Il dolce profumo del cazzo di primo mattino

  • Scritto da pink_ il 22/10/2021 - 10:58
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Lui se ne sta lì. 

Dorme. 

Dorme come solo i maschi sanno fare. 

Certi maschi almeno, dormono proprio così, come grossi animali stanchi.

Disteso di pancia sul letto, le mani infilate sotto al cuscino, ad afferrarlo forte, il respiro profondo e regolare da bambino già uomo. 

Lui se ne sta lì, magari avviluppato all’ultimo sogno del mattino, di quelli che fai poco prima di svegliarti e si fondono e confondono nella realtà. Di quelli che poi ti alzi con la faccia stropicciata e incredula, con una gran voglia di raccontare gli assurdi posti in cui sei appena stato senza mai esserti mosso dal letto. 

Le lenzuola disfatte, il materasso ancora caldo, l’aria satura che sa di uomo, di uomo che dorme come un bambino, con la stessa serena sfrontatezza, come se il sonno fosse la giusta ricompensa dopo chissà quali epiche imprese. 

Il pigiama poi, se si può definirlo pigiama quella roba che ha addosso, la maglia sì, ha le maniche lunghe e sembra davvero perfetta per lasciarsi cullare dal sonno ma sotto? 

Sotto non c’è niente. 

Che razza di modo è questo per dormire, con la maglia a maniche lunghe e il culo nudo, su cui brillano i riflessi impertinenti del primo mattino. 

Che incanto però, quelle natiche sode dischiuse appena fra di loro, rotonde che ti viene una gran voglia di prenderle a morsi. La linea delle cosce su cui i peli infoltiscono gradualmente, si arrampicano sui polpacci per poi svanire, di nuovo, nel disegno assolutamente perfetto del piede nudo, pigramente abbandonato. 

Un uomo indifeso, che si offre agli occhi per quello che è, carne, muscoli, odori e sapori che metterebbero fame a chiunque. 

 

Di sicuro la mettono a lei, che già da qualche minuto lo osserva, con le braccia conserte, silenziosa spettatrice del Maschio che dorme, opera vivente per donne pazienti, che sanno godere del piacere immobile degli occhi. 

Lei se ne sta lì, poggiata allo stipite della porta, con indosso la tuta della domenica mattina, l’accenno di un tenero sorriso a piegarle le labbra, lei che è già sveglia da un pezzo ovviamente e ora lo spia, in quella penombra che sta per sfumare la notte e il giorno, così come mescola l’amore e la lussuria. 

Lui è il suo uomo e a lei piace da morire stare lì a guardarlo, a digrignare i denti immaginando i morsi da dare a quel culo nudo, accarezzato dai primi raggi del sole che filtrano dalle tapparelle.

Ma gli uomini sanno essere imprevedibili anche quando dormono. Certi uomini almeno, conoscono l’arte della sorpresa, ciò che sa accendere i sensi di qualsiasi donna. Perché adesso lui si volta, lentamente, nel tempo di un sospiro ringhiato, compie il primo passo verso il risveglio, si volta su sé stesso e di colpo dà una definizione assolutamente efficace di cosa sia la mascolinità. 

Perché lì dove c’erano le natiche dischiuse ora c’è altro, tanto altro, in una delle migliori versioni possibili. 

E non per le dimensioni, che sono comunque notevoli questo va detto, ma ciò che lo rende assolutamente irresistibile è quel suo starsene adagiato sulla coscia, percorso da un fremito che è ancora riposo eppure sa già di forza, arrogante esuberanza di una imminente erezione. 

Un gran bel pezzo di cazzo che ancora dorme, indifeso, la pelle già lucida di sole e ancora un po’ umida di notte, i piccoli peli ad abbracciarlo per la base, il respiro che lo scuote, impercettibilmente. 

C’è sempre meno del bambino su quel letto disfatto, c’è un maschio che sogna, chissà che cosa, evidentemente qualcosa di così dolce che sarebbe davvero un peccato andarlo a disturbare. 

Ma le donne sanno essere anche questo, amano complicare, mettere in disordine, disfare magari un sogno ma solo per il piacere di regalarne uno ancora più bello. E più vero.

Proprio per questo lei ora si muove, inizia a camminare per la stanza, facendo attenzione a non fare il minimo rumore, perché ciò che la sua testa sta immaginando segue l’istinto della passione e lo fa imboccando la strada della dolcezza; allungare magari le mani, lasciarle scorrere a sfiorare appena le cosce aperte di quell’uomo che dorme, finendo inevitabilmente col disturbarlo lentamente, accompagnandolo per mano fuori dal mondo del sonno. 

