Titolarità
Ottavio non era certamente il mio ideale di maschio; ma era un piccolo dirigente nell’azienda di cui io ero titolare e mio marito Flavio l’Amministratore Delegato; questo rendeva particolarmente piccanti le corna che gli facevo perché era un suo dipendente e lavorava nello stesso ambiente; la cosa non era risaputa in giro e per questo non lo toccava troppo; ma ero ormai decisa ad uscire allo scoperto e metterlo sotto, almeno piegarlo in qualcosa.
L’azienda era stata avviata da mio nonno al quale era intitolata; mio padre l’aveva fatta crescere e rafforzarsi; una quindicina di anni fa assunse quello che sarebbe diventato mio marito; ad appena venticinque anni, era dato da tutti come il più promettente amministratore possibile; col suo innegabile fiuto lo prese a benvolere; l’incontro con me fu quasi conseguente e in breve ci sposammo; avevo allora solo venti anni e mi beavo nella disinvolta superficialità dei giovani.
Dopo una decina di anni, i miei decisero che era il momento di ritirarsi a godersi quello che avevano guadagnato in una vita di fatica e lasciare a me la titolarità dell’azienda, affidando però la direzione effettiva a Flavio che già era stato sperimentato da mio padre e guidato in alcune iniziative; quando gli consegnò le redini, era decisamente l’imprenditore più forte ed abile che ci fosse in giro; non a caso, fioccavano offerte astronomiche perché cambiasse ‘padrone’.
Lui non pensava neppure per errore a lasciarmi in mano la delicata conduzione dell’attività ed io cominciai a sentire pesante il suo fiato sul collo; la sua immensa abilità, unita all’umanità indiscussa e alle enormi qualità che ne facevano un soggetto prezioso stimato ed ammirato da tutti, cominciarono a pesarmi enormemente; non c’era campo nel quale mi riuscisse di superarlo; ero ‘la padrona’ ma in realtà mi riducevo ad ancella della sua grandezza.
Decisa a stroncarlo, almeno in qualche cosa, mi frullò per la testa l’idea che nel sesso potevo umiliarlo e passare io ad esprimere potere; non sarebbe stato facile, perché era una fulmine di guerra, a letto; ma non era un amante migliore di lui, quello che cercavo; mi sarebbe bastato anche un individuo mediocre; l’idea di affermare che la figa era mia e che ne facevo l‘uso che volevo, anche e soprattutto contro di lui, mi esaltava.
Per questo, circa sei mesi fa mi portai Ottavio a cena e, dopo, in un albergo dove mi feci scopare, evitando continuamente di confrontare la sua pochezza con l’immane grandezza di mio marito a farmi godere in tutti i modi; ci sollazzammo per un paio d’ore, nelle quali succhiai l’uccello fino a farlo svenire; ero molto abile in quella specialità; mi leccò maluccio, ma riuscii a pilotarlo per avere un buon orgasmo; però la mazza era notevole e me la godetti.
La sentii nettamente quando la infilò in figa e il canale vaginale reagì con goduria alla violazione di un batacchio di oltre venti centimetri che spazzava via tutto e affondava deciso fino all’utero; non avevamo molto tempo, quella sera, perché lo avevamo speso nella cena e volevo rientrare ad un’ora compatibile con la scusa che avevo accampato, una serata per sole donne con le amiche; riuscii però anche a farmi inculare con un gel che avevo portato apposta.
Le volte successive, all’incirca a scadenza quindicinale, mi organizzai per fare le cose con calma; uscivamo dall’azienda contemporaneamente, ma non insieme, a fine giornata, e andavamo nell’albergo che diventò il nostro rifugio per scopare; a quel punto, avevamo quattro ore a disposizione per fare il nostro comodo; in sei mesi, realizzammo una dozzina di incontri, nel corso dei quali sfogai tutta la mia conoscenza e il mio delirio.
La mia ingenua capricciosità frenetica non mi consentì di valutare, sin dalla prima occasione, che, finché realizzavamo le corna in privato, lontano da tutti, Flavio non aveva nessun modo per capire l’umiliazione che intendevo infliggergli e che gli stavo concretamente infliggendo; ‘occhio non vede, cuore non duole’ ammonisce un saggio detto popolare; lui neppure lontanamente immaginava che, dopo un decennio di armonica convivenza, al vertice del successo, avessi deciso di mortificarlo.
