Il collegio era un grande edificio ottocentesco di austero stile vittoriano: con ampie finestre sulla facciata, soffitti altissimi, stucchi e raffinate boiserie all'interno.
Era dotato di un grande parco in riva al lago, arricchito da una natura splendida e lussureggiante di colori e profumi nelle giornate primaverili.
L'istituto era riservato unicamente ad allieve di sesso femminile, appartenenti alla buona borghesia europea, io vi avevo frequentato il ginnasio, ed ero ormai giunta al secondo anno di Liceo Classico.
Come molte altre coetanee vivevo quell'esperienza con lo spirito di una reclusa confinata in un riformatorio minorile.
La serietà e la disciplina di studio vigevano al suo interno con una rigidità da college britannico.
Il corpo docente era sceltissimo, austero al pari della struttura: costituito da insegnanti di qualità e credenziali adeguate al livello dell'istituto.
Quindi tutti puntigliosi, severi ed eccellenti nella loro materia. Insomma dei veri rompicoglioni.
Come era uso in quegli anni, per una giovane di “buona famiglia” e per giunta figlia unica, si ambiva a dotarla di un'educazione che la facesse ben figurare in società.
Un retaggio di stampo ottocentesco, che i miei illustri genitori videro bene di rinverdire nello spedirmi in questo lussuoso rudere di cultura, apprendimento e buone maniere.
Si era alla fine della terza media, quando fui sorpresa da mio padre, rientrato in anticipo dall'ufficio, con due compagni di classe nel chiuso della mia camera. L'episodio fu la classica goccia che fece traboccare il vaso.
Non che stessimo facendo chissà che, fummo colti mentre stavano con i calzoni abbassati e io ero intenta a praticargli un piccolo servizietto di bocca.
Questo certo era troppo per il mio scandalizzato e furente genitore, subì una durissima reprimenda, soprattutto poiché non si trattava della prima volta che venivo beccata, in atteggiamenti sconvenienti, nella compagnia di maschietti della mia età.
La presenza di due ragazzi in contemporanea, dovette certo, a suo giudizio, rappresentare un punto di non ritorno.
infatti quella stessa sera, col consenso di mia madre altrettanto invelenita, decisero che era giunto il momento di affidare la mia educazione a una struttura adeguatamente severa e qualificata.
Il mattino successivo armi e bagli fui deportata verso il mio istituto correzionale, in riva al lago sul versante svizzero.
Il piano terra e il primo piano dell'edificio, ospitavano le aule in cui si tenevano le lezioni, vi era poi una sezione per le cucine e un ampio refettorio per i pasti giornalieri delle allieve.
Il secondo e il terzo piano erano destinati ai dormitori, con camere a due o quattro letti.
Almeno in questo ero stata fortunata: dividevo infatti una camera a due letti con Marika, mia compagna di classe, anche lei proveniente da Milano. Una brunetta tutto pepe, solare, intelligente e simpaticissima.
La nostra intesa era stata molto forte fin dal primo incontro, eravamo in sintonia su tutto.
La nostra amicizia rappresentava per entrambe un'isola felice, una salvifica boccata d'ossigeno in quel mortorio sonnolente e asfittico.
Come detto, la disciplina imposta era parecchio severa, quindi per noi femminucce l'idea di vedere un maschio la dentro, era del tutto aleatoria.
Gli unici esponenti di sesso maschile che ci era concesso di incontrare erano: il vecchio professore di matematica Andreoli, quasi sessantenne e prossimo alla pensione, il signor Lorenzo, un inserviente cinquantenne tuttofare e in fine il professor Rinoldi, un quarantenne docente di lettere e anche con funzione di Vice Preside. Il resto del personale insegnante o di servizio era tutto declinato al femminile.
In questo deserto di valide figure maschili, il professor Rinoldi, diveniva inevitabilmente il polo d'attrazione delle nostre più sfrenate fantasie adolescenziali.
Intanto perché era un uomo di notevole fascino: bruno, lievemente brizzolato, un viso piacevolmente maschio e occhi da principe mediorientale, raffinato nei modi e nell'aspetto come un aristocratico inglese.
Era inoltre appassionato di equitazione: montava Lucky un cavallo arabo nero, il campione della scuderia del collegio.
Sia che commentasse Virgilio o che sfrecciasse in groppa a Lucky lungo i vialoni del parco, il professor Rinoldi non mancava di fare le sue vittime sentimentali tra noi ragazze.
In classe pendevamo dalle sue labbra, persino le versioni di Tacito o le gravose traduzioni dal greco antico, apparivano seducenti per le nostre giovani menti e ancor più per i nostri giovani corpi.
Molte di noi, durante le sue lezioni, si abbandonavano a fantasticare a occhi aperti su lui e sotto i banchi, inserivano di nascosto oggetti nelle mutandine per sollecitare il sesso umido di voglia.
Una nostra compagna aveva ideato l'uso insolito di due paline da ping pong: le quali per mezzo di due fori da parte a parte, venivano unite da un elastico che le attraversava longitudinalmente e fermato all'uscita di ciascun foro da un nodo.
Le due palline, venivano alloggiate nelle mutandine verticalmente una sull'altra a contatto delle grandi labbra, poi, stringendo le cosce, tesavano l'elastico e si allontanavano strusciando sul clitoride. Successivamente, allentando la stretta, le due sfere per mezzo dell'elastico tornavano nella posizione iniziale. Ripetendo il movimento per un certo tempo, si generava un benefico massaggio sulla zona erogena che la portava silenziosamente all'orgasmo.
