Pioveva. Non una pioggia torrenziale simile ad un diluvio universale, no... Eppure pioveva. Fuori, per le strade e dentro di me mentre con difficoltà finivo di fare un doppio turno di dodici ore e mezza, in una casa di riposo in cui la pazzia regnava sovrana e la pazienza scarseggiava.
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Marco. Così lo chiamavano i suoi colleghi. Non con il suo primo nome, quello indiano, visto che era così difficile da ricordare, e nemmeno con il suo soprannome, Rocco, che era conosciuto soltanto dai suoi migliori amici.
Già. Rocco. Un soprannome che gli era stato dato dalla sua amica, Alessandra durante un aperitivo con il gruppo di amici più chiassosi che aveva. E Rocco era rimasto. Non tanto per la grandezza del suo cazzo... no... non per quello. Gli era stato dato quel soprannome solo perché in quattro ore riusciva a venire sei volte, facendo una pausa di dieci, massimo quindici minuti.
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Quel giorno del ventitré di Dicembre, Marco aveva iniziato la giornata con la pioggia fuori dalla finestra e il gelo in casa visto che di gradi erano tre sottozero e la sveglia segnava ormai da dieci minuti abbondanti le cinque del mattino.
Attento e sbadigliando era sgattaiolato fuori dalle coperte ed era uscito dalla camera da letto, in punta di piedi, cercando di non svegliare il gatto che dormiva, eppure non ci era riuscito nel suo intento visto che il micio di quattro mesi si era svegliato e con un piccolo miagolio nel buio lo aveva seguito.
Si era così diretto in cucina e aveva fatto la colazione con due brioche, un The verde e tanto sonno negli occhi.
Si era poi lavato, vestito e piano piano era uscito con le cuffie nelle orecchie e la musica degli "The Hu" che cercavano di tenerlo sveglio.
Faceva freddo. Dio se faceva freddo. E mentre lo pensava camminava veloce con l'ombrello chiuso, in mano, visto che non lo voleva rompere per il troppo vento che c'era, mentre la sottile pioggia, che cadevano dai nuvoloni neri, che gli passavano sopra la testa, rendevano difficile la camminata. Avere poi anche la mascherina di fronte alla bocca non aiutava visto che gli mancava anche l'aria.
Eppure, passo dopo passo in lontananza aveva scorto la fermata del bus e il bus stesso che aspettava.
Faceva freddo. Dio se faceva freddo. A questo pensava ancora mentre imprecava contro il maltempo, il vento forte e l'inverno in generale visto che lui per natura adorava l'estate, il mare e il sole cocente.
Ma non era il caso visto che era inverno inoltrato e l'estate era ancora lontano.
Dai dieci ai quindici minuti. Il tempo che il bus aveva impiegato per arrivare alla casa di riposo dove lavorava aveva impiegato circa quindici minuti. Poi altri cinque minuti a piedi per arrivare al cancello principale della struttura. Ed erano già le sei e venti di mattina. Dio quanto sonno che aveva negli occhi. Eppure non poteva permettersi di addormentarsi. Non lì visto che in mano aveva la salute ed il benessere degli ospiti della casa di riposo.
Sconsolato così era entrato e con le quasi tredici ore di lavoro che doveva svolgere non era per niente contento.
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Se la mattina era passata tranquilla il pomeriggio era diventato insopportabile. Le ore non passavano più e iniziava a sentire un po' di dolori e bruciori sulle spalle, le braccia e sul collo, ed ogni movimento per lui era diventato doloroso. Certo il dolore non era forte ma era diventato alquanto fastidioso.
In mezzo a quei dolori e ai minuti interminabili del pomeriggio il suo smartphone squillò una sola volta. A quanto pareva gli era arrivato un messaggio.
"Ciao Rocco sono Alessandra. Il materiale che hai richiesto per Sara è arrivato."
Questo era scritto sul display dello smartphone mentre sul suo volto compariva un piccolo sorriso.
Sara era la sua migliore amica e la conosceva da circa quattro anni mentre il materiale a cui Alessandra faceva riferimento erano i costumi che Marco e la Sara stessa avevano commissionato al Kinky Club di Mosca. Due completi in lattice, nero con due maschere: una da cane e una da coniglietta, con tanto di anal plug con un ponpon bianco per il culo.
Ed il sorriso era rimasto sul suo viso. Finalmente erano arrivati e poteva così sorprendere Sara.
"Passo dopo a prenderli. Grazie mille per avermi avvisato."
Le aveva scritto come risposta. Poi aveva ripreso a lavorare e finalmente alle venti e trenta aveva finito il turno. Aveva passato le consegne alla collega che iniziava il turno di notte e poi si era fiondato in spogliatoio a cambiarsi. Una volta pronto aveva salutato i colleghi, aveva timbrato ed era uscito pronto a prendere il secondo bus che lo avrebbe accompagnato in città vecchia e da lì alla casa di Valentina.
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Era una casa piccola senza ascensore in mattoni rossi e le finestre piccole. Marco si era così avvicinato al portone, aveva citofonato e poi in silenzio si era messo ad aspettare.
-Chi è?
