Alessandro Bardi
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[…]
Quella mattina dovevo tenere una lezione in università. Camminai veloce e attraversai mille corridoi con in testa ancora il pensiero del culo di mia suocera quando, entrando nell’aula dove avrei dovuto tenere la lezione, mi immersi in un grande caos, come sempre.
I ragazzi, una trentina, stavano parlando e sembrava che lo stessero facendo tutti contemporaneamente. Chi in piedi, chi seduto sui banchi, qualcuno preso dalla partita a carte con la quale stavano passando il tempo in attesa del mio arrivo. E in mezzo a tutto quel vociare, fu proprio la voce di uno dei giocatori di carte che, probabilmente guidata da una mano magica e gentile, raggiunse le mie orecchie.
Stava dicendo: “Dai… mescola le carte...”
Si interruppe vedendomi entrare, ma quelle parole: “Mescola le carte”, mi penetrarono nel cervello, lo attraversarono, scesero in profondità e raggiunsero il centro nevralgico di ogni mio pulsare. “Mescola le carte.”
“Cazzo!”, pensai, “Mescola le carte. Questo devo fare. Devo mescolare le carte!”
Mi diressi alla cattedra come un automa, e nemmeno mi accorsi che i ragazzi mi avevano salutato e si stavano mettendo seduti in silenzio. Ci fu un attimo di pausa, nella mia testa. Poi, come risvegliato da un fulmine, mi tornò la coscienza del luogo e della situazione in cui mi trovavo. Guardai i miei studenti come se non li avessi mai visti prima, ripresi contatto con me stesso e diedi avvio alla lezione.
Due ore dopo, appena salito in auto diretto a casa, chiamai subito mia suocera: “Laura, ho trovato. Cazzo, ho trovato la chiave di tutto.”
“Ma che stai dicendo?”
“Ho trovato. Dobbiamo mescolare le carte, capisci?”
“No. Se non mi spieghi, non capisco un cazzo.”
“Ma sì… i tuoi desideri… il Mauro, la Vane, la Dani… e il problema del Gio con l’Elisa… ho trovato la soluzione a tutto!”
Ci fu un attimo di silenzio, poi mi rispose: “Non so se devo essere felice o avere paura...”
“Tranquilla Laura. Vediamoci che ti spiego ogni cosa.”
Ci trovammo il pomeriggio successivo. La volli incontrare in un motel a ore, fuori Verona, abbastanza di basso livello.
“Perché qui?”, mi chiese quando la vidi arrivare portando con sé la sua straripante sensualità.
“Perché volevo vederti in un luogo apertamente dedicato al sesso. Senza fronzoli, senza false apparenze.”
Mi guardò un po' storto: “Se ti piace così...”
Mentre entravamo in camera non potei evitare di apprezzarla ancora una volta. Jeans bianchi e stretti, camicia rossa, ovviamente scollata, e scarpe anch’esse rosse, molto simili a quelle che aveva indossato la Vane nella serata passata con la Monica.
Chiusi la porta alle nostre spalle e le chiesi: “Quelle scarpe le hai rubate alla tua cara amica?”
Si mise a ridere: “Lo so che ti piacciono...”
“Un casino.”
La spinsi sul letto e mi dedicai a spogliarla lentamente e a leccarla dappertutto. Passammo due ore di sesso caldo e profondo.
Fu mentre stavo sdraiato sopra di lei, penetrandola nella fica, dopo un paio di orgasmi a testa vissuti intensamente, che ruppe gli indugi e mi domandò spiegazioni sulla mia nuova idea.
Rallentai il ritmo della penetrazione e gliela raccontai tra un sospiro e l’altro: “Ho avuto un’illuminazione improvvisa.”
“Un’altra?”
“Sì, un’altra.”
“Lo sai che mi fai paura...”
Ridemmo entrambi. Dopo qualche secondo andai avanti: “Allora, ho passato giorni interi a pensare ai vari pezzi del puzzle. Tu che vuoi la Dani, la Vane e il Mauro. Io che voglio l’Elisa… e vorrei anche guardare mia moglie che si fa scopare da altri, uomini o donne che siano. E poi il problema del Gio, che va aiutato a superare la sua gelosia. Me l’hai suggerito tu, in fondo, che bisognerebbe portarlo a guardare l’Elisa mentre si fa scopare da altri, in modo tale da fargli superare la gelosia con lo shock del sesso senza freni.”
“Sì, e allora?”
“E allora ho ripensato a diverse cose. La Vane, per esempio, che mentre eravamo a letto mi diceva di essere attratta da tutti quelli che hanno partecipato al gioco della moglie per una notte. Tutti, uomini e donne, nessuno escluso.”
“Gran troia. Tra quelli c’era anche sua figlia.”
“Non a caso siete grandi amiche...”
Mi sorrise e mi baciò su una guancia. “Vai avanti”, mi disse.
“Ok. Poi, ho pensato a due cose che hai detto tu.”
“Cioè?”
“Mi hai raccontato di come avete scelto i mariti per una notte, estraendo a sorte l’ordine di scelta scrivendo i vostri nomi sui bigliettini.”
“Sì, è vero.”
“E poi, dopo quella serata, mi hai detto che l’esperienza della moglie per una notte ti è piaciuta parecchio, ma che avresti voluto poter scegliere anche fra le donne, non solo fra gli uomini.”
“Sì, me lo ricordo.”
“Ecco, nella mia testa tutti questi pensieri erano pezzi di un puzzle che non riuscivo a mettere insieme. Sentivo che c’era una chiave per farlo, lo sapevo, ma non riuscivo a trovarla. Rimanevano lì nella mia mente come pezzi sconclusionati, separati uno dall’altro. E poi, finalmente, ieri mattina in università, la folgorazione. L’illuminazione. Ho trovato la chiave e come per magia, in un solo istante, ogni pezzo è andato a combaciare con gli altri, formando finalmente il puzzle che mi stava facendo impazzire.”