Una volta Rinoldi la sorprese a fissarlo con sguardo estatico, per divenire dopo poco paonazza e sudata in volto. Pensando a un improvviso malore, il professore chiese preoccupato se si sentisse poco bene. Ma lei, con un'espressione di gioioso appagamento lo rassicurò, rispondendo di non essere mai stata meglio in tutta la sua vita.
Lui ne prese atto e riprese a parlarci di letteratura Romanza.
Sarà stata la carenza di materia prima, o gli ormoni nel pieno della turbolente vivacità adolescenziale, ma io, come molte della mie compagne, su Rinoldi avevamo pensieri indecenti e inconfessabili: facevamo a gara di inventiva, sulle cose più sconce che avremmo voluto fare con lui. Prese da quelle fantasie ci bagnavamo come porcelle e ci si imboscava nei bagni o in qualche angolo nascosto a toccarci finché il sesso ci bruciava
Sicuramente Rinoldi rappresentava l'archetipo dell'uomo sexy alla soglia della maturità, univa un fisico giovanile e prestante al carisma dell'uomo fatto.
Quando ti veniva accanto, con quel suo profumo di note calde e muschiate, sentivi frullare qualcosa nel diaframma che bloccava il respiro.
Restavi ammutolita e confusa come una scolaretta, pietrificata come il topolino che verrà mangiato dal serpente: in realtà il serpente che turbava tuoi pensieri, non era un rettile velenoso e vorace, ma quello che immaginavi grosso e lungo celato nei suoi pantaloni.
In quei momenti desideravi che ti divorasse con esasperante lentezza: ti assaliva un caldo sdilinquimento al basso ventre, che lasciava le mutandine umide e appiccicose.
La mattina presto, nella bella stagione, ci svegliavamo anzitempo e si correva alla finestra per vederlo passare al galoppo, sul grande viale che veniva dal maneggio, in sella a Lucky lo stallone nero, fiore all'occhiello della scuderia del collegio.
Infatti il collegio tra le sue varie prerogative, era anche attrezzato di un maneggio che offriva, alle allieve che lo desiderassero, il corso d'equitazione.
Io non montavo, era un'attività sportiva che non mi attraeva, in realtà i cavalli mi mettevano un po' paura.
La loro dimensione fisica imponente, la grande forza animale e quella vitalità imprevedibile mi inquietavano.
Un pomeriggio passeggiando per il nostro parco ero giunta allo spiazzo del maneggio: all'interno del corral stazionava una coppia di cavalli.
Si trattava di una femmina di baio dal manto bruno e un magnifico morello maschio: erano con evidenza in estro, lui appariva smanioso, con quell'enorme sesso eretto, teso come un ramo d'albero e quel glande di forma singolare lucido di umori.
A un certo punto l'avevo visto montare la femmina salendole in groppa: un assalto potente, sprofondando quella virilità congestionata nella vulva tumida di lei.
Il coito fu breve e violento, l'eiaculazione finale fu straordinariamente
copiosa, mi provocò una sensazione di ripugnanza frammista di un'attrazione insana.
Assistere a quell'accoppiamento tanto crudo mi aveva turbata in modo profondo, nonostante il fastidio non mi era però riuscito di distoglierne lo sguardo.
Rinoldi uscendo dal paddock dove aveva lasciato alla posta Lucky, mi vide lì intenta a osservare la scena e notando l'espressione del mio volto, sorrise divertito del mio lampante imbarazzo.
Restai davvero impressionata da quello spettacolo, al punto che una notte di qualche giorno dopo avevo sognato che il professor Rinoldi, abbigliato nella sua consueta tenuta da equitazione, mi conduceva con lui nella stalla all'interno del box di Lucky, lo stallone arabo.
La bestia era splendida, il manto bruno, lucido come velluto, mandava riflessi argentati come il guscio di qualche coleottero esotico.
Aveva l'aria irrequieta, soffiava nervoso dalle froge ed emetteva nitriti acuti, io ero spaventata e nel sogno desideravo solo fuggire da lì.
Ma Rinoldi mi trattenne, disse che non potevamo andar via, eravamo nella stalla con il compito di calmare il nervosismo dell'animale, solo dopo avremo potuto allontanaci. Io mi sentivo intimorita e confusa, non capivo inoltre in che maniera la nostra presenza potesse giovare all'umore instabile del cavallo.
Era notte, la luce nel box era esigua, tutto il luogo era cupo e immerso nel silenzio, l'aria nell'ambiente era calda e come avviene nelle stalle il sentore della paglia, impregnata dalle deiezioni degli animali, ti prendeva alla gola.
Mi sentivo profondamente a disagio e nauseata da quell'olezzo, dentro mi montava un'ansia crescente.
Rinoldi sempre impeccabile, portava pantaloni color sabbia da cavallerizzo, infilati negli alti stivali in lucido cuoio bruno, sopra indossava una polo nera.
Imperturbabile e disinvolto, appariva perfettamente a suo agio, prese a carezzare amorevolmente il cavallo, lisciandogli la criniera e parlandogli con dolcezza.
L'animale confortato, pareva rispondere a quelle attenzioni quietando la sua agitazione.
- Buono Lucky , guarda chi ti ho portato. Ti piace questa bella giovinetta vero piccolo mio? - sussurrò con tono suadente all'orecchio dello stallone, nel farlo mi lanciava ampi sguardi rasserenanti.
Infine, si rivolse a me: - Avvicinati cara, non avere timore. Vedi: è mansueto, ha solo bisogno di coccole per tranquillizzarsi. -
Vedendo il persistere della mia ritrosia, mi cinse alla vita col braccio tirandomi a sé, l'aroma conturbante della sua colonia mi avvolse caldo e rassicurante. Tenendo con grazia la mano sulle mie reni mi sospinse dolcemente fino che mi trovai a contatto fisico col cavallo.
