, volevo solo che riprendesse a sbattermi il culo, che mi facesse godere, che mi riempisse di seme caldo. Ma non lo fece.
Sfilò il cazzo da mio sfintere, con un cenno mi fecce voltare e mi intimò di prenderlo in bocca.
- Leccalo! Lecca il cazzo che ti sfondato il culo puttanella. Puliscilo, succhialo per bene, ma petite salope. -
Lo accolsi in bocca, lui me e lo spinse in gola, mi sentivo soffocare, conati di bave mi colavano dalla bocca inzuppandogli sesso e testicoli. Lo fece entrare e uscire più volte, stavo in ginocchio ai suoi piedi, mi scopava la bocca e io succhiavo con le guance deformate dal movimento. Annaspavo per la difficoltà del respiro, lacrimavo, la saliva colava in rivoli filamentosi sul collo e sul seno.
Speravo che riprendesse a scoparmi, ma restò una speranza vana: ritirò il cazzo dalla mia bocca e senza aggiungere una sillaba lo ripose negli slip, poi riabbottonò i jeans.
Mi fu chiaro che non aveva intenzione di venire, né di portarmi all'orgasmo, il gioco era finito.
- Per oggi basta. Si è fatto è tardi. Finisci da sola petite salope. -
Si voltò dirigendosi alla porta: - Queste le prendo io. - aggiunse, staccando dal gancio gli slip del mio costume.
Li infilò come un fazzoletto nella tasca posteriore dei jeans. Mi rifilòuna sberla sprezzante sulle tette, girò i tacchi degli stivali e abbandonò il bagno.
Restai di sasso, incredula e ancora sconvolta per quel sesso brutalmente subito.
Non potevo credere che mi lasciasse così, tremante di desiderio insoddisfatto, gettata come uno strofinaccio sprco, la porta che si richiudeva alle sue spalle, segnava un brusco ritorno alla realtà: una rabbia sorda mi oscurò la vista con un velo rosso di frustrazione.
Aveva negato il mio e il suo piacere come segno di disprezzo, un'esibizione di forza per affermare il suo potere.
Uno sciame furiosoto di vespe si dibatteva fra le pareti del mio cervello.
Uscì dal bagno, attraversai il dehors del locale e fui sul corso con addosso solo il corto prendisole, feci in tempo a vederli mentre, montando in sella alle moto, stavano ripartendo. Si voltò a mostrarmi il suo sorriso cattivo, poi diede gas all'acceleratore e si avviò seguito dal frastuono dei motori della gang.
Ero umiliata e furente, quel bastardo motorizzato mi aveva praticamente stuprata, usata come una puttana. Ma chi mai credeva di essere quel selvaggio dal grosso cazzo?
Mi aveva presa alla sprovvista, terrorizzata con quei modi da teppista e si era anche tenute le mie mutandine per trofeo, lo stronzo.
Se ci fossimo rincontrati, giurai che la musica sarebbe cambiata e sarei stata io a suonarla.
Fuori la strada era deserta: il sole del primo pomeriggio rendeva bollente l'asfalto della litoranea, gabbiani in alto nel cielo, solcavano l'aria lanciando richiami rauchi.
(fine)
Post New Comment