Troie e talebani

  • Scritto da geniodirazza il 03/10/2023 - 05:43
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Troie e talebani

Il furgone mi arriva alle spalle, all’improvviso, e mi sento strappar via, sbattere sull’automezzo e immediatamente legare, bendare e imbavagliare.

Non riesco assolutamente a pensare che cosa mi stia succedendo e che cosa vogliano da me gli aggressori; l’idea che mi vogliano stuprare o violentare mi spaventa, anche se so bene che non dovrei avere assolutamente nessun timore di verghe che mi violino, considerato quello che ho fatto specialmente da quando, nell’ultimo mese, mi sono fatta mettere in mezzo da quella banda di scatenati giovanotti del bar d’angolo che passano intere serate a divertirsi con me, individualmente, in coppia, a tre, a quattro in orge multiple scatenate; ma quella è una mia scelta, è sesso che io voglio e che mi fa sentire completa, con quel marito ligio a tutto, ordinato e perfettino che non mi consente niente che vada fuori dalle ‘sue’ regole; qui invece potrebbe trattarsi di un’aggressione violenta, di pazzi scatenati capaci di qualunque violenza, di qualunque bassezza; ho paura e sto piangendo, anche se cerco di contenermi.

Dobbiamo essere arrivati, perché il furgone si ferma, mi portano giù bruscamente, violentemente e mi trascinano a forza; mi tolgono la benda e mi trovo in un capannone immenso; in un angolo, c’è una sorta di croce di metallo alla quale mi legano, per le braccia e per le gambe, lasciandomi imbavagliata; da una porta che neanche avevo visto, esce una processione di uomini, uno dei quali, completamente nudo, è uno dei giovani del bar, il più autorevole, quello che mi possedeva con maggiore intensità.

Lo legano ad una catena fissata ad un argano; con terrore, mi accorgo che la catena, dall’altra parte, è attaccata al sesso ed è con quello che lo issano; a mano a mano che la catena si accorcia, il sesso si stira e sembra infinito; urla in maniera disumana e chiede pietà, ma cominciano a percuoterlo con delle cinghie su tutto il corpo; le strisce violacee lo segnano progressivamente sempre più fitte e le urla di lui si succedono senza sosta; urlo anche io la mia paura, la mia rabbia, il mio dolore e il suo dolore; ma il bavaglio non mi consente neppure di fare sentire il mio pianto; quello che sembra un capo si rivolge a me con una voce decisamente falsata da un meccanismo nella maschera che copre il volto, a lui e agli altri, come una banda di Ku Klux Klan.

“Hai goduto molto con lui, vero? Ora godi di lui; anche il dolore provoca piacere nel sadomaso; godi ora, troia!”

Non posso fare altro che soffrire mentre lo percuotono con sempre maggiore ferocia; ormai le strisce sono sangue che sgorga, il membro è un nervo tirato allo spasimo, probabilmente strappato dentro; uno degli incappucciati si avvicina con un mano un ferro robusto e senza pietà lo infila nell’ano al poveretto che lancia insostenibili urla di dolore.

“Ha goduto inculandoti; ora gode inculato; sappi che questo sarà il trattamento che, uno per uno, subiranno quei debosciati da cui ti sei fatta sbattere, offendendo mortalmente un uomo d’onore, onesto, leale, corretto; poi toccherà anche a te ed ogni momento pregherai dio di farti morire prima che noi abbiamo finito; attraverserete tutto l’inferno e proverete terrore quando finirà perché possiamo sempre ricominciare come avete fatto voi, per tanto tempo. Non ti sognare di fare denunce; segneresti la condanna a morte di tutti i colpevoli, dei genitori, dei parenti di tutti e alla fine tua e dei tuoi.”

Sono distrutta, il dolore è indicibile e mi prende al cuore, direttamente; quando con un ultimo violentissimo colpo sbattono sul pavimento il corpo del povero ragazzo, il mio cervello cede e svengo; mi sveglio su un marciapiedi, nello scarico di una fogna, poco distante da casa mia, in un’area abbandonata; mi trascino dolorosamente a casa e ci arrivo lacera, sanguinante, sporca e puzzolente; non mi hanno portato via niente e trovo le chiavi nella borsa; apro ed entro sotto lo sguardo stralunato dei miei figli e l’apatico disinteresse di mio marito che mi guarda come un viscido rifiuto e si limita a spostarsi quando lo sfioro per andare in bagno.

Quando esco dal bagno, mi sono alquanto ricomposta ed ho rimediato in gran parte ai danni che in fondo non sono gravi, perché non mi hanno fatto nessuna violenza; vorrei avere notizie del ragazzo, ma non so proprio da che parte cominciare per informarmi; Nicola, mio figlio, mi rivolge finalmente la parola.

“Puoi dare una spiegazione?”

“Non ho niente da dire. Affari miei.”

Luciano, mio marito, annuncia che ha ricevuto una telefonata per un nuovo incarico di lavoro, fa l’architetto, e che forse deve passare qualche tempo in una località montana dove stanno attrezzandosi per piste da sci ed attività sportive; chiede se Nicola e Laura, nostra figlia, vogliono accompagnarlo; la ragazza domanda cosa farà con me; suo padre ritira dalla mia borsa le chiavi di casa e avverte.

“Lei se ne va da questa casa e non ci torna; chiederà ospitalità ad uno degli amanti che si coltiva da anni o tornerà a casa dei suoi, se l’accettano; comunque, avrà tanti di quei problemi, nei prossimi giorni, che sparire sarebbe pericoloso per la sua stessa vita. Ti avverto anche che le carte di credito sono bloccate; io non pago per lasciarti fare la troia!”

Per i ragazzi il discorso è ermetico; io ho capito che sa tutto, anche delle aggressioni, e che mi sta abbandonando nelle mani dei miei carnefici; non posso dire niente, non voglio confessare, nemmeno adesso, quello che ho fatto; e mi ritiro in camera dove inutilmente aspetto che mio marito, come sempre, venga, pur sapendo che non gli darò altro che una formale resa alla sua autorità coniugale, senza emozioni, senza amore; sento che allestisce il letto in camera degli ospiti.

La mattina seguente, esco per andare in ufficio e noto le valigie pronte; chiudo per l’ultima volta la porta alle mie spalle e non so se mi sto avviando alla mia quotidianità o al mio calvario infinito; non so neppure se parlare con qualcuno, di quello che mi è capitato; in ufficio, la prima persona che incontro è Lucio, il giovane collega col quale era iniziata la vicenda che ha originato la saga attuale; mi chiede se so di Ricky; decido per lo meno di metterlo sull’avviso.

