L'Attico del Desiderio - Capitolo 4 – La Fame e il Desiderio

  • Scritto da DagoHeron il 23/03/2025 - 16:14
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Guidò lentamente fino a casa gustandosi il piacere di avere Paola appoggiata sulla spalla come se fosse la sua donna. Già perché non lo era. O forse, non lo era secondo la morale comune, ma in realtà era la donna che aveva sempre sognato e aspettato. Quella sensazione di appartenenza gli stringeva il petto - un mix di desiderio e colpa che rendeva ogni respiro più intenso. Il peso della sua testa sulla spalla, il calore del suo corpo così vicino, tutto sembrava perfettamente naturale, come se fossero stati progettati per incastrarsi in quel modo. E nessuno gli poteva vietare di pensare che fosse la sua donna, almeno fino a quando erano soli fra quattro mura, lontano dagli sguardi di tutti. In quei momenti rubati al mondo, poteva permettersi di assaporare l'illusione della normalità, anche se sapeva che quella felicità aveva una data di scadenza.

Paola si era appisolata durante il viaggio, il suo respiro regolare un contrappunto perfetto al ronzio sommesso del motore. Dago posteggiò direttamente dentro il box, l'oscurità del garage che li avvolgeva come una coperta protettiva. La svegliò con un bacio delicato, assaporando quel momento di intimità non sessuale che in qualche modo sembrava ancora più prezioso delle ore di passione appena trascorse. I capelli arruffati e il volto imbronciato dal sonno la rendevano ancora più bella ai suoi occhi - c'era qualcosa di profondamente toccante in quella vulnerabilità momentanea, in quel vederla senza le sue difese abituali.

"Mi hai distrutta," farfugliò assonnata, la voce roca di stanchezza e soddisfazione mescolate insieme. Gli occhi ancora pesanti di sonno si aprirono lentamente, cercando i suoi con quella familiarità che si era già stabilita tra loro. "Non ho mai goduto così tante volte." La confessione uscì spontanea, priva di malizia, quasi infantile nella sua sincerità - un altro strato della sua vulnerabilità che si rivelava nel tepore protettivo dell'auto ferma nel buio.

Si era comprato un loft di circa 150 mq e lo aveva ristrutturato seguendo esclusivamente le proprie esigenze di vita, sfruttando le capacità dei suoi amici architetti. Il cemento grezzo delle pareti creava un contrasto magnetico con il pavimento in legno sbiancato, che catturava e diffondeva la luce come neve fresca - una scelta audace che rivelava la sua voglia di distinguersi dalle convenzioni.

Lo spazio aperto lasciava che la luce naturale danzasse attraverso le ampie vetrate industriali, rimbalzando sul pavimento chiaro per poi dissolversi contro le superfici metalliche della cucina. In questo mare di purezza architettonica, il suo studio emergeva come un'isola di tecnologia pulsante - il luogo dove Dago abbassava le sue difese.

Una scrivania in vetro temperato sosteneva il suo altare dedicato al gaming: due monitor curvi si ergevano come portali verso mondi virtuali, mentre una tastiera meccanica retroilluminata tradiva le lunghe notti passate in raid online. Era il suo spazio di evasione, dove l'agente immobiliare impeccabile si trasformava in esploratore di mondi digitali.

Ai due lati, i soppalchi gemelli si fronteggiavano come pagine di un libro aperto. La camera ospitava un letto king size vestito di lenzuola blu profondo che ricordavano un oceano notturno. Il bagno, sull'altro soppalco, era racchiuso in pareti di vetro acetato - un santuario tecnologico dove vasca idromassaggio, doccia e sauna erano controllate da tablet e app.

L'intero loft era una stratificazione di contrasti: il bianco abbagliante contro il grigio industriale, la freddezza della tecnologia contro il calore degli elementi naturali, l'ordine maniacale della superficie contro il caos controllato dei suoi mondi virtuali. Come un personaggio dei suoi giochi preferiti, Dago aveva creato un ambiente che era tanto uno spazio vitale quanto un'armatura.

Paola varcò la soglia e si fermò, colpita dal modo in cui la luce giocava sul pavimento bianco. I suoi occhi vagarono sugli spazi aperti, sui contrasti studiati, sulle superfici che parlavano di una vita ordinata e al tempo stesso sorprendentemente complessa. Dago la osservava studiare il suo spazio, cercando di leggere nei suoi movimenti impercettibili - un dito che sfiorava il metallo freddo della cucina, lo sguardo che si perdeva verso i soppalchi gemelli - qualcosa che gli rivelasse i suoi pensieri.