Ma ancora lo guarda, ancora lo studia, ancora non si decide a concretizzare le sue voglie dispettose, le mani le prudono eppure ancora attende, chissà perché. 

Vai a capirle le donne, splendidamente complicate, anche in un momento così semplice e naturale, quando il loro maschio si offre inerme ad ogni loro geniale desiderio. 

Vai a capire ad esempio perché lei, dopo averlo fissato per un po’, dopo aver percorso con gli occhi le linee di quel corpo abbandonato e averli poi accesi posandoli su quel dolce cazzo mattutino, sentendosi quasi chiamare nel sussurro impercettibile del sesso, quello più ludico e non per questo meno lurido, quello che alimenta i respiri di un rapporto d’amore. 

Vai a capire perché, invece di decidersi ad agire, prima che lui si risvegli smontando qualsiasi geniale idea, lei resta impalata al centro della stanza e tutto ciò che fa è alzare gli occhi verso il soffitto iniziando a parlare: 

 

«Ehi, tu!».

 

Silenzio. 

Nessuno le risponde ovviamente perché nessuno c’è in quella camera da letto, nessuno a parte loro due, corpi già proiettati verso un nuovo gioco di passione. 

Ma allora con chi parla, a chi sta chiedendo aiuto per uscire da quell’impasse del piacere?

 

«Guarda che sto parlando proprio con te!».

 

Forse è impazzita?  Va bene essere complicate ma si può sapere che diamine sta succedendo?

 

«Sta succedendo che sto parlando con te e se la smetti per un attimo di fare i tuoi giochi di prestigio con le parole magari te ne rendi conto!».

 

Silenzio. 

Il “mio” stavolta. 

Distolgo gli occhi dallo schermo del pc e sbatto le palpebre più volte, mi guardo attorno, come a cercare conferme sulla mia sanità mentale: ecco la mia cucina, il posto dove scrivo sempre, ecco qui la mia tazza fumante ancora mezza piena, qualche briciola di biscotto sul tavolo sì, direi che ogni cosa è al suo posto, eppure.

Possibile?

Possibile che il personaggio di un mio racconto mi abbia appena rivolto la parola? 

 

«Evidentemente sì».

 

Eccola di nuovo, fugando qualsiasi dubbio, torno a guardare lo schermo e ruotando lo spazio scenico appena descritto mi accorgo che, attraverso il suo soffitto, il personaggio sta effettivamente fissando proprio me, con una luce negli occhi fin troppo consapevole.

Un po’ mi viene da ridere, come quando sei brilla e ti fai degli splendidi film mentali ma è mattino presto e sono sicura di non aver bevuto niente oltre al mio tè. 

Che fare?

Le mie dita riprendono a trotterellare sulla tastiera, tanto vale continuare a scrivere, azzardando addirittura una “risposta” poco convinta, forse per vedere più che altro cosa succede:

 

Ciao.. posso.. esserti utile in qualche modo?

 

«Innanzitutto qui senza di te che scrivi non succede niente, questo lo sai vero?».

 

Sì, credo di sì.

Ma non capisco ancora cosa vuoi da me. 

 

Lei si guarda attorno, facendo specchio alla mia incertezza, sembriamo entrambe alle prese con qualcosa di insolito, per motivi ovviamente diversi. 

 

«Che ci faccio io qui? – mi chiede infine – e soprattutto chi è questo qui che dorme con tutte le sue grazie in bella vista?».

 

Il mio personaggio è in crisi? Forse è lei ad aver perso la testa e poi che razza di domande sono mai queste? Tu sei lì per interpretare una parte, sei un’idea di donna nata dalla testa di una donna in funzione della storia che vuole raccontare. 

 

Ora piega appena la testa e mi guarda perplessa, non posso davvero biasimarla, anche io non ho ben capito quello che ho appena scritto, provo allora a buttarla sul semplice, evidenziando i dettagli più evidenti. 

 

Sei a casa tua, è una qualunque domenica mattina e quello lì che dorme è il tuo uomo, tutto qua.

 

«E non può mettersi un paio di pantaloni? O almeno un paio di mutande?».

 

Eh.

Pur se un tantino suscettibile non le si può dare torto, che come tenuta per la notte è indubbiamente bizzarra. 