- Coraggio – aggiunse - Non ti farà niente con me al tuo fianco. -
Quelle parole mi rassicurarono, pensai che in fin dei conti la mia paura fosse del tutto irrazionale, non avevo mai avuto un reale motivo per giustificare quella fobia. Nessun cavallo mi aveva mai fatto del male o molestato in alcun modo: il mio era solo un puerile rifiuto psicologico, ritenni fosse giunto il tempo di affrontare questa inutile paura infantile.
Fiduciosa, confortata dalla presenza di Rinoldi, mi avvicinai all'animale.
Non ero mai stata tanto vicina a un cavallo: aveva una statura e una mole davvero imponenti.
Lucky nella fattispecie era un esemplare magnifico: il pelo corto e lucido come seta, la muscolatura armoniosa e guizzante, emanava un odore forte, muschiato e pungente come l'odore selvatico del sudore e del sesso.
Rinoldi si pose alle mie spalle, sentivo il suo corpo sfiorare la mia schiena, la cosa mi procurò un brivido d'emozione che mi fece avvampare.
- Cosa devo fare professore? - Chiesi con voce incerta.
- Carezzagli il collo e la criniera, fallo lentamente senza timore. -
Percepivo il suo fiato caldo dietro l'orecchio, la sua vicinanza era rassicurante e carezzevole: il clima del sogno era cambiato, non avvertivo più alcuna ansia, mi sentivo serena e rilassata, una piacevole sensazione di calore avvolgeva le membra, la stalla stessa, con i sui miasmi, mi appariva accogliente come un nido.
Nel profondo desideravo le sua mani su di me: che mi toccasse, con la stessa soavità impiegata nel blandire il cavallo.
Con la massima cautela, allungai la mano sul collo della bestia, la feci scorrere per tutta la sua lunghezza, Lucky reclinò il capo con uno sbuffo soddisfatto mostrando di gradire la carezza.
Confortata da quell'incoraggiante risultato, aggiunsi anche l'altra mano a carezzare la folta criniera: la bestia gongolante inarcava il lungo collo, come un grosso micio che si bei dei grattini.
- Brava! - Disse Rinoldi - Continua così, non fermarti, lo vedi che è facile. -
Proseguì per qualche lungo momento, ero felice di aver superato quella mia paura insensata, Lucky dimostrava il suo compiacimento, pur essendo il nostro primo incontro mi aveva accettata e nitriva di piacere.
- Ora senza smettere, ripeti le carezza lungo il corpo, sul fianco. - sussurrò il professore e mi guidò le mani dal collo del cavallo più in basso.
- Ti sei chiesta perché ti abbia condotta qui questa notte? - L'interrogativo mi colse alla sprovvista: certo che mi ero posta la domanda, ma confesso che la trepidazione causata dalla sua presenza e quella inconsueta situazione, l'avevano fatta scomparire dalla mia mente.
- Si, professore, ma non so farmi un'idea. Speravo che lei mi spiegasse... - Conclusi la frase non riuscendo e a non arrossire.
- Vedi ragazza mia, ti ho osservata davanti al maneggio mentre assistevi alla monta dei due cavalli. - Nel parlare si era accostato ancora di più a me, il suo corpo aderiva alle mie natiche: trattenni il respiro.
- Mi sei parsa, come dire: molto interessata. Dico bene? -
- Io, si... sono rimasta impressionata, questo è vero. - Risposi con voce malferma, mentre l'aria della stalla mi pareva essere divenuta caldissima e il corpo si imperlava di traspirazione.
- Solo impressionata? Non mentire. - la voce aveva una nota divertita - Sono certo invece, che quanto hai visto ti sia in qualche modo piaciuto. Che la tua fighetta si sia bagnata in maniera indecente. Mi sbaglio? -
Nel profferire quelle insinuazioni le sue mani, da dietro, salirono al mio petto a sbottonate la blusa che indossavo: sentivo il tepore dei polpastrelli sfiorare la pelle messa a nudo e sudata.
Proseguì senza mutare il tono di voce: - Ti sei bagnata perché sei una piccola viziosa, quel grosso sesso del cavallo ti ha fatto nascere delle fantasie perverse. -
Aveva aperto la camicetta, abbassate le coppe del reggiseno e mi stava plasmando le tette a piene mani, stringendole e modellandole come plastilina.
Emisi un gemito, stupore, imbarazzo e un'eccitazione violenta mi procurarono una scossa incandescente all'inguine: bagnai le mutandine come una bimba a cui scappa la pipì.
Il cuore ebbe un tuffo, iniziò a palpitare frenetico e il mio respiro a divenire pesante. Avrei voluto urlare, ma non di sorpresa o paura: i capezzoli si erano inturgiditi da fare male. Avrei gridato di voglia.
- Ti stai eccitando vero? Ti piace essere qui. - disse. - L'odore di stallatico ti accende i sensi, perché ami fare le cose sporche nei posti sudici. Sei una deliziosa puttanella. -
Mentre mi strizzava i capezzoli, stringendoli tra le dita, la sua lingua mi precorse il collo dall'orecchio all'incavo della clavicola, lasciando una striscia umida sulla pelle.
Un mugolio mi sfuggì dalle labbra, avvertì l'erezione del suo sesso premere contro le mie natiche: mi stavo sciogliendo nelle mutandine.
Scostò le mani dai seni e scese a sganciare sui fianchi i bottoni che fermavano la mia gonna: in un attimo l'indumento giaceva a terra, attorno alle mie caviglie.