“Dai… raccontami.”
“Ho sentito una frase. Un ragazzo ha detto: Mescola le carte. Capisci? Ecco la chiave!”
“Amore, questa cosa del mescola le carte me l’hai già detta ieri. Non c’ho capito nulla allora e non ci capisco nulla nemmeno adesso.”
“Laura, mescola le carte. Le carte sulle quali scriviamo i nomi, come avete fatto voi. Le carte sulle quali ognuno di noi può scrivere il proprio desiderio, senza limiti, senza regole. Uomini, donne, chi vuoi tu. Uno, due, tutti insieme, puoi scrivere quello che vuoi.”
La vidi pensierosa. “Spiegati meglio”, mi soffiò in un orecchio mentre si muoveva assecondando la mia lenta e profonda penetrazione.
“Allora, ti spiego a cosa ho pensato. Ci troviamo tutti insieme. Tutti e dodici. Tutti quelli che hanno partecipato al gioco della moglie per una notte. Abbiamo già condiviso una volta il nostro desiderio di sesso. Abbiamo vissuto una serata in una dimensione parallela a quella di tutti i giorni, e sono sicuro che ognuno di noi ha voglia di farlo ancora.”
“Sì, penso di sì...”
“Bene. Allora, possiamo fare un altro gioco, con regole esplicite e condivise da tutti. Ho pensato che ci possiamo trovare tutti in una casa che deve essere grande e isolata. Prendiamo dodici bigliettini, dodici carte. Ognuna di queste carte riporterà uno dei nostri nomi. Le carte verranno mescolate da me, che sarò il mazziere, e ne darò una ciascuno senza guardare il nome scritto sulle varie carte. Ognuno di noi si troverà così con una carta in mano, con il nome di uno dei dodici. Potrebbe essere il proprio nome, o quello di un altro. Un uomo o una donna. Non si sa. Dipende dal caso. A quel punto, ognuno dovrà scrivere su quella carta due cose.”
“Sentiamo...”
“Prima cosa: il nome della persona o delle persone, uomini o donne, quello che vuole lui, con la quale farà sesso la persona il cui nome è riportato sulla carta.”
“Wow, questo mi sembra molto intrigante. E la seconda cosa che bisogna scrivere?”
“Bisogna indicare esattamente quello che i soggetti riportati sulla carta devono fare. Ti faccio un esempio. Supponiamo che a me venga una carta con scritto “Laura.” Io potrei scrivere “Dani e Vane”, e poi “Laura lecca la fica a entrambe.” A quel punto voi tre vi mettereste in mezzo alla sala, davanti a tutti, e tu potresti finalmente realizzare entrambi i sogni in una volta sola.”
“Cazzo, lo farei al volo. Ma lo dovrei fare davanti a tutti?”
“Certo! Così ognuno di noi non godrà solo una volta, con la propria moglie o marito per una notte, senza sapere nulla degli altri. Godremo tutte e dodici le volte, perché saremo attori protagonisti della scena, o perché staremo semplicemente a guardare.”
“Porca troia… Ale… mi piace da morire! Ma se qualcuno non accettasse di fare quello che c’è scritto sulla carta?”
“No, questo non vale. Nel momento in cui si aderisce al gioco non è più possibile tirarsi indietro. Se giochi sarai obbligato a fare quello che c’è scritto. Qualunque cosa sia. Immagina, ognuno potrebbe vivere direttamente o indirettamente un sacco di sogni, un sacco di esperienze proibite con uomini, donne, senza nessuna regola. E poi sistemiamo anche il Gio, che dovrà affrontare la sua gelosia, confrontandosi direttamente con gli altri, portando se stesso a vivere molto più liberamente il sesso suo e quello di sua moglie. La regola è che non ci sono regole. Vale tutto con tutti. Nessuna morale, nessun limite.”
La sentii calda e sempre più fradicia. Mi sussurrò: “Oddio Ale, è bellissimo! Dobbiamo farlo assolutamente!”
Rimanemmo in silenzio per alcuni istanti. La sentii ansimare sempre più forte: “Cazzo… al solo pensarci mi viene da godere ancora...”
“Godi Laura, godi...”
“Mmmmhhh… sto pensando alla fica della Dani e della Vane… cazzo vengo… Ale, vengo… sììì...”
Mi lasciai bagnare ancora una volta da quella donna fantastica, con la quale mi apprestavo a entrare in un’altra dimensione del sesso, ancora più estrema, ancora più calda, ancora più profonda. Accompagnai il suo orgasmo mettendole la lingua in bocca e unendomi a lei con l’anima, oltre che con il corpo.
La sentii rilassarsi e abbandonarsi sul letto e aspettai insieme a lei che il suo respiro tornasse a un livello tale da consentirle di parlare. Adoravo scambiare parole soffocate con mia suocera mentre stavo dentro il suo corpo.
“Devo radunare il gruppo delle donne”, mi disse dopo alcuni minuti di baci e carezze.
Ce ne andammo mischiando baci e risate, e tornammo dai nostri rispettivi consorti.
Io ero atteso da una serata che si rivelò molto meno impegnativa di quanto avessi pensato. Proposi alla Monica l’idea del Mescola le Carte dopo cena, mentre eravamo seduti sul divano. Avevo preso la rincorsa, come per sfondare una porta blindata, ma mi trovai davanti una galleria aperta. Accettò subito, con un entusiasmo persino eccessivo. L’idea che la sua adesione al gioco dipendesse dalla possibilità di farsi scopare ancora dal Mauro o dalla Vane tornò a darmi un ricordo di gelosia che, tuttavia, se ne andò tanto velocemente quanto era venuto.