"Questo è il mio piccolo regno," le disse, e c'era una nota di vulnerabilità nella sua voce che lo sorprese per primo. Si schiarì la gola, aggiungendo con più leggerezza: "Voglio che tu faccia come se fosse anche il tuo." La frase gli sfuggì prima che potesse censurarla, troppo intima forse per quel momento sospeso tra passione consumata e domesticità improvvisata.

Paola sembrò non trovare le parole, ma il suo corpo parlava per lei - le spalle che si rilassavano impercettibilmente, il modo in cui si era tolta i tacchi come se quel gesto rappresentasse una piccola resa alla familiarità. I suoi piedi nudi sul legno bianco creavano un'immagine di intimità che lo colpì più di qualsiasi nudità esplicita.

"Ho bisogno di una doccia," mormorò lei, passandosi una mano tra i capelli in un gesto che era tanto stanchezza quanto desiderio di ricomporsi. Il suo trucco leggermente sbavato, i vestiti che portavano ancora i segni della loro passione - erano dettagli che chiedevano di essere lavati via, non per vergogna ma per poter ricominciare da capo, più puliti, più veri.

"Sono affamato," disse lui, aggrappandosi alla praticità come a un'ancora. "Se non mangio potrei svenire da un momento all'altro. Posso preparare qualcosa, che ne dici?"

Un sorriso le illuminò il viso, facendola sembrare improvvisamente più giovane. "Mmm, anche cuoco. Ma prima quella doccia - ne ho davvero bisogno." C'era una dolcezza nella sua voce che addolciva il rifiuto immediato.

La accompagnò al bagno, quello spazio di vetro e tecnologia che ora, attraverso i suoi occhi, gli sembrava quasi troppo intimo, troppo rivelatore. Le mostrò i comandi della doccia, il tablet che controllava la musica, i cassetti pieni di asciugamani morbidi. "La sauna," aggiunse, indicando la porta in legno chiaro, "è sorprendentemente rigenerante. Se vuoi…"

Lasciò la frase in sospeso e si ritirò, chiudendo la porta dietro di sé. Il vetro satinato trasformò immediatamente la sua figura in un'ombra sfocata - presente ma discretamente velata, come i loro sentimenti in quel momento di transizione.

In cucina, Dago si muoveva con la precisione di un coreografo, le mani che danzavano tra sportelli e cassetti mentre catalogava mentalmente le possibilità che un venerdì sera gli concedeva. Il santoku scivolava attraverso i pomodori con la stessa eleganza con cui lui navigava le sue trattative più delicate, trasformando ingredienti sparsi in promesse di sapore. Gli scaffali rivelavano la vita di un uomo abituato a cenare fuori, ma stasera voleva creare qualcosa di speciale - spaghetti al pomodoro e un pinzimonio preparati con la stessa attenzione che dedicava a ogni dettaglio della sua vita.

L'aglio sfrigolava nell'olio mentre le sue mani lavoravano con ritmo ipnotico, il coltello che brillava sotto le luci della cucina. Ogni movimento preciso nascondeva l'irrequietezza che gli vibrava sotto pelle, ogni gesto misurato era un tentativo di controllare il desiderio che continuava a crescere, alimentato dalla consapevolezza della sua presenza nell'altra ala del loft.

Paola si era abbandonata al calore avvolgente della sauna, lasciando che penetrasse in profondità nei suoi muscoli ancora vibranti di piacere. Il suo corpo portava impressa la mappa della loro passione - piccoli segni che il calore sembrava risvegliare, trasformando ogni sensazione in un eco di desiderio. La mente vagava libera attraverso i ricordi della serata, ogni momento che riaffiorava era come un tocco fantasma sulla pelle ipersensibile. Il calore non faceva che amplificare quelle sensazioni, riaccendendo un'urgenza che non si era mai davvero sopita.

La doccia fredda fu uno shock necessario, un tentativo di riprendere il controllo che si rivelò inutile. Davanti allo specchio appannato, si fermò a studiare il proprio riflesso come se vedesse il suo corpo per la prima volta. I seni, generosi e ancora turgidi, mostravano i segni del loro incontro - i capezzoli sensibili e gonfi erano promemoria tangibili di ogni bacio, ogni carezza. Si passò le mani sul corpo, seguendo gli stessi percorsi che avevano tracciato le sue mani, sentendo la pelle rispondere come se conservasse una memoria tattile di ogni tocco.