- Ora sentiamo a che punto di cottura è la tua fighetta. Vediamo se sta già lacrimando al punto giusto. -
Scostò le mutandine, le fece scivolare lungo le cosce, si fermarono ai miei piedi facendo mucchio sulla gonna.
- Apri le gambe troietta, che voglio sentire quanto sei calda lì in mezzo. - Eseguì l'ordine, divaricai per permettergli di toccarmi, sentivo pulsare la fica, il liquido sieroso mi rigava caldo all'interno delle cosce.
Le sue dita si fecero strada tra le grandi labbra, allargando e cercando la fessura intima del mio sesso: ve ne introdusse quatto unite a cono, iniziando a entrare e uscire con un movimento lento e ritmato.
- Oh...Professore, la prego non smetta... - L'implorazione mi sfuggì dalle labbra come una preghiera febbrile. Gli stavo inondando la mano, si udiva il rumore liquido della mia vagina fradicia che si dilatava nell'affondo delle dita.
- Ti piace puttanella? - La sua voce bassa e conturbante era un tormento incandescente.
- Oh...Sì professore, mi piace molto, infili tutta la mano. Continui la prego, sto impazzendo. -
Ero in pieno delirio, volevo che con quelle dita mi slabbrasse a dismisura il sesso: mi sentivo porca come non avrei mai creduto. Non volevo che smettesse.
- Ora porcellina dobbiamo pensare anche a Lucky. Ricordi perché siamo qui vero? -
- Si professore, certo. Ma cosa possiamo fare? Me lo indichi lei per favore. -
La sua bocca mi mangiava i capezzoli, leccava e succhiava con foga, li mordicchiava colmandoli di saliva, mentre la mano sprofondava nella mia morbidezza sfatta.
- Brava, la mia troietta piena di voglia. Adesso, porta la mano sotto la pancia di Lucky e carezzalo lì sotto. -
- Oddio, no. Questo no. Non può chiedermelo. Toccarlo laggiù mi fa troppa impressione. -
- Su, andiamo, non fare la sciocchina ora. Solo una carezza per rilassare Lucky. Non vedi come è teso? Vedrai che ti piacerà: fallo dai. -
Alle dita introdotte nella fica, ora aveva aggiunto la pressione del pollice sul buchetto dell'ano, umettando la rosetta bruna con le secrezioni cremose del mio sesso. Il pollice, lubrificato, scivolò dentro lo sfintere come un biscotto nel budino. Iniziò a scoparmi la figa e il culo insieme, con le dita della mano.
Emisi uno squittio lascivo: che porco meraviglioso era il professor Rinoldi. Quanto avevo sognato di divenire una cagnetta obbediente e vogliosa nelle sue mani, come stava accadendo. Desideravo che mi facesse cose sconce, cose da uomo adulto, usandomi come una viziosa puttanella.
Portai, esitante, la mano sotto lo scroto della bestia: possedeva testicoli grossi come piccoli meloni, iniziai a carezzarli come si fa con la testa di un bimbo.
- Bene, continua così, che a Lucky piace molto. - Nel parlare le sue dita stringevano la nocciola del mio clitoride con perversa abilità, tormentando quella piccola protuberanza di carne, così eretta e sensibile. I polpastrelli scivolavano in quella carne sdrucciolevole di umori, provocandomi scosse di piacere tanto intense da farmi cedere le gambe.
Grazie alla carezza della mano la carne del cavallo parve animarsi, subendo un graduale risveglio: la pelle spessa del sesso prese a distendere le rughe minute che lo rivestivano, la verga sollecitata si gonfiava e cresceva tra le mie dita.
Assistevo sgomenta a quel miracolo: il glande, di un vivido rosa carnicino, si affacciava dal turgore di quella appendice scura, già potevo vedere il luccichio perlato di umori sorgere dall'uretra come piccole goccioline. Attimo dopo attimo, l'escrescenza carnosa di quel sesso smisurato assunse una dimensione impossibile cingerne col cerchio delle dita.
- Fai scorrere la mano lungo l'asta – suggerì il professore, vedendomi in difficoltà nel maneggiare quel sesso inalberato. - Prendilo con entrambe le mani se una non ti basta. - Mi esortò eccitato.
Tentai di eseguire, ma non era facile: il cazzo della bestia si inarcava, pareva una grossa serpe innervata e potente, che volesse sgusciare per sfuggire alla presa.
Con fatica cercavo di compiere quella carezza su tutta l'estensione del pene, che ora aveva raggiunto la considerevole misura di oltre sessanta centimetri di lunghezza. La difficoltà stava nel fatto che le mani non riuscivano a scorrere con la dovuta scioltezza, poiché la pelle, pur idratata, non risultava scivolosa a sufficienza.
Vedendo la laboriosità della mia azione, Rinoldi, sicuramente esperto nell'addestrare in quel genere di turpitudini qualche allieva ben prima di me, disse: - Se vuoi che scivolino con facilità, devi lubrificarti le mani. -
Notando la mia espressione dubbiosa, proseguì: - Raccogli un poco del liquido dalla punta del glande, con quella cremina spalmata nei palmi ti sarà più semplice. Prova! -
Seguì l'indicazione, portai le mani alla sommità del fallo e concentrai la carezza in quel punto, plasmando la carne spugnosa.
La risposta fu immediata: piccoli fiotti di liquido prespermatico mi irrorarono le dita, con quella materia viscida ripresi a masturbare lo stallone.
Rinoldi alle mie spalle, si inginocchiò e facendomi leggermente piegare in avanti, ottenne che le mie natiche e la fighetta si proiettassero all'infuori, totalmente esposte al suo viso.