Il Titty e la Sara misero a disposizione la casa. Era sicuramente la più indicata. Molto isolata, non ci avrebbe disturbato nessuno, e aveva una sala estremamente spaziosa. Ci saremmo potuti stare in dodici senza problemi.
Fissammo l’incontro per il sabato sera della settimana successiva. Ognuno di noi ebbe dieci giorni di tempo per prepararsi psicologicamente e fisicamente.
Una scopata dopo l’altra, una fantasia dopo l’altra, arrivammo al fatidico sabato. Il giorno in cui dodici persone libere e mature, avrebbero realizzato mille fantasie apparentemente impossibili, andando oltre ogni regola sociale e ogni dogma, dando vita a una straordinaria esperienza di sesso e basta.
L’appuntamento alla casa del Titty e della Sara era per le nove. Era finalmente arrivato il momento.
Quando arrivammo erano già quasi tutti presenti. Notai che le donne avevano scelto con cura i vestiti, proprio come aveva fatto la Monica. Erano tutte bellissime, molto sexy. Avevano in comune i tacchi alti e una sensualità che trasmettevano in modo forte, penetrante.
Il centro del mondo divenne il salotto. Molto grande, ideale per ospitare tutti e per fare da cornice a quella straordinaria serata. Due lati della sala erano occupati da un divano di pelle nera, estremamente sensuale. Era un divano fatto ad angolo, abbastanza lungo. Ci si poteva stare seduti in otto o nove, senza stare stretti.
All’inizio della stanza c’era un grande tavolo, con dodici sedie che erano state disposte a semicerchio, una in parte all’altra, con lo schienale rivolto al tavolo e la vista verso il divano. In questo modo ci saremmo seduti come a teatro, e il divano sarebbe stato il palco dello spettacolo. Feci i complimenti al Titty per come aveva organizzato la sala.
Mentre aspettavamo gli ultimi ritardatari, i padroni di casa offrirono spumante a tutti. L’alcool scorreva bene, ed era una buona idea, in vista della serata che ci aspettava. Era una situazione particolare e strana. Si parlava del più e del meno ma tutti sapevamo perfettamente che eravamo lì per sperimentare sesso libero con le persone che frequentavamo maggiormente nella nostra quotidianità, andando oltre la dimensione normale per entrare in un’altra proibitissima, sempre desiderata, ma mai vissuta.
Quando finalmente furono arrivati tutti, presi in mano la situazione invitandoli ad accomodarsi. L’eccitazione si poteva palpare con mano.
Mi misi al centro della sala, dando la schiena al divano e guardando in faccia le undici persone sedute davanti a me. Ammirai quella platea fatta di due generazioni. Quella dei circa sessantenni, che andava dai cinquantacinque anni della Vane ai sessantaquattro del Sandro, passando dai cinquantotto del Mauro e dai cinquantanove di mia suocera. Poi c’era la generazione dei più giovani, che erano tutti gli altri, fra i quali il più anziano era il Titty, trentanove anni, e la più giovane era la Dani, che con le sue venticinque primavere era la più piccola del gruppo.
Cominciai ad accendere la serata: “Allora, prendo la parola io in quanto inventore del gioco. Vi ricordo le regole.”
In poche parole riepilogai quello che avevo già raccontato a mia suocera e a mia moglie, e che tutti conoscevano perfettamente.
“Io svolgerò il ruolo del mazziere”, continuai. “Mescolerò le carte e ve le leggerò una alla volta. Sarò una specie di presentatore della serata e accompagnerò i dodici atti di questo spettacolo uno a uno. Allora, siete pronti? Ci sono domande?”
Non c’erano domande ed erano tutti pronti.
“Prima di partire, vi ricordo che chi accetta di partecipare al gioco non potrà rifiutare di fare quello che verrà scritto sulle carte. La regola è che non ci sono regole. Siete tutti d’accordo? Se c’è qualcuno che ha dei dubbi e che pensa di non essere pronto, è meglio che rinunci subito.”
Non rinunciò nessuno.
“Bene”, dissi sentendomi sempre più padrone della scena. “Allora, per poter far cominciare la serata dobbiamo fare due cose. La prima è questa.”
Presi una piccola cesta di vimini che avevo portato da casa e che aveva suscitato qualche curiosità.
Spiegai: “Ogni donna deve togliersi le mutande e metterle in questa cesta. Ognuna di voi passerà la serata senza indossarle. E alla fine, me le terrò io come ricordo.”
A questo punto si misero tutti a parlare, chi ridendo, chi borbottando.
“Perché le tieni proprio tu?”, fu la domanda che mi fece il Titty alzandosi e sovrastando con la sua voce profonda quella degli altri.
Risposi manifestando una sicurezza che non accettava repliche: “Semplice, perché io ho inventato il gioco. Io sono il mazziere, e ho il diritto di tenermi le mutande delle nostre signore.”
Ci furono diverse risatine, che terminarono quando la Dani si alzò dicendo: “Per me va bene.” Si sfilò il tanga nero che indossava e disse: “Anzi, guarda, me lo passo bene sulla fica in modo tale che il tuo ricordo avrà anche il mio sapore.” E così dicendo le lasciò cadere nella cesta.
Commentai sorridendo: “Ottimo! Se le altre nostre mogli vogliono fare la stessa cosa, siamo a cavallo.”
A quel punto non ci furono ulteriori esitazioni. Anche le altre cinque donne, una dopo l’altra, si tolsero le mutande, in prevalenza tanga minimalisti, se le sfregarono sulla fica esattamente come aveva fatto la Dani, e le misero nella cesta, che andai a riporre su un mobile
Tornai al centro della sala e ripresi il mio discorso: “Molto bene. E ora la seconda cosa che è necessario fare per poter iniziare a giocare.”