“Ero lì, legata in croce e imbavagliata; ho dovuto assistere a tutto il tormento. Come sta ora?”

“Che diavolo dici? Hai visto tutto? E perché non hai chiamato la polizia?”

“Sai cos’è la mafia? Se chiami la polizia, domani muori tu e tutta la tua famiglia, tutti gli altri con le famiglie e alla fine io e i miei figli, solo il brav’uomo si salva, quello che abbiamo oltraggiato e che questa setta sta vendicando.”

“Oh dio, cosa si può fare?”

“Io non posso farci niente; tu, credo, meno ancora.”

Dobbiamo interrompere, perché viene gente; la giornata prosegue regolarmente.

Non so come spiegare a mia madre che non ho più un tetto e devo andare a stare da lei; cerco di spiegare che con Luciano siamo alla fine e che se ne va coi figli lasciandomi sola; ma non è soddisfatta; prova a chiamare mio marito che respinge la chiamata; si rivolge a Nicola che, senza lasciarla parlare, le dice.

“Prova ad insegnare un po’ di decenza a questa troia, prima di parlare con noi.”

E riattacca; mia madre pretende spiegazioni, anche per i graffi che ho sul corpo; ma la prego di non fare domande e me ne vado a piangere nella mia vecchia camera che ora occupo di nuovo.

Comincio a vivere nel terrore; quella non è gente che si ferma e manterrà le promesse; cosa posso fare?

Non ho risposte e non serve fare domande; mi chiama Lucio e mi avverte che Ricky è molto mal messo, con costole ed arti spaccati, la rottura del pene che ne annulla le facoltà riproduttive e danni vari a tutto il corpo; la polizia ha avviato indagini ed è convinta che l’aggressione abbia una motivazione sessuale, ma brancola nel buio; anche lui mi chiede cosa possiamo fare ed anche a lui devo dire che non ho idee; mi suggerisce di provare a parlare con mio marito, ma so che ormai è troppo tardi; forse fino ad ieri sera avevo ancora uno spiraglio, ma ora l’ho chiuso ed è finita; l’idea di andarmi a gettare sotto un treno comincia a prendere corpo; poi prendo una tisana e vado a letto.

Passano tre giorni e, mentre quasi comincio a sperare che qualcosa abbia frenato gli aggressori, lo stesso furgone mi rapisce mentre vado dalla fermata d’autobus a casa di mia madre; il copione è quasi lo stesso, tranne per le vittime della processione, che sono due, un altro dei ragazzi e la sua ragazza che, in alcune occasioni, è stata della partita ed ha avuto con me alcuni rapporti saffici; il mio cervello probabilmente fa scattare strani meccanismi di difesa e tutto quello che si svolge sotto i miei occhi mi fa urlare dentro, col bavaglio, non riuscirei comunque a farmi sentire, mi fa torcere dal dolore tutte le membra, mi fa sentire fitte da lance infuocate che mi percorrono il ventre, il petto, la testa, il cuore.

La ragazza viene spogliata strappandole di dosso le vesti e alcuni degli incappucciati cominciano a possederla con violenza selvaggia; mentre uno la penetra con cinica indifferenza in vagina con un membro di almeno venticinque centimetri, che la fa urlare come una gallina strangolata ad ogni botta che prende; un altro, da dietro, le sfonda l’ano con una mazza altrettanto grossa; i due cominciano a pomparla col sadico piacere di farle solo male, di farla urlare e piangere come una bestia macellata; un terzo individuo le tappa il naso per obbligarla ad aprire la bocca e le infila dentro un nerbo enorme che le spinge in gola incurante dei conati di vomito e dei principi di soffocamento.

Il ragazzo urla e si contorce dalla rabbia e dal dolore; ma alcuni individui ai suoi lati lo picchiano con le fruste sul membro e sui testicoli, facendoli sanguinare; uno gli lega il prepuzio ad un a sorta di argano e glielo torce strappandogli urla inumane di dolore; quando la ragazza si accascia esanime, forse svenuta, forse morta sul pavimento, il massacro sul ragazzo diventa metodico per tutti, che lo picchiano con le cinghie soprattutto sui testicoli; mi agito e cerco di urlare, mi sento scoppiare la testa.

“Smettetela, non li massacrate; prendetevela con me, sono stata io la troia, loro sono innocenti vittime, uccidete me se dovete vendicare mio marito.”

Lo penso, lo grido ma non un suono esce dal bavaglio che mi riempie la bocca con una palla enorme; il solito capo mi apostrofa.

“Ti è piaciuto lesbicare con la ragazzetta? Che ne dici adesso? La trovi appetitosa? Sei una grande troia e pagherai per quello che hai fatto e per quello che non hai fatto, per quello che hai detto e per quello che non hai detto; il tuo tormento è appena iniziato e non avrà fine, se quell’uomo d’onore che hai umiliato, offeso, definito cornuto, impotente, incapace non è vendicato; finché quel brav’uomo non avrà trovato la pace interiore con una donna che lo meriti, tu subirai i tormenti che meritano le troie inguaribili ... Che fai? Vuoi parlare? Te lo concedo, solo una volta!”

Mi stacca il bavaglio.

“Sono io la troia; loro sono innocenti; io ho taciuto con mio marito e l’ho chiamato cornuto; io ho offeso i miei figli, la mia famiglia, tutto; loro sono poveri ragazzi che neanche si rendevano conto. Dite a Luciano che, per pietà, per amore dei nostri figli, risparmiasse questi ragazzi e prendesse su di me la sua vendetta. Chiediglielo per pietà.”

“Tu pagherai a lungo, anche attraverso i tuoi complici; io parlerò con Luciano e gli chiederò la pietà che tu vuoi; ma gli dirò anche che i complici non vanno mai perdonati; questi sono stati complici e sapevano quello che facevano.”

Mi rimette il bavaglio, mi fa bendare e incappucciare, poi sento che mi trasportano sul furgone e mi riportano dove mi avevano prelevato; salgo da mia madre con gli abiti strappati, sporca, ferita e piangente; mi chiede spiegazioni; gliele nego.

“Io non so in che trame ti sei cacciata, ma non sono semplici, se ti conciano così; visto che non vuoi nemmeno parlare, capisco che anche con tuo marito e coi tuoi figli ti sei comportata da perfetta troia silenziosa; allora ti dico che ho paura a tenerti in casa; se i tuoi nemici sono di questa natura, non voglio essere esposta a pericoli; fammi il favore di andartene e non farti più vedere, fino a che non imparerai ad essere figlia, moglie e madre.”

