Novella Cenerentola
L’invito a partecipare alla prestigiosa Pesca di Beneficenza mi eccitava molto; Ines, la mia compagna di lavoro, l’aveva procurato non so per quali strane vie; non era normale che due semplici operaie fossero invitate in un ambiente di lusso come quello dove ci trovavamo, con personaggi spesso famosi e comunque molto ricchi che si esibivano volentieri con molta degnazione, convinti senza dubbio di affascinare al primo colpo.
E al primo sguardo trovai Rodolfo non solo affascinante ma addirittura meraviglioso; io che avevo passato la vita a fianco ad un operaio decisamente modesto mi trovai ad un tratto al centro delle sue attenzioni; mi sciolsi tutta e, sin al primo momento, seppi che avrei fatto tutto quello che mi avesse chiesto, in barba a consigli e prudenza suggeritimi per anni da tutti quelli che conoscevo.
Quando mi invitò a ballare, dovette rendersi conto immediatamente che sbavavo per lui e che dalla figa mi colavano umori che non riuscivo a trattenere; quando mi invitò ad uscire nel chiostro, lo seguii come i topi del Pifferaio magico di Hamelin; quando mi portò in un angolo buio e mi baciò, vidi il cielo aprirsi e gli angeli suonare le arpe per me; quasi non mi resi conto che mi stava sollevando la minigonna, che mi infilava in figa due dita e mi titillava il clitoride con estrema sapienza.
Era un amante meraviglioso e nel giro di pochi minuti mi fece esplodere più sborrate che mio marito in un mese; mi succhiò i capezzoli e mi mandò ai pazzi; mi fece abbassare, aprì la patta, tirò fuori un biscione di venti centimetri e lo portò alla bocca; gli feci un pompino coi fiocchi, ai quali seppe resistere con molta determinazione; si abbassò a terra e mi leccò la figa, con qualche difficoltà, ma riuscì ancora a farmi sborrare abbondantemente.
Mi fece girare, premette sul collo finché non fui davanti a lui a novanta gradi; manovrò un poco con le dita, spostando il perizoma che avevo indossato per l’occasione e in un colpo i venti centimetri del suo cazzo furono nella mia figa, fino ad urtare la testa dell’utero; soffocai in gola il grido di piacere che mi era esploso innaturale ed incontrollato; mi scopò a lungo, facendomi godere infinitamente col ventre che sbatteva contro le mie chiappe sode; versò un fiume di sborra nella mia figa.
Rientrammo, io disfatta dalla scopata imprevista, sconvolgente; ballò ancora con me un paio di volte, sbalordendomi ancora col cazzo tornato duro che mi picchiava contro la figa; d’un tratto mi propose.
“Perché non fuggi con me come Cenerentola, sulla carrozza che mi aspetta?”
Obiettai che avevo un lavoro e non potevo assentarmi; mi suggerì di chiedere un anno sabbatico; poi si sarebbe visto; preparò lui stesso un documento, che consegnai ad Ines, in cui dicevo che per motivi di studio mi assentavo per un anno a zero paga; la pregai di protocollarlo all’ufficio personale; mi guardò come un animale raro.
“Laura, che cazzo stai facendo? Ti rendi conto che stai distruggendo le vostre vite?”
“No, so solo che sto entrando in una favola e non ammetto obiezioni. Avverti Mauro. Grazie!”
Scappai con Rodolfo quasi alla chetichella e mi trovai sulla sua auto di lusso, assai più affascinane della zucca trasformata in carrozza; il mio principe azzurro mi colmò di baci lungo tutto il percorso fino al porto dove era ancorato il suo yacht; continuavo a galleggiare nel mio sogno nato dio sa da dove ma che mi aveva precipitato in un paradiso di bellezze e di dolcezze mai provate; il passato spariva dietro le mie spalle per quell’avventura meravigliosa.
Salpò all’alba e si avviò per me il viaggio più bello che potessi immaginare; il grande letto che occupava larga parte della sua cabina era in grado di ospitare tutte le evoluzioni possibili del sesso; mi scopò a lungo, con il sottofondo delle onde che sciabordavano contro lo scafo, in figa, alla missionaria, facendosi cavalcare, a pecorina; ogni volta era per me un viaggio nel piacere, nella libidine pura.
Si prese la verginità del culo, che avevo sempre negato a mio marito, e mi tenne il cazzo piantato in bocca per ore; si sfamò dei miei capezzoli grossi come fragole e dei miei seni morbidi e pieni; mi leccò infinitamente figa e culo facendomi sborrare un numero imprecisabile di volte; quando si fu ampiamente saziato del mio corpo, mi invitò ad andare in coperta; non avevo costume ma trovai in un cassetto bikini e slip; mi suggerì di tenere le tette al vento per abbronzarmi meglio.