Nel silenzio generale, e sentendomi studiato da undici coppie di occhi, tirai fuori dalla tasca un mazzo di dodici carte che avevo preparato.
Erano simili a carte da gioco. Le avevo realizzate usando un cartoncino leggero, in modo tale che avessero il giusto spessore per poter essere mescolate senza rovinarsi.
Su ognuna avevo scritto il nome di uno dei partecipanti, stando ben attento a fare un segno piccolissimo sul dorso di una carta. Era quella col nome di mia suocera. Volevo essere io a decidere cosa avrebbe dovuto fare davanti a tutti.
Mescolai le carte con una certa platealità e ne distribuii una ciascuna, mentre spiegai: “Come sapete, c’è un nome su ogni carta. Ognuno di voi deve scrivere con chi la persona indicata dovrà fare sesso qui, davanti ai nostri occhi. Inoltre, dovrete indicare cosa dovranno fare esattamente. Vi ricordo ancora che non ci sono regole. Potete scrivere uno o più nomi. Uomini, donne, quello che volete. E alle persone della carta potrete far fare qualsiasi cosa. Date sfogo alla vostra fantasia erotica. Non mettetevi limiti.”
Non avevo mai visto undici persone così felici e sorridenti. Si scambiavano continuamente battutine e sghignazzi.
La Sara, da buona padrona di casa aveva preparato le biro, che distribuì. Seguirono alcuni minuti di silenzio e di tensione. Si erano tutti alzati, cercando un angolo dove poter scrivere senza essere visti.
Io sapevo già di avere in mano la carta col nome di mia suocera, e sapevo cosa avrei scritto.
Quando mi restituirono le carte, tornai al centro della sala.
Adesso la tensione era veramente forte. Gli sghignazzi e il brusio erano terminati, e undici persone stavano davanti a me fissandomi in silenzio.
“Bene, ogni cosa è fatta. Signore, signori, la serata del Mescola le Carte può iniziare.” Presi a mescolarle e continuai: “Ora estrarrò a caso la prima carta e chiamerò qui, vicino a me, la persona alla quale è intestata. Poi chiamerò l’altra, o le altre persone, che dovranno venire qui anch’esse. Infine leggerò quello che dovranno fare davanti a tutti. E vi ricordo per l’ultima volta che nessuno si potrà rifiutare, qualsiasi cosa io leggerò. Quindi, i protagonisti di ognuno dei dodici atti ai quali assisteremo si dovranno dare un bacio di saluto. Un bacio vero, intenso, che sarà il preludio alla scena che ci godremo insieme. Siete pronti?”
Ricevetti un sì convinto da alcuni, mentre altri erano troppo tesi per poter parlare.
Continuai: “Allora, mescolo le carte e la prima che estraggo è la carta di...”
Lasciai seguire un paio di secondi di silenzio. Erano tutti paralizzati. Nessuno muoveva un muscolo. Se un moscerino avesse fatto un passo ero sicuro che l’avrei sentito.
“Signore, signori, la prima carta è quella di… Sandro...”
Il silenzio si ruppe come per magia. Ci furono acclamazioni, battute, risatine, e tutti che inneggiavano a mio suocero.
“Vieni Sandro, vieni”, lo esortai.
Si alzò piano, forse ancora sotto shock, e venne in parte a me. Ammirai la sua eleganza. Aveva indossato un completo scuro, giacca e pantalone molto alla moda, con una camicia azzurra che non gli avevo mai visto addosso.
Commentai: “Sandro elegantissimo… anche se fra pochi minuti dovrai togliere tutto.”
Risate generali.
“Allora”, ripresi dopo aver letto mentalmente la carta con attenzione e con platealità. “Daremo vita al primo atto della serata, rompendo il ghiaccio, con una partner… donna. Sei contento?”
“Beh, sì. Con le donne mi sento a mio agio.”
Altre risatine ma un po' meno distese di prima. Si stava creando la tensione per il nome che avrei pronunciato.
Distribuii il mio sguardo sui presenti. “E la tua partner è… tua nipote, l’Elisa...”
Al nome della donna più bella del mondo, seguirono acclamazioni e risate allegre.
Guardai subito il Gio e poi mia suocera. Lui aveva uno sguardo perso nel vuoto. Era l’unico che non stava ridendo e non stava dicendo niente. Era completamente perso nei suoi pensieri. Non belli, immaginai. Anche lo sguardo di Laura era fisso su di lui. Quando incrociammo i nostri occhi, entrambi capimmo che per svegliarlo dal suo problema con l’Elisa sarebbe stato meglio iniziare con un'altra scena. Guardare sua moglie fare sesso con lo zio non era proprio la cosa ideale. E nemmeno lo sarebbe stato quello che stavo per annunciare.
Nel frattempo l’Elisa si era alzata, spinta leggermente dalla Dani, che le si era seduta in parte, e stava venendo verso di me.
Ancora una volta rimasi imbambolato davanti alla sua bellezza. Era davvero una fotomodella. Tutte le donne della serata avevano il loro fascino, ma lei era incredibilmente unica. Aveva un fisico impeccabile, impreziosito dall’abito che aveva scelto.
Indossava una gonna color grigio chiaro, stretta, a tubino, che in poche donne al mondo avrebbero potuto portare. Quella era una gonna che metteva in risalto ogni minimo dettaglio di un corpo femminile. Ogni piccola imperfezione sarebbe stata immediatamente visibile. Ma il suo corpo non dava nessun segno in questo senso. Era semplicemente perfetto. La linea dei fianchi era una poesia di curve morbide e divine.
Il culo lasciava senza fiato. Era discretamente piccolo, ma non troppo. Chiunque avrebbe desiderato possederlo. Vedevo gli uomini seduti che non riuscivano a staccare gli occhi da quel culo perfetto che stava camminando verso di me. Il Titty aveva la bava alla bocca, e mi trovai a invidiarlo, pensando che era stato il primo ad aprirlo.
