la mia esperienza

  • Scritto da Beatrice il 14/01/2021 - 15:51
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bel posto, questo, dove raccontarsi. Quella che sto per scrivere è una storia vera e, anche se sono passati tanti anni, me la ricordo sempre,

magari riesco a capire, scrivendo a degli sconosciuti i segreti di una fanciulla, quell'evento passato che mi ha segnata.

Tutto ebbe inizio da piccolina, ai tempi dell'asilo, era la cena di fine anno che i genitori avevano organizzato per salutarsi; me ne stavo in disparte, un po' perché timida e insicura non avevo legato molto con gli altri mocciosi e un po' perché non c'erano mia sorella con i suoi amici, già lanciati nell'adolescenza, con cui stavo spesso, poi mi prese per mano uno scalmanato e così mi unii al caos dei marmocchi rincorrendo e spintonando fra i tavoli e lo spiazzo da ballo. 

Beh! fu lì che ci scontrammo e finii mele a terra. 

Lo avevo già visto tante volte a portare e riprendere suo figlio ma non ci eravamo mai detti nulla... ovvio... 

Si chinò per aiutarmi: "bella" disse con la sua voce profonda "tutto bene, ti brillano gli occhi?" ed io con la vocina emozionata: "ssii!" gli buttai le braccia al collo ma poi scappai via, sorrise. Era alto, facile io una tappa di pochi anni, capelli lunghi mori e due occhi azzurri che ti leggevano la mente. Fu fulmine ma ero troppo piccola per capire cosa stava per succedere.

L'estate passò veloce, in campagna con parenti ed amici, non ricordo quanto l'abbia pensato ma un alfiere d'alabastro per portarglielo al ritorno lo acquistai. Gli piacque. 

Cominciarono le elementari e presto nacque un'amicizia fra le famiglie, si creò un bel gruppo di adulti e bambini, passavamo le sere di quella calda fine estate ai giardini del paese giocando noi e parlando loro. Il mio alfiere si prestava a farci giocare, una giostra vivente e ci sa fare coi piccoli, ricordo che chiedevo sempre a mamma di chiamarlo per essere sicura che ci fosse, gioco, certo, ma quando mi stringeva... mi piaceva.

I miei lavoravano tutto il giorno, io non brillavo a scuola mentre suo figlio era bravissimo, così mi capitava di restare a pranzo da loro per poi fare i compiti o qualche ricerca. Anche lui lavorava ma quando aveva i giorni liberi si prestava a tenerci d'occhio e aiutarci, o a portarci a qualche gita, nessuno ci vedeva alcunché di strano anche perché era un tipo serio e affidabile sempre pronto ad aiutare, e la cosa andò avanti anni. Quanto mi piaceva stargli sulle ginocchia con le sue braccia che mi avvolgevano come per proteggermi mentre studiavamo... e la sera, sotto le mie lenzuola, rivivevo quei contatti che mi turbavano ma facevano bene al mio cuore e vibrare le membra.

Il tempo passava, fra un disegno o un compito di storia i piccoli contatti fra noi diventavano carezze sempre più intense e gli sguardi sempre meno ingenui, e quando restavamo soli le nostre labbra si cercavano e sfioravano. 

La prima volta forse per sbaglio. 

Successe una tragedia: il mio amico speciale si svegliò un giorno vedovo, la mia famiglia e la nostra folta combriccola di amici si legò maggiormente a quell'uomo divenuto quasi un parente, eravamo spesso insieme ed io ero felice. 

Giunti alle vacanze di Natale fra noi non c'erano più solo gioco o piccoli bisticci, col vecchio anno se ne stavano andando le ultime remore e, nel clamore della festa ma nascosti ai più, c'eravamo baciati; con passione, ad occhi chiusi, abbandonata fra le sue forti braccia mi girava la testa mentre mi toccava, non riuscivo a smettere, non volevo staccarmi da quelle labbra desiderate, fu bellissimo tremare, ansimare, sentire il cuore sbattere forte e il suo pulsare sui miei seni ancora nascosti. Una scarica di piacere mi pervade anche adesso mentre scrivo e rivivo quel momento.