“Mamma, fammi restare fino a domani, stasera non avrei nessun posto dove andare; lo stipendio che mi danno è una miseria, Luciano aveva accettato che lavorassi solo perché ci tenevo io; mai avrei pensato che lì avrei incontrato la mia rovina; ma ora non sono in grado di pagarmi niente, nonostante un marito ricco e generoso. Sono stata una troia e mi stanno facendo pagare gli errori. Tu non ti salvi cacciandomi via; se decidono di farmi male fino in fondo, sei comunque in pericolo anche tu, solo perché sei mia madre. Ti basta?”

“Per farmi tremare di paura? Si, è abbastanza. Ma perché sei in pericolo?”

“Perché sono stata una troia, ho oltraggiato a morte mio marito ed ora qualche suo amico mafioso la sta facendo pagare a me e a quelli che hanno contribuito.”

“I tuoi amanti? Quanti sono?”

“Cosa ti cambia saperlo?”

“Troia! Lurida cagna immonda!!!! Vattene nella tua camera e restaci.”

Resto lì e la vedo agitarsi un poco, infine fa una telefonata.

“Nicola, non ti azzardare a riattaccare … C’è tuo padre? … Ciao Luciano, io non c’entro con lo squallore di mia figlia; mi puoi dire, per favore, se corro qualche rischio ad ospitarla? … Non fare lo gnorri, non con me; ti voglio bene da sempre, sei stato come un figlio e ti sto trattando da figlio. Quella troia è quello che è; forse se le davi due sberle anziché farti convincere a lasciarla uscire di casa, a lavorare per un’elemosina, adesso io avrei ancora una figlia e un genero di cui essere orgogliosa e due nipoti dolcissimi; questa capricciosa imbecille maledetta ha mandato tutto a rotoli. Ma non è il momento delle recriminazioni. Cosa mi consigli? Tenerla in casa o mandarla a battere su un marciapiede, visto che nessuno la può mantenere? … Ah, per me la vostra vendetta è sacrosanta e, più soffre, meglio è; forse impara qualcosa; l’importante e che non faccia soffrire noi. … Dici che posso ritenermi ancora la loro nonnina? Vi voglio bene! Baci a tutti e tre … Lauretta di nonna, come stai? … Dici che papà forse ha trovato la donna giusta per lui? Digli che ne sono felice. Se combinano, riuscirà a cancellare tua madre dalla sua vita? Volesse il cielo; ormai non c’è speranza. E voi? … Si, ti capisco; mi fa male, ma capisco anche voi, Ciao, amore mio.”

La guardo interrogativa ma non ho il coraggio di chiedere niente; mi parla lo stesso.

“Mia piccola stupida; tuo marito sapeva tutto, dal primo momento, dal primo bacio, dalla prima copula; solo un’imbecille presuntuosa come te poteva pensare di fare le cose in segreto, anche i tuoi figli hanno seguito la vicenda ed ora hanno schifo di te, sperano che il loro padre incontri qualcuna che cancelli l’orrore che hai seminato nella loro vita. Luciano non ha responsabilità dirette in quello che stanno facendo i mafiosi che gli sono debitori e che in questo modo gli esprimono amicizia; ma, come in tutte le vicende di mafia, rifiutare significa offendere; decidono loro e ti tormenteranno a lungo, te e quegli imbecilli presuntuosi. Certo, però, che sei proprio affascinante, ultraquarantenne che si lancia nelle orge con ragazzi dell’età di suo figlio, che si fa sbattere come un tappetino e che ora si fa massacrare dai mafiosi che vogliono punirla; sei nel punto più basso della scala delle troie e degli imbecilli. Vattene a dormire e spera che Luciano riesca a convincerli che con la nuova compagna non meriti più altre punizioni.”

“Nuova compagna?!”

“E che ti aspettavi?!?!? Che rimanesse in attesa che la lurida moglie gli concedesse l’onore di riprendere la loro normalità senza neanche spiegare perché?”

“No, è vero; mi illudevo che la cosa fosse dimenticata e io tornassi ad essere la donna che lo amava e che lui ha tanto amato.”

“Ottima previsione; ti chiamerò a leggere i tarocchi. Imbecille come sei, forse ci imbrocchi pure!”

“Mamma, io ho paura ad andare in ufficio.”

“Perché?”

“E’ già la seconda volta che mi sequestrano e mi obbligano, legata e imbavagliata, a stare a guardare mentre massacrano uno di quei ragazzi. Io ho paura ad uscire di casa; in ogni momento possono ripresentarsi.”

“Povera piccola! Hai proprio ragione; in ogni momento questi brutti mafiosi si possono presentare. Tu non esci più di casa, quelli vengono qui, ci massacrano di botte e ti sequestrano lo stesso. L’hai capito che sono mafiosi senza scrupoli? Tuo marito mi ha assicurato che sono al sicuro se non interferisco; io non voglio entrarci. Hanno deciso di punirti? Accetta la punizione! Quando saranno stanchi, si fermeranno, a meno che prima Luciano non riesca a fermarli. Quindi, fatti il tuo calvario e aspetta, una volta tanto.”

Il calvario continua, infatti; a sorpresa, più o meno ogni settimana, vengo prelevata addirittura senza forzature, vengo trasportata in ambienti strani ogni volta diversi e sono costretta ad assistere alle sevizie mortali che vengono inflitte a quei ragazzi con i quali ho fatto tante volte l’amore con grande piacere; il copione è sempre lo stesso, con qualche variazione; sevizie all’organo sessuale fino a renderlo inutile, frustate sempre più violente e sempre più sanguinose, botte da tutte le parti fino a spaccare ossa e, alla fine, io vengo trascinata via impotente, inerme, senza più lacrime, senza più dolore.

Passa più di un mese, in questa dolorosa esperienza, senza che niente emerga neppure dalla cronaca, perché nessuno vuole tirare fuori le miserie che si celano dietro ed io sento il fango che mi sommerge fino a soffocarmi; nei momenti di relativa serenità, mi trovo a chiedermi cosa succederà quando avranno concluso il gruppo dei ragazzi, se cioè prevarrà la minaccia, di passare a me e di farmi desiderare la morte piuttosto che le sevizie che mi imporranno; oppure se ricominceranno il giro con quelli già seviziati, alcuni dei quali ormai inchiodati al letto o a una carrozzina.