Fu allora che la vide - una camicia di Dago appesa con studiata noncuranza. Il gesto di indossarla fu istintivo, quasi rituale. Il tessuto le scivolò sulla pelle come una carezza rubata, il suo profumo - un mix di sandalo, cotone pulito e qualcosa di uniquamente lui - le fece girare la testa. Si guardò di nuovo allo specchio: i capelli bagnati pettinati all'indietro le davano un'aria selvaggia, il perizoma che faceva capolino sotto l'orlo della camicia creava un gioco di vedo-non-vedo che la fece sorridere. L'immagine che le rimandava lo specchio era quella di una donna che aveva scoperto una nuova versione di sé stessa.

Si sentiva leggera, quasi inebriata da una felicità che non riconosceva, mentre usciva dal bagno per raggiungerlo. Ogni passo era una promessa, ogni movimento un invito non pronunciato. La mente era lontana mille miglia dalla realtà quotidiana, persa in quello spazio sospeso dove esistevano solo loro due, il desiderio, e tutte le possibilità che la notte ancora custodiva.

Dago oltre a preparare da mangiare aveva trovato il tempo per darsi una rinfrescata nel bagno di servizio e si era cambiato, scegliendo qualcosa di informale - una camicia morbida e larga e un paio di pantaloni leggeri stretti da un cordone in vita, sotto i quali si intuiva che non portava nulla. La cosa già stuzzicava Paola, risvegliando memorie tattili ancora fresche sulla sua pelle. La tavola era apparecchiata in modo semplice ma elegante, non mancavano le due candele, e una bottiglia di ottimo vino rosso e della gradevole musica di sottofondo.

"Perfetto tempismo -- disse Dago -- sto per scolare la pasta."

Osservandolo di spalle, Paola si concesse il lusso di uno sguardo lungo, indagatore. Il tessuto leggero dei pantaloni seguiva la linea dei suoi glutei come una carezza, rivelando la forza contenuta di ogni movimento. C'era qualcosa di profondamente intimo nel vederlo così, in questo spazio domestico, lontano dall'eleganza studiata dell'ufficio. Ogni suo gesto - il modo in cui si muoveva sicuro nella sua cucina, come allungava il braccio verso l'alto per prendere un piatto, la tensione dei muscoli della schiena sotto la camicia - era un invito silenzioso che le faceva formicolare le dita dal desiderio di toccare. La familiarità dei loro corpi, conquistata poche ore prima, rendeva ogni movimento una promessa di ciò che sarebbe potuto accadere ancora.

"Cosa pensi di me?"
La domanda di Paola scivolò nel silenzio come una goccia in uno stagno, creando onde concentriche di tensione. Dago rimase per qualche minuto a fissare la ciotola dell'olio, il peperone che vi danzava dentro come un pendolo ipnotico. Il silenzio si allungava, denso di possibilità e paure non dette.

"Non giudico mai le persone per abitudine." La sua voce era bassa, misurata. "So solo che vorrei non lasciarti più andare. Non faccio altro che pensare a te da quando ti ho visto passare davanti alla vetrina. Figuriamoci dopo quello che è successo stasera."

"Non intendevo questo." Le sue dita giocavano nervosamente con il bordo del tovagliolo. "A questo ci penseremo al momento giusto. Voglio sapere se da come mi sono comportata oggi ritieni che sia…" Il rossore le salì alle guance mentre cercava le parole, "un po' troia." La parola uscì in un sussurro, carica di vulnerabilità.

"Io credo che tu sia la donna più eccitante che io abbia mai incontrato. La donna che ho sempre sognato di incontrare." Gli occhi di lui cercarono i suoi attraverso il bagliore tremolante delle candele. "Non credere che quello che mi è successo con te questa sera succeda tutte le volte. Mi basta guardarti per essere ancora eccitato. Sei irresistibile."

"Per me è stato la prima volta." La confessione scivolò dalle sue labbra come un segreto troppo a lungo custodito. "Non ho mai pensato di tradire mio marito, anche se negli ultimi tempi, mi trascura ancora più di prima." Si fermò, raccogliendo i pensieri come perle sparse. "Ma da quel giorno che abbiamo pranzato assieme non sono più riuscita a toglierti dai miei pensieri. Ho iniziato a sognarti e mi svegliavo in un lago."