Con pesante ritardo, quell’ultima volta, avevo deciso che almeno, come il Pollicino della favola, le tracce per capire gliele dovevo lasciare; di qui, la scelta di scopare nella nostra casa, nel nostro letto, mentre lui partecipava ad una pallosa riunione di imprenditori per discutere dei piani di lavoro per il futuro; neppure consideravo che il fatto stesso di scopare mentre lui faceva il lavoro che spettava a me, titolare dell’azienda, era di per se una prova di forza in cui dominavo.
Senza rendermi conto che gli consegnavo una delega che indeboliva la mia posizione e il mio ruolo, correvo dietro il capriccio di offenderlo per poter pensare, e forse dire, che gli avevo fatto abbassare la cresta; l’unica cosa che riuscivo a riflettere era che se non gli avessi fatto sapere che lo tradivo, non sarebbe valso a niente un palco di corna più numerose di quelle di una sporta di lumache; di qui, la scelta di scopare nel letto che lui considerava quasi sacro perché quello del nostro amore, finché c’era stato.
Usciti dai cancelli della fabbrica, avevo preso a bordo Ottavio e l’avevo portato a casa nostra, sapendo che Flavio sarebbe andato dal lavoro direttamente alla riunione operativa, che sarebbe durata forse fino a notte fonda; appena fummo in casa, mi liberai con un calcio delle scarpe, posai il soprabito su un appendiabiti, lo abbracciai e cominciai a spogliarlo; lo denudai mentre raggiungevamo la camera; fermi al centro della sala, ci scambiammo un bacio di pura libidine.
Ricordavo con estrema precisione tutto quello che mio marito, in quella stanza, faceva quando mi scopava; riproposi pari pari il tutto e mi sedetti sul bordo del letto attirandolo verso di me per le natiche dure e muscolose; quando fu a pochi centimetri dal mio viso, sfilai il boxer e mi esplose in faccia il suo cazzo superbo e duro come l’acciaio; certamente la voglia e la libidine non ci mancavano, in quelle nostre scopate.
Presi il batacchio a due mani, una per raccogliere e carezzare i testicoli gonfi di passione e di sborra che mi avrebbe scaricato dentro e sopra il corpo; con l’altra, invece, afferrai la mazza ritta contro il ventre e avviai la più lussuriosa masturbazione di cui ero capace, baciai il cazzo sulla punta; le smorfie del viso e i gemiti lievi mi dicevano quanto godesse di quel trattamento; allargai le cosce ed esposi al suo piacere la figa già rorida; mi portò una mano fra le cosce, afferrò il clitoride e ricambiò il servizio.
Ci sollazzammo a lungo con la reciproca masturbazione, perché Flavio mi aveva ormai abituata a lunghe manipolazioni prima di scopare; per accentuare il piacere, mentre le mani correvano sui sessi, gli tirai il viso contro il mio e lo baciai; fece un minimo di resistenza, all’idea che poco prima gli stavo baciando la punta del cazzo; poi cedette e si abbandonò ad un bacio lussurioso che ci consentì di esplorare le cavità più sensuali della bocca e di salivare a lungo di piacere.
Staccatami da lui, presi a due mani il cazzo e avvicinai la cappella alla bocca, stretta a cuoricino per dargli più emozione; lo sentii entrare lentamente contro il palato, spinto dalla lingua che lo guidava e lo accarezzava; il poveretto soffriva letteralmente per il piacere; ogni volta che l’orgasmo si annunciava prossimo, interrompevo la suzione e gli stringevo i testicoli perché la fitta lo raffreddasse e gli consentisse di ricominciare a pomparmi in bocca.
Mi prese le guance tra le mani e cominciò a scoparmi con violenza; lo lasciai fare e mi preoccupai solo di guidare la cappella ora contro una gota ora contro l’altra e, quando entrava nella gola, tenevo ben ferma con la mano la parte fuori dalle labbra per obbligarlo a infilarne quanto sufficiente a farmi godere senza soffocarmi; leccavo la cappella provocandogli brividi intensi di piacere; anche alla mazza dedicavo intense linguate.