La gonna le arrivava giusto sotto il ginocchio, lasciando i polpacci liberi di mostrare al mondo quanto fossero stati disegnati con perfezione.
E poi i piedi, meravigliosi con le unghie bordeaux, e resi indimenticabili da un paio di sandali apertissimi, color pitone tendente al grigio, con lacci morbidi che si incrociavano sul collo del piede e si allacciavano sulla caviglia. Sarei stato un giorno intero fermo a guardarli.
Contro ogni mia previsione riuscii a staccare lo sguardo e ad alzarlo sulla camicia, bianca e leggera, chiusa abbastanza alta. Un indumento che non concedeva nulla alla vista, ma al quale il grosso seno dell’Elisa donava comunque un incredibile profumo di sensualità.
Notai anche gli orecchini di oro bianco, lunghi, verticali, che completavano quel viso straordinario, acceso da un paio di occhi verdi e profondi e da una bocca dalle labbra carnose, quasi leporine. Una bocca che sembrava fatta apposta per dare piacere. Era impossibile non immaginarla aperta mentre ingoiava un cazzo gigante. Era la natura stessa che l’aveva voluta così.
Ci mise pochi istanti a coprire la distanza che separava la sua sedia da me, ma furono istanti indimenticabili. Avrei giurato che fra un passo e l’altro sarebbe potuta passare una vita intera. Il suo fu un percorso dritto, lineare. Ma a me sembrò un’orgia di curve. Ogni passo era un insieme di curve che dava al suo incedere un ritmo fulminante, per chi aveva la fortuna di poterla guardare.
Era sicuramente una donna destinata a un re. Ma se fosse stata una donna per il popolo, avrei definito la sua camminata come “la sagra delle curve.”
Quando la ebbi vicina rimasi ipnotizzato dal profumo della sua pelle. Mi ricordava l’ambra, non so perché, come d’ambra era il colore dei suoi capelli, lisci e sbarazzini, che le cadevano fino a poco sotto le orecchie.
Una dea che mi lasciò alcuni istanti in silenzio.
La sua voce: “Eccomi…”, mi svegliò. Mi ricordai improvvisamente chi ero, dove ero e cosa stavo facendo. E mi ricordai che mio suocero era in piedi, alla mia sinistra, imbambolato esattamente come me.
Ripresi a fatica la parola e il ruolo di guida della serata: “Allora… benvenuta Elisa. Devo dire che sei splendida. Bene, e adesso vi leggo cos’altro c’è scritto su questa carta.”
Il silenzio tornò padrone di quel luogo e di quegli istanti.
“Beh, per la verità non c’è scritto molto. Elisa, non so se sei pratica di queste cose, ma qui c’è scritto che passerai i prossimi minuti a farti inculare da tuo zio.”
Il silenzio durò ancora qualche istante, poi fu rotto da un’acclamazione generale fatta di approvazioni e segni di giubilo. Sembrava l’esultanza per un gol della nazionale. Solo il Gio rimase imperturbabile, come un giocatore di poker che si ritrova con nulla in mano.
Il Sandro non sapeva più come fermare il sorriso. Era l’uomo più felice del mondo ma cercava di non darlo troppo a vedere. Sembrava stesse dicendo: “Sì, normale, normale”, mentre il suo cuore e la sua mente erano stati devastati da un’esplosione sconvolgente.
L’Elisa, invece, era rimasta sulle sue, come sempre. La interrogai con lo sguardo e si limitò a rispondermi sottovoce: “Va bene…”, poi guardò suo zio e, a voce più alta e facendosi sentire da tutti, ribadì: “Va bene.”
“Ottimo”, commentai, “e mentre chiedo alla Sara, padrona di casa, la cortesia di andare a prendere la vasellina che ho lasciato nello zainetto all’ingresso… direi… Sandro, Elisa… a voi la scena per il bacio di saluto.”
Ci fu ancora un momento di esitazione. Finalmente il gioco stava iniziando. Mi sembrava incredibile, ma era tutto vero.
La tensione svanì in un attimo, rotta dal Sandro, che non ci stava più dentro. Le si avvicinò lentamente e le mise dolcemente la mano sinistra sul fianco e la destra dietro la nuca. La avvicinò a sé piano, forse ancora timoroso di un rifiuto. Li osservai da non più di mezzo metro di distanza.
Nel silenzio generale, zio e nipote si guardarono negli occhi. Lui lesse in quelli di lei un segno di assenso, e avvicinò finalmente le sue labbra a quelle meravigliose che aveva davanti, e che tante volte avevo desiderato.
Non dimenticherò mai il momento in cui quelle due bocche si toccarono. Il Sandro ruppe ogni titubanza, la strinse a sé in un abbraccio forte e passionale, che lei ricambiò mettendogli le mani sulle spalle. E poi fu un’esplosione di lingue. Non so come feci a resistere alla tentazione di allontanare mio suocero e mettermi al posto suo, ma ci riuscii.
Rimasi immobile a guardare quelle lingue che si toccavano e si incrociavano, entrando una nella bocca dell’altra, con una intensità e una frequenza davvero penetrante.
Rimasero a baciarsi a lungo. Sembrava che nessuno dei due volesse staccarsi. Il grigio tendente al bianco dei capelli di lui si sovrapponeva e si incrociava con il castano chiaro, quasi rossiccio, di quelli di lei, in un movimento sensuale e proibito. Pensavo che l’Elisa si sarebbe fermata subito, dando a quel bacio il sapore del dovere, e invece sembrava che non avesse mai desiderato altro.
Vidi che lui aveva allungato la mano sinistra sul culo della nipote, che se lo lasciava palpare come se niente fosse.