"Così era tutto… premeditato?" C'era una nota di divertita sorpresa nella sua voce.

"Beh…" Un sorriso le illuminò il viso, mescolando malizia e timidezza. "Non sapevo come… come fare per farti capire che mi interessavi."

"E se tuo marito oggi non fosse partito?"

"Certo non sarebbe stata la stessa cosa, così facendo ci ha regalato un week end d'amore, ma avrei escogitato qualcosa d'altro." La sicurezza nella sua voce tradiva una determinazione che la sorprese per prima.

Dago si alzò, il movimento lento e controllato di un predatore che non vuole spaventare la preda. Il tragitto attorno al tavolo divenne un'eternità compressa in pochi passi, ogni movimento carico di intenzione. L'aria tra loro sembrava addensarsi, elettrica. Mai nessuna donna aveva fatto tanto per lui - non solo il gesto in sé, ma quella determinazione, quella volontà di cercarlo che andava oltre il semplice desiderio.

Dago allungò una mano verso di lei, un invito silenzioso che non ammetteva rifiuti. Quando Paola si alzò, rivelando ancora una volta la grazia del suo corpo sotto la camicia rubata. La fece girare verso di sé con delicata fermezza, poi si sedette trascinandola sulle sue gambe in un gesto che era tanto possessivo quanto protettivo. Il peso di lei contro il suo corpo risvegliò immediatamente memorie tattili della loro passione precedente.

Le loro labbra si trovarono in un bacio che iniziò come una carezza trattenuta, quasi reverenziale - un contrasto stridente con l'urgenza che li aveva consumati poche ore prima nell'ufficio. Ma quando Paola schiuse le labbra, invitandolo a esplorare più a fondo, ogni pretesa di controllo si sciolse come cera calda. Le loro lingue si incontrarono, si assaggiarono, danzarono l'una contro l'altra in un rituale di riconoscimento che cancellava ogni residuo di esitazione, ogni barriera di convenzione.

I tessuti sottili dei loro vestiti erano diventati confini insopportabili. L'erezione di Dago pulsava contro di lei attraverso i pantaloni leggeri, mentre i capezzoli di Paola, duri sotto la sua camicia rubata, premevano contro il suo petto come piccoli punti di fuoco. I loro respiri si facevano più corti, più urgenti, sincronizzandosi in un ritmo primordiale.

Si staccarono per un istante, giusto il tempo di riprendere fiato, e come in un'eco perfetta sussurrarono all'unisono: "Ti voglio!" La coincidenza strappò loro una risata che spezzò per un momento la tensione, solo per farla ricostruire più intensa, più profonda. Nei loro occhi, attraverso il bagliore tremolante delle candele, brillava la stessa fame.

"Non so dove trovi le forze, ma ha ancora voglia di te," sussurrò Dago. L'evidenza del suo desiderio premeva contro i pantaloni leggeri quando Paola lo sfiorò attraverso il tessuto, risvegliando il ricordo del suo sapore, della sua pelle.

"Ma una volta tanto voglio il letto," mormorò invece, sorprendendosi della propria voce roca di desiderio. Qualcosa nel suo tono deve aver toccato una corda profonda in Dago, perché in un movimento fluido la sollevò tra le braccia. Il suo corpo reagì istintivamente, adattandosi a quella presa possessiva come se l'avesse fatto mille volte.

La scala che portava al soppalco divenne un viaggio di anticipazione. Ogni passo faceva ondeggiare i loro corpi, creando piccoli punti di frizione che alimentavano il desiderio. Paola poteva sentire il battito accelerato del cuore di lui contro il suo fianco, il profumo della sua pelle mescolato a quello del vino ancora presente sui loro respiri.

La lasciò scivolare ai piedi del letto con una delicatezza che contrastava con la fame nei suoi occhi. Il letto king size dominava lo spazio come un'isola inesplorata, le lenzuola blu profondo disfatte che promettevano segreti da scoprire. C'era qualcosa di incredibilmente intimo in quel disordine - non il caos sterile di una camera d'albergo, ma il racconto di una vita vissuta in solitudine che stava per essere interrotta.