Mi era fin troppo chiaro che per lui fosse una pratica assolutamente nuova, quella che per me era un normale pompino, di quelli che praticavo quasi quotidianamente a mio marito; un poco mi vergognavo, dentro di me, per piegarmi a quella pratica arrogante, per mettere ai miei piedi un essere inutile; ma il desiderio di umiliare mio marito era troppo forte; su quel letto, le stesse pratiche con un altro erano il massimo dell’offesa; ed io desideravo solo quello, offenderlo.
Evitai di farlo sborrare in bocca, perché volevo sentirlo nella pancia; mi staccai e mi stesi supina sul letto; sapeva bene quel che desideravo, adesso specialmente che il confronto era inevitabile; mi si stese sotto e cominciò a leccarmi sapientemente la figa; a quello, lo avevo già abituato e mi aspettavo lussuriose linguate che mi mandassero in tilt; fu all’altezza del compito e in breve rantolavo di piacere sotto di lui che perlustrava tutti gli anfratti della figa, dalle grandi labbra al clitoride.
Su quello si scatenò la libidine; vi si dedicò con appassionata insistenza, scatenandomi orgasmi continui e violenti; finalmente sentii il piacere che cercavo inondarmi il corpo; adesso mi mancava di sentire la mazza violentarmi il ventre, dalla figa o dal culo, mi interessava poco; quando mi fece sistemare carponi sul letto e mi andò dietro per leccare meglio figa, perineo e culo, capii che era arrivato il momento della penetrazione; sentii la cappella appoggiarsi alla figa.
Un solo colpo violento e deciso e il cazzo fu nella vagina, fino all’utero, scatenando violento l’orgasmo che mi fece squirtare sul ventre di lui; per buona sorte, riusciva a controllarsi molto, prima di sborrare; questo mi dava la possibilità di godermi a lungo la mazza nel ventre; sentii il movimento del vai e vieni del cazzo dalla vagina con crescente lussuria e con infinita voglia di essere sempre più scopata e violentata; dedicai al ‘cornuto’ l’orgasmo più violento che mi scaturì dalla figa.
Quando la mazza si sfilò dalla figa, attesi con gioia che mi rompesse il culo; non avevo portato lubrificante ma non volevo usarne, perché ero abituata alla mazza nel culo e volevo sentirlo bene mentre avanzava nel retto che lo succhiava dentro; sentii con gioia la cappella, uscita dalla figa, spostarsi su al culo e le spinte di lui per forzare l’ano comunque stretto; quando, con un’ultima botta, il batacchio entrò e i testicoli colpirono la figa, urlai di piacere.
L’inculata andò avanti a lungo e lui la provò in tutte le posizioni, dalla pecorina classica al ‘cucchiaio’ sdraiati con un gamba sollevata, fino alla penetrazione faccia a faccia che era quella da me preferita perché consentiva all’amante di titillare i seni e di baciarmi; va a sé che ogni botta ulteriore era dedicata all’imbecille che non sapeva apprezzare le doti di amante di sua moglie; scopammo per alcune ore, cambiando speso posizione e modi di penetrazione.
Quando fui stanca di quell’esercizio fisico, lo licenziai anche perché, arrivata a quel punto, farmi sorprendere dal marito per umiliarlo ancora, era quasi inutile; sarebbe bastato lo stato in cui ci trovavamo io e il letto per dire con chiarezza che cosa fosse avvenuto in quel ‘luogo sacro’ per mio marito; a chiarire ulteriormente, sarebbe bastato dirgli poche cose che delineassero nette le distanze, le differenze e, se necessario, le conseguenze.
Era passata mezzanotte, quando Flavio rientrò decisamente stanco per la giornata pesante; mi trovò al tavolo della cucina che sgranocchiavo biscotti e the per sopperire alla cena che non avevo fatto; quando mi vide con la vestaglia trasparente sul corpo nudo, ebbe qualche dubbio; andò in camera, diede un’occhiata e tornò in cucina; non pronunciò una sillaba.