Mi venne istintivo sussurrare: “Bene…”, e fu solo per questo che si staccarono. Mi chiesi quanto sarebbe durato quel bacio se non fossi intervenuto.
“Bene”, ripetei a voce alta. “Mi sembra che il bacio di saluto abbia tolto a tutti la capacità di respirare. Ma ora facciamo sul serio. Elisa, scegli la posizione e… ecco… la scena è vostra.”
A quel punto intervenne la Sara: “Qui c’è la vasellina. Se vuoi te la metto io, che sono pratica.”
Grandi segni di assenso dalla platea indussero l’Elisa a uno sguardo che tutti interpretammo come un gesto di approvazione.
La Sara si avvicinò continuando a parlare: “Eli, se vuoi abbiamo preparato anche la camera. Se preferisci farlo sul letto...”
Lei ci pensò su un attimo, poi rispose: “No, il divano va bene.”
Ci fu un momento di impasse imbarazzato che ruppi suggerendo: “Direi che vi potete spogliare.”
Il Sandro non stava aspettando altro. Avrebbe potuto battere ogni record di velocità. Si tolse giacca e camicia quasi in un movimento solo. Scarpe e pantaloni sparirono altrettanto velocemente.
Nello stesso tempo l’Elisa si era tolta solo le scarpe. Pensai: “Peccato. Avrei pagato per vederla ancora a lungo con quelle addosso”.
I suoi movimenti erano lenti e morbidi come quelli di una diva di Hollywood. Elegantissima e molto intrigante. Il gesto con cui abbassò la cerniera della gonna per sfilarsela mi paralizzò la vista. E quando se la fu tolta, rimasi imbambolato, come tutti, a guardarle la fica. Aveva i peli rasati corti, dello stesso color castano chiaro dei capelli. Era ben curata, come tutto il resto del suo corpo.
Anche il Sandro si fermò un attimo, prima di capire che quella meraviglia era destinata a lui. Si tolse le mutande con impeto, mostrando a tutti il cazzo grosso e duro, già pronto per la monta.
Lei lo guardò e non disse nulla, ma sono sicuro che lo misurò mentalmente, calcolando quanto dolore le avrebbe provocato quella penetrazione.
Zio e nipote avevano espressioni totalmente diverse. Tanto entusiasta e felice era quella di lui, quanto austera e discretamente preoccupata quella di lei.
Stavano in piedi uno di fronte all’altro, senza sapere cosa dirsi, quando intervenne la Sara. Prese per mano la dea e il suo “Siediti” fu un invito davvero dolce.
Undici paia di occhi guardarono rapiti l’Elisa che si sedette sul divano e, come se fosse la cosa più naturale del mondo, alzò le gambe al cielo aprendole leggermente, offrendo alla vista di tutti il suo meraviglioso buco del culo.
La Sara si mosse veloce. Si inginocchiò davanti a lei, le mise la mano sinistra sul retro coscia destro, alzandolo leggermente ancora di più, mentre con la destra prese ad accarezzarle le chiappe.
“Hai un culo bellissimo”, le sussurrò, e lasciando tutti estasiati, le infilò la lingua nell’ano leccandola lentamente e in profondità.
Il soffio che uscì dalle indimenticabili labbra della cugina di mia moglie fu un “Mmmhhhh…” appena accennato e soffocato, ma non a sufficienza per poter evitare il fermarsi della circolazione del sangue nelle mie vene. Fu a fatica che riuscii a fargli riprendere il moto regolare, consentendo ai miei occhi di continuare a godere di quello spettacolo pazzesco.
La leccata durò pochissimo, giusto un assaggio. Poi, nel silenzio generale, la Sara si versò una buona dose di vasellina sulla mano destra e si mise a massaggiarle l’ano. Fu un movimento languido e morbido, che sembrava trasmettere amore e dolcezza. Fu un massaggio che anticipò la penetrazione. Dopo alcuni istanti, infatti, infilò il dito medio nel culo dell’Elisa che, ancora una volta, si lasciò sfuggire quel suono tanto soffocato quanto esplosivo: “Mmmmhhhh...”
Mentre la penetrava in profondità con la mano destra, utilizzò la sinistra per porgere il barattolo di vasellina al Sandro. “Toh...”, gli disse sbrigativa, senza mai togliere il dito da quel culo fantastico.
Mio suocero non esitò e prese a spalmarsi il cazzo di vasellina con una forza e una velocità che pensai si stesse facendo una sega. “Così godi prima ancora di penetrarla”, gli dissi sorridendo. E in mezzo alle risate di tutti, mi rispose: “Non preoccupatevi. Non vi deluderò.”
Sentendo quelle parole, la Sara tolse finalmente il dito dal culo dell’Elisa e disse: “Ok Sandro. La puoi prendere.” Si alzò e tornò a sedersi.
Seguendo non so quale impulso, feci lo stesso e andai a occupare il mio posto, ultima sedia in fondo a destra.
Il silenzio era di nuovo sceso pesantemente. Il profumo del sesso ci stava inebriando tutti, quando sentii la voce di mio suocero: “Sei pronta?”
“Sì… sono pronta.”, era un soffio, non di più. Rimise i piedi per terra, si alzò e gli disse a voce più alta: “Zio, siediti”, e lo guardò accomodarsi sul divano alla sua sinistra.
A quel punto, lei si voltò dandogli la schiena e osservando i dieci spettatori. Salì su divano, mettendo i piedi all’esterno delle ginocchia del Sandro, e scese piano su di lui. Gli appoggiò il fondo schiena sul petto, stando leggermente spostata sulla sua destra, e gli mise la mano sinistra sulla sua spalla sinistra passandogliela dietro la testa.
Con la mano destra gli impugnò il cazzo, durissimo, e se lo puntò dritto sull’ano. Non era ancora scesa a sufficienza per stabilire un contatto, quando gli disse: “Entra piano.”
