Invito al buio

L'invito recitava: "Gentilissima Signora e stimata Autrice, la S.V. è invitata ad un incontro personale che Le farà vivere un'esperienza degna di essere narrata in uno dei suoi racconti. Voglia cortesemente rispondere via mail e Le forniremo tutti i dettagli. Con ossequiosi saluti."

Ricevo spesso inviti a feste ed eventi di vario genere, ma nessuno mai mi incuriosì come questo.

Prima di rispondere, mi ero posta molte domande su cosa si potesse trattare.

Una trovata pubblicitaria? Non credo: il mittente sapeva che tipo particolare di racconti scrivo, quindi il messaggio era molto mirato e da parte di qualcuno che appartiene alla strettissima cerchia di coloro che sanno che lo faccio sotto pseudonimo.

Poi, il linguaggio ricercato e formale faceva supporre che fosse stato scritto da una persona molto seria e colta.

Dopo altre considerazioni, esaurii tutte le ipotesi, perciò mi decisi a rispondere.

Nel giro di un paio d'ore, ricevetti la replica. Non mi venivano date altre indicazioni sul tipo di incontro o su chi aveva mandato l'invito, ad eccezione di un indirizzo.

Come prevedibile, lo cercai subito su Google Maps. Era un recapito privato, a circa cento chilometri da casa mia, nel cuore delle campagne piacentine.

Nelle immagini satellitari, vidi che a quell'indirizzo corrispondeva una proprietà molto estesa, composta da una grandissima villa signorile, sicuramente d'epoca, al centro di un enorme parco curato alla perfezione.

Su StreetView, individuai l'ingresso principale, con un ampio cancello in ferro battuto che interrompeva un alto muro di cinta. Nient'altro.

Sicuramente, chi mi aveva invitato era anche a conoscenza che ho una spiccata curiosità e una marcata propensione alla sfida e alle cose insolite, altrimenti non avrei mai accettato di recarmi da sola ad un simile appuntamento in un luogo del genere.

Il contesto e l'invito stesso non mi avevano suscitato sospetti che mi facessero temere per la mia incolumità, pertanto decisi di non dire nulla a mio marito.

Il giorno stabilito ero a casa da sola, quindi non dovetti dare spiegazioni e mi misi in viaggio, in tempo utile per giungere a destinazione alle 15, come indicato.

Arrivata davanti al cancello, notai che non c'era un citofono o un campanello, ma solamente una telecamera. Dopo pochi istanti, il cancello si aprì automaticamente, consentendomi di accedere ad un viale alberato rettilineo, lungo qualche centinaio di metri.

Al termine della frazione alberata, il percorso attraversava un prato tenuto all'inglese e, dopo un paio di curve, mi apparve il corpo centrale della costruzione che, come avevo intuito, era una villa patrizia in stile ottocentesco, mantenuta alla perfezione.

Fermai l'auto nello spiazzo antistante l'ingresso principale, scesi e mi diressi verso l'ampio portale.

Non ebbi il tempo di avvicinarmi che lo stesso si aprì e vi si affacciò un tizio in livrea che compresi essere il maggiordomo.

Con aria compunta, attese che fossi più vicina, mi fece un inchino e mi disse: "Benvenuta madame, il signore l'attende." Poi, allungò il braccio destro verso l'interno e aggiunse: "Proceda sempre dritto, fino alla stanza Orchidea."

Fece un altro inchino e, mentre mi addentravo nel primo salone, chiuse il portone.

Gli ambienti erano enormi e molto luminosi, arredati in stile, tutti con pareti e soffitti riccamente decorati e affrescati.

Attraversai altre tre o quattro sale. Alcune delle ampie finestre erano aperte e lasciavano entrare una piacevole brezza che attenuava la calura di quella giornata estiva.

Regnava il silenzio più assoluto. Gli unici rumori che udivo furono l'echeggiare dei miei tacchi a stiletto e il fruscio prodotto dalla fodera del mio elegante abito in seta stampata che strusciava contro le mie cosce.