Non so niente di mio marito e dei miei figli, che appartengono ormai ad un mondo passato; mia madre sembra approdata ad una fase di serenità totale; continuo a lavorare per quattro soldi, anche se mi rendo conto che è una schiavitù che ho scelto solo per andare contro mio marito che mi preferiva in casa ad occuparmi di lui e dei figli; non ho più pensato al sesso da quando quella storia è iniziata; oggi solo l’idea di un maschio mi terrorizza al punto che li immagino tutti appesi per i testicoli ad una carrucola; la mia vita è ora un tormento e mi rassegno ad aspettare la fine.

Arriva all’improvviso, una domenica mattina, quando, senza neanche sorprendermi, mi trovo prelevata dal solito furgone e condotta in una palestra abbandonata, dove Lucio e Saverio sono stati già appesi al soffitto per i testicoli e, da sotto, vari incappucciati li picchiano con mazze di baseball ed altri li frustano a tutto spiano; Lucio urla e si strazia, mi guarda con occhi pieni di lacrime ed io posso solo abbassare la testa e piangere.

Non è vero, come lui crede, che lo amo; io amavo Luciano, mio marito, il mio uomo, il padre dei miei figli, anche quando mi facevo sbattere da loro e gli davo la sensazione di starci perché facevo tutto quello che mi chiedevano; io amavo mio marito tanto da odiarlo perché non si piegava a nessuna delle mie richieste, anche la più semplice, perché pretendeva razionalità e logica in tutto, perché stigmatizzava anche i miei più piccoli errori.

Non avevo mai nemmeno sospettato che mio marito nascondesse, dietro l’apparente generosità, bonomia e modernità, uno spirito retrivo da vecchio conservatore, legato a principi che lo facevano arbitro e padrone delle vite di tutti gli altri; ammiravo la sua genialità, prima di accorgermi, venti anni dopo, che trattava tutti con disprezzo, dall’alto di una cultura ostentata con supponenza; che non consentiva margini al dibattito e dettava leggi in tutto, affidandosi solo alla sua volontà, ad una senso di giustizia leguleio e classico, ad una morale ottusa, alla logica serrata senza spazio alla fantasia, all’estro.

Quando comunicai la volontà di lavorare, si oppose tenacemente con la ‘certezza’ che sarei stata più utile da casalinga; quando cedette, alla fine pretese di trovarmi lui il lavoro e fu una schiavitù sottopagata che accettai per la tigna di fare da sola e di uscire dalla casa - prigione anche se non avevo bisogno della miseria che mi pagavano; quando scoprii l’inganno, era tardi e decisi di fare altre scelte; amavo mio figlio, oltre mio marito; e di lui sapevo che non era il bravo ragazzo che suo padre presentava pubblicamente, ma che amava darsi da fare con tutte le donne che conosceva e, in particolare, con le mie amiche e coetanee, che correvano tutte a cercarlo per avere disponibile il giovane amante; quando provai a fare qualche approccio per farmi amare anche fisicamente, dopo che per anni avevo osservato che si masturbava ossessivamente usando i miei slip, reagì turbandosi molto, tirando fuori i principi talebani che suo padre suggeriva.

Lucio, il più giovane dei colleghi di lavoro, uno che aveva l’età di Nicola e forse era anche più bello e prestante, mi offrì, implicitamente, l’opportunità per un transfert; accettai il suo invito a fare sesso; una sera, dopo la chiusura, mi fece salire in macchina e si diresse fuori città; entrò nell’ampio parcheggio di un centro commerciale e andò a sistemarsi nell’angolo più buio; mi sentivo molto emozionata, di trovarmi in una situazione di sesso provvisorio che faceva così ‘amore infantile’, a tu per tu con un ragazzo così giovane, ma anche tanto determinato, che si attaccò a ventosa con la bocca sulla mia e mi fece provare emozioni intensissime accarezzandomi con la lingua tutto l’interno; quando passò a succhiarmi un capezzolo, ritrovai le sensazioni che provavo quando i miei figli lattanti mi succhiavano dal seno il latte e mi provocavano reazioni intensissime di piacere che quasi sempre culminavano in un orgasmo irrefrenabile; anche quella sera, in macchina, Lucio che succhiava i miei capezzoli mi portò ad un orgasmo entusiasmante.

Nell’ora e mezza che riuscii a strappare prima del rientro a casa, Lucio riuscì a farmi attraversare tutti i gironi lussuriosi del piacere, da una copula in vagina, che mi scosse tutto il ventre e mi fece esplodere in continui orgasmi, ad una penetrazione anale che non avvertii molto, abituata com’ero alla verga di Luciano ben più consistente della sua; ma con la sua abilità nell’usare la sua mazza, riuscì a farmi godere più volte dal retto; mi leccò e succhiò vulva e seno fino a farmi chiedere tregua per il troppo godere.

Le volte successive, come aveva promesso, mi portò in una palestra in disuso che conosceva e mi propose di farlo con alcuni suoi amici del bar; accettai perché ero furiosa con mio marito che, quando gli chiedevo di parlare della questione, proponeva puntualmente la base legale e moralistica della sua visione arcaistica; mi rendevo anche conto che Lucio mi usava per vantarsi di essere un grande amatore; invitò a più riprese i suoi amici e mi trovai più volte a copulare con due, tre o anche quattro giovani in gang bang; il fatto che fossero tutti dell’età di mio figlio mi portava naturalmente, e stupidamente forse, ad operare continuamente il transfert e ad immaginare che dietro ciascuno di essi ci fosse il mio Nicola, di cui non conoscevo le dimensioni della verga, il modo di atteggiarsi, le preferenze sessuali; ad ogni ragazzo che mi penetrava in maniera sempre diversa dagli altri, inevitabilmente, offrivo il piacere che avrei provato con mio figlio tra le cosce; era anche questo, il mio modo di esprimere l’odio che Luciano mi ispirava, con i suoi atteggiamenti da padrone tirannico.

Ma non era solo e vero odio; era rabbia non controllata, anche quando decisi di punirlo accettando di fare sesso con Lucio, anche quando mi propose di farlo coi suoi amici e mi trascinarono in un vortice di follia da cui ancora non ero uscita; io amavo mio marito e sapevo di amarlo, così come amavo i miei figli, ragazzi dell’età di Lucio e degli altri; mi facevo possedere trivialmente da quei ragazzi forse perché volevo l’amore esplicito dei miei figli e loro me lo davano come sapeva fare solo il loro padre, un amore senza slanci, sereno, silenzioso, di piccoli gesti non clamorosi, ma carichi di tanta emozione che da soli potevano bastare.