Le dita di Dago strapparono quasi i bottoni della camicia, l'urgenza aveva ormai preso il sopravvento sulla delicatezza. I seni di Paola si liberarono come una rivelazione - pesanti, caldi, ancora segnati dai morsi e dai succhi di prima. Li afferrò con bramosia, stringendoli, manipolandoli come se volesse imprimere le sue impronte nella carne morbida.

I capezzoli erano gonfi, turgidi, quasi violacei dal desiderio. Dago li assaltò con la lingua, alternando lambite delicate a succhiate voraci che facevano inarcare Paola contro di lui. La sua saliva li bagnava, li faceva brillare, mentre lui li torturava dolcemente coi denti, strappandole gemiti sempre più osceni. "Cazzo, come sei bella," grugnì contro la sua pelle, prima di riprendere a succhiare con rinnovata ferocia.

Le sue mani trovarono quel confine sottile dove il piacere sfiorava il dolore. Stringeva, tirava, manipolava i suoi seni finché i gemiti di Paola non si trasformavano in piccole grida di estasi. Quando prese i capezzoli tra le dita, pizzicandoli e rotolandoli, il corpo di lei si tese come una corda di violino sul punto di spezzarsi.

L'eccitazione aveva ormai divorato ogni residuo di controllo. Paola gli strappò praticamente i pantaloni, liberando il suo cazzo già duro e pulsante. Lo voleva, lo bramava - e lo prese in bocca con una voracità quasi violenta. La sua lingua vorticava intorno alla cappella mentre lo succhiava sempre più a fondo, come se volesse divorarlo.

Dago affondò le dita nei suoi capelli, non più una guida ma un comando. La spingeva a prenderlo tutto, fino in fondo alla gola, e i suoni strozzati di lei, quei gemiti gutturali carichi di desiderio, lo facevano impazzire. "Così, puttana… prendilo tutto," ringhiò, il respiro spezzato dall'eccitazione. E Paola rispondeva succhiando più forte, più a fondo, le unghie che gli affondavano nei fianchi mentre la sua bocca lo divorava con crescente frenesia.

Con la mano libera finì di spogliarsi, i vestiti che cadevano a terra dimenticati mentre Paola continuava a divorarlo con la bocca, instancabile. La sua lingua tracciava percorsi di fuoco lungo tutta l'asta, alternando succhiate profonde a lambite leggere che lo facevano impazzire. Quando fu completamente nudo, lei iniziò a risalire con la bocca lungo l'addome, una scia di baci umidi che lasciava scie di brividi sulla sua pelle. I suoi seni, ancora gonfi e sensibili, strusciarono "accidentalmente" sul suo cazzo pulsante, che trovò naturale il suo posto tra quelle curve generose.

Qualcosa si ruppe dentro Dago. Un'ondata di desiderio primordiale lo travolse. La afferrò per i fianchi e la scaraventò sul letto, mettendosi a cavalcioni su di lei con una ferocia che la fece gemere di anticipazione. Le sue mani grandi trovarono i seni, li strinsero, li modellarono attorno al suo cazzo duro. Iniziò a scoparla tra le tette con affondi decisi, sempre più veloci, mentre lei inarcava il collo cercando di catturare la cappella con la lingua ogni volta che spuntava tra i seni.

"Ti piace, eh?" ringhiò lui, aumentando il ritmo. Per tutta risposta, Paola strinse ancora di più i seni attorno alla sua verga, creando un tunnel di carne calda e morbida che lo faceva impazzire. La sua lingua saettava fuori ad ogni spinta, leccando avidamente la punta quando riusciva a raggiungerla, i suoi gemiti che si facevano sempre più osceni.

Dago si spinse più avanti, dandole migliore accesso. Lei ne approfittò subito, catturando la cappella tra le labbra e succhiandola con foga ogni volta che emergeva dal solco dei seni. Era uno spettacolo ipnotico - il suo cazzo che scompariva e riappariva tra quei seni perfetti, la bocca di lei sempre pronta ad accoglierlo, gli occhi chiusi in estasi mentre si abbandonava completamente a quel gioco perverso.

Per un istante Paola perse il contatto con il suo sesso - aveva gli occhi chiusi, persa nelle sensazioni, quando sentì il materasso muoversi sotto di lei. Dago si stava sdraiando al suo fianco, girandosi per allineare i loro corpi in un 69 perfetto. Le sue mani forti le allargarono le cosce con decisione, esponendo completamente la sua intimità alla sua bocca affamata.