Aveva domandato Alessandra.
-Marco.
Aveva risposto lui.
-Marco chi?
Aveva controbbattuto lei. Marco a quel punto aveva sospirato. Sul serio Alessandra voleva che utilizzasse il suo soprannome? A quanto pareva era così.
-Rocco.
Aveva allora detto al citofono, sottovoce, tanto che Alessandra aveva dovuto domandare di nuovo:
-Marco chi?
A quel punto, tra l'imbarazzo e la voglia di sparire sotto terra Marco aveva alzato un pelino la voce e aveva esclamato:
-Rocco!
E la porta era stata di conseguenza aperta e mentre lui entrava due ragazzine che passavano di là si erano messe a ridacchiare.
Di bene in meglio, aveva pensato mentre si chiudeva la porta alle spalle.
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Era zuppo dalla pioggia ed imbambolato se ne stava all'ingresso dell'appartamento di Alessandra, la quale era in lingerie nero, ed in più aveva anche un corsetto ed un paio di reggicalze dello stesso colore.
Occhi castani con un po' di ombretto viola, e un rossetto anch'esso nero. Un sorrisino malizioso sul volto ed occhi assatanati di sesso.
Trasudava erotismo e voglia da tutte le parti.
-Vedo che che sei arrivato Rocco.
Gli aveva detto una volta che lo aveva fatto accomodare. E lui era entrato dentro, stregato da quello spettacolo. E non aveva neanche fatto due passi dentro, che Alessandra lo aveva afferrato per il pacco e lo aveva baciato infilando tutta la lingua nella sua bocca.
Dopo quello che sembrava un'eternità Alessandra si era staccata da Marco e lo aveva preso per mano e in quello stato lo aveva accompagnato in salotto.
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Quello che aveva visto quando aveva varcato la porta del salotto lo aveva lasciato stupito.
In mezzo alla stanza c'era un tavolo, troppo alto per mangiare comodamente e troppo lungo e sottile per chiamarlo tavolo. E poi sopra aveva una lunga tovaglia. Una di quelle che finivano fin per terra, in seta nera.
La cosa che però lo aveva colpito di più era stata la ragazza che stava in piedi, vicino al tavolo e con le braccia dietro alla schiena. Indossava un completo in lattice nero con due buchi all'altezza del seno da cui uscivano le zinne e i capezzoli duri, e un buco per la fica. In più aveva una mascherina da coniglio anch'essa nera.
Solo una persona poteva avere quel tipo di indumento e senza pensarci due volte Marco aveva esclamato:
-Sara?!
Eppure lei non aveva risposto. Semplicemente aveva sorriso e si era spostata al lato del tavolo facendogli cenno di avvicinarsi, ma Marco era rimasto imbambolato dov'era tanto che Alessandra aveva dovuto prenderlo di nuovo per il cazzo e lo aveva accompagnato verso Sara ed il lettino.
Una volta davanti a Sara, Marco si era fermato mentre Alessandra aveva iniziato a spogliarlo. Una volta nudo Marco per la prima volta aveva potuto osservare meglio il tavolo che in realtà non era altro che un lettino con due fori. E per lui era diventato tutto più chiaro. Stupito si era così girato verso le due ragazze aggrottando la fronte.
-Sul serio? Un milking table?
Non aveva neanche finito di fare le domande che era stato incoraggiato a distendersi a pancia in giù, mettendo la testa ed il cazzo negli appositi buchi di quel lettino.
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Quattro mani sapienti avevano iniziato a massaggargli il corpo mentre dell'olio profumato veniva cosparso su di lui. Piano piano Marco aveva iniziato a rilassarsi mentre per la prima volta iniziava a respirare dopo la lunga giornata lavorativa.
E non era l'unico visto che, al tocco femminile, il suo fratellino aveva iniziato anche lui a dare segni di vita. All'occhio vigile di Alessandra, questo non era sfuggito.
Una mano pertanto aveva iniziato a massaggiare così il cazzo di Marco anche se lui non sapeva chi delle due aveva iniziato tale massaggio, fino a che Sara non si era messa davanti a lui.
I seni erano messi in bella vista e i capezzoli rigidi facevano capolino, invitanti al tatto e lui di conseguenza aveva appoggiato le sue mani su di esse mentre la ragazza sussultava per la goduria che lui riusciva a procurarle. Si mordicchiava le labbra mentre aveva preso le mani di Marco e lo incitava ad essere più aggressivo. Lui d'altro canto non aspettava altro.
Così mentre Alessandra era impegnata con il suo amichetto, lui aveva leggermente inarcato la schiena, senza sollevare il bacino e aveva iniziato a baciare Sara e a mordicchiare e ad impastare i seni ed i capezzoli.
-Vedo che ti piace.
Aveva detto Sara, aprendo la bocca per la prima volta volta da Marco era entrato in casa.
Per tutta risposta le aveva preso il volto tra le mani e l'aveva baciata, infilandole in bocca tutta la lingua.
A quel punto Alessandra aveva accelerato i movimenti della sua bocca e Marco non aveva più resistito e si era scaricato tutto nella sua bocca mentre entrambi mugolavano come animali.
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