Io amo ancora mio marito; io amo ancora, da morire, i miei figli; ed ho perduto lui ed ho perduto loro; anzi, non li ho perduti; li ho buttati in una fogna, li ho disprezzati ed ora ne ho tanto bisogno; ho sperperato un patrimonio di affetto ed ora non so dove rivolgermi per trovare l’elemosina di una briciola di quel che possedevo a iosa; non so se si può salvare ancora il mio matrimonio, se c’è ancora margine per ricucire l’amore coi miei figli; forse, vorrei potere provarci, anche se mi hanno chiuso le porte; no, quelle le ho chiuse io; loro se ne sono andati perché io non c’ero; ed ora non so se Luciano ha davvero trovato l’amore che merita e se i miei figli mi hanno cancellato; forse mia madre può strappare qualche informazione più corretta.

Sto pensando tutto questo, mentre davanti ai miei occhi due disgraziati vengono tormentati cinicamente dagli incappucciati; forse, come il capo del gruppo, anche io sono convinta che non sono indenni da colpe e pagano le stesse pene che dovrei pagare io, prima colpevole; ma io non sono lì appesa, a prendermi scudisciate, bastonate, ferri roventi nell’ano, come invece sta succedendo a loro; paradossalmente, tremo di paura all’idea che la prossima volta potrebbe toccare a me pagare per quello che ho fatto; decido di non pensare e chiudo gli occhi, in tutti i sensi, sperando nella pietà del mio grande amore.

Quando finalmente esco dall’incubo e mi riportano a casa, ho solo una domanda in mente; chi è la donna che ha preso il mio posto nel cuore di Luciano; in uno sprazzo di lucidità mi ricordo che mamma deve avere da qualche parte una chiave della nostra casa che le avevamo affidato per riserva; gliela chiedo e me la consegna; vado a casa nostra, entro nello studio di Luciano e mi metto ad indagare tra le sue carte che sono rimaste lì; improvvisamente, quasi per caso, mi balza agli occhi un’annotazione su una foto ‘Nicla, amica di Laura’, con un cuoricino; sono certa che lo ha disegnato lui personalmente, perché conosco bene la sua mano di disegnatore; lo amavo anche per questo; ora so che è stata la piccola Nicla a coinvolgerlo e, in verità, avrei anche dovuto immaginarlo perché lei lo aveva desiderato da quando avevo presentato il grande architetto alla ragazzina che lo guardava incantata ma non aveva mai il coraggio di farsi avanti col padre dei suoi due amici del cuore.

Rimetto tutto in ordine chiudo come era prima che entrassi e torno a casa di mia madre; approfittando che è in bagno, prendo il suo telefono e chiamo Nicola; mi risponde subito, con voce allegra.

“Ciao nonnina, allora?”

“Nico, sono la mamma, puoi parlare un poco con me?”

“Ah, adesso violi anche la privacy di tua madre?”

“Da chi credi di avere ereditato l’attitudine a certi comportamenti? Non credi forse che il mio atteggiamento abbia a che fare con quello di mio figlio verso sua madre?”

“Touché. Come mai mi hai chiamato? Hai perso i rapporti con i ragazzi della mia età?”

“Tu e tuo padre sapete benissimo come sono ridotti quelli che ho frequentato stupidamente in questi mesi. Invece la ragazzina che va a letto con tuo padre come sta?”

“Brava, touchè un’altra volta. Nicla sta bene; e, come tutti noi, si sta godendo la sua vacanza che, come sa benissimo, sarà breve.”

“Parli esattamente di quello che ho già fatto io?

“La metti su questo piano?”

“E’ l’unico piano possibile. Ho commesso un errore incommensurabile, ho fatto cose inenarrabili, ma non ho neanche da lontano sfiorato la minima idea di azioni spietate e criminali come quelle dei vostri amici su questi poveri ragazzi innocenti. Temo che tuo padre stia confermando il motivo che mi ha spinto ad odiarlo fino a fargli male, anzi il motivo che ha portato un amore infinito, immenso, ineguagliabile, quello che ho sempre avuto per il mio uomo, a diventare un odio sordo e cieco, irreversibile contro bestie spietate incapaci di qualunque umanità; ancora una volta tuo padre sta imponendo le sue leggi; se tu o tua sorella trovate giustificabile quel comportamento e condannate il mio, vi suggerisco di ripensare la vostra vita, prima che i tempi maturino ancora e vi troviate a rappresentare il vecchio come vostro padre, che ricorre alle mafie per lavare un improbabile onore. Sappi che lo amo, come l’ho sempre amato; che vi amo al di sopra di ogni cosa al mondo; ma i tiranni e i talebani li odio allo stesso modo in cui amo voi. Vi chiedo scusa se ho regalato un po’ in giro la mia vulva; ogni volta, dopo la doccia, mi sono sentita più pulita che mai; pensavo che gente come voi, che copula con indecenza, con le mamme degli amici o con qualunque sconosciuto si presenti, sapesse dare un peso diverso ai rapporti interpersonali; ma quei corpi straziati che io ho visto davanti ai miei occhi dimostrano il contrario e so che vi peseranno sulla coscienza, anche sulla tua e su quella di tua sorella, perché siete complici di esseri disumani, in questa vendetta tribale e cavernicola. Ti consiglio di andarli a trovare, quei tuoi coetanei inchiodati al letto o in carrozzella per lavare l’onta di tuo padre, povero brav’uomo amico di mafiosi, ma vittima di una moglie irrefrenabile ninfomane. Se non mi uccidono i vostri amici mafiosi, ci penserò io a farla finita; ma, prima, lascerò scritto che il mio sangue si ritorcerà su di voi e vi maledirò per l’eternità; i cavernicoli che vendicano così l’onore se ne spaventerebbero; se non lo fate, dovrete domandarvi chi siete e chi si è abbassato e sporcato di più, tra me e voi. Salutami papà e i suoi amici mafiosi, Laura ed anche la povera ed innocente Nicla, amoooore mio.”

Chiudo senza dargli il tempo di ribattere; mamma, che ha ascoltato tutto, mi guarda inorridita.

“E’ tutto vero quello che hai detto?”

