Le nostre vacanze estive per quell’anno avrebbero avuto come meta finale la Spagna, ma per spezzare un po’ il lungo viaggio, dato che ci andammo in auto, decidemmo di fare tappa a Saint-Tropez, dove ci saremmo fermati per tre giorni.
Per lavoro avevo girato mezzo mondo, ma non ero mai stata in Costa Azzurra, mentre Manuel ne fu un frequentatore abbastanza assiduo prima che ci conoscessimo. Mi declamò il senso di libertà e di anti-conformismo di alcune località e fui entusiasta di andarci.
Partimmo da casa al mattino molto presto e, dopo un sereno viaggio di 460 chilometri in circa sei ore, durante il quale ci alternammo alla guida della mia cabrio, arrivammo all’Hotel che avevamo prenotato. Giusto il tempo per sistemare le nostre cose e fare un rapido spuntino, dopodiché ci fiondammo in una delle numerose spiagge naturiste presenti nei dintorni della cittadina.
Oziammo al sole e facemmo un po’ di bagni in attesa dell’ora di cena.
Rientrati in albergo eravamo un po’ stanchi per il viaggio, per cui decidemmo che quella prima serata sarebbe stata molto tranquilla. Scendemmo al ristorante, cenammo e concludemmo con una passeggiata al porto, che è anche il centro vitale della cittadina.
La giornata seguente andammo in una spiaggia diversa, più lontana e meno frequentata. La sabbia e l’acqua erano meravigliosi. I frequentatori, prevalentemente naturisti, erano molto rispettosi della privacy altrui, tutti molto sereni e sicuramente non ‘caciaroni’, a differenza di quello che si trova sulle spiagge tradizionali.
Dopo un paio d’ore di bagni, tintarella e lettura, andammo a farci una passeggiata sulla battigia. Durante il nostro camminare, notammo un certo andirivieni di persone dalla spiaggia alla pineta confinante. Dato che in quella zona non c’era un parcheggio, incuriositi andammo in esplorazione.
A differenza di alcune altre spiagge naturiste, ad esempio quelle di Cap d’Agde, a Saint-Tropez fare sesso in spiaggia non è tollerato, così i frequentatori che non possono resistere ai loro ardori si riversano nella pineta, lontani da occhi che non vogliono guardare ma, coloro che lo desiderano, possono addentrarsi già pochi metri tra gli alberi e i cespugli per godersi scene degne dei più audaci film porno.
Così vedemmo coppie etero, coppie omo, varie combinazioni numeriche di bisex, ammucchiate e via dicendo.
Poi, c’era la moltitudine di guardoni ed auto-erotisti che gravitava attorno ai vari teatrini sessuali.
I nostri gusti in fatto di situazioni erotiche sono più cerebrali e necessitano di un divenire più intrigante per esserne coinvolti, così tutto quel sesso ostentato non ci eccitò e ritornammo al nostro posto in spiaggia.
Trovammo molto più eccitanti, per fare un paio di esempi, la coppia di trentenni che era ad una decina di metri alla nostra sinistra, dove lui era sdraiato, probabilmente assopito, e la ragazza rannicchiata con la testa appoggiata sulla pancia del compagno, così che il suo viso era a meno di una spanna dal suo membro. Anche se non avvenne, il fatto che le sarebbe bastato abbassare la testa di pochi centimetri per prenderglielo in bocca, per noi rappresentò una scena molto più coinvolgente, piuttosto che vederle fare il pompino in diretta.
Oppure, la coppia che era dietro di noi: lei, una bella mora, forse cinquantenne, era sdraiata e leggeva, reggendo il libro con una mano; il suo uomo le stava molto vicino, appoggiato su un fianco. Notammo che lui muoveva quasi impercettibilmente il bacino e capimmo che la compagna glielo stava impugnando, molto discretamente, con la mano libera.
Proseguirono per qualche minuto, poi lui, evidentemente prossimo all’orgasmo, allungò la mano sulla patatina di lei, gliela pastrugnò per qualche secondo e quindi la ritirò. Era venuto senza grandi clamori; recuperò un asciugamano che mise tra loro, premurandosi di pulire il fianco della compagna sul quale arrivò la spruzzata di sperma, poi le diede un bacio che lei ricambiò sorridendogli e si mise a leggere anche lui.
La giornata trascorse in totale relax, fornendoci altri spunti di osservazione e confronto tra i nostri gusti e quello delle altre persone.
Rientrammo in hotel verso le 18, cosi avemmo tutto il tempo di farci belli per la serata. L’ambiente dell’albergo dove alloggiavamo era molto moderno e lussuoso, e il livello della clientela era al di sopra della media, se non piuttosto elevato in fatto di eleganza. Convenni con Manuel che il mio abbigliamento per le restanti due serate che ci rimanevano non avrebbe potuto essere quello sfoggiato a Kos o in Corsica, dove c’era una maggiore rilassatezza.
Così, dopo essermi fatta una bella doccia con tanto di scrub rinfrescante all’eucalipto, passai alla mia preparazione.
Quando prenotammo l’hotel fummo consapevoli del livello dello stesso, ma non del tipo di clientela che, ovviamente, non compariva nelle foto della struttura. Grazie alla nostra buona abitudine di mettere sempre in valigia abiti e scarpe per ogni possibile occasione si possa presentare, dal semplice aperitivo alla gran serata a teatro, avevo con me qualche vestito di livello superiore da indossare.
Scelsi quello bianco in seta, molto fasciante, lungo appena sotto il ginocchio ma con un profondo, anzi, profondissimo spacco anteriore.
Un tale spacco non permette di sedermi senza che la mia patatina sia inesorabilmente esposta, per cui indossai un piccolo perizoma color carne, in modo che la parte non risaltasse troppo e si potesse confondere con le gambe.
Ai piedi misi i sandaletti Swarovski ai quali, per il trucco degli occhi, abbinavo sempre un po’ di glitter altrettanto scintillante.
Infine, raccolsi i miei lunghi boccoli biondi in una bella e ampia treccia che faceva molto ‘bon-ton’ e che fermai con una fascetta anch’essa ricoperta di piccoli cristalli.
