Il feticismo di Alberto

“No, Alberto. Non chiedermelo più. Lo sai che sono felicemente sposata…”

“…”

“Sì, questo lo capisco e ti ringrazio per il complimento. Ma il fatto che ti abbia concesso qualcosa in un momento di follia, non significa che debba diventare un’abitudine, e nemmeno che debba succedere ancora, anche se si trattasse di una volta sola…”

“…”

“Certo che mi è piaciuto, ma…”

“…”

“Ovvio che mio marito mi scopa, e anche parecchio. Perciò, non ho voglie insoddisfatte o altre mancanze…”

“…”

“Beh, se le hai tu, devo proprio essere io a togliertele? Possibile che, in quella pletora di belle ragazze che ti assediano costantemente, non ce ne sia una capace di soddisfare i tuoi feticismi?”

“…”

“Ah, ah, ah! Bello come complimento! Così, a cinquant’anni suonati, sarei meglio anche di quella… Come si chiama? Alessia? Sì, di quella gran gnocca di Alessia che ha dipinte in volto tutte le porcate che sicuramente si lascerebbe fare…”

“…”

“Senti, facciamo così, giusto per non passare un’altra ora al telefono: portami a fare un giro per negozi a Saronno, visto che mio marito ha parecchi impegni e non riesce a liberarsi. Così, potrai continuare a piagnucolarmi le tue libidini, mentre io faccio un po’ di shopping che mi lenisce la pena di ascoltarti. Ok?”

“…”

“Allora, ti aspetto tra due ore. E non venire in moto! ... Ok, a dopo.”

Mamma mia! Quando ci si mette, Alberto è capace di diventare estenuante. Quanto mai, quella volta che mi ha portata a fare un giro sulla sua nuova moto, mi sono lasciata trascinare dal suo fascino e gliel’ho data senza pensarci troppo. Ho rimuginato quasi una settimana, prima di decidermi a confessare la scappatella a mio marito… Ma tant’è! Come al solito, invece di incazzarsi per un altro paio di belle corna, si è eccitato da morire e, ancora adesso che sono passati almeno quattro mesi, tutte le volte che facciamo sesso vuole che gli racconti i dettagli di quella scopata in sella alla Honda del mio amico.

“Come mi vesto?” mi sono chiesta almeno tre volte da quando ho chiuso la telefonata. Da un lato, non ho alcuna intenzione di cedere alle oscene lusinghe di Alberto, perciò opterei per un bel paio di pantaloni con la giacca abbinata: magari il mio look “molto serio e professionale” lo fa sbollire. Dall’altro, la mia indole un po’ sadica mi farebbe propendere per vestirmi in maniera totalmente provocante, così da farlo morire dalla libidine, portarlo al limite della sopportazione, per poi somministrargli la stangata finale, facendomi riaccompagnare a casa, senza nemmeno dargli un bacetto e lasciare che vada a sfogare altrove, magari da solo, le sue voglie…

Sì, sì! Farò proprio così! Davanti ad una tale batosta, smetterà per sempre di farsi illusioni e sogni erotici su di me!

 

Eh, sì! Col cazzo! Non mi ricordo nemmeno com’è andata, fatto sta che è almeno un quarto d’ora che Alberto ha la testa immersa tra le mie cosce, e non dà cenno di interrompere la sua meticolosa opera di leccamento di ogni centimetro quadrato dei miei collant.

“Ma non ti si irrita la lingua?” gli domando, speranzosa che si prenda una pausa e me li lasci togliere, dato che, inguainata nel loro tessuto, non è che senta molto di tutto l’impegno che profonde.

Alberto scuote la testa, senza staccare la bocca dalla mia vulva, e non capisco se è un gesto di diniego o se fa parte della sua tecnica di esperto lappatore.

Continua imperterrito. Il suo fiato caldo mi riempie la fica, mentre la sua saliva mi sta colando fino in mezzo ai glutei e si mischia al mio miele.

“Cazzo, Alberto… Fermati un momento, altrimenti mi fai venire… Ahhh… Cazzooo… Un’altra lappata così e non mi trattengo… Ohhh… Troppo tardi… Ahhh…”

La squirtata, nonostante le mutandine e il collant, gli investe il viso in pieno. Lo vedo annaspare, mentre tenta di respirare e, nel contempo, bere il mio succo.

