Passarono le vacanze estive, i giorni, i mesi e gli anni…
Continuavo a farmi scopare dal mio padrone ogni volta che potevo, ogni tanto si andava a trovare i suoi amici, si erano di gran lunga diradate le visite a Francesco e a sua madre e anche con Christian e il Riccio, se andava bene, ci si incontrava pochissime volte all’anno, se andavo in montagna.
Una sera, dopo essere una partita a calcetto con degli amici, decisi di tornare a casa.
Per la patente ci voleva ancora qualche annetto ed ero appiedato.
Per far prima decisi di passare attraverso un quartiere industriale, al centro del quale si trovava un ponte sul quale si era pensato di costruire un centro congressi.
Siccome si era scoperto che per legge i ponti non possono avere, per motivi di sicurezza, sovrastrutture, l’edificio era rimasto per anni inutilizzato e, ancora oggi, è dimora di disperati.
Nonostante fossero le 5 di sera, c’era già buio e in giro non si vedeva un’anima.
Arrivai al ponte. Davanti ad uno degli ingressi dell’edificio, attorno ad un bidone con un fuoco, stavano quattro persone.
Affrettai il passo, cercando di mantenere un basso profilo ma: “Hai qualche spicciolo?” Mi sentii chiedere.
Risposi negativamente e fu allora che venni bloccato per un braccio da un quinto individuo, che mi era arrivato alle spalle.
“Questa voce la conosco. – Disse – Sì, che lo conosco…”
Mi voltai ed ebbi un tuffo al cuore per la paura: il barbone dei cessi e della biblioteca.
“Amici, stasera ci divertiamo!” Esclamò.
Riuscii a divincolarmi e cominciai a correre: ero quasi a metà del ponte quando scivolai su un tombino bagnato e caddi.
Fui raggiunto prima che riuscissi a rialzarmi e, dopo avermi agguantato in due, fui trascinato all’interno del centro congressi abbandonato e ormai fatiscente.
Mi portarono in quello che doveva essere un auditorium e mi buttarono a terra.
Mi misi in ginocchio e mi trovai circondato: davanti a me il barbone che conoscevo, che ridacchiava, ai suoi lati stavano due ragazzi di colore alti, snelli e muscolosi, poi altri due tizi magri e male in arnese.
“Vi ricordate del tizio che ho scopato in biblioteca? E’ lui! E’ un frocetto affamato di cazzo! Guardate! - Disse tirandosi fuori l’uccello già duro davanti alla mia faccia. - Fa’ vedere ai miei amici cosa sai fare!”
“No! – Pregai – Ti prego! No!”
“Non ti ricordi come funziona? Che o fai quello che ti dico con le buone o lo fai lo stesso con le cattive? Ora succhiamelo!”
Allungai una mano e mi misi il suo pene maleodorante in bocca, spompinandolo e segandolo con forza.
“Vedete? Provate anche voi! Vi ciuccia l’anima!” esclamò agli altri, che, prontamente, si tirarono fuori i cazzi duri.
Uno degli Africani mi prese una mano e me la mise sul suo pene lungo ed eretto.
Ben presto mi ritrovai a succhiare e menare cinque uccelli dall’odore nauseante e forte.
Gli uomini ridevano di me soddisfatti, incitandomi nelle loro lingue sconosciute.
Speravo di farli sborrare il prima possibile per potermene tornare a casa ma, ad un tratto, il mio aguzzino mi fece smettere.
“Sai cosa devi fare adesso… Alzati!”
Immaginavo che cosa volesse farmi e non ne avevo la benché minima intenzione.
Mi rimisi in piedi e, presa la mia borsa, cercai di scappare ma fui placcato immediatamente dai due neri.
Il barbone dei cessi mi fu addosso, mi piantò un pugno in faccia da lasciarmi mezzo stordito ed ordinò agli altri di spogliarmi.
La foga che ci misero nel farlo fu folle: mi strapparono letteralmente la maglietta, mi abbassarono i pantaloni alle ginocchia per non farmi fuggire di nuovo e mi misero sdraiato a pancia sotto col sedere per aria.
Mentre mi tenevano fermo, il mio aguzzino avvicinò la cappella al mio ano.