Dopo le ultime maniacali rifiniture, come di consueto, non feci mancare al mio amore la mia comparsa scenografica, entrando nel salotto della nostra suite facendo qualche ‘pirouette’.
Manuel rimase a bocca aperta, sorpreso di vedermi così agghindata, sebbene la nostra sarebbe dovuta essere una vacanza all’insegna della disinvoltura e della leggerezza.
Mi venne incontro, mi cinse i fianchi guardandomi intensamente negli occhi e mi disse: “Ci sarà mai una sera che non farai strage?”
Gli sorrisi complice, poi scendemmo al piano terra dove ci aspettava un’ottima cenetta romantica nel lounge.
Dopo cena, non avevamo molta voglia di uscire, per via della giornata di mare che aveva assorbito gran parte delle nostre energie. Così passammo all’esplorazione del grande albergo, alla ricerca di un posto dove rilassarci e magari ascoltare un po’ di musica.
Tra le varie proposte, in un grande salone da ballo c’era musica latino-americana (che Manuel non gradisce) e, in una sala più piccola, un ensemble jazz (che però sono io a non sopportarlo).
Fortunatamente, c’era anche la discoteca, così optammo per quest’ultima. Era un ambiente molto raccolto e raffinato, la musica era fantastica e ad un volume che consentiva di conversare tranquillamente a chi sedeva nei salottini. Ne occupammo uno e subito arrivò una cameriera molto carina che prima guardò intensamente me e poi si mangiò con gli occhi mio marito, alla quale ordinammo un paio di Mojitos.
“Questa volta sei tu ad aver fatto la prima conquista!” dissi a Manuel, manifestandogli il mio orgoglio.
“Le mie sono conquiste di riflesso alla tua bellezza. Le donne vedono te e pensano che se una così splendida creatura sta con quell’uomo, quest’ultimo debba avere qualche notevole risorsa: la più banale è la ricchezza ma, nel nostro caso, nemmeno lontanamente si immaginano le mille cose che ci legano e che i soldi sono al millesimo posto di questa lista.”
Conversammo ancora qualche minuto, poi gli chiesi se aveva voglia di ballare. Declinò l’invito ma insistette che ci andassi io. Fui inizialmente un po’ riluttante, ma poi mi decisi.
Il mio problema, se vogliamo chiamarlo così, è che, essendo una ballerina professionista, non riesco a ballare ‘tranquilla’ o ‘normale’. Bensì, inizio cercando di contenermi, ma poi mi lascio trasportare dalla musica e non riesco ad evitare di muovermi ‘da professionista’, con giravolte, passi laterali, incroci delle gambe e tutto quello che si vede nei balletti di danza moderna.
Tutto ciò senza che ci sia da parte mia una volontà di esibizionismo, ma genera negli altri due sentimenti avversi: ammirazione e invidia. Così, spesso mi si crea intorno il cerchio di gente che batte le mani e scandisce il ritmo, ma sono anche frequenti sgambetti e pestate di piedi, del tutto volontari, da parte esclusivamente femminile.
Quella sera cercai di controllarmi e mi godetti il momento spensierato. Guardavo spesso in direzione di Manuel che mi osservava ammirato e lo ricambiavo flirtando con gli occhi.
Dovetti anche svincolarmi da parecchi pavoni che, con cadenza regolare, venivano a farmi la ruota e a sciorinarmi mille complimenti e altrettante proposte, molte delle quali anche piuttosto esplicite. Dopo ogni respingimento, guardavo Manuel e lui rideva compiaciuto delle mie conquiste.
Tornai al nostro tavolo a prendere un po’ di fiato e a dissetarmi, e Manuel osservò: “Se fossi single, proverei un’enorme invidia per la facilità che hai ad avere ai tuoi piedi il novantanove percento degli uomini, e anche un certo numero di donne.”
“Non dovresti invidiarmi niente. Hai visto che assedio incessante? Ti garantisco che ne farei volentieri a meno per godermi qualche ballo in tranquillità!”
A mezzanotte la discoteca chiudeva per non disturbare il riposo dei clienti dell’hotel, così ci trasferimmo in uno dei bar. Ci accomodammo su un divanetto, ordinammo due acque toniche e rimanemmo a conversare.
Ad un tratto scorsi un signore, distinto e con una certa disinvolta eleganza, seduto su uno sgabello al banco del bar che, quando incrociai il suo sguardo, alzò nella mia direzione un calice di Champagne in segno di buona salute. Istintivamente gli sorrisi e ricambiai il saluto alzando il mio bicchiere. Anche Manuel ricambiò cortesemente il saluto chiedendomi: “Non è uno di quelli che ti hanno tampinato in discoteca, vero?”
“No, però anche lì era seduto al bancone. Continuava a guardarmi e mi sorrideva.”
Cambiammo discorso ma fummo interrotti da un cameriere che arrivò con una bottiglia di Champagne in ghiaccio con due coppe, dicendo che era omaggio del signore laggiù. Guardammo in direzione del tizio indicatoci dal cameriere e lui ci salutò nuovamente.
Accettammo l'omaggio e Manuel fece cenno al signore di venire ad accomodarsi al nostro tavolo.
Mio marito si alzò per salutarlo e lui ricambiò molto cordialmente ringraziandoci; a me prese la mano, accennò a farmi il baciamano e disse di chiamarsi Max. Lo invitammo nuovamente a sedersi e ci presentammo anche noi.
Max era francese e abitava vicino a Parigi, aveva circa sessant’anni, brizzolato senza accenno di calvizie, molto galante, sicuramente con un’educazione superiore alla media e benestante. Vestiva sobrio, con pantaloni color crema, camicia di lino bianca, maglioncino verde mela sulle spalle e scarpe da vela.
Mi fece un sacco di complimenti, sia per il mio aspetto che per il ballo del quale rimase molto colpito.
Manuel mi incoraggiò a raccontargli i miei trascorsi professionali nel mondo dello spettacolo e non mancai di fare cenno ai due anni che vissi a Parigi per lavorare al Crazy Horse.