“Ti ho fatto le corna anche stasera; sono mesi che scopo con un altro, perché tu non ti accorgi che esisto se non per dimostrarmi che non valgo niente rispetto alla tua immensità; se sei insensibile, frocio o cornuto contento, accetti il mio amante e mi lasci in pace definitivamente; se tenti una qualsiasi reazione, ti pianto una grana che non immagini e ti licenzio.”
“Puoi licenziare il mio cazzo, non me; sono stato nominato da tuo padre ed è l’unico che può revocare la nomina; hai il titolo di titolare ma sei solo uno stupido manichino senza carattere; io sono sempre l’Amministratore Delegato e detengo il controllo dell’Azienda; non vali niente come imprenditrice e come donna; forse hai qualche carta come femmina, per qualche imbecille super eccitato, ma tutte le puttane sono in grado di concupire maschi per farsi sbattere.”
Si ritirò nello studio e non lo vidi più; pensavo di incrociarlo nella fabbrica, ma mi fu comunicato che era partito per un giro di contatti ad alto livello per le capitali europee; era previsto un viaggio di qualche mese, di cui colpevolmente, visto che ero la titolare, ignoravo tutto; pensavo che a quel punto avrebbe dilatato i tempi per non tornare se non dopo aver definito i rapporti, forse per accettare l’offerta di qualche altra azienda; evidentemente la mia ipotesi di piegarlo era fallita prima di cominciare.
I mesi che passarono furono addirittura sei; di mio marito non avevo nessuna notizia; in compenso, scopavo molto volentieri e senza limiti col mio stallone, ora che la casa era vuota e potevo farlo trattenere anche la notte, a patto che mi scopasse alla morte; la rabbia per l’abbandono di mio marito mi pesava molto ed aspettavo solo l’occasione per poterlo schiacciare come un insetto e costringerlo a piegarsi alla mia superiorità.
Continuavo ad imporre la mia presenza in fabbrica con ordini spesso incoerenti e assurdi; ma la mia convinzione era che io dovessi, secondo la mia capricciosa fantasia, dettare le decisioni per telefono e i ‘funzionari’ dovessero funzionare a mio vantaggio; in realtà, non avevo alba di come si gestisse l’amministrazione di un piccolo centro di potere e mi gloriavo solo di un dominio nominale di cui non conoscevo neppure il valore concreto.
Dopo sei mesi della mia ‘autarchia capricciosa’, vedevo intorno a me facce preoccupate e non riuscivo a capire perché; mi arrivò tra capo e collo una mazzata terribile quando fui avvertita che era stata convocata un’assemblea dei dirigenti che, in assenza di mio marito, sarebbe stata presieduta da mio padre e non da me, come sarebbe stato logico; immediatamente provai a chiamarlo; ma il ciclone che mi investì ci mise poco e farmi pentire amaramente, non solo di averlo chiamato.
Esordì apostrofandomi ‘sporca puttana’ per passare poi a scaricarmi addosso tutte le colpe di un fallimento che incombeva sull’azienda e che era dovuto solo alla mia imbecillità; si alterò tanto che sentii mia madre imporgli di staccare la comunicazione con ‘quella troia’ ormai irrecuperabile, per non rischiare un infarto; la sola idea che mia madre mi definisse ‘troia’ mi faceva soffrire; forse solo in quel momento mi resi conto del male che avevo fatto, non solo a mio marito.
Si tenne la riunione; ma per tutta la giornata, vilmente, evitai di farmi vedere in sede; il legale dell’azienda mi chiamò per obbligarmi, a norma di legge, ad essere presente alla discussione, considerato il ruolo che avevo accettato e indegnamente disatteso; arrivai all’ora fissata per l’incontro e feci in modo da non sfiorare neppure mio padre, livido come un lenzuolo; mia madre gli si teneva stretta e sembrava consolarlo del dolore che provava.
Mio padre presiedette la riunione; in apertura, avvertì che c’erano dei fatti privati che avevano inciso sulla vicenda industriale; avvertì ‘chi voleva capire’ che si alzasse e andasse via prima di costringerlo a ricorrere ad altri percorsi per rimediare ai danni arrecati; ero vicina al legale dell’azienda e gli chiesi cosa significasse; mi disse che ignoravo persino il potere di mio padre che aveva la possibilità di chiedere l’intervento di personaggi pericolosi per punire le corna alla famiglia.