Lui era talmente imbambolato che non riuscì nemmeno a rispondere. In realtà, non so quale, tra gli uomini presenti, ne sarebbe stato capace. Ebbe comunque la lucidità sufficiente per metterle le mani sulle natiche, allargandogliele il più possibile.
Lei scese ancora alcuni centimetri, continuando a puntarsi con i piedi sulla seduta del divano e con la mano sinistra sulla spalla di suo zio. Quando la punta del cazzo le toccò dolcemente l’ano fu come assistere all’attimo in cui il detonatore arriva in contatto con l’innesco di una bomba atomica. Le entrò dentro pianissimo, e un istante dopo l’altro la sua cappella sparì alla nostra vista.
Il grido a voce bassa dell’Elisa fu sicuramente più intenso e meno soffocato dei sussurri precedenti: “Aaaaaahhhhh… cazzo che male… aaaaahhhh...”
Alzò la vista al cielo e chiuse gli occhi, fermandosi alcuni istanti con la cappella di suo zio nel culo. Rimase così immobile lasciandoci godere di quella immagine meravigliosa.
Sentimmo la voce di lui: “Brava… dai che faccio piano… faccio piano...”
Il cazzo del Sandro era un palo d’acciaio, in apparenza troppo largo per poter entrare ancora. Ma contro ogni previsione, lei riprese a scendere lentamente, come per adempiere a un dovere imprescindibile.
Mio suocero, era immobile, con lo sguardo perso nel vuoto. Uno sguardo che faceva ancora fatica a credere a quello che stava vivendo. La discesa del culo dell’Elisa proseguì lenta ma inesorabile, accompagnata dal continuo mugolio di lei e dalle parole di lui: “Sto entrando… tesoro… sto entrando...”
Andarono avanti così fino a quando, forse un minuto dopo, lui si trovò con il cazzo mezzo dentro e mezzo fuori. Fu a quel punto che cominciò finalmente a muoversi leggermente in su e in giù, mentre lei rimaneva ferma, continuando a farci godere delle sue smorfie di dolore e a emettere un suono soffocato e leggero: “Mmmmhhhh...” E fu in quel momento che ricominciammo a sentire la voce del Sandro, appena accennata e affaticata: “Sììì… Eli… hai un culo stupendo.”
Il suo movimento si fece sempre più intenso e profondo. A ogni affondo la quantità di cazzo che rimaneva fuori diminuiva a vista d’occhio. Andarono avanti alcuni minuti, fino a quando le natiche di lei arrivarono ad appoggiarsi sulla pancia del Sandro.
“Brava… sono tutto dentro… dai così… dai che ti sono tutto nel culo… dai… dai...”
Eravamo tutti sotto shock. Sembrava che nessuno si stesse ricordando di respirare.
Zio e nipote andarono avanti per diversi minuti, con l’ano di lei ormai completamente dilatato. Lui le tolse le mani dal culo e le si attaccò ai bottoni della camicia, cercando di aprirli a uno a uno. Muoveva le mani in modo scomposto ma, sebbene con molta difficoltà, alla fine riuscì a togliergliela. Ancora più fatica fece per slacciarle il reggiseno, anche perché lei non gli diede il minimo aiuto. Rimase sempre in quella posizione, con lo sguardo rivolto in alto, con quel suono soffocato e monotonico che le usciva dalle labbra: “Mmmmhhhh…”, con la mano sinistra appoggiata alla sua spalla, mentre con la destra gli accarezzava le palle che si intravvedevano subito fuori dall’ano.
Ma quando anche il reggiseno cedette a quei maldestri tentativi, i nostri occhi si lasciarono sedurre della vista di un paio di tette fantastiche, non enormi come quelle di mia suocera o grosse come quelle di mia moglie, ma comunque piene e formose, solide e con i capezzoli piccoli e turgidi. La mano sinistra del Sandro ci mise meno di un secondo per riempirsi di quel seno. Cominciò a palparla dappertutto, strizzandole e tirandole i capezzoli, per poi tornare a palparla di nuovo con ancora maggior forza e ardore.
Era uno spettacolo indimenticabile, sicuramente uno dei dieci momenti che avrei voluto rivivere. E ancora più appassionante fu vedere mio suocero accarezzare il viso dell’Elisa con la mano destra, facendola voltare verso di sé. Come guidati da un comando invisibile, entrambi aprirono gli occhi e si guardarono. Fu uno sguardo intenso, penetrante. Nel silenzio più totale i due amanti passarono pochi lunghissimi secondi a guardarsi nel profondo dell’anima. Sicuramente con quello sguardo si dissero molte cose. Nessuno di noi fu in grado di sentirle o di intuirle, ma tutti avvertimmo forte sulla pelle la forza della complicità e della profonda intesa di quello sguardo.
Si stavano ancora perdendo uno negli occhi dell’altro quando le loro bocche si aprirono all’unisono, guidate da un’affinità che andava ben oltre le parole scritte sulla carta che avevo letto solo una decina di minuti prima. Le loro lingue si unirono di nuovo, questa volta in modo estremo e volgare. Le labbra non si toccavano, ma entrambi avevano tirato la lingua completamente fuori e se la leccavano reciprocamente con un’intensità che avrebbe potuto abbattere un muro.
“Questo però non era previsto!”
Ci voltammo a guardare il Gio, che aveva espresso a voce molto alta il suo pensiero. Aveva gli occhi stralunati, lo sguardo sconquassato dalla vista di sua moglie che slinguava in quel modo con suo zio.
Non ebbi il tempo di pensare che, forse, lo stavamo sottoponendo a una prova eccessiva per lui, quando sentii la voce di mia suocera: “Eddai, Gio, rilassati e lasciali fare, che poi toccherà a te divertirti un po'.”
