1
Tatiana lo faceva morire, era sveglia e più “napoletana” dei napoletani. In 5 anni aveva imparato tutto sulla vita della città, anche quella del suo intricato sottobosco e persino le grandi e piccole manovre della camorra, che rappresentava praticamente la linfa, il sistema sanguigno di Napoli e di tutto il suo hinterland. Brava: Tatiana teneva le palle! E lui ne andava fiero perché era stato lui a volerla, a capire le sue qualità. Ne aveva fatto una signora. Certo lei era laureata e in gamba, ma questo non bastava (lo sapeva anche lei, e ne era grata), se non fosse stato per lui adesso la russa sarebbe stata al capezzale di qualche vecchia e, per 500 euro avrebbe dovuto anche fare qualche pompino al parente più prossimo.
Facendone la sua segretaria privata le aveva salvato la vita e lei gli era grata, veramente, sinceramente: che bella persona. Ben diversa dalle belve affamate che lo circondavano, anche nella stessa famiglia: volevano solo i soldi, favori e appalti malati da lui, solo per questo amici, parenti e collaboratori gli leccavano il sedere. Naturalmente c’era anche chi lo temeva ma il signor Corrado a certi lati “sporchi” preferiva non pensarci. Preferiva vivere nelle istituzioni e nella legge con la testa, e lasciava alle mani il lato sporco, cercando di ignorare il nero o il rosso con cui a volte si tingevano, anche se indirettamente.
La sua efficiente Tatiana gli aveva già procurato il disco “pezzottato” del film che avrebbero dato la sera l’Ambasciatori e lui si assicurò di non essere disturbato per un ora, il tempo di capire, di registrare nella mente per ricordare qualche scena, qualche particolare saliente.
Il piccolo Nokia privato, con scheda russa, irrintracciabile, squillo: solo in 2 avevano il numero. Era Cosimo: – Dottò, ci vediamo dalle otto alle nove! Buonagiornata!
2
– Dobbiamo deciderci per Fernando, che vuoi fa? – Corrado spense la TV! – Manco un telegiornale in santa pace si può vedere? Niente: già avete deciso, mandalo alla Bocconi! – sbuffò. Non era d’accordo. Con tutte le amicizie e con tutte le influenze su cui poteva contare alla Federico II, avevano deciso “la Bocconi” perché “si porta”.
– Io vado a Tennis – disse al volo la figlia Elvira, avvicinandosi gli diede un bacino, lui sorrise. – E che fai? Tu mi dai il bacio e Papà non ti da niente, tiè! – le passò 50 euro presi dalla tasca.
Il pranzo continuò come al solito, la moglie sparecchiò, era una donna all’antica e non voleva che la cameriera presenziasse alle loro discussioni intime e private. – Rosì, stasera vado a cinema, ti spiace? – lei continuò a sfaccendare – Uffà, sempre quando abbiamo il Conche? Qualche volta vorrei venire! – E lui pronto: – Ma no, tesoro lo sai, ho la passione per i film d’Essay, tu ti addormenti e poi mi piace guardarli da solo… è il mio unico svago. – Va beh, se non ti dispiaci che non vengo, va bene, Corrà. –
Alle 4 lui tornò in ufficio, mandò via in anticipo Tatiana e avvisò l’usciere che non c’era per nessuno, si fece mandar su un caffè e un brandy e si mise a guardare il film, senza provare nessun interesse. Versò mezzo brandy nel caffè, l’alcool riscaldato sfumò rapido nel sangue e gli arrivò al cervello dandogli una sferzata emotiva. Soffiò fuori l’aria: era già eccitato, era già su di giri.
Alle 7 l’autista lo lasciò sotto casa, alle 8, completamente irriconoscibile, e vestito in maniera informale chiamò un taxi e raggiunse una stazione lontana del Metrò. Da li, conoscendo gli orari, ripartì e dopo 5 fermate passate tra la folla dei pendolari, arrivò a destinazione, la gente non lo riconobbe, lui non vedeva la gente, la sua mente era lontana da li.
3
Molti anni prima…
– Mamma, quant’è “bona”. – disse Giovanni.
– Ho, spostati, ricchione, che mi stai toccando col cazzo! – il ragazzino si fece un po’ più dietro, lo spazio era poco, detestava Alfredo per il modo odioso di esprimersi. Veramente non amava la compagnia di quei ragazzacci, la mamma lo metteva sempre in guardia: aggressivi, pronti alla rissa; lo prendevano spesso in giro.