Man mano procedevo, gli ambienti diminuivano di dimensioni, fin quando giunsi all'inizio di un corridoio sul quale si affacciavano, su ambo i lati, le stanze con nomi di fiori.

Mentre lo percorrevo, leggendo "Giglio", "Petunia", "Iris", "Azalea", "Lisianthus", "Anemone", "Gerbera", udii chiaramente alcuni sospiri di piacere, al di là di qualcuna di quelle pareti.

In fondo al corridoio, lessi "Orchidea".

La porta aveva una delle due ante socchiusa, quindi la spinsi piano e mi affacciai all'interno.

Constatai che non c'era nessuno, perciò entrai con una certa cautela, dovuta più all'educazione che al timore. Chiusi dolcemente la porta e iniziai a guardarmi intorno.

L'ambiente era raffinatissimo, oltre che enorme. Al centro, c'era un grande letto in ottone di foggia moderna. Dalla parte opposta all'ingresso, un ampia finestra velata da un tendaggio che si muoveva soffice e lento.

Anche qui, le pareti erano completamente decorate. Ai piedi del letto, un lussuoso comò faceva bella mostra di sé, sovrastato da uno specchio dalla cornice a dir poco opulenta.

Osservai con più attenzione il letto e notai che, sopra il copriletto in raso, c'era una busta identica a quella che conteneva l'invito.

Mentre mi approcciavo a prenderla, realizzai che fosse molto strano che venissi ricevuta in una camera da letto, invece che in un salotto.

Aprii la busta e il cartoncino in essa contenuto mi svelò, almeno in gran parte, il mistero: "Gentilissima Signora, grazie di aver accettato l'invito. Le garantisco che non se ne pentirà.

Voglia togliersi tutti gli indumenti, nessuno escluso, accomodarsi sul letto e ammanettarsi alla spalliera."

A queste parole, sentii un brivido percorrermi la schiena. In un attimo fui assalita da mille pensieri che spaziavano dal timore per essermi ficcata in una tale incognita, per di più senza che nessuno sapesse dove fossi, all'eccitazione che scaturiva dal fatto che sicuramente avrei fatto sesso e che quella stessa situazione, potenzialmente molto pericolosa, poteva essere altrettanto, se non immensamente, sorprendente.

Presi il coraggio a due mani ed eseguii le richieste del biglietto.

Rimasta nuda, vidi il luccichio argenteo di due paia di manette, entrambe già agganciate alla spalliera. Salii sul letto, infilai i polsi nei braccialetti e li chiusi.

Restai immobile per parecchi minuti, cercando di carpire qualche rumore o qualche cenno che qualcuno stesse arrivando, ma niente. Tutto taceva.

Passò almeno un quarto d’ora e iniziai ad avere freddo e, per di più, mi scappava anche la pipì.

Ad un tratto, sentii bussare ad un’altra porta, posta verso il fondo del letto. Ovviamente, risposi “Avanti.”

La porta si aprì e comparve un colossale uomo di colore, dal viso bellissimo, ornato da un curato pizzetto di barba. Il sorriso smagliante e lo sguardo dolce mi profusero subito tranquillità.

Indossava un’elegante vestaglia in seta blu damascata che non nascondeva una corporatura imponente e molto muscolosa.

Fece qualche passo nella mia direzione, quindi, in segno di saluto, si portò la mano destra sul petto e chinò la testa. Ricambiai semplicemente sorridendogli anch’io.

Si avvicinò ancora, quindi slacciò la cintura della vestaglia che si aprì, rivelandomi un membro gigantesco, sebbene ancora a riposo.

Fui presa da un certo panico, immaginandomi quanto potesse diventare grosso una volta eccitato e temetti seriamente per l’incolumità della mia passerina.

Lo sguardo dell’uomo si staccò dal mio e scese in direzione del mio sesso, ancora parzialmente nascosto, dato che, nella mia posizione rilassata, tenevo le gambe leggermente chiuse.