La nuova mazzata mi colpì alla nuca e vacillai; solo in quel momento mi rendevo conto che le corna si estendevano a mio padre che sull’argomento era stato sempre categorico e talebano; mi augurai che Ottavio trovasse il coraggio di alzarsi ed andarsene per non costringere un uomo decisamente buono come mio padre a diventare feroce; il vigliacco non si mosse ed io odiai lui per quello che si rivelava e me per il terremoto che avevo scatenato.
Uno dei dirigenti chiese a mio padre perché si tardasse a cominciare; gli comunicò che era atteso un protagonista che aveva grande peso nella vicenda; poco dopo vidi entrare Flavio, in forma smagliante, come sempre, e forse più elegante del solito; c’era con lui una bellissima donna che non conoscevo; andò a abbracciare mia madre e salutò con calore mio padre; mi ignorò con voluta indifferenza e non trovai il coraggio di avvicinarmi anche se da sei mesi non ci vedevamo.
Mio padre esordì illustrando una situazione da barato, per l’azienda; per sei mesi non si era mossa foglia, non si era lavorato e non erano arrivate commesse, perché l’azienda era stata affidata ad una persona indegna che si era preoccupata delle sue voglie e non della struttura che si era impegnata a gestire; la colpa, in parte, era anche dell’Amministratore Delegato che, tradendo la delega totale che lui gli aveva affidato, non aveva messo da parte un’incapace.
Per rimediare all’anomalia della doppia conduzione, avevano concordato, lui e Flavio, che gli cedeva, per la cifra simbolica di un euro, la metà dell’azienda; l’altra metà sarebbe rimasta alla sua indegna figlia a cui veniva proibito finanche di mettere piede negli uffici col rischio di inquinarlo come aveva fatto con la casa e col matrimonio; quel problema, comunque, era stato risolto con la sentenza di separazione ormai operativa.
A quell’affermazione, scattai come una molla; non potevano rompere il matrimonio senza neppure interpellarmi.
“Deficiente e incosciente, neppure la posta a casa sei in grado di sfogliare; da mesi ti è stata recapitata copia della sentenza; avevi ben altro da fare, per gettare fango su me, per preoccuparti di una determinazione del Tribunale.”
L’avvocato mi passò una fotocopia da cui risultava che già da un mese era stata pubblicata una sentenza che dichiarava la separazione legale su richiesta di mio marito; ingoiai le lacrime e cercai di sentire il resto del discorso; Flavio chiese scusa per avere reagito d’istinto ad un torto subito recando danno alla fabbrica; avvertì che molte trattative e commesse erano state ‘congelate’ affidandole ad altra azienda appena nata e gestita dalla donna che era al suo fianco.
Rivelò di avere acquisito, per pochi soldi, una fabbrica ‘decotta’ con cui aveva operato; ma tutto il lavoro svolto era destinato all’azienda ereditata da mio padre; promise che nel giro di qualche mese avrebbe riportato l’azienda ai fasti antichi; non prometteva mai invano; i ‘tecnici’ avevano capito che aveva creato una struttura senza macchinari ma in grado di captare offerte e dirottarle poi all’azienda principale; adesso, la forza di lavoro si raddoppiava e tutti erano chiamati a collaborare.
Riscosse il consenso unanime; conclusa la riunione, cercai di accostarlo, ma era circondato da dirigenti che avevano bisogno di indicazioni; riuscii a inserirmi nei colloqui e gli chiesi se accettava di parlarmi; non mi rispose; fu invece Ottavio che perfidamente mi avvicinò per chiedermi se mio padre sapesse e se parlasse sul serio, quando minacciava; gli suggerii di parlare con il legale, il più vecchio amico di mio padre, capace di leggergli anche i pensieri più segreti.