Con le mani divaricò il solco tra i glutei e ci pose la bocca, labbra bollenti e voraci, si impossessarono del mo sesso.
Iniziò a leccarmi soavemente, scivolando con insinuanti colpi di lingua lungo la fenditura della figa: lo faceva con esasperante sapienza.
Intervallava a frullate veloci della lingua a pennellate verticali e orizzontali, l'affondava tutta nelle mucose palpitanti, poi la ritraeva lasciandomi in balia della ventosa delle labbra, leccava con ingordigia la carne e i liquidi che in abbondanza rilasciavo.
Non mi lasciava tregua: instancabile ripeteva lo stesso gioco più in alto, penetrando con la punta mobile della lingua, nell'orifizio anale. Dalla mia gola usciva solo un rantolo lamentoso, stelline incandescenti si affollavano nel campo visivo, il piacere mi ottenebrava la vista. Aggrappata al sesso del cavallo cercavo un equilibrio instabile, allargando quanto potevo le cosce per favorire quel supplizio di beatitudine sconvolgente.
Mi sentivo molle come pasta frolla, mi bagnavo oscenamente, come una cagna in calore.
Alla sensazione di godimento si mescolava ora l'urgenza di orinare: implorai un attimo di tregua per prendere respiro.
- Professore, la prego. Ho la vescica gonfia, mi scappa la pipì. - Dissi tutto d'un fiato.
- Non ora troietta, la farai più tardi quando avremo finito. - Decretò senza appello Rinoldi.
- Sia buono, abbia pietà. Mi conceda qualche attimo per liberami. Sento che potrei farmela addosso da un momento all'altro. -
A quella invocazione smise ciò che stava facendo, si allontanò lasciandomi in piedi accanto al cavallo, tremante come avessi la febbre.
Poco distante, in un angolo del box, giaceva una balla di fieno, lo stesso presente nei box come lettiera per gli animali, alta e larga una sessantina di centimetri, la trascinò disponendola ai miei piedi in fianco alla bestia.
- Stenditi qui sopra e divarica le cosce. - Ordinò, col cipiglio sicuro di chi ha un progetto ben definito.
Mi stesi supina sul quel giaciglio di fieno secco, le pagliuzze pungevano la pelle nuda, allargai le cosce flettendo le ginocchia, mi venne in mente la posizione di una rana sul tavolo, nella lezione di osservazione scientifica.
- Ora mia piccola puttanella, prendi in mano il glande di Lucky e struscialo su quella bella fica brodosa. Voglio che ti masturbi col sesso del cavallo. -
- Oh! No! Professore, non me lo chieda. Mi riempirà la topina di quel liquido appiccicoso che gocciola dal sesso, sarebbe disgustoso. -
- Taci, piccola pervertita! Sappiamo bene quanto ami queste cose sudicie. Ma menti a te stessa, negando di desiderarle. -
Era alto e imponente, con una mascolinità da dio greco, era nato per dominare e ne aveva coscienza.
Mentre parlava, iniziò a sbottonare la patta dei pantaloni: una nuova esplosione di calore si allargò nel mio basso ventre, miele fuso inzuppò il fieno sotto le mie reni.
Rinoldi mostrò un sesso turgido, costellato di vene in rilievo, animalesco nella dimensione, teso come una guglia di roccia.
Sconvolta da quella visione, iniziai a piena mano a strusciare la cappella del cavallo sulla mia fica spalancata.
Desideravo troppo quell'uomo, volevo quel sesso a riempirmi e slabbrami la vagina, ero disposta a tutto, a qualsiasi follia e aberrazione, purché alla fine mi scopasse allo sfinimento.
- Brava troietta, fagli sentire quanto lo desideri, Lucky smania dalla voglia di sfondati la fighetta, guarda come te la sta inzuppando di secrezioni. -
- Mmmh... Si! Professore, ho voglia dei vostri cazzi. Voglio che mi riempiate. Lo faccia la prego. -
Lui si accostò al mio viso tenendo in mano il sesso, lo avvicinò alla mia bocca.
- Ora voglio sentire come sei brava con la lingua puttanella. -
Iniziai a leccargli quel cazzo maestoso: lo tenevo con la mano libera e con l'altra mi masturbarlo col sesso del cavallo
Rinoldi, mi carezzava la testa aiutandomi a tenerla sollevata mentre baciavo e leccavo il suo sesso, sentivo la fica pulsare con spasmi di desiderio dolorosi.
Ogni tanto sputavo sul sesso, gli facevo colare fiotti di saliva: le bave lasciavano filamenti tra le mie labbra e la carne calda, poi aprivo la bocca a dismisura per accoglierlo fino alla gola.
Lui muoveva il bacino nell'atto di scoparmi la bocca, volevo essere brava, farlo bene, che il professore fosse contento della sua allieva, non sarei stata da meno di quelle troiette che mi avevano preceduto lì in passato.
- Sei brava a succhiare il cazzo. Dietro quell'aria da verginella ne avrai già conosciuti parecchi. Sono contento di te. - Disse soddisfatto.
Aveva la voce rauca di eccitazione, il tono trasudava una lascivia sconfinata.
Ero impaziente mi doveva fottere col suo grosso cazzo, doveva riempirmi di sborra calda, tanta come quella che eiaculano i cavalli quando vengono, io avrei bevuto e leccato tutto.
L'aria della stalla pareva rarefatta, aggrediva alla gola pungente come una caligine appiccicosa che olezzava di sperma e sesso.