Alle mie parole fece un balzo sulla sedia e disse che, in quel tempio dell'erotismo più raffinato, solo le donne più belle e sensuali del mondo potevano lavorarci e che io ero tra loro.
Fui molto lusingata dalla galanteria di quel complimento e mi tornò in mente quanto la reclutatrice del Crazy Horse aveva insistito per scritturarmi e, dopo sei mesi di sue estenuanti insistenze, accettai a fronte di un compenso stratosferico con il quale, assieme a qualche risparmio, potei comprarmi l’appartamento in centro a Milano.
Max era un brillante conversatore e aveva voglia di raccontarci di sé: ci disse di essere vedovo da circa dieci anni di Eveline, una bellissima donna di cui ci mostrò la fotografia, che amava alla follia e che non avrebbe più voluto risposarsi in segno di rispetto nei suoi confronti. Aggiunse anche che noi gli ricordavamo loro due perché era riuscito a percepire l’intensità del nostro amore e della nostra complicità.
Finimmo insieme la bottiglia che ci aveva offerto e disse di non volerci rubare altro tempo, scusandosi per essersi intromesso nella nostra serata. Gli esprimemmo che, invece, la sua compagnia ci aveva fatto molto piacere. Infine ci chiese quali fossero i nostri programmi per i giorni successivi.
Gli riferimmo che il giorno seguente per noi sarebbe stato l’ultimo a Saint-Tropez, e che poi saremmo partiti per la Spagna, per cui avremmo trascorso la giornata al mare prima di affrontare un giorno intero di viaggio. Ci propose che, se avessimo gradito, avremmo potuto incontrarci per il dopocena e che ci avrebbe portati in un bellissimo locale dove, se lo avessi voluto, avrei potuto ballare ancora.
Accettammo volentieri e ci salutammo.
Appena si chiusero le porte dell’ascensore che ci avrebbe portati al piano della nostra camera, Manuel mi strinse a sé, mi baciò appassionatamente e approfittò del profondo spacco anteriore del mio vestito per infilare la sua avida mano in mezzo alle mie cosce.
C’era solo la mia sottile mutandina trasparente a fare da barriera tra il mio sesso e l’irruenza dei suoi toccamenti che mi faceva perfino barcollare.
Purtroppo, la corsa dell’ascensore fu breve.
Arrivati in camera, ci rendemmo conto che era molto tardi. Manuel mi chiese di sdraiarmi sul letto senza spogliarmi: aveva voglia di toccarmi ancora e lo lasciai fare per un po’, ma gli dissi che, pur avendone molta voglia anche io, ero abbastanza stanca e di non aspettarsi una super performance. Avremmo avuto modo di sfogarci l’indomani, che sarebbe stato il quarto giorno senza sesso, cosa per noi piuttosto rara.
Mio marito mi sorrise, raccolse tutta la sua forza di volontà e mi lasciò andare a prepararmi per la notte.
Povero! Mi immagino lo sforzo che dovette sopportare per non scoparmi in quel momento.
La mattina seguente fummo svegliati dalla reception alle 9,30 in punto: ci chiedevano se potevano servirci la colazione in camera. Chiesi a Manuel se ne sapeva qualcosa, ma mi rispose che non aveva ordinato nulla. Il concierge insistette, precisando che avevano un ordine tassativo, così dissi di mandare pure il cameriere.
Manuel riprese a ronfare, mentre io cercai velocemente di indossare qualcosa, dato che dormiamo sempre completamente nudi. Feci giusto in tempo a raccattare un pantaloncino e una t-shirt che bussarono alla porta.
Entrarono due camerieri: il primo spingeva un enorme carrello zeppo di ogni cosa immaginabile per fare colazione, comprese le uova che avrebbero potuto cuocere al momento nel modo che avremmo preferito. Quando entrò il secondo ne vidi praticamente solo le gambe, talmente era grande il mazzo di fiori che trasportava. Era composto da gigli, strelitzie, iris, lilium e rose. Mi chiese se volevo che li sistemasse in un vaso. Presi il bigliettino che lo accompagnava e vi lessi: “Con grande ammirazione, Max”.
“Accidenti, amore! Questa sì che è una conquista!” esclamò Manuel che, nel frattempo, si era ridestato e concluse: “Altro che la mia cameriera…”
“Cavolo, non abbiamo nemmeno il suo numero per ringraziarlo.” replicai.
“Non preoccuparti adesso. Lo ringrazieremo stasera.” concluse.
I due camerieri terminarono di prepararci la colazione e di sistemare ‘la serra’ e se ne andarono, rassicurandoci che la mancia l’avevano già ricevuta.
Fatta colazione, ci preparammo per la nostra giornata di mare e uscimmo.
In spiaggia parlammo un paio di volte di Max, rallegrandoci del fatto che si riescano ancora a trovare persone raffinate e di classe, in mezzo a tanta mediocrità che ci affligge.
Non volemmo strafare con bagni e tintarella per non stancarci troppo. Dopo cena, ci aspettava Max per portarci nel locale che ci aveva descritto essere veramente particolare ed esclusivo. Così, dopo qualche ora di ozio e di lettura, intervallati da un po’ di sano voyeurismo osservando gli altri frequentatori della spiaggia naturista, rientrammo in albergo verso le 17.
Come sua abitudine in vacanza, Manuel fece la doccia per primo, così da lasciarmi campo libero con i miei rituali fatti di cosmetici, trucco, capelli, etc.
Mentre mi facevo la doccia, mi vennero in mente molti film che erano stati ambientati a Saint-Tropez, la maggior parte girati negli anni ‘60 e ’70, quando la cittadina, allora poco più di un paesotto, era il clou delle località balneari europee.
Così, con l’abbigliamento e tutto il resto che scelsi per la sera, volli immedesimarmi in quelle atmosfere spensierate e gioiose.
Iniziai con i capelli, cercando di domare i boccoli, lisciandoli con la piastra e usando quantità abnormi di prodotti stiranti, così che, finalmente, vinsi la mia estenuante lotta all'ultimo ricciolo.
Li portai tutti indietro per lasciare la fronte libera e li fermai con un accessorio tipico di quell’epoca gloriosa: una ampia fascia dello stesso colore del vestito che tra poco descriverò.