Salii sulla tolda e trovai tre marinai che badavano alle manovre; lui era disteso su un lettino e sorseggiava una bibita; mi stesi al suo fianco e mi godetti il sole che in alto mare era ancora più vivido e bello; per una settimana navigammo, non sapevo in quale direzione, e non facevamo che scopare come scimmie; ogni notte era una lunghissima scopata in tutti i buchi; partiva sempre dal pompino in cui miglioravo la mia abilità, su quel cazzo enorme che ormai sentivo mio.
Poi era lui a leccarmi figa e culo in tutte le posture e a farmi sborrare continuamente; amava molto le mie tette e gran parte delle sue scopate si esercitavano con la spagnola in cui ero diventata maestra; il suo cazzo lunghissimo le attraversava tutte, la punta finiva sulla bocca ed io la ingoiavo unendo il pompino alla spagnola; gli piaceva moltissimo ed io godevo molto a sentire il suo piacere mentre lo succhiavo alla fine della corsa.
Quando decideva di prendersi la figa era un ariete; alla missionaria, mi scosciava al massimo e faceva in modo che il cazzo entrasse fino ai peli del pube; picchiava come un dannato ed io urlavo di piacere dalla penetrazione fino alla mia sborrata, perché lui era parco nelle sue; cercava tutte le posizioni per metterlo dentro; si faceva cavalcare viso a viso oppure dandogli io le spalle; in quel caso, si dilettava con il mio culo e con le tette che stringeva da dietro.
Sdraiato su un fianco, dietro di me, mi infilava il cazzo in figa, mi faceva alzare una gamba, quella libera, ed io sentivo la mazza sfondarmi il ventre; mi girava carponi e mi scopava a pecorina sbattendomi quasi a voler fare entrare in figa tutto il pube, ma godevo e molto mentre lo faceva; si godeva il mio culo in tutti i modi e mi stringeva per le tette attirandomi a se; realizzava le inculate dalla posizione più classica alle arditezze più acrobatiche.
Tutta la traversata non fu che una continua serie di scopate, intervallate da cene, pranzi e ore di sole; Ines aveva mandato al suo computer la conferma dell’anno sabbatico, annunciando altre novità di cui non parlava; quando finalmente approdammo in un porto, scesi per qualche ora con lui ed acquistai, con le sue carte di credito, qualche abitino per me.
La novità fu che salirono a bordo alcuni amici con i quali organizzò una cena a bordo, tutta gente della sua classe; non provai disagio, perché la mia bellezza e prorompenza erano una biglietto da visita indiscutibile; a fine cena, mentre bevevano del cognac, Rodolfo, sconvolgendomi, disse.
“Bada che Gerardo mette in discussione la tua enorme abilità a letto; dagli una dimostrazione!”
Per un attimo rimasi sconvolta; finalmente mi rendevo conto che ero solo una puttana, o al massimo una escort, ottenuta senza sforzo, con una scopata in giardino, e che il ‘padrone’ mi metteva a disposizione dei suoi amici ed invitati; ero in trappola, a chissà quanti chilometri da casa, in balia di un principe azzurro che si rivelava un orco.
Non mi restava che fare buon viso a cattivo gioco e mi feci guidare da Gerardo alla nostra cabina; non aveva un cazzo gran che interessante, leggermente sotto la media, e lo usava malissimo; mi riuscì facilmente ad avere buon gioco su un pivello, abbastanza giovane, al quale feci scoprire l’enorme godimento di entrare nel mio culo, che tenni stretto a bella posta, per scaricarsi in una sborrata alluvionale; per mia buona sorte, tra cena, liquori e sborrata crollò immediatamente.
Rimasti soli, Rodolfo mi portò in cabina e mi scopò come sempre, alla grande; ma stavolta il mio piacere era largamente offuscato dalla coscienza di essere stata usata da lui per farsi bello con gli amici e trattata da puttana pubblicamente; per tutta la settimana che facemmo sosta in quel porto, il gioco si ripeté con soggetti sempre nuovi; ogni volta, ero costretta a farmi scopare dall’amico di turno e, subito dopo, a farmi sbattere da lui come lo zerbino di casa; non avevo la forza neppure di vergognarmi.
Mi accorsi anche di movimenti strani nella stiva del natante; mi sorse il dubbio che tanta ricchezza avesse anche una fonte non proprio pulita; i viaggi per mare forse coprivano commerci particolari, ai quali mi auguravo di rimanere estranea, nella deprecata ipotesi che cadesse in una trappola delle forze dell’ordine; in ogni caso, non avevo nessuna possibilità di intervenire; paradossalmente, mi venne in mente la similitudine di Manzoni per don Abbondio, vaso di coccio tra vasi di ferro.
Mi ero lanciata in una favola da ragazzina imbecille e mi trovavo in un incubo da puttana al servizio di un padrone spietato e disumano, con un lavoro in bilico e un marito di cui avrei fatto meglio a dimenticarmi; a quel punto, il lusso persino sfrenato che Rodolfo e i suoi amici sbattevano in faccia assumeva un senso tragico e pericoloso; stavo recitando in un film horror mentre avevo creduto di entrare in un altro, da protagonista, come la principessa incantata.