Ma a me piace, l’idea di rigirarsi la notte nel letto e ritrovarsi magari un bel pisello caldo fra le mani, mi sembra una cosa, come dire, molto tenera. 

Quando succede, a me, piace. Che ci posso fare?

 

«Mi stai dicendo che “tutto questo” è qualcosa che ti riguarda? Un tuo ricordo?».

 

Puntigliosa ma davvero perspicace, sì, siamo esattamente nel bel mezzo della rappresentazione letteraria di un mio ricordo, quanto scritto finora almeno è così lineare da non aver bisogno di chissà quali sforzi di immaginazione. 

Fino a quando però non hai iniziato a rivolgermi la parola, questo invece esce decisamente da qualsiasi tipo di fantasia! 

 

«Quindi questo qui.. è il tuo uomo?».

 

Evidentemente sì. 

O almeno è il mio modo di trascinarlo in una storia, ammesso che io riesca a finirla. 

 

«Allora io sono te!».

 

Silenzio. 

Anche stavolta è il mio, perché a questa facile deduzione non avevo assolutamente pensato. Sto parlando con una me stessa fatta di parole? Quindi sto blaterando da sola davanti a un computer? Se è questa la verità quand’è che mi decido ad andare da un bravo psicologo? Per raccontargli poi cosa? Dottore, mi aiuti, i miei personaggi hanno iniziato a ribellarsi dai miei racconti!

 

«Vorrei vederti!».

 

Prego? 

 

«Sì, voglio incontrarti, conoscerti, vedere come sei fatta!».

 

Non credo sia possibile, cioè, anche questa conversazione, in teoria, dovrebbe essere impossibile ma il fatto è che.. non so.. non ho proprio idea di..

 

«Vieni qui! Scendi nel racconto».

 

Dovrei.. entrare.. anzi “scendere” all’interno di un mio racconto? 

 

«Certo, perché no? Non sei curiosa di vedere cosa c’è davvero qui sotto?».

 

Questo sì, curiosa lo sono sempre ma.. davvero.. non saprei proprio come fare! 

 

«Ma scusa, qui l’autrice sei tu, giusto?».

 

Giusto. 

 

«E allora che problemi ti fai? Qui tu puoi decidere tutto, inizia solo a scrivere e vedrai che le cose accadranno da sole!».

 

Mi si può dire tutto ma non che io non crei dei personaggi brillanti, questa altra ne stessa non ne sbaglia una, quel posto lì sotto esiste perché io lo racconto quindi.. in teoria.. ho la libertà di inventare anche questo.

 

Che faccio? Ci provo?

 

«Sì, dai, provaci, vieni quaggiù, ti prego!».

 

Mi implora, come se questa follia fosse per lei di vitale importanza, forse davvero non vuole sentirsi sola? O forse è il suo modo subdolo per prendere il controllo della storia e decidere lei quello che deve succedere?

L’occasione però rimane davvero ghiotta, sembra una svolta che sconfina quasi nella fantascienza, devo solo capire, o per meglio decidere come metterla in pratica. 

Andiamo sul sicuro, prendiamo spunto da qualche vecchio film, ricreando un’immagine familiare, che riesca a distrarre i lettori, quei pochi rimasti direi, dall’assurdità di questa situazione. 

 

Mi basta quindi allungare una mano incerta verso il monitor, percepire un’improvvisa dilatazione di luci e suoni, una qualche vibrazione che confonde tensione emotiva ed effetto scenico, lasciare che le luci blu dello schermo diventino liquide, sciogliendosi intorno alle mie dita che si muovono. 

Una sorta di misteriosa forza magnetica sembra attrarmi dentro quella dimensione impossibile, restituendomi una sensazione di vertigine, sospesa fra il mondo che conosco e quello che ho sempre solo immaginato. 

Ormai non vedo più la mia mano, spalanco la bocca, incredula, mentre le scosse mi corrono lungo il braccio, forse sono davvero impazzita, forse dovrei fermarmi qui e chiamare quel dannato psicologo ma i miei ultimi dubbi evaporano nell’incredibile euforica eccitazione che mi sale lungo la schiena mentre i miei racconti mi trascinano via da me stessa, ci sono, la luce è sempre più forte, mi costringe a chiudere gli occhi, un risucchio sonoro spegne di colpo qualsiasi percezione e..

 

Il resto, è buio. 

 

 

 

 

 

 

«Mi senti?».

