Il mattino dopo mi sentivo a pezzi. Dopo che gli effetti della sbronza erano passati, quello che mi era successo mi sembrava impossibile. Come avevo potuto lasciarmi trattare così? ..mi si torceva lo stomaco a pensarci. Cercai di dare tutta la colpa al vino e saltai fuori dal letto. Mi guardai allo specchio: avevo le palpebre gonfie e i capelli arruffati. Quel pomeriggio avrei dovuto tenere la mia prima lezione. Con che coraggio mi sarei presentata in aula? E se qualcuna delle ragazze avesse sentito? Ero angosciata però non potevo farci nulla. Mi misi sotto la doccia sperando che il getto di acqua bollente scacciasse via quell’incubo.
Nonostante le mie paure l’ora di lezione andò bene. Non notai nessun sguardo strano o dei risolini sospetti da parte delle ragazze. Alla fine mi senti sollevata.
Rimaneva il problema di Brumilda. Non sapevo che fare con lei: se affrontarla a quattrocchi e chiarire l’equivoco oppure far finta di nulla e lasciare che il tempo sistemasse tutto. Di certo non potevo andare a lamentarmi con il rettore: come minimo si sarebbe fatto una grossa risata e io sarei morta di vergogna.
Passò così una settimana e poi un mese. Da quella notte cercai in ogni modo di non d’incontrare Brumilda, così da evitare il reciproco imbarazzo.
Poi venne quel sabato di fine ottobre. Ero uscita con un collega che da tempo insisteva nell’invitarmi a cena. Pranzammo in un bel ristorante alla periferia di Perugia e finimmo la serata con un paio di drink a testa. Da quella infausta notte in cui venni scambiata per un’alunna, era la prima volta che rientravo in collegio così tardi, ma non ero affatto preoccupata. In fondo, si era trattato solo di uno spiacevole equivoco che non si sarebbe mai più ripetuto.
Stavo quasi per entrare in camera quando, alle mie spalle, avvertii la presenza di qualcuno.
”Sembra che la lezione dell’altra volta non sia bastata, signorina.”
Riconobbi la voce, il cuore cominciò a battermi all’impazzata. Ricomparirono ancora quelle strane sensazioni di inadeguatezza e di gambe molli.
“Vieni con me” disse Brumilda
La seguii in silenzio, con gli occhi bassi, incerta nel camminare, come se non sapessi più mettere un piede dopo l’altro.
Giunte in camera, chiuse a chiave la porta, poi mi si avvicinò e si accorse che avevo bevuto.
“Sai una cosa” mi disse fissandomi negli occhi “penso che tu abbia bisogno di essere disciplinata.”
Io rimasi muta, con il cervello che annaspava nel vuoto.
“E allora, cosa rispondi?”
“No… sì… cioè, non lo so”
“Non dirmi che sei rientrata tardi di proposito?”
“No, non è vero…”.
“Piegati sul letto, e alza la gonna.”
Senza reagire mi lasciai cadere in ginocchio, piegai il busto e con entrambe le mani alzai la gonna.
Mi abbassò collant e mutandine fino a metà coscia, poi dal cassetto prese una grossa spazzola per capelli.
“Sei una bambina cattiva” disse e cominciò a sculacciarmi con il dorso della spazzola. Il dolore era quasi insopportabile. Sentivo il sedere bruciare come se avesse preso fuoco, eppure, nonostante il dolore, sentivo che una nuova ondata di desiderio stava per sommergermi.
Credo se ne accorse, perché dopo una decina di colpi sentii la sua mano toccarmi dov’ero ero bagnata. Istintivamente inarcai la schiena e allargai le cosce per accoglierla meglio.
”Lasciati andare piccola” disse lei, poi la sua lingua esplorò parti del mio corpo che, fino a quel giorno, ritenevo indecenti.
“Ti prego, non resisto, fammi venire.” La implorai quando sentii di essere al limite. Mi accontentò subito. Sentii la sua lingua guizzare sempre più frenetica dentro il mio sesso e il mio ano, finché con un gemito di liberazione ebbi un orgasmo. Nella mia vita non avevo mai provato nulla di così intenso.
Alla fine venne a sdraiarsi vicino; il mio corpo era dilatato, vulnerabile, disponibile alle sue mani, alla sua lingua e anche al suo pene, ne avesse avuto uno. Appoggiai la testa sul suo petto e le dissi che mi sarebbe piaciuto sfilarmi via gli anni come strati di pelle: ventinove, ventotto e via via fino ad arrivare a dodici.
“La mia bambina” mi sussurrò accarezzandomi i capelli. Sentii la voglia di succhiarle il seno come fanno i poppanti per il latte, ma mi trattenni.
Mi raccontò che aveva 42 anni e il suo nome era Maddalena anche se le ragazze le avevano affibbiato quello di Brumilda. Parlammo della notte quando mi aveva scambiata per un’alunna. Disse che mentre mi sculacciava si era accorta che mi ero bagnata e la cosa l’aveva sconvolta. E che varie volte era stata sul punto di venire a parlarmi, ma poi non ne aveva trovato il coraggio.
“Adesso è meglio che vai.” disse dopo qualche minuto.
Mi aiutò a rimettermi le mutandine e i collant. Sentivo ancora le natiche scottare e il sesso e le cosce umide.
Prima di uscire mi baciò sulle guance e poi, per ultimo, sulla bocca. Ero confusa, e dal suo sguardo capii che lo era anche lei.
Tornai in camera, mi gettai sul letto e mi addormentai, finalmente serena.
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