Nel trucco per gli occhi in stile anni ’70, non può mancare il ‘Cut crease’ che ai giorni nostri desta sempre molta sorpresa, essendo oggi poco conosciuto in quanto usato solo in particolari occasioni perché veramente elaborato e lungo nella preparazione, ma che è veramente spettacolare e super scenografico. Così, iniziai il lavoro certosino di definire le linee con le matite, per poi applicare le varie tonalità di colore. La tinta base era un arancio intenso che sfumai con l’ombretto oro.
Con questo trucco, i miei occhi, già notevoli, sembravano il trenta percento più grandi e, pur essendo nocciola, sparavano come fari nella notte.
Per la bocca, la moda dell’epoca imponeva il contorno labbra di un tono un po’ più scuro, rispetto al rossetto che scelsi dello stesso colore del vestito.
Infine... rullo di tamburi… l’abbigliamento!
Quando misi questo capo in valigia, pensai che non avrei mai e poi mai avuto modo di indossarlo. Invece, eccolo qua, in una occasione che non poteva essere più appropriata, poco più di due giorni dopo la partenza. Aprii con cura la busta che lo conteneva e lo tirai fuori come una reliquia. Adesso, finalmente, vi toglierò la curiosità e svelerò il motivo di tanta suspense.
Trattasi di un paio di pantaloni rosso fuoco, originali del 1972, confezionati con un favoloso crêpe satin, leggerissimo ma non trasparente, liscio ma con un fondo vellutato che mi fa venire la libidine solo a pensarci. Quando me li infilai e sentii quell’incredibile tessuto scorrermi sulla pelle e avvolgermi le gambe, provai una vera e propria eccitazione sessuale.
Sono aderentissimi fino al ginocchio, per poi scampanarsi, non esageratamente, fino ai piedi. Sul davanti, salgono con due fasce separate che lasciano scoperto l’ombelico per avvicinarsi sotto il seno, formare una scollatura a ‘V’ e congiungersi dietro al collo, lasciando la schiena completamente nuda.
Guardandomi di spalle, la fascia dietro al collo rimane completamente nascosta dai capelli, così che si ha l’impressione che indossi solo i pantaloni e che sia in topless.
Si portano tassativamente senza biancheria intima, data la loro eccezionale leggerezza e aderenza, ma sono modellati così magistralmente che, pur disegnando delicatamente il contorno del pube, non segnano il solco centrale, così da essere tremendamente sexy ma non volgari.
Manuel non li aveva mai visti, da quando li scovai in un negozio di abbigliamento vintage a Londra, poco prima che ci conoscessimo. Da allora, non li avevo mai messi. Penso che, se fosse stato il contrario, ne sarebbe stato gelosissimo.
Completai il look con un paio di sandaletti, ovviamente rossi, dalla linea tipicamente ‘seventies’, con laccetto sopra la caviglia, tacco di altezza media e piuttosto massiccio, come imponeva lo stile che stavo facendo rivivere, ma che favoriva il mio equilibrio durante il ballo.
Dopo un soffio di profumo, fui finalmente pronta. Quasi non osavo guardarmi allo specchio, per evitarmi il capogiro che mi viene quando il mio livello di fighezza raggiunge certi apici. Scusate la doverosa immodestia, ma ero veramente stratosferica e sembravo essere arrivata negli anni duemila teletrasportata dalla macchina del tempo.
Prima di mostrarmi a mio marito, cercai sul cellulare il brano ‘Disco Inferno’ (che nel ballo è sempre stato uno dei miei cavalli di battaglia), lo sparai a palla e feci a Manuel uno dei miei ingressi con il botto. Fortunatamente, non era seduto, se no si sarebbe ribaltato.
Mi guardava esterrefatto e io ballai girandogli intorno, muovendo le braccia e le mani nello stile tipico disco-music, fissandolo con uno sguardo che avrebbe potuto perforare il calcestruzzo.
Manuel non resistette a cingermi la vita e ad assaporare in anteprima i miei fianchi e il mio sedere, fasciati da quei pantaloni che li trasformavano in una irresistibile esortazione ad essere accarezzati.
Poi, inevitabilmente, spostò la mano sulla mia patatina, sfregandola con decisione e gustandosi la sua morbidezza invitante. Lo lasciai fare per circa un minuto, continuando a baciarlo ardentemente, ma fui costretta ad interromperlo, altrimenti sarei dovuta saltargli addosso all’istante per soddisfare la mia voglia di sesso, che era cresciuta costantemente durante tutta la giornata e che si era impennata da quando mi ero vista allo specchio.
Uscimmo dalla nostra camera e già la prima coppia che incrociammo nel corridoio mi guardò stupefatta.
Mio marito era al culmine del suo orgoglio e con una evidente erezione, già dopo trenta secondi che eravamo in giro. Figuriamoci cosa non avrebbe provato durante il resto della serata.
L’ascensore ci portò nella hall, a quell’ora piuttosto affollata. Presi per mano Manuel e usai tutta la mia forza di volontà e le mie energie per assumere l’aria di quella che non fa assolutamente caso al fatto di essere al centro dell’attenzione, mentre mio marito non riusciva a dissimulare i suoi sentimenti di fierezza per avermi al suo fianco, vedendolo osservare a tappeto tutti gli uomini che mi divoravano con gli occhi.
Quella sera cenammo nel ristorante principale dell’hotel. Manuel comunicò la prenotazione al maître che ci accompagnò ossequiosamente al nostro tavolo.
Prese le nostre ordinazioni e si allontanò. Mio marito era a dir poco raggiante. Prima che ci servissero gli antipasti, venne al nostro tavolo un signore molto distinto che si qualificò essere il direttore dell’Hotel, ci diede il benvenuto, si complimentò con me per l’originalità del mio look, ci chiese se fino ad ora tutto fosse stato di nostro gradimento e ci augurò un buon proseguimento di serata, ringraziandoci di aver scelto la struttura da lui diretta. Infine, si congedò facendomi il baciamano.