Ruppi ogni esitazione e, a costo di sembrargli molto prosaica, gli dissi: “Potresti liberarmi: devo andare a fare pipì.”

Sorridendo nuovamente, fece cenno di no con la testa, poi mosse la mano, come per invitarmi a lasciarmi andare. Non fui così sicura che intendesse proprio questo, ma feci finta di nulla, piegai le gambe e rilasciai i muscoli, così un abbondante zampillo partì nella sua direzione e sembrò non volersi esaurire.

Così, soddisfatta l’impellenza e rotta ogni riserva di intimità, mi sentii molto più a mio agio e senza alcuna remora a ricevere quanto lo sconosciuto avrebbe voluto donarmi.

Mi aprii nuovamente in uno smagliante sorriso. Il tizio fece cadere a terra la vestaglia e la sua testa arrivò velocemente tra le mie cosce, che avevo tenuto spalancate dopo la pisciata.

Percepii subito il pizzicore della sua barba contro la mia vulva, immediatamente seguito dal viscido calore della sua potente lingua che iniziò ad esplorarmi ogni anfratto.

Cazzo, ci sapeva fare il tipo!

Non ebbi nemmeno bisogno di muovere il bacino per indicargli quali erano le zone che volevo che mi stimolasse perché, con le sue ampie e sapienti lappate, stava leccando tutta la mia intimità, nessuna parte esclusa.

Istintivamente, tenevo chiusi gli occhi, la bocca spalancata e stringevo la catena delle manette.

Nel giro di tre o quattro minuti, sentii l’arrivo imminente del primo orgasmo. Decisi che non lo avrei avvertito verbalmente, visto anche che, fino ad allora, non avevo nemmeno sentito la sua voce.

Bastò la mia potente squirtata ad avvisarlo che mi aveva portata alla sommità del piacere. Il suo viso fu investito in pieno dal potente getto che imperlò la barba e i corti capelli ricci.

Aprì la bocca e cercò di berne quanto più possibile, attendendo che mi fossi svuotata completamente. Quindi, diresse lo sguardo verso il mio, mi sorrise e fece schioccare le labbra in segno di gradimento.

Si asciugò con un lembo del lenzuolo, quindi si spostò sopra di me. Ormai il suo cazzo era in piena erezione e non tardai a sentirlo spingere all’ingresso della mia vagina.

Non potei fare a meno di dirgli di fare piano. Dal timore che avrei sentito dolore, mi aggrappai con forza alla spalliera del letto, pronta a respingerlo, nell’eventualità che non avesse usato la delicatezza e la cautela necessarie al passaggio di un treno in una cruna d’ago.

Ancora una volta, il gigante usò estrema attenzione nei miei confronti, dimostrando di non avere alcuna fretta di possedermi, mantenendo solamente puntato il suo glande, lasciando a me decidere quanto e in quanto tempo accoglierlo dentro di me.

Grazie al livello di eccitazione che avevo raggiunto e alla mia vasta esperienza in fatto di cazzi molto grossi, non ebbi grandi problemi a farmelo entrare, almeno per una buona metà. Poi, iniziai ad avere qualche difficoltà e un primo sentore di leggero dolore, quindi decisi di partire a scopare così.

Presi a muovermi longitudinalmente. Lui comprese e assecondò i miei movimenti, sempre con dolcezza, lasciando a me ogni iniziativa.

Man mano che il piacere e l’eccitazione salivano, l’enorme pistolone riusciva a farsi strada nella mia vagina con sempre maggiore facilità, fin quando constatai che ero quasi riuscita a prendermelo tutto. Mancavano solo pochi centimetri, comunque superflui.

Lasciatomi il timore delle dimensioni alle spalle, potevo iniziare a godermi la scopata con il cazzo più grosso che avessi mai potuto immaginarmi.

Spostai il mio sguardo da esso e lo portai negli occhi del gigante di colore, il cui viso aveva sempre la stessa espressione compiaciuta.