Dopo qualche istante, immerge nuovamente la testa tra le mie cosce. Io ho la mente in orbita e mi è perfino scomparso il senso di colpa nei confronti di mio marito, tant’è che imploro Alberto: “Scopami!”

Niente da fare: Alberto prosegue a leccarmi cosce e fica come fosse un automa, completamente ipnotizzato.

“Ma che cazzo ti ha preso? Non credevo che fossi così feticista…”

“Mi fai impazzire, Monica. La tua fica sembra volermi risucchiare e non mi permette di staccare la bocca…” farfuglia, senza dirigere lo sguardo verso il mio.

Rassegnata, decido di lasciarmi fare tutto ciò che vuole. L’orgasmo che ho appena avuto mi ha talmente appagata che quasi mi sembra di non sentire più niente, così resto ad osservare con distacco tutte le manovre della sua bocca e della sua lingua nella mia intimità.

Finalmente, decide di sfilarmi la biancheria intima, ormai fradicia. Spero che sia la volta buona che mi dà il cazzo… Invece, riprende a leccarmi, alternando le sue attenzioni tra fica e culetto.

Sento il secondo orgasmo montare velocemente: “Alberto! Basta! O mi scopi, o mi alzo!”

La perentorietà del mio tono gli dà una svegliata: “Oh, sì. Scusami, amore…” dice a bassa voce, quindi si slaccia camicia e jeans e li butta a terra.

Mi sarebbe piaciuto massaggiargli il pisello attraverso i boxer elasticizzati, ma non me ne dà il tempo. Se li sfila velocemente, si inginocchia tra le mie gambe e me lo infila tutto, piuttosto rudemente.

Prende a baciarmi molto sensualmente, usando tutta la lingua che gli riesce, e penso: “Penetrata nella bocca e nella fica, neanche fossi allo spiedo… Poi, mi ha chiamata “amore”… Ma che cazzo si è messo in mente?”

Quest’ultimo pensiero mi provoca una serie di palpitazioni, e faccio di tutto per convincermi che non sono innamorata di Alberto, che sto solo sfogandomi un po’, che a Manuel farà solamente piacere sapere che mi sono divertita e basta…

“Ahh… Cazzooo…” Le ultime pistonate che mi ha dato Alberto mi hanno aperto come una conchiglia…

“Ohhh… Ohhh… Dai, scopami più forte, fammi sentire una troia…” farfuglio, ormai persa nel delirio.

Lui mi sbatte come neanche farebbe con la più laida delle puttane. Io che, osservandomi nello specchio a lato del letto come mi sto facendo scopare, sento quasi vergogna per me stessa.

Non trascorrono più di due minuti che arriva l’annuncio che mi aspettavo: “Ahhh… Amore… Devo sborrare… Non la trattengo più….”

Non fa in tempo a terminare la frase che sono già piena di sperma all’inverosimile. Tutto quel liquido caldo provoca anche il mio orgasmo: “Mmmmh… Ahhh…” rantolo, con gli occhi chiusi e la testa che va da una parte all’altra come un pendolo impazzito, bombardata dalle contrazioni che percorrono la mia spina dorsale fino al cervello.

Alberto, restando conficcato dentro di me fino all’utero, mi crolla sopra, riducendo ancora di più la mia capacità di respirare.

Lo abbraccio e gli faccio scorrere le mani su tutta la schiena che ondeggia per assecondare la sua necessità di ossigeno. Tiene il volto immerso nel cuscino e, senza dirci nulla, restiamo incollati guancia a guancia, fino a quando il suo cazzo si ammoscia, permettendo alla colata di sperma di riversarsi fuori di me.

Nel frattempo, mi guardo ancora allo specchio, facendo finta che il corpo che mi sta schiacciando sia quello di mio marito. Faccio di tutto per illudermi, almeno momentaneamente, che sia così, per cercare di placare il senso di colpa che mi attanaglia. Ma la cruda realtà non vuole saperne di restare immersa e continua a fare capolino nella mia coscienza.

“Ti amo, Monica…” sento chiaramente, anche se la voce di Alberto esce quasi completamente soffocata dal cuscino.

Le sue parole mi lasciano spiazzata: “Mi sono messa in un casino!” rifletto, perché un conto è dire “amore” mentre sei nell’apoteosi della scopata, ma un altro è dire “Ti amo” dopo. E poi, devo fare i conti anche con ciò che provo io: mi rendo conto che non sono affatto indifferente al fascino di Alberto e, se sono nella camera di un motel con lui, non è certo per soddisfare una passeggera voglia di sesso che avrei potuto ugualmente sfogare tra poco con mio marito, con molti meno rischi e nessun rimorso.