“Si; il mese scorso, in più occasioni, mi sono sfrenata con ragazzi dell’età di mio figlio; errore grave e peccato mortale; mio marito se ne deve essere lamentato con mafiosi amici suoi; già questo darebbe il senso della presunta onestà del brav’uomo; quelli hanno individuato questi ragazzi, hanno rapito me e loro, mi hanno legato a un croce, imbavagliata per non ascoltare le mie urla, e sotto i miei occhi li hanno massacrati tutti quanti, uno ad uno, a colpi di frusta, di cinghiate, di mazze da baseball, di calci e di quanto altro vuoi, a tutti hanno tirato il membro e i testicoli con degli argani fino a spezzarli dentro perché con quelli avevano offeso l’onorabilità del loro amico brav’uomo; io sono stata costretta a guardare mentre li seviziavano, li martoriavano, li torturavano, li distruggevano; alla fine, forse toccherà a me, alla vulva che ha disonorato il brav’uomo, col beneplacito, il consenso e forse l’istigazione del mio amore, del mio uomo, di mio marito. E’ di questo che mi sento responsabile e so di dovermi vergognare, non certo di avere copulato per alcuni giorni, con somma gioia, con dei ragazzi che mi hanno fatto sentire ammirata, ricercata, importante, femmina.”

Mia madre si ritira confusa e mortificata; andiamo a letto; ma la notte passa insonne; l’immagine di quei ragazzi massacrati e quella di mio marito che si vanta di essere saggio e onesto mi si confondono; a tratti, fantasticando, penso che forse potrei ricorrere agli stessi mezzi ignobili e vergognosi, come, per esempio, assoldare un assassino di professione e far uccidere mio marito, per chiudere il cerchio; poi mi rendo conto che sto anch’io impazzendo e cerco di calmarmi, ma a dormire non ci riesco, se non per un’ora o due quando proprio non reggo più; in ufficio non riesco a fare niente e mi rivolto aspra contro il proprietario dell’agenzia, che mi licenzia in tronco; torno a casa con un diavolo per capello.

Perché sono stata così imbecille da farmi trascinare nella logica mafiosa e non ho avvertito la polizia? Forse non avrebbero fatto niente, forse veramente ci sarebbe stata una strage di innocenti; ma, intanto, le vittime ci sono state e gli autori restano impuniti; dormo un poco sul divano, nella mattinata; e mi rimetto sul divano, dopo pranzo; mia madre e mio padre dormono come è loro costume, ed anche io alla fine piombo in un sonno popolato da incubi.

Verso l’imbrunire, ci prepariamo per la cena, quando suonano alla porta; vado ad aprire; è Nicola, mio figlio.

“Ciao mamma.”

Lo abbraccio; non si sottrae, anzi mi stringe con affetto.

“Amore mio, finalmente; come stai?”

Lo accarezzo su tutto il viso, quasi a recuperarne le fattezze; è passato solo poco più di un mese da quando se n’è andato; ma, a parte il fatto che ha pesato come molti anni, è stato comunque un tempo lunghissimo.

“Mamma, un poco mi vergogno adesso.”

“Perché, figlio mio? Che hai fatto per vergognarti?”

“Avevi ragione; sono salito sul pulpito e non ne ero degno.”

“Mi fai la cortesia di spiegarti?”

“Ho visto alcuni di quei ragazzi; è orribile quello che è successo. Tu li hai visti?”

“Li hanno massacrati davanti a me, tenendomi legata in croce e imbavagliata per non farmi urlare di dolore.”

“Dio mio, perché?

“Perché dovevano farmi pagare le copule con loro, lo sperma che aveva offeso tuo padre, l’onore calpestato.“

“Oh, mio Dio; e tutto questo da chi è stato voluto?”

“La logica dice che è stato tuo padre; l’offeso è lui, secondo gli aguzzini; l’amore che gli ho portato e che gli porto mi impedirebbe di accettare come vera una tale barbarie, in un uomo che da più di vent’anni amo con tutte le mie forze; ma è certo che almeno doveva sapere; e forse anche tu sapevi l’orrore che si stava perpetrando.”

“No, devi credermi se ti giuro che non ne sapevo niente; ho visto quell’orrore solo oggi. Ma, benedetta donna, se lo ami, perché hai sentito il bisogno di entrare in quella spirale di perversione?”

“Tu hai vent’anni; ti è mai capitato di ubriacarti per qualcosa, non di alcool?”

“Tu di che ti sei ubriacata?”

“Di libertà, di disimpegno, di rottura delle norme e degli schemi che tuo padre impone in tutta la vostra e la nostra vita.”

“Era anche smania di sesso?”

“Tu hai mai sognato di fare l’amore con me?”

“Si, qualche volta; ma poi ho ripreso il controllo.”

“E se ti fossi trovato in una situazione in cui il controllo ti sfuggiva?”

“Per caso hai voglia di fare l’amore con me?”

“Se qualcosa di strano mi fosse capitato in un momento in cui fosse stato irresistibile e possibile, se avessi fatto il salto nel vuoto, quanta colpa mi avresti dato? Io non ho voluto fermarmi; per tuo padre, era imperdonabile, perché tutto deve essere sotto il controllo, prima suo, poi della ragione e del buonsenso; io quella volta decisi che il controllo lo mandavo al diavolo, che una copula non lascia danni, tutto si lava e torna come prima. Tuo padre era imbestialito, non ha accettato nemmeno di parlarne se non nei termini moralistici e legali suoi ed io sono andata avanti. Mi piaceva molto sentirmi adorata e desiderata da giovani come te; implicitamente, facevo l’amore con te, qualcosa che esaltava la mia passione per te e distruggeva tutte le regole di tuo padre; io davo il mio amore, tutto, intenso, profondo, a mio figlio. Per lui fu la fine; per me fu l’inizio di una vicenda meravigliosa che poi è diventata terribile, purtroppo. Capisci che quei ragazzi sono vittime della mia testardaggine e del talebanismo di tuo padre? Noi siamo i colpevoli di quel massacro, ma Luciano si crogiola nel ruolo di persona per bene, si vanta della sua integrità ed è amico di mafiosi; gode a proclamarmi troia contro la quale vendica l’offesa fatta al suo ‘onore’; capisci che idiozia? Braccia, gambe e verghe per il suo onore. Mancano solo l’ordalia e la Santa Inquisizione.”

“Lo sai che papà sta aspettando in macchina con Laura?”

“No, non me mi interessa neppure. Che aspettano?”

“Che torniamo a casa insieme, tutti e quattro.”

“Senza processo di Santa Inquisizione, senza ordalia, senza condanna? E se un giorno mi dovessi trovare così innamorata di te da volerti concupire? Cosa farebbe il tuo onnipotente papà?”

“Perché adesso rifiuti il braccio che ti tende?”