 

So già di chi è questa voce ovviamente e so anche che l’esperimento è andato a buon fine ma in questo momento è necessario un po’ di smarrimento, ho pur sempre realizzato una qualche incredibile rivoluzione. 

Ora apro gli occhi e mi ritrovo davanti un volto sorridente, estremamente familiare, la cosa insolita è vederla distaccata dalla consueta imitazione di uno specchio, questa me stessa è indipendente da me, si muove, si aggiusta gli occhiali da vista e continua a parlarmi. 

 

«Benvenuta nel tuo racconto!» annuncia quasi trionfante. 

Ho il tempo per guardarmi attorno, la camera da letto è la mia, la disposizione degli spazi e degli oggetti è la stessa eppure c’è qualcosa di strano. 

È come se ogni cosa fosse sfocata da una sorta di nebbia leggera, come sapere che tutto è al suo posto ma non riuscire a vederlo fino a quando non viene nominato, o in questo caso scritto. 

Mi basta ad esempio accennare alla mia cassettiera di legno blu ed eccola accendersi, come se io le avessi dato vita con le parole. Assurdo! 

È questo che succede in un racconto? Intuiamo la presenza degli oggetti ma li vediamo per quello che sono solo nel momento in cui vengono descritti? 

Lo stesso esperimento posso farlo con tutto il resto, la vecchia lampada ikea, il grande armadio bianco, la specchiera a muro. Ogni oggetto risponde al mio appello definendo la propria immagine per un solo istante, prima di tornare nella nebbia. 

 

Mi alzo in piedi, inizio a camminare per la stanza, imitando i gesti che il mio personaggio ha fatto giusto qualche riga fa. 

E poi lo vedo. 

Se ne sta ancora lì. 

Dorme. 

E so bene che, come per tutto il resto, continuerà a dormire fin quando non sarò io a raccontare il suo risveglio. Così come per gli oggetti inanimati il mio potere di autrice mi dà la possibilità di decidere il come e il quando anche dei personaggi. La cosa è particolarmente esaltante, lo ammetto, in barba a qualsiasi concezione di voyeurismo potrei stare qui a osservarlo mezzo nudo per tutto il tempo che voglio. 

Ed è un’esperienza davvero interessante, perché ciò che ha fra le gambe riemerge dalla nebbia con ancora più veemenza quando pronuncio la parola “cazzo”. 

Credo sia proprio questo a fare la differenza, se dico “pisello” ad esempio l’immagine cambia in modo significativo. Pur essendo sempre lo stesso organo sessuale appare di colpo più tenero, quasi infantile, non meno affascinante per quanto mi riguarda ma la resa è davvero diversa. 

E se dico “pene”? No, troppo freddo, sembra di colpo l’illustrazione anatomica di un libro di medicina, decisamente non è la parola adatta a descriverlo, nella sua meravigliosa e animale volgarità. Cazzo invece, ha il suono giusto, con quella doppia zeta che ti costringe a chiudere i denti. A me almeno piace così e il mio gusto personale fa da inevitabile filtro a qualsiasi cosa io racconti. Il mio potere è anche questo. 

 

«Siamo vestite uguali..».

 

Un potere che non funziona su di lei evidentemente, il personaggio ribelle, che continua a fare e dire ogni cosa le passi per la testa, un po’ mi irrita e un po’ devo riconoscere che questo strano testo sta prendendo vita proprio grazie alle sue iniziative. 

Di che parli?

 

«Abbiamo la stessa identica tuta, come mai?».

 

È una cosa che faccio spesso, un escamotage, quando devo vestire un personaggio provo a guardarmi attorno, magari apro l’armadio, e con le cose che trovo provo a comporre un look adeguato, in questo caso la mia vecchia tuta da casa va più che bene direi, soprattutto perché, beh.. sto raccontando me stessa. 

 

«Non siamo così uguali però».

 

Prego? 

 

«Guardaci, guardaci bene!».

 

Lo faccio ovviamente e sfuggendo alla semplice occhiata distratta mi rendo conto che io e il mio personaggio siamo simili, certo, ma non identiche. 

Dettagli, piccole cose di cui è difficile accorgersi ma è come se il suo corpo fosse una versione “migliorata” del mio. 

I seni ad esempio, abbiamo sicuramente la stessa taglia ma le sue tette appaiono sostenute, appena più sode e prorompenti delle mie. La stessa cosa vale per il giro vita, il suo è più delineato, i suoi capelli sono meno disordinati dei miei, le labbra più morbide e così via. 