- Ora dobbiamo pensare a Lucky. Prendi il suo sesso in mano e portalo alla bocca. -
Lo disse, sfilando il suo, grondante di bave dalle mie labbra.
Fui presa dal panico per l'enormità di quella richiesta: compiere un atto sessuale con un animale era qualcosa che travalicava la mia fantasia più audace, oltre che il mio senso morale.
Mi era, in realtà, accaduta un'esperienza a riguardo nei primi tempi dell'adolescenza.
In quel periodo la smania di sperimentare si univa all'urlo potente dei mie impulsi carnali e mi portava a esplorare curiosità trasgressive, per placare le urgenze fisiche che mi assalivano.
Era però rimasto un fatto episodico, una piccola follia archiviata nella memoria, non avevo più ripetuto nulla di simile in seguito.
Ricordavo di un pomeriggio in cui mi sentivo decisamente accesa: essendomi trovata sola in casa con Devil, il mio Labrador Retriever, stavo sdraiata sulla chaise longue della mia camera leggendo un libro erotico, con l'intento di carezzarmi la topina per darle un poco di pace.
Avevo tolto le mutandine e a cosce larghe, totalmente rilassata, mi toccavo giocando con la carne sensibile del sesso: inserivo due dita nella topina e a tratti nel buchetto del culo, in preda a un desiderio crescente.
Procedendo nella lettura del racconto, la fantasia viaggiava a vele spiegate e mi bagnavo in un marasma di sensazioni languide.
Ogni tanto portavo le dita alla bocca e assaporavo il mio gusto conturbante.
L'odore del mio sesso aleggiava nel chiuso della stanza, ero ubriaca di voglia, disponibile a ogni cosa che mi facesse godere in quel mio trastullo solitario.
Ero giovane, ma già nella mente si affollavano desideri inconfessabili, tra i più peccaminosi e sfrenati.
Devil che stava accucciato ai miei piedi e pareva dormire, forse avvertì quel turbamento dei sensi che mi agitava.
Gli animali di casa, sono sovente sensibili agli umori dei loro padroni, o più semplicemente fu attratto dal sentore rilasciato dalla mia topina.
Si levò in piedi e accostò il muso al triangolo del mio ventre, interrompendo l'azione delle mie dita e mostrando un singolare interesse.
Sulle prime la cosa mi divertii, quindi lo scostai con la mano per tornare alla mia attività, ma nulla può distrarre un cane dalla volontà di annusare un odore che lo attiri.
Infatti il tartufo in cima al muso di Devil, si ricacciò di forza fra la mano e il mio sesso, spingendo con forza la testa e inalando a gran forza l'odore caldo della mia intimità
- Smettila Devil! Sporcaccione! Torna a cuccia, lasciami in pace, cagnaccio. - Gli urlai, innervosita dall'intrusione che mi distoglieva da quel momento di grazia.
Gli feci anche alcuni grattini sul capo per smorzare la frenesia, ma non ci fu verso: non solo non smise, ma iniziò con foga e leccarmi la mano, con la lingua veloce e rasposa, cercava gli umori di cui era intrisa degustandoli con la golosità di un intingolo prelibato.
Allora spostai l'arto dietro la schiena togliendola alla sua vista nella speranza che smettesse.
Infatti si disinteressò alla mano, ma cacciò a fondo il muso nel mezzo delle mie gambe dischiuse, alla ricerca della mia fighetta.
Rimasi sconcertata, indecisa se scostarmi da lì o che altro fare per farlo cessare.
Non volevo dargli una ciabattata e non nego d'essere stata leggermente allarmata per l'impeto dell'assalto inaspettato.
Benché lo avessi praticamente allevato da cucciolo, era la prima volta che lo vedevo agitarsi a quel modo, la cosa mi metteva a disagio.
Mi venivano in mente episodi di cani divenuti improvvisamente aggressivi con i loro padroni, per motivi all'apparenza irrilevanti: vero era che Devil era un gran cucciolone, ma pesava quasi cinquanta chili, farlo infuriare non era davvero consigliabile.
Ingaggiai una sorta di inutile lotta nel tentativo di divincolarmi, lui non demordeva, in uno movimento per scrollarmelo di dosso divaricai le cosce anziché serrarle: lui ne approfittò per raggiungere il suo scopo e cacciare il muso nel mio sesso.
La lingua iniziò a scavare come fosse alla ricerca di una sorgente in cui dissetarsi, mi bagnò di bava cercando nel profondo, percorrendo rapido dalla vulva alla rosetta anale, senza concedermi tregua.
Allora, forse con la mente appannata dalla tensione erotica, in cui la lettura del testo e la masturbazione bruscamente interrotta mi avevano precipitato, sentì un calore languido dilagare nel ventre: il clitoride si inturgidì e il mio siero viscoso prese a colare denso.
Devil eccitato dal proliferare delle secrezioni le spalmava con lingua sollecita, come una crema liquida e soave, sulla fica spalancata.
- Oh! Devil. Cucciolone, che lingua meravigliosa hai. Lecca bello, lecca la tua padrona. Così, bravo, non smettere. -
Stavo impazzendo, il mio cane mi stava leccando la fica e io glielo lasciavo fare. Dovevo essere sicuramente uscita di testa: invece di inorridire mi piaceva in maniera vergognosa.
Iniziai a strizzarmi le tette spingendo in fuori il bacino, non volevo che perdesse una sola goccia del mio nettare caldo: inarcai la schiena per offrirmi meglio, oscena e aperta a quel bacio animale.
Immaginavo il suo piacere nell'avere la bocca impastata del mio sapore che conoscevo bene, ero grata alla natura per avermi fatta laggiù, così buona e sapida.