La lingua di lui trovò subito il suo obiettivo - scivolò tra le labbra già gonfie di desiderio, esplorandola con movimenti lenti e precisi che la facevano tremare. Il clitoride divenne il centro del suo universo: lo leccava con colpi rapidi, lo circondava con la lingua, a volte lo catturava tra le labbra per succhiarlo delicatamente. Paola rispondeva stringendo più forte il sesso tra le labbra, prendendolo più a fondo in gola, i suoi gemiti soffocati che vibravano attorno alla sua asta.

Per spronarla ulteriormente, allungò una mano fino alla sua testa, guidandola a prenderlo ancora più a fondo. Lei rispose con passione crescente, succhiandolo avidamente mentre lui spingeva dentro la sua gola. Era un circolo virtuoso di piacere - più lui la faceva bagnare, più lei lo succhiava con ardore, più lui intensificava le sue attenzioni.

La sua lingua scese più in basso, esplorando ogni centimetro della sua femminilità mentre le dita scivolavano tra i suoi glutei. La sentì contrarsi al tocco quando un dito si avventurò nel suo ano, un gemito profondo che le vibrava nella gola mentre continuava a succhiarlo con fervore crescente.

Dago non resistette più. Si posizionò sopra di lei, prendendo il controllo del loro piacere, scopandole la bocca e spingendola in un'altra dimensione di piacere. Il corpo di Paola rispondeva con urgenza crescente, le sue labbra che lo accoglievano avidamente mentre lui alternava tra riempirle la bocca e divorarle il sesso con lenta, metodica devozione.

La sua lingua danzava sul clitoride gonfio e sensibile, mentre le dita esploravano ogni centimetro della sua intimità. La sentiva tremare sotto di lui, il suo corpo che si tendeva come un arco quando la sua lingua si muoveva più veloce, più intensa. I gemiti di lei, soffocati dal suo sesso che le riempiva la gola, erano pura estasi.

Quando l'orgasmo la travolse, fu come un'onda di tsunami. Il suo corpo si inarcò violentemente sotto di lui, un fiotto caldo di piacere che sgorgava dal suo sesso mentre lei tremava incontrollabilmente. Lui continuava a leccare, a succhiare, prolungando il suo piacere fino a trasformarlo in un'estasi interminabile che la lasciò ansimante e scossa da piccoli fremiti di beatitudine.

Appena finito di godere, Paola si ritrovò girata di peso sul letto, il viso premuto contro le lenzuola blu, i fianchi sollevati in un'offerta primordiale. Dago, in piedi dietro di lei, la penetrò con un colpo secco che le strappò un grido di piacere misto a sorpresa. Il suo sesso era ancora più duro, alimentato da ore di passione che invece di spegnerlo l'avevano reso insaziabile.

Si mosse dentro la sua figa con spinte profonde, possessive, che la facevano sentire finalmente donna, completamente femmina. Ogni affondo risvegliava sensazioni che credeva dimenticate, o forse mai davvero provate. Si sentiva desiderata, posseduta, viva come non mai. Il suo corpo rispondeva con un'urgenza che la sorprendeva, spingendosi contro di lui per accoglierlo ancora più a fondo.

Quando scivolò nel suo culo, un brivido diverso le attraversò la spina dorsale. Era una sensazione più oscura, più proibita, che risvegliava una parte di lei che non sapeva di avere - selvaggia, insaziabile. Si sentiva sporca e liberata allo stesso tempo, mentre lui alternava tra i suoi buchi con frenesia crescente, trasformando ogni sua penetrazione in un'esplosione di piacere proibito.

Le sue mani le stringevano i fianchi con forza mentre il suo corpo si muoveva come un pistone, il suono della carne contro carne che riempiva la stanza insieme ai loro respiri affannati. Paola si contorceva sotto di lui, una mano che scivolava tra le cosce per toccarsi mentre lui passava da un buco all'altro senza pietà, ogni penetrazione più profonda della precedente, ogni cambio un nuovo livello di piacere che la faceva tremare.

I suoi gemiti si facevano più acuti ogni volta che lui la riempiva, il corpo che vibrava per quell'assalto di sensazioni. Non era più la donna composta di poche ore prima - era pura energia sessuale, i capelli selvaggi, la schiena inarcata, i glutei che si spingevano contro di lui implorando di più, sempre di più, mentre scopriva una libertà che non aveva mai osato immaginare.