Lui era il più piccolo ed era affascinato da quella vita più spericolata: aveva fretta di crescere. Ora doveva sopportare! Sopportare o soccombere, e farsela di nuovo con gli “amichetti” della sua età, giocare con le figurine: no! Se fosse andata così ora non sarebbe stato acquattato, dietro la porta sgangherata di una cantina, a spiare Veronica, che, nel basso di fronte, si spogliava nella sera estiva.
Che bellezza, Veronica .
Viveva sola col padre che la teneva segregata in casa, e quando faceva il turno di notte, chiamava la nonna, per controllarla. Ma la vecchia si addormentava e Alfredo, quello più sgamato, sempre in cerca di ispirazione per farselo in mano, a furia di farsi notare dalla giovane aveva scoperto qualcosa, qualcosa che aveva fatto la felicità della loro comitiva di scugnizzi e provocato tante di quelle eiaculazioni nei ragazzi che, a furia di seghe, avevano reso scivoloso lo spazio esiguo; portava a uno scantinato abbandonato. Il più piccolo era pazzo di lei ma non riusciva a goderne appieno, la sua sensibilità aveva trasformato l’eccitazione adolescenziale in amore, lui voleva ammirala soltanto.
Detestava i suoi amici triviali che la riempivano di improperi, la “inquinavano”, mentre sborravano, tremanti, per Lei. Vigliacchi!
– Che troia, ho deciso: alla prossima me la chiavo!
Il ragazzino ebbe un brivido, avrebbe voluto gridare, assalire quel maiale di Alfredo ma non ne ebbe il coraggio, ora non vedeva più bene: aveva gli occhi pieni di lacrime di rabbia.
4
Alle 11 di sera era troppo fuori orario per preoccuparsi dei suoi.
Gli amici si erano sfogati. Ora era solo nel buio ma non aveva paura. Era solo nel vicolo silenzioso .
Aveva fatto una sciocchezza e se ne pentì: un sasso contro i vetri neri. Il rumore era stato secco, assordante ma nessuno si era affacciato. Il tempo che il battito ritornasse normale e poi sarebbe andato via, lasciando il nascondiglio di fortuna.
Ma poi la luce si accese e Veronica, in vestaglia, scese le scale e raggiunse la porta del basso: sembrava un angelo, i capelli biondi sciolti sulle spalle. Il ragazzo aveva sentito tante cose, sapeva che qualcosa in lei non andava ma non poteva capire di più.
Era certo, invece, che la ragazza era grande, aveva 20 anni e quando il padre non la sorvegliava si spogliava per i ragazzi che la guardavano, allupati, dalla loro postazione. Gli scugnizzi lo sapevano.
Lei si spogliava per loro, nuda, bella e abbondante e loro si masturbavano per lei, sussurrando porcherie.
Il ragazzo era convinto che lei, nonostante tutto, fosse innocente e lui l’amava lo stesso, pure se si spogliava.
Lei non sarebbe stata mai di quella merda di Alfredo. Veronica lo vide, lui si fece avanti, si fissarono a lungo. Poi Veronica girò la chiave…
Il sotterraneo era umido e buio, ma loro non se ne avvedevano, lui la carezzava goffamente, lei ne godeva senza capire troppo.
Non parlava, Veronica: era ritardata. “Ecco la parola che avevano usato” pensò il ragazzo, ricordando all’improvviso.
Ma a vent’anni era eccitata e pure lui nonostante ne avesse 5 anni di meno. Impacciato, maldestro ma reso pazzo dal desiderio, finalmente trovò la strada tra le sue grandi cosce e spinse forte. Fu allora che Veronica cominciò a gridare:
troppo, sempre più forte
e lui, terrorizzato, le cominciò a stringere le dita intorno al collo…
troppo, sempre più forte…
5
– Buonasera, dottò – Cosimo, depositò discreto la Bottecchia nera e aprì la vecchia Fiat Punto, già pronta, parcheggiata presso l’ingresso.
– Dottò scusate per la macchina, sapete… – il signor Corrado lo zittì con la mano aperta, ora era in una dimensione tutta sua, lentamente Corrado B. presidente di un piccolo Impero politico istituzionale, stava ritornando se stesso. Tornava alle origini, alla gioventù e a tutte le emozioni che avevano segnato per sempre il suo destino, rendendolo protagonista di una doppia vita.