Anche in questo caso è la scelta delle parole a fare la differenza, usando quelle giuste è possibile evidenziare dei tratti somatici, amplificare i pregi per offuscare i piccoli difetti naturali che ogni corpo “vero” possiede. 

Insomma, intendiamoci, non sto dicendo che lei è un figa e io sono un cesso, sono sempre io, la stessa identica persona, ma illuminata dalle luci giuste che riescono in qualche modo a rendermi più desiderabile. 

Mi viene improvvisamente in mente che i soldi spesi dall’estetista potrei investirli in un racconto su di me scritto da un bravo autore, se è uno che ci sa fare davvero mi renderebbe bellissima! 

Proprio come lei, questa sorta di “Super me stessa” che mi guarda con espressione compiaciuta, il mio ragionamento evidentemente non la lascia indifferente e come ogni donna che si rispetti non riesce a non gongolare di fronte ai complimenti. 

 

«Adesso che si fa?».

 

Adesso? Non ne ho idea, non è il mio mondo questo, mi sento un po’ un’estranea a dirti il vero, direi che puoi cavartela benissimo senza di me.

 

«Ci sei rimasta male per le tette?».

 

Ma che cazzo dici, no, certo che no.. le tue sono bellissime ovviamente ma preferisco tenermi la mia imperfetta sincerità.

 

«E allora facciamo qualcosa, la storia è ferma da un sacco di tempo, qualcuno si starà chiedendo se questo tizio non sia ormai morto!».

 

Questo tizio, tanto per essere chiari, è il tuo fidanzato e anche se a volte è un gran rompipalle si dà il caso che tu lo adori, state insieme da un bel po’ di tempo e scopate ancora come due furetti, mia cara super donna!

 

«Sarà.. ma io è la prima volta che lo vedo..».

 

Cosa intendi? 

 

«Che tutte le tue elucubrazioni metafisiche valgono anche in questo caso, come personaggio io non esistevo prima che tu iniziassi a pensare a questa storia, non ho passato e non ho futuro, a meno che tu non voglia fare un sequel!».

 

No, per carità, i sequel mi vengono sempre malissimo, non voglio farne mai più! 

 

«Ok, ma ti ricordo che se tu non scrivi qui non succede niente, hai detto che è un tuo ricordo, quindi, cosa avevi intenzione di farne?».

 

Non lo so, avevo voglia di partire da un piccolo fatto autobiografico e poi magari aggiungere qualcos’altro, per renderlo interessante.

 

«E l’uomo col pisellone si risveglia?».

 

No, cioè, non subito. 

 

«A proposito, non è che hai usato lo stesso trucchetto anche qui? Hai trovato le “parole giuste” per raccontare un super cazzo quando nella realtà hai avuto a che fare con un qualcosa di assolutamente normale?».

 

Silenzio. 

A volte penso che dovrei creare dei personaggi molto più sciocchi e ingenui, di quelli che si ritrovano nel bel mezzo di una storia erotica, con la faccia da ebete, senza neanche essersene resi conto. 

Cara la mia super stronza, ho appena detto che le misure, come per le tette, non cambiano, di certo si può provare a descrivere meglio qualcosa che già di per sé è assolutamente gradevole, fidati! 

 

«Ehi, non ti arrabbiare!».

 

Non sono arrabbiata, perdonami, è che non sopporto che mi tocchino il “mio” pisello, sarebbe lungo da spiegare a una donna che non esiste come te. 

 

«Anche perché sono vergine..».

 

CHE COSA?

 

«Ahahahah, adesso sei tu che fai l’ingenua, non esistendo non posso avere alcuna esperienza sessuale ma se tu hai intenzione di descrivermi come una tigre da letto allora mi trasformerò immediatamente, sei sempre tu a decidere».

 

“Tigre da letto” io non l’avrei mai usata.

 

«Lo so, sei tu la scrittrice, ora però dimmi che devo fare, fruga nei ricordi, inventati qualcosa, ma smuoviamo un po’ il racconto, ci sono persone che ha scelto di leggerci per potersi masturbare in santa pace e noi non stiamo facendo niente per “aiutarle”».

 

Ha ragione, anche stavolta. 

Ho già scritto più di tremila parole senza praticamente un minimo di azione erotica ma il fatto è che.. mi sento bloccata, attingere ai ricordi, raccontare le proprie perversioni prevede sempre una sana dose d’imbarazzo, molto più facile nascondersi dietro a un personaggio.

 

«Furba che sei!».