Le persone che occupavano i tavoli intorno al nostro ci guardavano incuriositi, chiedendosi chi cavolo mai fossimo per ricevere un tale benvenuto e, alcuni di loro, penso per non rischiare di fare la figura di quelli che non ci avevano riconosciuto, ci salutarono a loro volta. Sorridemmo per questa situazione che per noi, non avvezzi e molto rifuggenti dal jet-set, ci sembrò addirittura comica.
Terminata la deliziosa cena, ci trasferimmo nella hall, dove avevamo appuntamento con Max. Ci vide arrivare e ci venne incontro. Così agghindata, quasi non mi riconobbe, ed espresse molto vivacemente la sua sorpresa facendomi mille complimenti. Mi prese una mano e mi fece fare un giro su me stessa per potermi ammirare meglio. Poi salutò calorosamente Manuel, sottolineando anche a lui quanto fossi seducente.
Lo ringraziammo per quanto fosse stato gentile ad inviarci la colazione e per i fiori meravigliosi. Rispose che era il minimo che potesse fare per averlo onorato della nostra compagnia.
Ci annunciò che la nostra auto ci stava aspettando per condurci al locale dove aveva prenotato. Uscimmo dall’hotel dove, a fianco di una lussuosa berlina scura, parcheggiata davanti all’ingresso, l’autista attese che ci avvicinassimo per aprirci le porte. Il giovane mi osservò salire e mi mangiò con lo sguardo. Max si sedette davanti e partimmo.
Il tragitto fu breve. Quando arrivammo, dal finestrino vidi che davanti al locale c’era una coda di circa trenta o quaranta persone in attesa di entrare.
L’autista scese velocemente e aprì per primo il mio sportello, poi quello anteriore di Max che attese che anche Manuel scendesse. Ci precedette in direzione dei due mastodontici buttafuori che sorvegliavano l’ingresso. Loro lo salutarono e ci invitarono ad entrare immediatamente saltando la coda, aprendoci il varco posto davanti a loro, salutando anche noi molto cordialmente.
Evidentemente, Max era un habitué di quel luogo e gli riservavano un trattamento speciale. Ad attenderci nell’ingresso c’era un addetto con lo smoking che ci pregò di seguirlo e ci condusse nella zona VIP, anch’essa sorvegliata da un altro colosso di colore.
Il locale era veramente splendido, moderno e raffinato, con delle bellissime luci che gli conferivano un’atmosfera scenografica ma molto accogliente. Il salotto a noi riservato era prospicente alla pista da ballo, ancora quasi vuota, e rialzato di circa un metro rispetto al piano principale.
Giusto il tempo di sederci e due camerieri arrivarono con lo Champagne e con un vassoio di stuzzichini dall’aspetto molto invitante e ricercato. Max congedò i camerieri e si premurò lui stesso di riempire i bicchieri, poi alzò la propria coppa e brindò ‘Alla bellezza di tutte le donne’.
Ci chiese se avessimo trascorso una bella giornata e ci raccontò che lui aveva giocato a golf, sfidando un suo tenace concorrente.
Poi si rivolse a me, dicendo che era curioso di sapere di più della mia carriera di ballerina e mi fece ancora tantissime domande sul Crazy Horse e sugli altri luoghi o spettacoli dove avevo lavorato. Gli raccontai dei miei inizi alla Scala di Milano, della carriera nelle TV nazionali italiane, degli spot pubblicitari e dei telefilm e sceneggiati di varie produzioni internazionali, fino alla mia totale saturazione da lavoro e alla decisione di dedicarmi ad altro e, infine, all’incontro con mio marito, avvenuto poco tempo dopo.
Ciò gli fu da spunto per raccontarci ancora della sua adorata Eveline e di altri particolari della sua vita.
Nel frattempo, la serata si era scaldata e la musica ad un maggior volume attrasse parecchia gente in pista. Max mi incoraggiò a buttarmi nella mischia; afferrai Manuel e me lo trascinai appresso. Lui, solitamente riluttante al ballo, si lasciò andare, così ballammo per una quindicina di minuti, mentre Max e un sacco di altra gente non mi toglievano gli occhi di dosso. E sì che ce ne erano di belle ragazze, e anche più giovani di me!
Tornammo al nostro tavolo per bere e fare compagnia a Max. Il DJ mandò una serie di balli latini, così invitai Max a ballare; inizialmente si schernì, sostenendo che non sarebbe stato alla mia altezza e che mi avrebbe fatto sfigurare, ma io insistetti e, infine, lo convinsi a lanciarsi.
Ballammo tre o quattro brani. Poi, quando misero un pezzo disco, facemmo ritorno da mio marito. Max appariva visibilmente felice di aver ballato con me e non finiva più di ringraziarmi per avergli dato quella possibilità.
Arrivò al nostro tavolo un suo amico che lo salutò e si complimentò per la sua bellissima dama, ma Max, correttamente, lo informò che ero la dama di un altro e presentò mio marito al suo amico che, dopo un po’ di chiacchiere, se ne andò.
La serata proseguì in allegria. Io ballai ancora parecchio e, nel frattempo, portarono al nostro tavolo altri drink e una nuova serie di stuzzichini diversi dai precedenti.
Verso le 0,30 informammo Max che noi saremmo dovuti rientrare in albergo, perché al mattino ci attendeva il nostro viaggio di 600 chilometri fino a Barcellona (e tra me pensai che, prima di andare a dormire, volevo anche farmi una bella scopata con il mio amore).
Max comprese e disse che ci avrebbe riaccompagnati in hotel. Prese il cellulare e fece per chiamare la macchina, ma noi gli dicemmo che, visto il breve percorso, avremmo preferito fare una passeggiata. Lui accettò con entusiasmo, fece un cenno al maître di segnare sul suo conto e uscimmo dal locale.
Durante la passeggiata, Max espresse il rammarico di non aver visto qualche balletto che feci in televisione, ricordando che a lui e ad Eveline piacevano tanto i varietà come li facevano fino a qualche decennio prima.
Guardai negli occhi Manuel in cerca della sua approvazione che, nel nostro linguaggio senza parole, intesi subito essere un ‘Ok’, così dissi a Max che, per ringraziarlo della sua squisita ospitalità, avremmo potuto prendere dalla nostra camera il mio telefono, dove conservavo molti video dei balletti ai quali avevo partecipato per mostrarglieli.