Prima che la mia mente si perdesse definitivamente nel piacere più assoluto, riflettei che non solo ero stata fortunata che quell’incontro al buio stesse andando nel migliore dei modi, ma ipotizzai che anche lui si ritenesse molto fortunato ad essergli capitata una bomba del sesso come la sottoscritta.

Le manette non mi permettevano di abbracciarlo, così usai le mie gambe: gliele strinsi attorno alla vita, contrassi con tutta la forza i muscoli delle cosce e lui comprese che lo volevo ancora più in fondo.

Dato che lui non aveva ancora proferito parola, volli mantenere il mio livello di comunicazione al pari del suo, quindi, rilasciando e contraendo le gambe in sequenza, gli imponevo il ritmo e la velocità degli affondi.

Dopo una decina di minuti, durante i quali gli avevo dimostrato gran parte delle mie capacità di grande chiavatrice, compresi che era prossimo all’orgasmo, come lo ero anch’io.

Accelerai ancor di più i movimenti del mio bacino, facendolo anche ruotare. Il cazzone mi girava dentro come una manovella.

Notai la sua smorfia di piacere e, un attimo dopo, sentii dilagare dentro di me un’enorme ondata di sperma bollente che subito si travasò all’esterno della vagina, spinta dalle pompate del suo cazzo che non accennavano ad esaurirsi o a rallentare.

Fui attraversata da contrazioni violentissime e sparai una potente squirtata che investì il suo ventre. Imperterrito, l’uomo proseguì a scoparmi come se niente fosse accaduto.

Durante l’orgasmo, avevo allentato la presa alle catene delle manette, ma la sua irruenza nel possedermi mi costrinse a tornare ad aggrapparmici con forza per contrastare le bordate che mi stavano squassando.

Non trascorsero più di cinque minuti ed ebbi un nuovo orgasmo e un’altra squirtata. Ormai devastata dal piacere e dallo sforzo impostomi da una simile scopata, mi rilassai completamente, abbandonando la mia partecipazione all’amplesso. Chiusi gli occhi e lasciai che lui proseguisse a fare i suoi comodi e che si soddisfacesse fino in fondo.

D’un tratto, sentii la via vagina svuotarsi, così, nel mentre aprivo gli occhi, lui si era portato a cavallo del mio busto, piazzandomi il glande a pochi centimetri dal viso.

Capii che voleva spararmi la sborrata in viso. Aprii la bocca e trassi fuori la lingua più che potevo, come chiaro segnale che avrei gradito.

Gli furono sufficienti poche segate per eiaculare. Fui investita da una scarica inaudita di fiotti tanto potenti quanto disordinati che coprirono quasi tutto il mio viso e mi finirono anche nei capelli e sul cuscino.

Fortunatamente, gli occhi mi furono risparmiati, così potei vederlo aprirsi nuovamente in un magnifico sorriso.

Si ritrasse da me, si scavallò e scese dal letto. Si diresse in fondo allo stesso, recuperò la sua vestaglia e se la infilò. Da una tasca, estrasse una busta, identica alle due precedenti, e la posò su uno dei comodini, quindi una piccola chiave che prima mi mostrò e che poi mi mise in una mano.

Si allacciò la vestaglia e mi salutò alla stessa maniera di quando mi si era presentato. Quindi, trattenendo la mano destra sul suo petto, camminò all’indietro fino alla porta da dove era entrato, la aprì, fece nuovamente un inchino con la testa e scomparì.

Rimasi immobile ancora per qualche minuto, ad assaporarmi quell’atmosfera intrigante e assolutamente inedita per me.

Oltre ai piacevoli postumi della goduta, ero permeata da una sensazione di assoluta serenità, complice il silenzio totale nel quale era tornata ad essere immersa quella stanza e dal leggero soffiare della brezza che riusciva a farsi spazio tra i candidi tendaggi che ondeggiavano placidi.

Solo l’odore dello sperma di cui era ricoperto il mio viso riuscì a far tornare la mia mente alla realtà, così, mi decisi ad aprire le manette, non senza qualche difficoltà e con il timore che la piccola chiave potesse cadermi.