 

Guardo la super tettona che attende impaziente, poi ci voltiamo entrambe verso questo bell’animale che dorme e chissà cosa sogna. 

Le cosce larghe, la maglia appena sollevata ad offrire un po’ di pancia nuda che ti viene subito una gran voglia di leccarla e poi giù, quel pezzo di carne da troppo tempo solo, senza le giuste attenzioni. 

Eppure non mi muovo, so bene cosa è successo, nella vita vera, quando mi sono ritrovata questa scena davanti agli occhi e anche non volendo ripercorrere le stesse azioni potrei inventare tante altre situazioni interessanti ma non ci riesco. 

In questa immobilità che pare eterna c’è solo una cosa che mi viene in mente, potrà sembrare una follia, lo so, ma questa storia devo riuscire a completarla e ho un gran bisogno d’aiuto. 

Proprio per questo alzo gli occhi verso il soffitto e inizio a parlare, per farlo però mi ritrovo costretta a usare le virgolette.

 

“Ehi tu”.

 

Ecco, adesso direi proprio che il povero psicologo si suiciderebbe di fronte a questa nuova svolta. C’era da aspettarselo, ovvio, perché mentre la Super me stessa e l’Esperta di racconti erotici continuano a disquisire sui massimi sistemi dell’universo c’è qualcuno che è sempre rimasto qui, davanti al pc, per continuare a scrivere questo racconto impossibile. 

Quel qualcuno sono Io ovviamente, con la tazza ormai vuota e una confusione in testa che davvero non si può immaginare. 

Evidentemente, poco fa, più che fare un salto interstellare dentro il mio racconto mi sono di fatto sdoppiata, creando una versione di me che potesse andare a risolvere l’intoppo narrativo. Una vera e propria Esperta che si sta rivelando decisamente inaffidabile. 

 

“Scusami, è che..”. 

 

Stai zitta per favore, non complicare ulteriormente le cose, quando torni facciamo i conti, ora, mi dite perché diamine avete coinvolto anche me?

 

«È stata lei a chiamarti».

 

“Sì.. ma solo perché tu l’hai fatto prima di me.. sembravi una pazza, dico.. chi mai si sognerebbe di risolvere i propri problemi alzando gli occhi al cielo per chiedere aiuto?”.

 

«Guarda che se io l’ho fatto è solo perché tu..».

 

Buone, ci manca solo che adesso ci mettiamo a frignare; Super donna è già abbastanza strano che tu sia qui a discutere del racconto di cui sei protagonista, non trovi?

 

«...».

 

E tu, Espertona, credi non abbia colto la tua sottile ironia di poco fa? Tu e le tue provocazioni intellettuali, fatte per dimostrare chissà cosa e poi te la fai sotto di fronte a un cazzo a riposo.

 

“...”.

 

 

 

 

Silenzio. 

I musi lunghi di tre sorelle che hanno appena bisticciato.

 

 

 

 

Allora che facciamo?

 

«Potresti venire anche tu!».

 

Cioè? 

 

“Sì dai, vieni qui con noi, guarda che è una figata!”.

 

Dovrei ripetere quella pantomima della mano che si scioglie nello schermo? 

 

«No, inventati qualcosa di diverso..».

 

“Qualcosa che non ti faccia sdoppiare, altrimenti non ne usciamo più!”.

 

La fate facile voi due, ma se non attingiamo alla fantascienza per fare una cosa simile che altro ci possiamo inventare?

 

«Mah..».

 

“Beh..”.

 

Sì, l’ho capito che devo risolverla da sola, grazie. 

Vediamo un po’, devo calarmi nel racconto senza lasciare il mio posto di scrittrice, quindi, più che andare verso la montagna potrei portare la montagna qui! Lo so, lo so, ma mi sembrava il modo più efficace per spiegare bene la mia tesi. 

Dai, affidiamoci al Mistero inesplicabile, una trovata narrativa che non fallisce mai, ci sono storie che la usano da migliaia di anni e ancora riscuotono un grande successo.

 

Il pavimento inizia di colpo a tremare sotto i miei piedi, la tazza piroetta sul tavolo della cucina, mi alzo in piedi, in preda a un certo timore, la vibrazione cresce di intensità, un paio di quadri cadono a terra e il rumore sordo di un’esplosione improvvisa mi fa quasi prendere un colpo.