Ci sentivamo, dolci parole e finte litigate di gelosia condivano i nostri dialoghi, furtivamente ci incontravamo, ogni volta sempre più vicini al confine di quel proibito che aumenta il desiderio. Oggi so che era sbagliato, ma avevo bisogno di lui, del suo odore, del suo sapore, del suo amore. Le ore in classe mi sembravano infinite, ogni minuto che non passavamo insieme mi mancava come il vento le vele.

Tutto precipitò l'ultimo anno di scuola con la primavera che sfocia nell'estate e il suo carico di  caldo afoso, cicale assordanti e desideri.

Si, la nuova stagione mi aveva regalato un corpo nuovo, ammetto che piacevo a tanti ma il mio alfiere non si macchiò di sterili gelosie. Un giorno che eravamo in piscina mi abbracciò e serenamente mi disse: "sei una ragazza bellissima ed è giusto che tu viva i tuoi anni. sono innamorato di te e voglio la tua felicità, questa non mi prevede. Il tempo per me è già stato generoso" Non ci volevo credere: mi stava mollando! piansi.

Protestai: "ma la mia felicità è con te!" e ancora: "non ti piaccio più? ho sbagliato qualcosa? faccio la civetta e non me ne accorgo?" chiedevo a raffica fra le lacrime, mi consolò e aggiunse: "credimi mi distrugge, tu non hai nulla che non va, anzi!! sono io lo sbagliato che ti ha rubato l'infanzia. E' stato sublime ma non dovevo e so che non mi perdonerai, forse ora no ma fra qualche mese, o anno, penserai a me come ad un orco che si è approfittato di te" ribattei ancora con: "non è vero, è insieme che è cresciuto il nostro sentimento! i baci, le carezze, gli amori che ci siamo scambiati erano frutti del desiderio mio e tuo, non una volta mi hai obbligata in ciò che non volessi, non posso pensare ad un te senza me!"

La cosa andò avanti un po', fino a che suo figlio e qualche amico si tuffarono in acqua cominciando a scherzare e far fracasso, finì lì.

Per il resto della stagione cominciò lentamente ad evitarmi. Stavo malissimo, lo desideravo e quel distacco che stava aumentando mi mandava in bestia, quante volte l'ho chiamato, cogli occhi gonfi, per urlargli "ti odio!".

Dopo 5 anni tutti insieme quell'estate non la passò con noi, fu dura all'inizio: me ne stavo rintontita a fissare il telefono sperando che suonasse o il cancello in fondo all'orto da dove, fino all'anno prima, passava lui, oppure mi sdraiavo sulla sua amaca sotto l'uva, singhiozzando, facendo finta di leggere…. Ma poi: ero comunque una ragazzina, e in piena tempesta ormonale, si va a mille a quell'età, cedetti ad una nuova avventura: aveva 16anni ed era fichissimo. Pensai che forse aveva avuto ragione, ma non durò che quei due mesi.

Tornati in città ricominciammo a sentirci e vederci, anche se non da soli, rimase ancora per molto tempo l'amico di sempre per tutti, disponibile e allegro, anche se sapevo che ogni tanto pensando al noi soffriva, e succedeva anche a me.

Poi si cresce, le strade pian piano si dividono e si spera nell'oblio. Ero al quarto liceo quando seppi che si era trasferito, c'eravamo sentiti qualche giorno prima, lo scocciavo con le mie crisi da latino e da moroso, ma non mi aveva detto nulla: gli addii sono sempre uno strazio. Poi...  università, amici, morosi, vita da ventenne e si sbiadì quel ricordo mai cancellato. Su una cosa si era sbagliato: non l'ho mai pensato come un orco,   era solo e sempre nel mio cuore, lo è ancora.

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