Quasi non credeva alle sue orecchie e ci invitò a salire nella sua suite, dove avremmo potuto collegare il mio dispositivo alla TV per vederli meglio.
Quando fummo in camera nostra, andai a fare pipì e Manuel si affacciò alla porta del bagno dicendomi: “Che intenzioni pensi che abbia Max invitandoci nel suo appartamento?”
“Ha detto che gli sarebbe piaciuto vedere i miei filmati sul televisore. Lo capisco, perché sul cellulare non si vedrebbe niente…”
“Mah, io sospetto che abbia qualche altra intenzione, anche se sicuramente la sua eleganza e gentilezza possono mascherarla bene.”
“Credi? Ti dico subito che non ho nessunissima intenzione di fare una cosa a tre, tantomeno di scoparmelo davanti a te. Ho una tremenda voglia di fare sesso, ma desidero farlo solo con te.”
“Ok, amore. Lo stesso vale per me. Stiamo a vedere dove va a parare.”
Mi diedi una rinfrescata alle parti intime, una guardata allo specchio, recuperai il cellulare e uscimmo dalla camera. La suite di Max era all’ultimo piano della struttura.
Bussammo alla porta e lui ci aprì, dandoci il benvenuto nel suo appartamento che era molto grande, aveva un’ampia camera da letto in open space con il salone, un salotto con divano e poltrone, due bagni e una zona pranzo.
Ci offrì da bere, accese il televisore e aprì l’interfaccia a video che ci permise di accoppiare il mio cellulare e proiettare i contenuti multimediali sul grande schermo.
Avevo già in mente i filmati da mostrargli, così selezionai il primo che mandai in riproduzione. Riconobbe subito la colonna sonora della sigla del programma che, all’epoca, fu una hit a livello internazionale. Il balletto iniziò e gli chiesi di riconoscermi tra le altre ballerine. Non ci riuscì al primo colpo, così mi indicai avvicinandomi allo schermo ed esclamò: “Wow! Però, non ti avrei riconosciuta!”
Gli risposi che era comprensibile: nella maggior parte dei balletti, eravamo pesantemente truccate e spesso con acconciature che non avremmo mai portato nella vita normale, per non parlare che erano ormai passati dai venti ai trent’anni e che il tempo inevitabilmente trasforma.
Con mia sorpresa, anche Max sostenne, come da sempre anche Manuel, che ora sono molto più affascinante e attraente di quando ero giovane. Caricai un secondo video e lui lo guardò con enorme attenzione cercando di riconoscermi, e questa volta ci azzeccò quasi subito.
Enfatizzò molto la difficoltà di diversi passi che vedeva eseguire e si chiese come era possibile rimanere in piedi a quella velocità e con tanto coordinamento.
Ovviamente, gli risposi che per un balletto di tre minuti ci allenavamo per settimane e facevamo innumerevoli prove.
Arrivammo ad un punto del terzo filmato dove io e le mie colleghe, in penombra, sembravamo avere una sola gamba e rimanevamo ferme in quella posizione per almeno trenta o quaranta secondi, intanto che i ballerini maschi sfilavano tra noi, piroettandoci intorno.
“È incredibile!” esclamò, “Ma come avete fatto a sembrare di avere una sola gamba?” mi domandò.
Feci mente locale, cercando le parole in francese per potergli descrivere la posizione della spaccata verticale con la gamba alzata dietro alla schiena; feci prima a fargliela vedere.
Chiesi a Manuel di avvicinarsi per potermi appoggiare (non ho più vent’anni!) e alzai la gamba destra, fino a che non fu parallela al mio busto, poi ruotai l’anca, portando la gamba dietro alla schiena. Infine, piegai il ginocchio e... voilà: guardandomi di fronte, la mia gamba destra non c’era più!
“Fantastico, incredibile! E l’ho visto in diretta a due metri di distanza!” Max aveva gli occhi fuori dalle orbite. Manuel era in visibilio, anche perché non mi ero assolutamente resa conto che, complici i miei pantaloni attillatissimi, in quella posizione non c’era forma o piega delle mie parti intime che non venisse enfatizzata ed esposta.
Mentre rimanevo ancora in posizione, guardando il nostro esterrefatto spettatore, Manuel si mise dietro a me, come se fosse il mio partner di ballo, e mi cinse con il braccio sinistro appoggiando la sua guancia alla mia. Riportai la mia gamba destra a lato, distendendola nuovamente verso l’alto. Lui mise la sua mano destra a prendermi il polpaccio, poi la fece scorrere lentamente verso la coscia e la percorse tutta, fino ad arrivare al gluteo. Ad occhi profani, avrebbe potuto passare per ballerino pure lui.
Max, che per vedere meglio i filmati si era seduto su una poltroncina a lato del letto, era ammutolito e teneva gli occhi sgranati, osservando mio marito accarezzarmi. Guardai Manuel con occhi complici che lui ricambiò, e ci intendemmo al volo di dare una svolta piccante a quel frangente ed offrire a Max qualcosa che avrebbe ricordato per sempre.
Lentamente, Manuel spostò la mano dal gluteo fin sulla mia patatina. Lo fece applicando una certa pressione che diede alla sua manovra un’impronta decisamente lussuriosa, togliendole anche ogni seppur remoto dubbio sulla sua esplicita intenzionalità.
Max si accomodò meglio contro lo schienale della poltroncina e assunse l’espressione tipica di colui che sta pregustandosi uno spettacolo straordinario.
Mio marito continuava a muovere verticalmente la sua mano lungo la mia spaccata intima, mentre con il braccio destro mi aiutava a sorreggere la gamba protesa al cielo. Mi voltai verso di lui e chiusi gli occhi, invitandolo a baciarmi. Il mio interruttore sessuale era stato attivato ed ero incondizionatamente disponibile a fare e farmi fare tutto ciò che il mio amore avesse voluto.