 

Nube di fumo, raggi di luce e altre cose simili, due figure sbucate dal nulla tossiscono nella nebbia, qualche segno nero sul volto e gli occhi spalancati dallo stupore, soprattutto della Super me stessa che esiste solo da qualche pagina e si ritrova già ad affrontare un’esperienza ai confini della realtà, letteralmente direi.

La sua prima reazione la dice lunga sulla differenza fra i due mondi:

 

«Che brutto posto!».

 

Perché brutto scusa? È il mondo vero, è da qui che nascono le dinamiche che portano a raccontare storie come la tua. 

 

“Ben detto!”.

 

«Sì ma.. è tutto così.. non so come dire.. come se la luce fosse troppo forte.. gli oggetti poi, sembrano di una banalità accecante.. non hanno il briciolo di un mistero».

 

Che ti devo dire? È la nostra banale e confortevole realtà, presa nella sua essenza, solo quando ti metti a raccontarla puoi darle le sfumature che vuoi, renderla magari più interessante e avvincente. 

Anche la storia più semplice, a saperla scrivere nel modo giusto..

 

“Ragazze!” urla di colpo la grande Esperta e noi la raggiungiamo, in camera da letto, ritrovandoci davanti agli occhi la stessa identica scena che ormai ci tormenta dall’inizio di questo testo.

 

Lui se ne sta lì. 

Dorme. 

Nel viaggio al contrario verso la realtà il racconto si è portato dietro ogni cosa, compreso quell’uomo che sogna. 

C’è anche tutto il resto ovviamente, la maglia a maniche lunghe, le gambe nude e il sesso libero, coi peli attorno alla base, quei grossi testicoli, così prepotenti, così.. ipnotici, che non si riesce a non guardarli. Proprio come nei miei ricordi, la stessa identica statica atmosfera piena di desiderio. 

 

«E cosa hai fatto quella volta, adesso me lo puoi dire?».

 

Allora, vediamo un po’, è ricordo decisamente vivido, fin troppo recente. Una qualsiasi domenica mattina, io che mi sveglio prima di lui, come sempre. Il tempo di farmi una tazza di tè, scrivere qualcosa al computer per poi tornare qui e mettermi a fissarlo, proprio come adesso. 

Solo che adesso siamo in tre, tre donne identiche, a osservare un uomo fra le gambe, sembriamo tre ragazzine alle prese con un misterioso animale.

 

“Bello!”.

 

Sì, certo che è bello, è autentico, maschio, incredibilmente virile, un uomo che dorme e in qualche modo torna bambino, ti fa venire voglia di coccolarlo, con tutta la dolcezza che puoi. 

 

«E tu cosa hai fatto?».

 

Mi sono avvicinata, così. 

Lo dico e le altre due versioni di me mi seguono, tutte vestite con la stessa identica tuta, i capelli legati e gli occhiali da vista. I pensieri che ci corrono dentro sono forse diversi ma i cuori battono lo stesso tempo singhiozzante. 

Mi ricordo di aver avuto voglia di seguire semplicemente i miei istinti, senza fare il minimo rumore, non volevo assolutamente che si svegliasse, volevo stare da sola. 

Da sola col suo cazzo. 

Per questo mi sono seduta piano sul letto, mi sono piegata su di lui e ho iniziato ad annusarlo. 

 

«Annusarlo?».

 

“Sì, annusarlo, respirarlo, lasciarsi penetrare dalla sua essenza più selvaggia”.

 

Quando vuoi ti ricordi ancora come si scrive, eh?

 

«E che odore ha?».

 

Io e l’Esperta ci voltiamo di colpo verso la Super donna, la guardiamo in un modo tale che deve sentirsi quasi minacciata.

 

«Ehi, non guardatemi così, vi ricordo che io non esisto!».

 

Non esisto, dice lei.

 

“E quasi bisognerebbe interrogarsi su cosa davvero voglia dire Esistere; la protagonista di questa storia è irreale, vero, ma come si può negare che ora tutti la stiano guardando?”

 

Eccola, l’Esperta, sempre pronta a puntare in alto, maneggiando le parole con la presunzione di una giocoliera, ma una tale svolta filosofica mi sembra davvero esagerata, questo è pur sempre un racconto erotico ed è decisamente giunto il momento che l’azione si compia e la sola fra noi che può farlo è Lei, la nostra protagonista. 

 

“L’unica davvero libera di vivere per la prima volta ciò che per noi è solo un ricordo”.