Ingenuamente pensavo che se risultavo tanto desiderabile alla lingua di un
Mi accorsi che Devil non apprezzava unicamente il mio sapore: infatti vidi che dalla guaina del suo ventre, faceva capolino la testa rossa del sesso in erezione. Gli era venuto duro e ora si mostrava nella sua voluminosa estensione. L'idea che si eccitasse sessualmente nel leccarmi mi accecò di libidine: essere desiderata dal cane ebbe su di me un effetto afrodisiaco sconvolgente.
Chiusi gli occhi e immaginai quel sesso, vermiglio e superbo che mi penetrava da dietro, assaltandomi come avrebbe fatto con una cagna in estro, violandomi la fica con le sue penetrazioni inesorabili: ero sul punto di urlare, di venire meno per una vertigine di lascivia.
Mi pinzai i capezzoli tra le dita, torcendoli con forza per farmi male, per punirmi della mia dissolutezza. Volevo soffrire per espiare, era doloroso infliggermi quella sevizia, ma accresceva la tensione devastante verso l'orgasmo.
Devil accelerò i colpi di lingua torturandomi il clitoride e venni: fulminata da un orgasmo lungo ed estenuante.
Mi accasciai sfinita sulla poltrona ansante, strinsi le cosce per prolungare il flusso dell'orgasmo, abbracciai Devil stringendolo forte a me.
Lui mi leccò con gioiosa gratitudine tutto il viso.
-Oh! No! Professore, non mi chieda una cosa tanto depravata. Mi vergognerei troppo. La scongiuro, non me lo faccia fare. -
Nell'invocazione continuavo a sfregare il glande di quel pene bestiale sulle labbra della fica: il liquido che colava dall'uretra aveva resi fradici i riccioli bruni del pube, ero impastata di quell'umore bavoso e opalino fino al solco tra le natiche.
Sentivo zuppa e viscida la paglia su cui giacevo in quella maniera sconcia.
Portare alla bocca quella cappella enorme e bitorzoluta, mi provocava un senso di repulsione e al contempo una malsana tentazione che tentavo di scacciare dalla mente.
L'odore dell'animale infoiato era soffocante, come una nebbia in sospensione, che mi ricopriva la pelle di un velo malsano.
La mia riluttanza non piacque a Rinoldi: fino a ora avevo acconsentito a ogni sua richiesta e questo diniego lo infastidiva, non era abituato a ricevere resistenze o rifiuti.
Vidi che si rabbuiava in viso, lo sguardo divenne duro e il tono, fino a quel momento accattivante, assunse una freddezza risentita.
- Non fare la schizzinosa ragazzina. Ricordati che non siamo qui per il tuo piacere. Ma abbiamo un compito da svolgere. -
Così dicendo mi colpì un seno con una sberla secca e dolorosa.
Cercai di articolare una protesta, ma lui non me ne lasciò il tempo: una seconda sberla mi fece sobbalzare l'altro seno. Forse fu la sorpresa, o il fatto che quei colpi non fossero realmente dolorosi, ma solo umilianti, che i capezzoli si inturgidirono fino a dolermi.
- Allora troietta, sappi che se non sarai obbediente nel fare quanto ti è richiesto, sarò costretto a punirti: non ti permetterò di godere e inoltre non ti sarà consentito di fare la pipì come chiedevi. -
Oh... Professore, non sia così cattivo, è una cosa troppo sudicia quella che mi chiede. La prego, non può punirmi così. Guardi in che condizioni versa la ma topina: è completamente fradicia di voglia. - con tono singhiozzante continuai: - Ho tanto bisogno di sfogarmi, sto soffrendo molto, mi creda. Lo stimolo della pipì è davvero forte, mi è difficile trattenerlo. -
Mente lo imploravo un piccolo schizzo di pipì era sfuggito dal mio minuscolo orifizio, bagnando in modo ulteriore il fieno sotto le mie natiche.
- Piccola sporcacciona disubbidiente. La stai facendo nonostante la mia proibizione. Ora sarò costretto a punire seriamente la tua insolenza. -
Era decisamente alterato, il viso acceso di collera e gli occhi nel tono del cielo che annunci tempesta.
Non riuscivo a reggere quello sguardo irato, mi sentivo profondamente in colpa, intimorita e senza più la volontà di fare un movimento, abbassai gli occhi, come un cucciolo che venga sgridato.
- Apri bene le cosce e metti le mani dietro la testa. - Ordinò alla sua voce.
Eseguì riaprendo gli occhi: Rinoldi in piedi davanti a me, mi sovrastava con la sua figura imponente, il sesso sempre eretto svettava dai pantaloni.
Nella sua mano era comparso il suo frustino da dressage.
Iniziò a farlo schioccare più volte, battendolo sul lato esterno dello stivale e fendendo l'aria con colpi a vuoto: come se calibrasse la forza delle scudisciate che intendeva infliggere. Compresi che mi avrebbe fustigata.
Con le reni leggermente arcuate per la posizione, il bacino teso all'insù e il seno che, per via delle mani dietro al capo, sporgeva indifeso nella sua sferica pienezza.
Un tremito inquietudine mi percorreva, mentre un'opprimente senso di ineluttabilità bloccava ogni mia reazione.
Avrei dovuto ribellarmi, forse fuggire, ma non trovavo la volontà per sottrarmi a ciò che mi accadeva: fremendo chiusi nuovamente gli occhi, irrigidendo il corpo nell'attesa di quella inevitabile punizione.