Naturalmente, seppe che la vigilanza dell’azienda aveva raccolto prove inconfutabili dei nostri abusi; mio padre era in grado di farlo punire pesantemente, attraverso conoscenti di dubbia reputazione; lui poteva, e forse doveva, dimettersi immediatamente e cambiare città; l’offesa alla famiglia, se fosse diventata di pubblico dominio, rischiava di diventare faida; il miserabile si nascose in un angolo e capii che piangeva come un bambino a cui avessero rotto un giocattolo caro.
Quando quasi tutti se ne furono andati, mi trovai da sola con i miei familiari, padre, madre ed ex marito; fu ‘il vecchio’ ad aprire il dialogo.
“Visto che ormai sei inevitabilmente separata e quindi singola, cosa pensi di fare?”
“Non lo so; davvero non ho nessun elemento a cui appigliarmi … “
“Se Flavio mantiene gli impegni, e so che li manterrà, tra qualche mese non avrai problemi economici perché l’azienda ti renderà per lo meno agiata, se non ricca; pensi di usare ancora il tuo stato per concederti a caproni che ti sbattano come uno zerbino? … Cara moglie, non offenderti, non esagero; sono i dati ricevuti dalla vigilanza che lo dicono con documenti … ”
“Flavio, davvero vuoi arrivare al divorzio con mia figlia? Dieci anni di matrimonio felice non si buttano con l’acqua sporca di qualche lurida scopata … “
“Fino a sei mesi fa, ti chiamavo ‘mamma’ ed ero anche felice di farlo; ora non so neanche come rivolgermi a te; tuo marito può essere ‘l’ingegnere’ e non cambia niente nei nostro rapporti di affetto; con te mi sento in colpa perché capisco che soffri più di tutti; la separazione più vera, quella più lacerante, e tra me e te; ma purtroppo il tuo ‘qualche’ significa un anno di corna; non hai detto questo, quando mi hai cacciato dalla tua vita?”
“Flavio; le scopate sono ginnastica; per un mese o per dieci anni, non cambia; sono stata adultera e perfida, ma non ho dato amore a nessun altro che a te; il caprone che mi montava era solo un cazzo, niente altro; la doccia ogni volta lavava la sborra e il ricordo di lui; ti ho conosciuto che ero vergine e casta; tanti si sposano con alle spalle storie anche pesanti; se tu volessi provare a ricominciare da zero, ti basterebbe entrare nell’ordine di idee che torni a sposarmi, se vuoi una scusa, per unificare l’azienda.
Ti basterebbe lasciarti corteggiare e non fare domande sul passato, sapere che ho avuto per un anno un amante di cui mi sono nauseata di colpo; non ti chiedo di amarmi come quando avevo diciotto anni e tu cominciavi a lavorare con papà; ti chiedo di azzerare la situazione e di provare a rimetterci insieme, io con il mio passato di cui vergognarmi, tu con il tuo di cui essere orgoglioso; è una questione di volontà, di scelta, di determinazione.
A meno che tu non abbia fatto già altre scelte e non ci sia più posto per me, nel tuo letto, e il cuore non mi voglia più accettare; hai già un’altra donna che ami? Verrai ancora a stare in casa nostra o hai un’altra casa dove vivere in amore e serenità?”
“Non c’è nessun’altra nella mia vita; anzi, no; c’è il fantasma della donna per cui impazzivo d’amore e che mi ha distrutto con la malafede; non so se da quel fantasma posso tirare fuori una donna vera e viva di cui innamorarmi, col tempo; la ‘nostra’ casa non lo è più, da quando è diventata l’alcova di una puttana che si è fatta sbattere da uno stallone ignobile; tuo padre lo aveva chiaramente detto quando ha parlato di ‘inquinamento’ d’ambiente già realizzato nella nostra casa; cosa ci verrei a fare nel sito dove tu scopi come una baldracca? Speri forse davvero che io diventi all’improvviso cuckold?”
“Vi prego, non giochiamo a non capirci; se volete mi copro la testa di cenere e chiedo perdono in ginocchio a tutti voi che ho offeso; papà, ti prego di credere che la tua stupida figlia capricciosa nemmeno per un attimo ha avuto coscienza che le corna a mio marito colpivano anche te; ho perso qualunque facoltà razionale, ho accumulato errori su errori e ho ucciso la tua figlia prediletta, la ‘mongoloide’ che seguivate con amore in ogni palpito.