 

Così ci scambiano un ultimo sguardo d’intesa, lasciando poi che sia lei a piegarsi su quell’uomo che dorme beatamente, la osserviamo mentre porta il naso sul suo sesso, senza toccarlo, così che non si svegli e non ci disturbi. Col musetto curioso lo studia, perdendosi in quella selva di mascolinità.

In un’ultima magia di parole ci riuniamo, l’una sovrapposta all’altra, per diventare una sola Donna, attrice, autrice e regista della stessa piccola storia.

Eccola che inspira forte, riempiendosi di quell’odore che non ha mai sentito prima eppure conosce fin troppo bene. 

Che anche guardarla da qui, o per meglio guardarsi, da fuori, mentre si racconta una cosa così semplice e così intima; una domenica mattina, proprio come questa, con una vecchia tuta addosso, a prendersi il piacere del profumo del tuo uomo. 

E che odore ha? Già, questa è la domanda. 

C’è una lieve scia di sudore, un afrore quasi confortevole, ancora intiepidito dal letto, dal calore dei corpi abbracciati nel sonno, ha qualcosa che sa di me, proprio io, che durante la notte mi piace ritrovarmelo fra le mani e poi magari va a finire che mi sveglio e mi metto a guardarlo. 

Ha un qualcosa di forte, certo, qualcosa che forse non puoi capire se non ti piace un certo tipo di maschio, qualcosa per cui non riesco a non usare la parola puzza, senza però essere sgradevole, piuttosto golosa, quell’aroma deciso e pungente che ti inumidisce la lingua e accende le papille gustative, il suono verace di quella doppia zeta che ti fa stringere i denti.

Puzza di maschio, essenza di uomo, ancor più dolce e familiare quando quell’uomo è il tuo e puoi permetterti di dichiarare, in un tuo racconto, quanto sia infinitamente bello ritrovarci un odore ancor più sapido e intenso, nelle cui note riconosci la squisita rugiada del suo sperma. 

Perché può capitare no? Di svegliarsi nel cuore della notte con un cazzo fra le mani e non riuscire più a dormire, sentirsi di colpo affamata e vogliosa, scivolare sotto le coperte e iniziare a leccarlo, lentamente, per il solo gusto di assaggiarlo e sentirselo crescere sulla punta della lingua, cedendo poi alla vorace febbre del pompino, senza fretta, con una punta di egoismo, farlo solo per sé stessa mentre lui ancora cerca di capire cosa diamine stia succedendo, mentre abbandona i sogni sul cuscino e alza la coperta dal proprio petto, scorgendo una testa che si muove ritmicamente fra le sue gambe, con una bramosia tale che è davvero impensabile trovare qualcosa da dire per provare a interromperla. 

Meglio lasciarla fare, meglio lasciarsi succhiare il cazzo, che tanto le donne è impossibile capirle davvero, complicano ciò che è semplice in un modo assolutamente meraviglioso, si sdoppiano, triplicano, in diverse personalità, fra timori, dubbi, incertezze, ma hanno qualcosa, qualcosa di davvero unico: sanno godere nel dare piacere, esiste forse un potere più forte di questo? Schiudere le labbra sul sesso del proprio uomo, lasciarsi scopare la bocca senza smettere per un attimo di domarlo, accarezzargli le palle, provocando gemiti disperati che rendono ogni uomo un po’ bambino, abbandonato e indifeso, le stesse donne che poi si lasciano riempire la lingua di sperma e dicono solo “buonanotte” per tornare a dormire, avvinghiate al corpo caldo del loro maschio, per sempre innamorate di quello splendido sapore. 

 

Forse è per questo che stamattina mi è venuta voglia di annusarlo, per ritrovarci sopra gli effluvi del sogno reale di questa notte. Perché alla fine questa storia è tutta rinchiusa nel suo titolo, un solo piccolo infinitesimo gesto, attraverso il quale respirare un intero universo d’amore lurido e ludica lussuria.

Che poi forse tra le due cose non c’è poi tutta questa differenza.

 

«Buongiorno» dice lui che ha finalmente aperto gli occhi e sorride a quella Super donna accovacciata fra le sue gambe. 

 

«Buongiorno!» risponde lei che non la smette di fissargli il cazzo e non si capisce chi dei due abbia salutato. 

 

Il finale è un moto perpetuo, sui rintocchi delle ultime due battute, con lui che stiracchiandosi domanda e lei che sfilandosi la tuta risponde. 

 

«Facciamo colazione?».

 

«No, prima scopiamo».

 

 

 

 

Fine_

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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