Grande donna. Io non ero ancora riuscito a collegare due pensieri mentre lei aveva già elaborato la situazione trovando il modo per indicargli la via da seguire, sminuendo la tensione di quel momento.
Decisi che il Gio non meritava oltre la mia attenzione e, come tutti gli altri, tornai a guardare lo spettacolo di sesso che stava avendo luogo sul divano, davanti a noi.
Il culo dell’Elisa era ormai completamente sfondato, e il Sandro lo penetrava con forza, velocemente e in profondità.
Andarono avanti ancora diversi minuti, fino a quando, finalmente, sentimmo di nuovo la voce frastornata della cugina di mia moglie: “Dai zio… vieni… vienimi nel culo.”
Lui, che stava già godendo parecchio, non resistette oltre. Quelle parole gli diedero il colpo di grazia. Durò ancora una decina di secondi, e poi gridò: “Cazzo Eli… vengo… aaaaahhhhh… aaaaahhhhh...”
L’urlo del Sandro accompagnò l’orgasmo violentissimo con il quale riempì di sperma il culo della nipote. Furono istanti intensissimi e penetranti. Nessuno di noi riusciva a staccare lo sguardo da quella vibrazione che, partendo dal cazzo di lui, entrava nel culo di lei, si espandeva a tutto il suo corpo e arrivava a noi con un’intensità sconvolgente.
Quando il Sandro si rilassò sul divano, ancora con la respirazione devastata, rimanemmo alcuni secondi a guardare una fotografia immobile. Nessuno mosse un muscolo. Rimasero fermi così come erano, entrambi con gli occhi chiusi e lo sguardo al cielo, con il cazzo di lui completamente immerso nel culo di lei.
La prima a muoversi fu l’Elisa che, sempre tenendo gli occhi chiusi, e sempre puntandosi con i piedi sul divano, si tirò su molto lentamente. Vedemmo il cazzo del Sandro uscirle dal culo e ricomparire alla nostra vista, centimetro dopo centimetro, in una risalita lenta e sofferta, che terminò pochi istanti dopo, quando con un ultimo sforzo, uscì la cappella. Ammirammo il corpo perfetto dell’Elisa rimanere sospeso sulla pancia del Sandro, che aveva riaperto gli occhi senza però riuscire a fare nessun altro movimento.
Lei rimase in quella posizione diversi secondi. Non riuscivo a capire cosa volesse fare. Sembrava stesse spingendo, come se volesse pisciare. Ci vollero ancora diversi istanti, poi vedemmo un fiotto di sperma bianco uscirle dal culo e cadere in verticale sulla pancia di suo zio, che rimase immobile lasciandosi bagnare in quel modo osceno dalla sua splendida nipote.
Fu solo a quel punto che lei riaprì gli occhi, trovandosi immersa nello sguardo stralunato di dieci persone che la fissavano con la bocca aperta e il respiro bloccato.
Senza dire una parola scese dal divano, mettendo i piedi per terra uno alla volta, e si alzò davanti a noi in tutta la sua straripante bellezza.
Fummo guidati da una mano invisibile e scoppiammo in un applauso sincero, fragoroso e convinto, accompagnato da qualche mormorio: “Cazzo che bello...” “Bravi… sono stati bravissimi...” “Minchia… bellissimo…”
L’Elisa ci fissava spostando il suo sguardo da uno all’altro, mantenendo un’espressione impenetrabile, mentre il Sandro, a gran fatica, si alzò accompagnando quel movimento con uno dei sorrisi più larghi che avessi mai visto. Riuscì anche a borbottare un “Grazie”, rivolto ai nostri applausi e, forse, anche a sua nipote.
Mi ricordai di essere il mazziere della serata e mi alzai, un po' a fatica anch’io. Guardai quella coppia meravigliosa, e dissi: “Beh, ci avete regalato davvero momenti indimenticabili. Siete stati straordinari. Bravissimi.” Le mie parole furono seguite da un nuovo applauso.
Continuai: “Direi che potete anche rivestirvi, mentre noi ci riprendiamo un attimo. Sara, Titty, per cortesia, versate da bere a tutti.” E mentre lasciammo che le bollicine ancora fresche ci togliessero dalla gola quel caldo secco che ci aveva preso, accompagnammo con lo sguardo i movimenti dell’Elisa e del Sandro che si stavano rivestendo.
Sentii la voce sussurrata di mia suocera, che si era alzata ed era venuta a mettersi dietro di me: “Altro che frigida. Guarda, nemmeno chiede di andare a lavarsi. Adesso si rimette qui col culo fradicio.”
“Gelosa?”, le chiesi.
Scoppiammo a ridere, e con la nostra allegria accompagnammo quella degli altri.
Ero sufficientemente vicino al divano per sentire il Sandro rivolgersi alla nipote: “Grazie Eli. È stato stupendo.” Lei non gli rispose, ma gli appoggiò la mano destra sulla guancia sinistra, e gli mise di nuovo la lingua in bocca regalandogli un ultimo bacio tanto proibito quanto profondo.
Qualcuno accompagnò quel momento con un sorriso, consapevole del fatto che il gioco della carta, essendo già concluso, dava a quel bacio un significato diverso e piuttosto equivoco.
Lasciai decantare alcuni minuti le emozioni che il primo atto del gioco ci aveva portato, dopo di che ripresi la parola invitando ognuno a tornare al proprio posto.
Parlai a voce alta: “Direi che il primo atto è andato molto bene. Ringrazio a nome di tutti il Sandro e, soprattutto, l’Elisa, che sono stati stupendi… soprattutto l’Elisa...” Risatine, borbottii e assensi a voce bassa.
Continuai: “Ora è venuto il momento del secondo atto. E devo dire che se penso che di atti ne sono previsti dodici, non so come riusciremo a venirne fuori...”
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