“Perché non lo sta tendendo; non ti accorgi che vigliaccamente sta usando te, perché sa quanto ti amo, quanto ti amo più di lui; lui posso accettare di perderlo, te no; e, invece, tu un giorno te ne andrai con un’altra donna e lui vuole decidere che me lo devo tenere in coste sempre più noioso, sempre più talebano, finché non trovo un Nicola che mi faccia sentire quel famoso prurito a cui non vorrei resistere … ma intanto sarò diventata troppo vecchia e inutile …”

Intanto ci stiamo comunque avviando alla macchina da dove sbuca Laura che mi salta in braccio; la accarezzo volentieri ma non mi piace affatto che abbia lasciato solo a Nicola il compito di venirmi a prendere; Luciano non mi rivolge la parola; mi accosto al finestrino di guida e parlo ai ragazzi.

“Se volete che torni a casa, io posso anche farlo; ma con un dittatore, assassino e massacratore non voglio avere più altro che rapporti formali; se l’architetto deve salvare le apparenze, posso anche farmi infibulare così sarà sicuro del suo onore, ma lui non mi toccherà mai più; se penso al sesso con lui, vedo quei giovani massacrati davanti a me. Se vuole farmi uccidere dai suoi amici mafiosi, sono qui, inerme e indifesa, a casa di mia madre; caro architetto, decidi se preferisci abbassare la cresta, salvare la faccia o rifarti una vita con un’altra; io ti ho amato e ti amo ancora, con tutta l’anima, con la passione di una donna passionale e intensa; ma il lato destro del mio cervello si è caricato di tanto odio che non posso assicurarti altro che il rispetto asciutto delle forme, non ti garantisco nessun affetto, nessun sentimento se non il disprezzo per le tue leggi. Cosa decidi?”

Nicola scende dalla macchina e mi viene vicino.

“Chi respinge mia madre, respinge me.”

Laura è impietrita; Luciano sta male, quasi piange e la sua voce è rotta.

“Io ho bisogno di te.”

“Io ci posso anche essere, come madre, come amica, come sorella, come colf, come dama di compagnia; ma nel rispetto civile della persona, senza schiavitù e soprattutto senza amore fisico; quello ideale te l’ho dato da sempre e lo conservo intatto; ma non me la sento più di fare l’amore con te. Decidi, per favore.”

“L’amore senza fisicità non ha nessun senso. Se non mi vuoi, meglio divorziare.”

Laura scende dall’auto e mi viene ad abbracciare.

“Anche io vado con mamma. Non credo che in tribunale ti convenga tirare fuori la storia dei ragazzi, se non vuoi far emergere i tuoi legami con la mafia; preparati a garantirci il benessere, a casa dei nonni.”

Mia madre ci sta aspettando; quando arrivo da lei, cerca inutilmente di abbracciarmi.

“Figlia mia, quanto hai sofferto; quanto stai soffrendo! Perdonami, anch’io ho sbagliato tutto.”

La rassicuro con un gesto ma non le parlo; non riesco a dimenticare quello che qualche tempo prima ha detto contro di me.

Siamo appena entrati che suona il campanello; mamma va ad aprire; è Luciano.

“Signora, io sono innamorato di sua figlia, anche se lei non mi vuole; mi permette di corteggiarla?”

“Mia figlia è grandicella, figlio mio; se lei ti accetta, sei il benvenuto nella mia casa e nel mio cuore.”

“Marisa, per quell’amore che ci ha tenuto insieme più di vent’anni, vogliamo tornare tutti e quattro a casa?”

“Alle mie condizioni?”

“Alle tue condizioni, sperando che col tempo e con l’amore si possano ridiscutere …”

“Mamma, proviamo a ripartire da zero …”

“D’accordo; andiamo a mangiare una pizza?”

E’ passato un po’ di tempo dall’ultima pizza consumata insieme, in serenità, se non proprio in allegria; e stasera sembra quasi che un clima da famiglia serena si possa ancora stabilire; ma la possibilità di piccoli ‘incidenti’ è sempre in agguato, anche in domande semplici ed ingenue.

“Mamma, ma perché ti è scoppiata la voglia dei ragazzini?”

“Laura, per quello che tu sai e senza il moralismo rigoroso del talebani, quanto tu e le tue amiche provate un acceso desiderio di fare l’amore coi vostri padri? A proposito, che fine ha fatto il grande amore rassicurante ed eterno di Nicla per Luciano?”

“Oh, dio; certo tutte provano un grande amore per i genitori e qualcuna opera il transfert come è stato per Nicla; ma lo controlliamo, come ha fatto lei che se n’è andata subito.”

“Brave voi, che ci riuscite sempre e che comunque trovate la via per scappare; io non ho la forza morale di voi talebani, seguo l’istinto.”

“Ma che c’entra il trasporto verso mio padre coi tuoi ragazzi?”

“Sai che vi ho allattati al seno? Non so se ti fai succhiare i capezzoli dai tuoi amori; ma ti assicuro che è eroticissimo; tuo padre che, quando non si nasconde dietro morali e leggi, è un meraviglioso amante, ha sempre sfruttato questa mia ‘debolezza’ per avere con me amplessi che vanno al di là delle tue fantasie. I miei primi grandi amanti, non amori, ma proprio amanti, quelli con i quali ho goduto immensamente, anche contro il mio grande amore, mio marito, quegli amanti siete stati tu e tuo fratello che, quando vi attaccavate al capezzolo, mi disseccavate spremendo fino all’ultima goccia; in conseguenza della vostra suzione, io mi eccitavo e godevo come una pazza; ho avuto con Nicola orgasmi che non ripeterò mai, al punto che sognavo che un giorno il suo pene sarebbe tornato là da dove era uscito. Prima di obiettare, fatti un esame di coscienza e prova a chiederti, libera da imposizioni moralistiche o legalistiche, quanto desiderio provi, di sentire in te il sesso di tuo padre, dopo che per anni, nell’adolescenza, lo hai spiato ogni volta che copulavamo e ti sei masturbata fino a far sbattere il lettino contro la parete.”

“E’ vero; ma non vedo ancora cosa c’entri con le tue scelte.”

“Nicola, quanto sperma hai versato sui miei slip che prendevi dalla cesta quando mi cambiavo?”

“Ettolitri. Io capisco, non ho bisogno di spiegazioni; se vuoi ti aggiungo anche che è vero che faccio sesso con molte tue amiche, quasi tutte mamme dei miei amici, tutte assatanate e desiderose di copulare coi figli; non riuscendo a superare i limiti etici si scaricano su altri ragazzi come loro. E ti posso assicurare che quasi sempre, mentre mi sfreno con loro, ho in mente te e le masturbazioni infantili sui tuoi slip; è vero, anche io ti desidero molto, non da figlio. Io ho capito il meccanismo di partenza; non riesco a spiegarmi l’esasperazione.”