- Non mi faccia male professore. Lo so che sono una piccola viziosa ed è giusto che lei mi castighi. Ma sia clemente nel colpire, la prego. -
- Taci troietta, so ben io come educare una piccola sporcacciona vogliosa come te. -
Iniziò a colpirmi i seni piccoli con colpi ripetuti e rapidi: abilmente centrava i capezzoli già infiammati dal protratto turgore, a ogni schiocco mi sfuggiva un gemito e lampi rossi mi affollavano la mente nel buio degli occhi serrati.
Facevano male i colpi, un male caldo: i capezzoli induriti e dolenti procuravano una sensazione snervante che diveniva anestetica e si avvicinava al piacere.
La punizione non faceva decrescere la mia voglia: avrei voluto che me li mordesse e succhiasse con foga dopo ogni colpo.
Stavo con le gambe spalancate, tutta aperta, fradicia e pulsante: smise di colpirmi i seni e prese scudisciarmi la fica.
A ogni schiocco della striscia di pelle rigida, le grandi labbra e il clitoride venivano percossi: si produceva un rumore umido e sconcio.
Ansimavo a bocca spalancata, ma non era unicamente dolore: quei colpi erano come quando il cazzo ti batte ripetutamente al fondo alla vagina e a ogni botta ti avvicina all'orgasmo.
Mi sentivo prossima a esplodere, stavo per godere: aumentava anche lo stimolo a fare pipì e quelle sferzate ne sollecitavano l'urgenza.
Mugolavo con un gemito basso e continuo, in bilico tra uno stato agonico e l'estasi.
Rinoldi cambiò modalità, divenendo più sottile e perverso nell'attuare il castigo: prese a strusciare lentamente la cima del frustino sul clitoride, lo carezzava delicato, inzuppando il cuoio nelle mie secrezioni dense, per poi colpirmi all'improvviso.
Proseguì così per un po': una vera tortura di dolcezza e tormento, mi era impossibile mantenere la posizione senza sobbalzare o contorcermi.
- Lo vuoi il mio cazzo puttanella? - Chiese diabolicamente insinuante.
- Ho...Sì. La prego, me lo dia. Mi dia il suo grosso cazzo. Ho tanta voglia professore, mi prenda. Scopi la sua troietta, la riempia tutta. -
Si inginocchiò davanti a me tenendo il sesso in mano. Attesi ansiosa di sentire quella grossa verga rigida, slabbrami la fica.
Ma lui puntò la cappella sul buchetto del culo, la umettò nel ciprigno e con un affondo di reni sprofondò nel budello.
Lo sentì scivolare con facilità, quasi risucchiato, i liquidi abbondanti che avevo tra le natiche favorirono la penetrazione, affondò tutto, fino a toccare col pube la soglia del mio sfintere.
Annaspai cercando aria per i polmoni per quanto era grosso e potente: lui prese a muoversi, ruotava il bacino per dilatarmi allo spasmo, un sciacquio liquido e impudico lo accompagnava.
- Ti piace che ti fotta così il culo, vero maialina? -
- Sii! Mi piace professore. E' così grosso e forte, sto impazzendo. La prego, spinga dentro più forte. Non smetta.-
Deliravo priva di ritegno, spingevo il bacino verso il suo sesso per accoglierlo maggiormente, me ne sentivo piena fino in gola.
Mi sentivo una troia senza più limiti, una bestiola famelica di piacere, volevo raggiungere l'orgasmo e svuotarmi la vescica, orinando sul quel cazzo inghiottito del mio culo.
- Allora se vuoi che continui, ora prendi in bocca il cazzo del cavallo. Voglio che lo spompini mentre ti inculo troietta. -
Che porco sconvolgente era quest'uomo. Sapeva ottenere ciò che voleva.
Presi il sesso di Lucky e me lo portai alle labbra.
Insinuai la punta della lingua nel buchetto da cui gocciolavano i suoi umori, il sapore non era dissimile da quello dello sperma umano e a quello ero abituata.
Nel leccarlo teneva lo stesso ritmo degli affondi di Rinoldi dentro me.
Accompagnavo quel pompino con la carezza delle mani, reggendo l'asta che aveva scatti mobili e improvvisi: Luky gradiva molto la mia bocca.
Contrariamente a quanto avevo creduto farlo non risultò ripugnante, il cavallo produceva piccoli fiotti di liquido viscoso, io raccoglievo tutto con cura senza smarrirne una sola goccia.
Infine Rinoldi diede un colpo più violento e io sentì irrompere l'orgasmo, urlai per il piacere fortissimo che mi si propagava a tutto il basso ventre, il mio urlo fu bloccato dai sussulti del cazzo di Rinoldi nel mio intestino: stava venendo, riempiendomi con un clistere di sperma caldo.
Nello stesso momento il sesso di Lucky si irrigidiva con uno spasmo, come un enorme anguilla viva tra le mie mani e in quella il mio viso fu travolto da uno scroscio inarrestabile di sperma che mi tolse il fiato.
Mi sentii annegare e mi risveglia di colpo, sudata fradicia e con la fica grondante: ero arrapata come una scrofa in calore e avevo la vescica che stava per esplodere.
Corsi al bagno e sulla tazza presi a orinare con schizzi violenti, quasi dolorosi, mi sentivo ancora piena di voglia: allora affondai le dita nella carne frolla della fica e ce le pompai dentro giunte a cono, lo feci mentre svuotavo la vescica inondandomi la mano fino al polso.
Diedi degli affondi violenti: a occhi chiusi rivedevo il cazzo del mio professore, immaginavo che il mio pugno fosse la cappella di quel sesso di animale che avevo così tanto leccato.
Venni tra i miei liquidi, mordendomi la mano libera per non urlare a squarciagola tutto il mio piacere.
(Fine)
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