Si sputò sul cazzo e, senza tante cerimonie, mi penetrò, inculandomi velocemente con affondi violenti.
Il mio culetto, ormai spanato, ricevette la sua nerchia senza sforzo.
Non ci mise molto a sborrarmi dentro.
Quando si staccò fu la volta dei due bianchi in rapida successione, che mi vennero nel culo in brevissimo tempo.
Infine fu il turno dei due neri e dei loro cazzi esagerati.
Mentre uno si faceva sbocchinare, l’altro mi impalava senza tanti complimenti, scavandomi dentro, in profondità a tal punto che, ad ogni spinta, si vedeva la sua cappella spuntarmi dalla pancia.
Non si preoccupavano neppure di farmi male o di farmi provare piacere.
Ero semplicemente un oggetto da usare: un secchio per svuotare le loro palle gonfie.
I due continuavano a parlare mentre mi fottevano bocca, culo e cervello ed io li lasciavo fare ormai in balìa dei loro desideri.
Ad un certo punto si staccarono da me, mi voltarono supino e ripresero a scoparmi come se fossi una fichetta.
Il mio aguzzino rideva, guardandomi, mentre si menava il pene ormai moscio.
Il negro che mi stava inculando con foga, ad un tratto emise un grugnito e mi inondò il retto di sperma.
Allora quello che mi stava ficcando il cazzo in gola, prese il suo posto, chiavandomi con violenza.
Io, nonostante tutto, ero in estasi: mi sborrai addosso, ansimando e mugolando come una troietta.
L’immagine dovette piacere molto alla mia vecchia conoscenza, che si chinò su di me mettendomi la sua nerchia in bocca.
I due vennero praticamente in contemporanea, lasciandomi poi lì, per terra, in preda agli spasmi, dovuti agli orgasmi.
Probabilmente mi ero addormentato e quando ripresi i sensi trovai il mio aguzzino semisdraiato su un divanetto intento a segarsi mentre mi guardava.
Mi misi a quattro zampe ed andai verso di lui, fermandomi tra le sue gambe. Gli sorrisi e, senza che dicesse nulla, presi a leccargli il cazzo.
Percorrevo l’asta su e giù piano, piano, indugiando sul filetto della cappella.
“Brava troia! Mi fai impazzire…” Mi disse.
Compiaciuto, ingoiai il suo pene, succhiandolo con forza. Lo sentivo crescere e pulsare dentro di me mentre andavo con la testa su e giù. Poi, quando fu durissimo, con lo sperma che ancora mi colava dal culo, mi misi a cavalcioni su di lui e guidai la sua nerchia sconcia, fradicia di saliva e siero dentro di me.
Immediatamente presi a muovere i fianchi velocemente, cavalcandolo.
Lui, per meglio sbattermi, mi afferrò con le mani le natiche e, con forza, mi alzava ed abbassava, facendomi assaporare meglio la sua voglia.
“Sì… Così… Sbattimi…” Dicevo, insaziabile di piacere.
Improvvisamente mi sentii afferrare alle spalle per il collo e abbassare in avanti violentemente.
Mi voltai e vidi uno dei negri che appoggiava la cappella nera al mio ano, che stava già venendo scopato.
Spinse senza riguardi aggiungendo il suo grosso cazzo a quello del mio aguzzino, che si muoveva freneticamente dentro di me.
Urlai per il dolore ma per poco perché il secondo nero mi tappò la bocca col suo pene lungo e lucido.
Al dolore si sostituì ben presto il piacere, fomentato dall’idea di quello che mi stavano facendo.
Ebbi un primo orgasmo anale e poco dopo, sborrai senza ritegno addosso al mio aguzzino.
Continuavano a montarmi come degli animali, veloci, forsennati e furiosi.
Era un groviglio di corpi sudati e ansimanti finché, uno dopo l’altro, dopo avermi riempito di sperma, si staccarono da me, che crollai nuovamente addosso al barbone sotto di me.
Dopo un po’ lui mi disse di rivestirmi e di andarmene, sicuro che non li avrei denunciati.
Dovetti rimettermi la divisa di calcetto e, con il loro seme che mi colava da ogni parte, tornai infreddolito a casa.
CONTINUA
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