Il bacio appassionato, la lingua di Manuel tra le mie labbra e la sua mano che pastrugnava il mio sesso in maniera veramente oscena e indecente, mi provocarono una prima abbondante colata di umori che sentii scendermi lungo la gamba appoggiata a terra, immaginandomi i rivoli che bagnavano i sottili pantaloni, evidenziandosi nella loro corsa verso il mio ginocchio.
Abbassai la gamba e mio marito spostò le mani sui miei seni che strinse nei palmi, prima sopra il tessuto e poi sotto.
Max fece cenno di alzarsi dalla sua seduta. Io fui pronta e, con il sorriso sulle labbra, ma con un gesto perentorio della mano, gli intimai di rimanere al suo posto, facendogli anche capire che sarebbe stato solo spettatore.
Comprese e accettò immediatamente il suo ruolo, rimettendosi accomodato sulla poltroncina.
Manuel, intanto, aveva aperto il gancetto della fascia dietro al mio collo e, di conseguenza, il corpetto scivolò in basso scoprendomi le tette. Spostò il suo tocco sui miei fianchi con sapiente lentezza, prese il bordo dei pantaloni e me li fece scorrere fino alle caviglie. Alla vista della mia totale nudità, Max pronunciò un altro sonoro ‘Wow!’.
Sfilai i pantaloni dai miei piedi senza togliermi i sandaletti, mi girai verso mio marito e lo baciai nuovamente, mentre lui mi teneva le mani strette sui glutei.
Spostai le mie a slacciargli i pantaloni che scivolarono lasciandolo con i boxer che poco riuscivano a contenere la sua potente erezione. Si slacciò la camicia e si liberò anche di scarpe e calzini. Nel frattempo, gli sussurrai: “Gli mostriamo il nostro migliore repertorio?”
Camminando qualche passo all’indietro verso al letto, trascinai con me Manuel che attese che mi sdraiassi in centro, per poi inginocchiarsi tra le mie cosce che avevo spalancato per offrire il mio sesso alla sua vorace bocca.
Non tardò a tuffarvisi in mezzo e diede il via ad una sequenza di leccate pazzesche. “Mamma mia, che lingua!” esclamai nella mia mente. Portai la mia mano sulla sua testa e gli infilai le dita tra i capelli.
Allargai ancora di più le gambe finendo, senza volerlo, a fare un’altra spaccata frontale retroversa.
Mentre Manuel limonava con il mio clitoride, avevo tenuto sempre gli occhi chiusi, perfino dimenticandomi della presenza di Max a due metri da noi.
Mi voltai verso di lui e, per un momento, schiusi gli occhi languidamente. Vidi che aveva tirato fuori dai pantaloni il suo membro e si stava segando lentamente.
Richiusi gli occhi e decisi di lasciarlo fare: reputai comprensibilissimo che fosse eccitato e che volesse sfogare la tensione sessuale che gli si stava accumulando. Riportai la mia concentrazione su quello che Manuel stava facendomi in mezzo alle cosce e gli dissi sospirando: “Amore, voglio farti anch’io…”
Mi diede ancora qualche lappata, poi si sdraiò al mio fianco. Mi alzai, invertii la mia posizione scavalcandolo e mi misi a ‘69’.
Avvicinai il mio viso al suo pacco ancora avvolto dai boxer aderenti e iniziai a leccarglielo bagnando abbondantemente il tessuto bianco che glielo fece trasparire.
Intanto, lui non desisteva dal leccarmela metodicamente. Invocai gli dei che mi aiutassero a trattenere l’orgasmo. Al momento mi furono propizi, ma non mi evitarono un’altra colata di miele che si sparse sul viso del mio amore.
Gli abbassai i boxer, aprii la bocca e feci uscire tutta la lingua. Gli appoggiai sopra il glande e li ritrassi entrambi nell’avido orifizio, serrando le labbra e lasciando all’immaginazione di Max fantasticare sul duello, senza esclusione di colpi, che si stava ingaggiando tra il cazzo di mio marito e la mia lingua.
Non volevo portare Manuel troppo vicino all’orgasmo, perché ambivo a mostrare al nostro spettatore un numero più alto possibile di modi nei quali mi piace essere scopata, così reputai fosse giunto il momento di cambiare posizione ed iniziare a scopare seriamente.
Mi alzai dal ‘69’ e mi sdraiai su un fianco, stendendo una gamba sul letto e portando l’altra in aria. Manuel si posizionò a cavallo della mia gamba appoggiata e mi penetrò dolcemente, aggrappandosi a quella in aria per arrivarmi in profondità. Questa, nel Kamasutra, è chiamata ‘Il salvataggio’, ma le mie articolazioni di ballerina mi permettono la variante della gamba distesa in alto.
Poi abbassai la gamba, mi voltai in po’ di lato protendendo il culetto indietro e fummo nella posizione detta ‘I cucchiai’.
Successivamente, mi misi a pancia in giù, alzando il bacino, e Manuel infilò le sue gambe sotto le mie, così diventammo ‘Lo Scorpione’, che è una posizione scenografica ma mi stimola poco.
Dallo ‘Scorpione’ alla ‘Libellula’ il passo fu breve e, dopo questa, mi venne naturale girarmi, facendo perno sul pisello per mettermi ‘ad Andromaca’, poi ‘a cavalletto’, per concludere con la classica cavalcata alternata con quella ‘della rana’.
Dopo otto diverse posizioni, guardai Max che ormai si stava segando vigorosamente.
Avevo necessità di un orgasmo. Chiesi sottovoce a Manuel a che punto fosse e mi diede il via libera.
Divaricai quanto più possibile le mie cosce e ripiegai le gambe sopra le sue. Roteai a più non posso il bacino e sentii il cazzo di mio marito indurirsi oltre misura, preannunciando la sua imminente esplosione.
Emisi una nuova colata di miele e sentii scoccare la classica saetta elettrica che mi corre lungo la schiena. Strinsi il più possibile i miei muscoli vaginali, diedi ancora due o tre colpi micidiali a mio marito e, finalmente, deflagrammo all’unisono, urlando tutto il nostro piacere.