So che tu e mamma usavate questo termine per l’azienda e per la cura che richiedeva; la tua figlia degenere, viva e troia, ha ucciso la sorellina prediletta; forse l’ho fatto, come con mio marito, proprio perché volevo essere prediletta rispetto all’azienda; non mi sono resa conto di quello che facevo; per questo, anche, ti chiedo di farmi conoscere il lavoro; fammi assumere in fabbrica e costringimi a capire cosa significa guadagnare quel denaro che ho sperperato tra capricci e scopate.
Capisci, Flavio, che anche questo mi manca, sapere cosa sia lavorare e guadagnare, per apprezzare quelli che lavorano e mi consentono il lusso di essere parassita; anche questo tirocinio dovrei fare, per cercare di azzerare la mia vita e ricominciare, con te o senza di te; almeno in questo, puoi essere suggeritore? Papà, ce la fai a perdonare e a darmi una mano per ricominciare da zero?”
“Non ho nessuna idea sul come fare; per questo, mi sono sempre affidato al mio giovane e validissimo collaboratore, anche prima che diventasse tuo marito; Flavio, ho bisogno del tuo consiglio per non perdere irreparabilmente una figlia; hai salvato ‘la mongoloide’; hai una ricetta per salvare la reproba e la famiglia?”
“La ricetta c’è ma richiede grande lealtà e fede in chi ha finora dimostrato di non riuscire a rispettare né la fede né la lealtà; vai dal capo dell’ufficio personale e comunica che da domani sei la segretaria dell’Amministratore … “
“Segretaria tua?!?! Sei sicuro di non avere sbagliato i termini?”
“No, ragazza mia; sei socia al 50 %; è più che naturale che entri nel cuore della direzione; una segretaria passa col titolare fino a dieci ore al giorno; questo crea empatia; conoscono, l’una dell’altro, perfino gli odori e gli umori; se davvero qualcosa è successo che ti fa cambiare atteggiamento, la cosa migliore è che entri in sintonia col tuo principale; quanto meno, devi abbassare la testa ed essere la sua ancella.
Potrai inalberarti solo quando dovrai fargli fare bella figura, con la tua bellezza, nelle cerimonie ufficiali dove devi dimostrare che l’azienda è bella oltre che valida; stasera torniamo alla casa che fu nostra, ma saremo separati in casa, ciascuno con le sue realtà, le sue esigenze, la sua vita e le sue amicizie, ciascuno con uno spazio delimitato e proibito all’altro; se ti sta bene, sarà sufficiente che non parli d’amore né di sesso, ma solo di lavoro.”
“Va bene, ci sto; voglio essere la segretaria più affidabile e la coinquilina meno invadente; mi basta sapere che non ti ho perduto del tutto; anche se avrai un milione di amanti, mi accontenterò di respirare la tua stessa aria … “
“Flavio, sei un grande; lo sapevo e ne sono ancora più confermato; grazie per offrire a mia figlia uno spiraglio di salvezza ... “
“Anche se non lo dovessi essere mai più, non mi dispiace di sentirti figlio adottivo e sentirmi chiamare mamma; ti voglio bene perché rappresenti quello che di meglio una mamma può desiderare e che ho sempre sognato da te.”
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Non aveva perso il gusto della trasgressione la stupida capricciosa; solo qualche mese dopo, in un’area di parcheggio lungo l’autostrada, furono trovati, nella macchina di lei, i corpi di lei e di Ottavio; la polizia chiuse la pratica con una denuncia contro ignoti per omicidio a scopo di rapina; Flavio uscì allo scoperto e sposò rapidamente la donna con cui aveva dato vita alla nuova struttura e che da mesi era la sua compagna; molti pensarono ad una vendetta assai violenta messa in atto dal vecchio padre.
Nessuno però ebbe il coraggio nemmeno di sussurrarlo nei pettegolezzi di corridoio; il legale dell’azienda, che non condivideva molte scelte fatte dal vecchio proprietario, anche se era suo intimo amico, andò a trovare la madre che, dopo la scoperta dell’assassinio, si era chiusa in un doloroso mutismo e si rifiutava di sopravvivere alla figlia e, forse, al marito.
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