Con tutta la buona volontà di convincermi diversamente, devo ammettere a me stessa che ora ho un “tarlino” dentro di me che rosicchia la granitica devozione che credevo di avere per mio marito, e so che, quando quel “tarlino” si fa vivo, non sarà facile scacciarlo.

In ogni caso, non replico alla frase di Alberto, ma gli chiedo solamente di lasciarmi andare in bagno.

Lui si solleva, giusto quanto basta per farmi sgusciare da sotto di lui, e resta inerme nel letto.

Con una mano a tenermi tappata la patata, corro in bagno, apro il getto della doccia e poi faccio pipì nel water.  Mi assicuro che l’acqua sia alla temperatura giusta e mi ci fiondo, sperando in questo modo di lavare via i pensieri pericolosi assieme al sudore.

Lo scroscio dell’acqua copre ogni rumore all’esterno, così, quando ritrovo il corpo di Alberto nuovamente incollato al mio, la sorpresa mia fa trasalire per qualche istante.

Al ritorno della calma, però, mi rendo conto che Alberto vuole ancora qualcosa. Infatti, le sue mani mi afferrano i fianchi da dietro, poi, una scorre velocemente sulle mie tette, mentre l’altra va tra le mie cosce. La pressione del suo cazzo, tornato durissimo, è inequivocabile tra le mie chiappe.

Nuovamente, la mia mente si perde, combattuta tra la situazione davvero intrigante e la mia natura di donna fondamentalmente fedele, a parte i giochi e le trasgressioni pianificati assieme a mio marito, che non considero corna.

Alberto fa scorrere il pistolone tra i miei glutei che, bagnati e insaponati, gli permettono di guizzare tra essi come fosse un’anguilla. Ad un tratto, lo sento abbassarsi e piegare le ginocchia tra le mie gambe. Un attimo dopo, la sua cappella preme all’ingresso del mio buchino posteriore: “No! Fermo! Lì non è mai entrato nessuno, nemmeno mio marito!” esclamo perentoria.

Però, consapevole della sua esigenza, mi piego leggermente in avanti e lascio che si sfoghi ancora nella mia fica. Dopo i precedenti due orgasmi, è quasi anestetizzata, perciò non provo piacere, ma solo la ritmica sensazione di riempimento e svuotamento.

Intanto, le sue mani mi scorrono ovunque. Ancora una volta, Alberto sembra totalmente rapito dal mio corpo, ma ciò non gli impedisce di scoparmi selvaggiamente, tanto che sono costretta a tenermi fortemente aggrappata ai rubinetti per contrastare la forza dei suo affondi disordinati e restare, anche se molto precariamente, in equilibrio.

Non soddisfatto di palparmi ogni centimetro di pelle, inizia a mordermi sulla nuca e sulle spalle: “No, cazzo… Mi lasci i segni… Cosa racconto stasera a mio marito?” mi lamento voltandomi verso di lui e lanciandogli un’occhiataccia.

“Ti prego, amore, lasciami fare… Sto per venire… ti prego…” farfuglia con gli occhi chiusi, la testa reclinata all’indietro e i denti digrignati.

Torno con il viso rivolto in avanti, mi aggrappo ancora più forte ai rubinetti e lo assecondo, facendo flettere le gambe, in contrapposizione alle sue spinte. Così, la sua resistenza subisce un drastico taglio e, dopo nemmeno un minuto, raggiunge un nuovo orgasmo, non prima di avermi stretto con forza tra le sue braccia, quasi a togliermi il fiato.

Gli schizzi della sua crema bollente mi saettano dentro così potenti che riesco perfino a contarle: “…tre, quattro… forse una quinta…”

Ormai svuotato fino al midollo, Alberto allenta la presa, mi bacia ripetutamente sul collo e sulla guancia destra, facendosi largo tra i miei capelli bagnati che mi coprono completamente il volto.

“Grazie, amore mio…” mi sussurra all’orecchio, ma io non replico. Esce dalla cabina della doccia, richiude la porta, afferra un asciugamano e torna in camera, lasciandomi ai miei pensieri, ai miei dubbi, in compagnia del “tarlino” che continua a rosicchiarmi nella mente, ma forse, un po’ meno di quando ero ancora nel letto… Chissà!

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