Le schizzate di sperma di Manuel sembravano non finire mai, e io ebbi una sequenza di contrazioni di ventre e vagina che mi fecero perfino girare la testa, tanto che crollai sul letto quasi senza controllo.
Manuel, in onore del nostro silenzioso spettatore, volle fare lo ‘sborone’: approfittò di avermi lì, inerte, sdraiata sul letto, per alzarmi le gambe, aprirmi le cosce e buttarsi sulla mia vulva, leccando tutto quello che ne usciva. Ne raccolse una certa quantità sulla lingua e poi venne ad infilarla nella mia bocca già parzialmente aperta in cerca di ossigeno.
Nel mentre faceva questa porcellata, non pago e con il cazzo ancora duro, me lo infilò nuovamente e prese a scoparmi con decisione. Inizialmente, ero ancora senza forze e fuori di testa, tanto che rimasi praticamente inerme, tipo ‘bambola di silicone’, ma le sue insistenti e ritmiche pompate riaccesero i miei interruttori, riportandomi ad essere attiva.
Iniziai a muovere il bacino con spinte opposte alle sue e, dopo pochi minuti di questo martellamento, Manuel venne per la seconda volta e io lo seguii a ruota. Ero piena di sperma come non ricordi di esserlo mai stata.
Completamente squassati, non ci curammo per nulla di Max che, per quanto riuscii a percepire, se ne stava ancora seduto sulla poltroncina. Mi sforzai a riprendermi, perché divenni preoccupata per la sua immobilità. Mi alzai a sedere e guardai nella sua direzione. Fortunatamente, stava bene. Aveva ancora il suo membro in mano, aveva sborrato anche lui e aveva una faccia così ebete e compiaciuta che ci ridiamo ancora adesso.
Anche Manuel si riprese, gli chiese se era tutto ok e lui rispose alzando il pollice in alto sorridendoci.
Recuperai il mio abito e andai filata in bagno a pulirmi, senza nemmeno chiedere a Max il permesso.
Mio marito mi raggiunse subito.. Ci baciammo appassionatamente senza dirci nulla, ma i nostri occhi sprizzavano scintille per la complicità che ci aveva uniti ancora una volta.
Ero sudatissima. Mi diedi una sciacquata sotto la doccia e mi resi conto che non potevo indossare i miei pantaloni bagnatissimi. Presi un accappatoio e me lo infilai. Quando uscimmo dal bagno, Max ci attendeva anche lui ricomposto e raggiante.
Era quasi senza parole per la sorpresa che gli avevamo fatto.
Lo ringraziai per la squisita ospitalità che aveva profuso da quando ci aveva conosciuto, e mi augurai che lo ‘spettacolino’ fosse stato di suo gradimento.
Evidentemente, faticava a riprendersi da quanto aveva assistito, quindi lo togliemmo dall’imbarazzo: Manuel gli diede la mano e io due baci sulla guancia, quindi ci avviammo verso l’uscita della suite. Passando davanti al letto, teatro della nostra performance, vidi una chiazza bagnata di almeno 70-80 centimetri di diametro. Max avrebbe dormito sul divano quella notte.
Sperai di non incontrare nessuno nei corridoi e in ascensore, visto come ero messa: in accappatoio, con i sandali ai piedi, i pantaloni in mano, il trucco mezzo sciolto e i capelli che per il sudore si erano arricciati tutti. Sembravo reduce da un baccanale!
Rientrati in camera, mi struccai, mi feci un’altra doccia assieme a Manuel e andammo a dormire, esausti ma molto appagati.
Venne così il mattino. Indossai un paio di shorts bianchi con una camicetta gialla e dei sandaletti con il tacco basso per stare più comoda. Preparai le valige e poi scendemmo a fare una bella colazione. Il sesso della sera precedente ci aveva messo un grande appetito.
Mangiando, ridemmo, ricordandoci alcune scene e la faccia di Max inebetita dalla nostra inaspettata performance.
Salimmo in camera e chiamammo il facchino per prendere i bagagli.
Arrivati alla reception per pagare il conto. Il concierge consultò il computer, ma disse che il conto era già stato saldato. Gli chiedemmo di fare un’altra verifica, perché nessuno di noi due aveva pagato. Controllò ancora e ribadì che non c’era nulla da pagare. Ovviamente, concludemmo che era stato Max a saldare.
Non potevamo andarcene così, perciò pensammo di scrivergli almeno un biglietto di ringraziamento ma, nel frattempo, il concierge ci consegnò una busta che aprimmo subito.
Era una breve lettera di Max che diceva: ‘Miei cari e gentili amici, non ho parole per ringraziarvi di quello che avete fatto per me. Con il vostro amore e la vostra complicità, mi avete fatto capire che non mancherò di rispetto alla mia cara Eveline se cercherò di rifarmi una vita con una compagna da poter amare e poter fare felice, come lo fate voi l’uno con l’altra. Vogliate gradire l’omaggio della mia ospitalità, in segno di infinita riconoscenza. Buon proseguimento di vacanza, Max”
Le sue parole ci commossero. Involontariamente, nella nostra lussuriosa follia, avevamo risvegliato nel nostro amico la voglia di vivere e di amare. E fummo certi che anche la sua compianta Eveline ne sarebbe stata felice.
Dal garage dell’hotel ci portarono la macchina e vi caricarono i bagagli. Mi misi alla guida, mentre Manuel impostò il navigatore per condurci all’autostrada.
Quando fummo quasi al termine della rampa di immissione, accese lo stereo e caricò uno dei miei brani preferiti in quel periodo: “Sexy Woman” di Mike Oldfield.
Mi voltai verso il mio amore e gli chiesi: “Vado?” Lui mi guardò complice, sorrise e rispose: “Vai, amore.”
Diedi una rapida occhiata negli specchietti: via libera! Premetti a fondo il pedale destro e l’auto accelerò furiosamente; con il sequenziale, le cambiate entravano brutali come fucilate. Dopo ognuna, la spinta del motore ci faceva sprofondare nei sedili. Quando guidava mio marito e non dovevo concentrarmi alla guida, la percezione di quella potenza riusciva perfino a darmi un piacere sessuale.
Con il vento nei capelli, eravamo decollati per Barcellona.
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