Finalmente libera, mi misi a sedere, accorgendomi che i miei glutei erano immersi nel lago di sperma che copriva un’ampia porzione di letto tra le mie gambe.

Istintivamente, portai una mano tra le mie cosce e constatai che parecchia crema stava ancora colando dalla mia vulva.

Prima di ogni altra cosa, dovetti pisciare nuovamente, e non ebbi alcuna remora a farla ancora lì, nel letto, unendo liquido agli altri fluidi di cui era intriso. Quindi, mi diedi una sommaria ripulita al viso con il lenzuolo.

Mi guardai intorno e notai una porticina, sulla stessa parete dove era accostato il letto. Mi alzai, la aprii e vi trovai il bagno con la doccia.

Stetti a lungo sotto il potente getto corroborante, e non lesinai a togliere dal mio corpo ogni traccia di quanto appena accaduto.

Asciugata e rivestita, mi ricordai del biglietto lasciatomi sul comodino. Mi ci fiondai, lo aprii velocemente e vi lessi: “Gentilissima Signora, sono onorato di averla avuta mia gradita ospite, nella speranza che il mio servitore abbia saputo soddisfarla appieno. Le auguro un sereno rientro. Rispettosi ossequi.”

Inizialmente, rimasi un po’ disorientata da quel messaggio di congedo che toglieva definitivamente ogni mia altra aspettativa da quell’invito ma, dal resto, l’invito stesso non mi aveva promesso altro che “…un'esperienza degna di essere narrata in uno dei suoi racconti” ed è ciò che avevo vissuto.

Cos’altro avrei dovuto aspettarmi? Magari di fare sesso con un signore che mi avrebbe promesso di diventare il mio mentore come scrittrice o il mio editore? Riflettendoci bene, non avrei mai accettato nulla in cambio di sesso, perciò era andata bene così.

Avevo vissuto la mia piacevolissima esperienza e non avevo ricevuto nulla in cambio del piacere che avevo donato, se non il piacere che avevo ricevuto, come faccio sempre più spesso con altri uomini diversi da mio marito e sempre con la sua complicità.

Forse è quest’ultimo dettaglio che mi lasciò un po’ di vuoto nel mio animo. Il fatto che mio marito non fosse stato al corrente di quanto avevo fatto. E, durante il viaggio di rientro, fui molto combattuta se raccontargli la mia esperienza o non dirgli nulla, nonostante che, quest’ultima ipotesi, mi facesse sentire molto male. In questo modo, sarebbe stato un tradimento bello e buono, a differenza dei giochi che concordiamo e facciamo usualmente.

Arrivai a casa e non avevo ancora preso una decisione definitiva. Quando vidi l’auto di mio marito parcheggiata nel vialetto, realizzai che non avevo più tempo per continuare a riflettere e, da lì a pochi istanti, avrei dovuto fare una scelta.

Entrai in casa e lui era seduto sul divano: evidentemente stava aspettandomi e si stava chiedendo dove mai fossi finita.

Feci di tutto per non far comparire sul mio viso tutto l’imbarazzo che provavo per avergli tenuto nascosto qualcosa ma, mentre andavo verso di lui, la mia attenzione fu richiamata da quanto vidi con la coda dell’occhio sullo schermo della televisione.

Nel fermo immagine, riconobbi immediatamente la stanza “Orchidea” e me, ammanettata sul letto.

In un istante trasalii e il mio cervello andò in tilt. Non sapevo come dare una spiegazione a quanto vedevo, né, tanto meno, come avesse fatto mio marito ad essere entrato in possesso di quella registrazione, nemmeno due ore dopo che era stata fatta.

Staccai lo sguardo dallo schermo, mi voltai verso di lui che, con il viso raggiante, mi chiese: “Allora amore, sei felice che abbia realizzato per te una situazione degna di essere narrata in uno dei tuoi racconti?”

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