Improvvisamente, lui scivolò fuori da lei.

Paola rimase immobile, il corpo vibrante di attesa, ogni nervo teso nell'anticipazione di ciò che sarebbe seguito. La trascinò al bordo del letto con decisione misurata, posizionandola su un fianco - le gambe parallele al bordo, il torso perpendicolare, come una scultura vivente di desiderio. Le separò appena le cosce per farsi strada dentro di lei, per poi riunirle in una morsa che amplificava ogni sensazione.

Quando iniziò a muoversi, Paola si ritrovò sopraffatta. Ore di passione avevano reso il suo sesso ipersensibile, ogni terminazione nervosa un punto di piacere quasi insopportabile. Poteva sentire ogni dettaglio di lui - le vene pulsanti, il calore, la cappella che premeva contro punti che la facevano tremare. Era troppo. Era perfetto. Gli orgasmi precedenti, invece di attenuare le sensazioni, avevano trasformato il suo corpo in uno strumento accordato per il piacere estremo.

Si arrese completamente, lasciandosi travolgere da quell'ultima ondata di estasi. "Basta, ti prego… non ce la faccio più," sussurrò mentre un nuovo orgasmo la squassava. Ma Dago, invece di fermarsi, scivolò nel suo ano con una spinta decisa che le tolse il respiro.

Lo guardò - era come osservare un uomo in trance, completamente perso nella ricerca del proprio piacere. Il suo viso era una maschera di concentrazione quasi dolorosa, gli occhi socchiusi, i muscoli tesi nello sforzo. Ore di orgasmi avevano desensibilizzato il suo sesso, trasformando ogni spinta in una battaglia contro l'insensibilità. Lo vedeva cambiare angolazione, ritmo, profondità, cercando disperatamente quella combinazione perfetta che potesse far crollare il muro dell'intorpidimento e precipitarlo nell'oblio del piacere. Era una danza primitiva, ossessiva, dove ogni movimento era calibrato non più per dare piacere a lei, ma per conquistare quell'ultimo, sfuggente picco di sensazione che prometteva la liberazione finale.

Paola si mosse con grazia felina, sfuggendo al suo possesso per mettersi a carponi davanti a lui. "Usa la mia bocca," sussurrò, gli occhi scuri di desiderio mentre lo prendeva tra le labbra. Lo sentiva ancora duro, pulsante, nonostante le ore di passione. Le sue mani scivolarono lungo l'asta, accarezzando, massaggiando, mentre la sua lingua danzava intorno alla cappella con movimenti lenti, studiati.

Dago la lasciò giocare per qualche momento, perso nella sensazione delle sue labbra morbide, della sua lingua esperta. Poi qualcosa si ruppe dentro di lui. Le dita si intrecciarono nei suoi capelli, non più una carezza ma una presa sicura, e iniziò a muoversi dentro la sua bocca con spinte controllate ma inesorabili. Il suo respiro si fece più pesante, più profondo, mentre cercava il proprio piacere nella calda accoglienza della sua gola.

Lei lo sentiva pulsare contro la lingua, la cappella che si gonfiava sempre di più. I suoi gemiti si facevano più intensi, più urgenti. Le mani nei suoi capelli stringevano più forte, le spinte acceleravano, e poi - finalmente - un lungo gemito gutturale mentre il suo sesso esplodeva, riempiendo la sua bocca di calore salato. Lei accoglieva ogni goccia, succhiando gentilmente, prolungando il suo piacere fino all'ultimo tremito.

Crollarono insieme sul letto, i corpi intrecciati, la pelle ancora calda e umida di passione. Si cercarono con le labbra in un bacio lento, profondo, che sapeva di desiderio appagato e promesse sussurrate. Le loro mani si muovevano pigre sulla pelle dell'altro, non più per eccitare ma per memorizzare, per prolungare quella connessione che andava oltre il puro piacere fisico.

Dago allungò un braccio per afferrare la coperta, avvolgendoli in un bozzolo di calore e intimità. I loro respiri si sincronizzarono naturalmente mentre scivolavano verso il sonno, i corpi che si adattavano l'uno all'altro come se si fossero sempre appartenuti. L'ultimo pensiero cosciente fu il sorriso che sentivano sulle labbra dell'altro, prima che il sonno li reclamasse completamente.

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