Le mie nere previsioni trovarono presto conferma; per otto mesi, la nave fece sosta in tutti i porti del Mediterraneo, da quelli importanti ai meno noti, dai continenti alle isole più piccole e sconosciute; in ogni scalo, la storia era la stessa; cena a bordo con l’amico del momento che mi portava in cabina e mi scopava; subito dopo, era Rodolfo che mi sbatteva come uno straccio vecchio; ogni giorno mi imponeva un partner diverso; ne scopai di tutti i tipi, età, colore e qualità.
Fortunatamente aveva caricato una enorme scatola di preservativi di cui a tutti i ‘clienti’ imponevo l’uso per garanzia; solo lui preferiva scoparmi a pelle, perché era sicuro di me e di lui stesso; passarono dal mio letto sessantenni al limite delle possibilità, abilissimi nei giochi di mano e di lingua che, alla fine, si limitavano a scoparmi e crollare addormentati, sostituiti il giorno dopo da giovani baldanzosi forniti di grandi cazzi che mi sbattevano per bene prima di andarsene.
Scopai con uomini biondi, rossi e mori; con uomini bianchi, neri come l’ebano o di colore marrone tenue; con magrebini, africani, norvegesi, francesi, italiani; insomma con un casistica quasi infinita; in circa otto mesi, compresi i festivi, mi passarono addosso più di duecento individui; non avevo nessuno strumento per ribellarmi, sola su una nave nel Mediterraneo, senza riferimenti, senza aiuti, sola con il mio tremendo senso di colpa.
Molte volte fui tentata di suicidarmi; non sarebbe stato difficile una notte scivolare in acqua e lasciarmi andare finché i marosi mi avessero sommerso e portato a fondo, in quell’enorme cimitero che quel mare è diventato; ma un innato istinto di conservazione mi tratteneva sempre ad un passo dal gesto fatale, e la vigliaccheria mi impediva comunque di arrivare a una scelta così definitiva; finii per abbrutirmi ed accettare la mia condizione di schiava.
Eravamo verso Natale quando approdammo nel porto di partenza; lo riconobbi da lontano e, a mano a mano che ci avvicinavamo, distinguevo la città e gli addobbi natalizi; mi prese un certo magone; compiute le manovre di attracco, Rodolfo fece calare la scaletta e mi invitò a scendere; lo guardai con aria interrogativa.
“La tua favola finisce dove è cominciata; non sai niente di me e, qualunque cosa dicessi, non potresti dimostrarla in nessun modo; ringrazia la tua buona stella che non ti ho fatto buttare a mare; dimentica quello che è successo e addio!”
Scesi con le pive nel sacco, con l’abito meno elegante, ma per fortuna adatto al clima, e la mia borsa con poche banconote; presi l’autobus e mi feci portare all’indirizzo della mia vecchia casa; bussai al campanello della mia porta, mi aprirono.
“Ines! Che ci fai tu qui?”
“Laura!!!!! Tu, piuttosto, cosa cerchi qui?”
“E’ casa mia!”
“Era! Non lo è più; da quando è stata legalizzata la separazione, è rimasta proprietà unica di tuo marito che l’ha comprata; lui mi ha chiesto di vivere insieme e sono stata felice di accettare; non hai più nessun diritto. Ci sono solo poche cose tue di cui non ti sei mai curata, compresi i documenti personali e di lavoro; te ne faccio un pacchetto e te le recapito.”
“Non ho dove andare, non so cosa fare; non sono degna di tornare in questa casa, lo capisco da sola; ma mi appello alla nostra antica amicizia per chiederti aiuto; a Mauro nemmeno questo potrei chiedere, dopo il male che gli ho fatto.”
“Non è esatto; alla sua bontà potresti chiedere tutto; ma, visto che non sei morta come temevamo, ti giuro che ti ammazzo io, se cerchi di infilarti tra di noi e rompere la mia vita; io non sogno Cenerentole, vivo il quotidiano; se ti impegni a non disturbare il nostro equilibrio, sono pronta a cercare con te le soluzioni.”
“Credi che ce ne possano essere, per un’imbecille derelitta senza un soldo, senza una casa, senza speranze?”
“C’è sempre una via d’uscita, se si sa cercarla; il mio monolocale è ancora libero; forse sentivo che sarebbe servito, per questo non l’ho affittato ancora; puoi starci finché non ti sistemi; per questo primo mese, possiamo ospitarti, visto che sei al verde; puoi ancora riprendere il tuo lavoro, forse con altra destinazione; però, te lo ripeto, se cerchi di intortare Mauro e di riprendertelo, giuro che ti ammazzo; e non giuro mai invano.”
“Non lo farò, stai serena; cercherò di risalire la china, anche se dovrò penare ancora un poco. Mauro è al lavoro?”
“Si; ma siediti e aspettalo con me; pranzerai con noi e forse vi spiegherete; ma, mi raccomando … “
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