Cosimo, dopo le 14 diventava l’indiscusso padrone dell’Ente ospedaliero, dopo la struttura iniziava a languire, fino ad addormentarsi del tutto verso le 19, restavano solo gli addetti di routine e naturalmente, il piccolo centro nevralgico del Pronto Soccorso: pullulava di vita, sempre, ma era a 3 chilometri. Corrado guardò Cosimo con la coda degll’occhio, gli dava fastidio quella presenza, pure inevitabile. Non si poteva lamentare di lui ma non avrebbe voluto complici, nessuno che conoscesse il suo vizio privato. Purtroppo era impossibile e, anche con Cosimo, aveva indovinato la scelta! Ora gli doveva tutto, la sua vita era cambiata ma l’uomo aveva saputo gestire la sua fortuna; era ignorante ma acuto, un vero sicario. La sua Fedina, adesso era immacolata e aveva una famiglia serena e rispettabile, però, tutti i documenti erano nelle mani di Corrado: i due erano legati a doppio filo. Un filo che non si sarebbe spezzato mai.
– Dottò, perdonatemi – disse Cosimo entrando dal retro nel edificio, solenne e tetro – lo sapete, non è per niente… ma ve lo devo dire: stavolta è una cosa meravigliosa, sul bene dei figli! – lui lo zittì ancora, ma deglutì per la sete del desiderio.
Era pronto a perpetrare il suo crimine adesso, quello per cui non aveva mai pagato!
6
Corrado si chiuse la porta alle spalle, non era più lui: era il ragazzino innamorato, impazzito e terrorizzato che aveva fatto qualcosa… qualcosa che non si poteva dire a nessuno, nemmeno al prete. Solo sua mamma, forse, aveva collegato gli avvenimenti di quella notte. Terrorizzato per anni, ai limiti dell’epilessia, era stato male, tanto. Un giorno gli capitò di restare solo con una parente morta. Successe tutto, e lui, da allora, si accettò: il ragazzo aveva dato qualcosa alla morte e la morte ora gli dava qualcosa a lui. Erano pari.
Cosimo aveva ragione, che meravilgia: il cuore batteva, le guance di fuoco.
La poveretta era stata sparata alle 11, per sbaglio, il suo attendente gliel’aveva conservata perfetta, pettinata, le aveva persino messo una camicia da notte.
Corrado l’accarezzò a lungo, la alzò, la palpò, la strinse e dal primo all’ultimo momento, nello sgabuzzino segreto, apparato per lui, pianse.
Una sola cosa lo urtò, dovette indossare il preservativo.
La prima volta, 40 anni prima, l’aveva salvato l’impossibilità di rilevare il DNA. Il parossismo lo pervase a lungo, godette come una belva e per pochi attimi tutta l’aggressività e la bestialità ancestrale gli esplosero in corpo.
Poi tutto finì, abbandonò la stanza, poi la struttura; Cosimo era avvezzo, avrebbe pensato a tutto, come sempre.
Lui adesso aveva bisogno di stare da solo . Solo: perduto nei ricordi, nei segreti e nel suo vizio abominevole. Quell’infezione orrenda che aveva ereditato per amore di Veronica.
*****
Tatiana, alias, Marta Todi, uscì allo scoperto, prese le foto dalle mani di Cosimo e gli consegnò quei documenti per lui tanto preziosi.
I riflettori dalle volanti si accesero. Corrado prima restò atterrito, ma poi capì: stavolta era finita. Avrebbe voluto morire… ma era troppo tardi. Un agente lo stava già ammanettando, ricordandogli a bassa voce i suoi diritti.
Pochi metri oltre vide Tatiana, e capì tutto il meccanismo della trappola. Ma non maledì nessuno, nonostante la sicurezza, nonostante il prestigio, sentiva che, prima o poi lo avrebbero beccato!
Marta Todi richiamò l’attenzione del suo dirigente:
– Questa è la terza, sig. Pretore: abbiamo tutto, foto e registrazione! Cinque anni di sacrifici spesi bene.
Si appoggiò al cofano di una volante. Chiese una sigaretta; le mani tremavano di rabbia repressa.
Era la prima volta che fumava in vita sua, ma nessuno ebbe il coraggio di rimproverarla.
© – Giovanna Esse – 2014 – 2020
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