“Le mamme dei tuoi amici, le mie amiche, hanno mariti deboli e di limitate capacità anche sessuali; non sono oppresse, fanno quello che vogliono, ma clandestinamente; lo dici tu stesso quando ammetti che copulano liberamente con te; io ho avuto, no scusa; IO HO per marito l’amante più caldo, appassionato e dotato che potrei desiderare, una personalità fortissima e decisa, che non concede niente a nessuno, che non mi lascia scampo e che non avrebbe mai accettato una mia iniziativa clandestina. Per scappare dalla sua tirannia, ho dovuto insistere con forza e rassegnarmi ad accettare un lavoro ignobile. A proposito, mi sono licenziata; ma non accetto di fare l’angelo del focolare; questo lo dico a te, Luciano; non sognarti di cercarmi ancora una volta tu, il lavoro, per tenermi ancora sotto controllo; me lo cerco io, cominciando da zero. Quella fu la prima ribellione che mi procurò l’ostracismo di tuo padre, che mi aizzò contro il disprezzo degli amici e quello dei figli. Avevo voglia di ribellarmi e avrei fatto volentieri l’amore con mio figlio, del quale conoscevo già le avventure con le mia amiche; perché con loro si e con me no? Solo per bigottismo? Allora, al diavolo, accetto la corte del primo giovanotto che possa consentirmi il transfert. Laura, ti è tutto chiaro, adesso, o devo entrare nei particolari?”

“Non è necessario, perché poi dovresti passare alla seconda fase e non voglio distruggere il mito di mio padre nella mia testa, ma soprattutto nel mio cuore e nelle mie viscere. Siamo stati ingenui e creduloni, lo ammetto; so bene che tutte le ragazze fanno le prime esperienze in famiglia; anch’io ho cominciato con mio fratello a spiarvi e a fare sesso; eppure, siamo andati dietro l’imbonitura della madre immorale col padre vittima; ed io mi ci sono attaccata, impedendomi anche di esprimere la mia voglia maledetta di fare l’amore con tuo marito, di piantarti almeno un corno incommensurabile, salvo poi venire a letto anche con te, perché ti amo anche fisicamente, se non lo capisci da sola, e dell’amore saffico ho fatto molto più che qualche esperienza.”

“Personalmente, ti ringrazio per la fiducia e la confessione; anche tu sei un bel bocconcino ed anche io qualche piacere me lo sono preso, con alcune ragazze. Adesso, però, cerchiamo di non esagerare nelle confessioni; tuo padre già sta soffrendo per le cose che diciamo; se andiamo oltre, si scoprono verità che possono ucciderlo.”

“Scusate se oso interferire, ma state per caso riferendovi all’ipotesi di un incesto collettivo?”

“Ecco il moralista e leguleio; noi parliamo di amore, di sentimento, di sesso; e lui salta fuori con il moralismo bigotto e la legalità imposta. Si, Luciano, stiamo parlando di istinti, di pulsioni, di desideri, di amore; sono gli stessi argomenti che ti opposi quando mi sorprendesti a leccare lo sperma di mio figlio che lui aveva scaricato sul mio slip. Io amo mio figlio, lo amo al di sopra di tutto e di tutti, anche di te che sei da sempre il mio dio supremo; io avevo voglia di sentire il sapore della sua vita; e se avessi potuto attingere direttamente dalla sua verga, ti avrei cominciato a tradire da allora e forse sarebbe stato meglio. Tu sei ancora qui a ribadire il tuo terrore del peccato; io reclamo il mio diritto all’amore, soprattutto e prima di tutto PER e CON i miei figli!”

“Mamma; ma se sapevi che mi consumavo masturbandomi per te, perché non mi hai chiesto di fare l’amore?”

“Innanzitutto, perché ero e sono sotto il dominio assoluto di tuo padre; se avesse scoperto che facevo sesso con te, rischiava l’infarto e io rischiavo l’ostracismo; ero ancora troppo innamorata per ribellarmi come ho fatto dopo, troppo tardi però. Inoltre, perché, quando ci ho provato, mi hai respinto ed era tardi; subito dopo, è successo quel che è successo.”

“Ma se ti dico che ti amo ancora con la stessa intenzione e con la stessa intensità?”

“Amore mio, ti devo ripetere il discorso già fatto sul salto nel buio e sul coraggio di lasciarsi andare? Due mesi fa, ti avrei non solo concupito ma anche violentato, al primo accenno di disponibilità; ora ci sono dei ragazzi massacrati, fra me e te; io non sono neppure in grado di subire un assalto da un maschio, perché quelle immagini mi esplodono in faccia non appena accenno alla sessualità; è già tanto che ne parlo con voi senza scoppiare a piangere; io devo prima riprendere la mia normalità, poi forse potrò pensare a fare sesso; e non so se ne avrò voglia, senza quel maschio che più di tutti ha riempito la mia vita.”

“Guarda che papà è qua vicino; se non ce la fai con lui, puoi provare con me.”

“Già, poi tento con mio cognato che non ho, con mio padre, con mio zio, col diavolo che ti prenda. I conti li devo fare con me, non con un salsicciotto qualsiasi che, alla fine, non lascia nessuna traccia se intorno a lui non c’è un amore immenso; è come quando ti masturbavi con i miei slip; non era la masturbazione in se, ma poterla dedicare a me che ti portava in paradiso; e ti assicuro che si vedeva!”

“Mi hai guardato mentre mi masturbavo?!?!”

“Di più, mi sono masturbata contemporaneamente ed ho cercato di avere un orgasmo simultaneo; qualche volta ci sono anche riuscita.”

“Dio mio, succedeva tutto questo, nella nostra casa, e alle spalle di papà?”

“No, Laura; tuo padre ha sempre saputo tutto della mia vita; gli ho detto io dei ragazzi che mi intrigavano, prima di farci sesso; poi il talebano che è in lui ha convocato la mafia e il resto lo sapete.”

“Papà, e tu non hai niente da dire?”

“No, sono stato fedele ai miei principi anche se a voi risultano troppo moralistici. Ho sempre saputo tutto di Marisa e lei ha sempre saputo tutto di me; abbiamo fatto l’amore come credo che poche persone al mondo possano vantare ed abbiamo avuto una vita bella, piena, intensa; se me lo avesse chiesto, avrei accettato forse di sperimentare, ma sempre insieme, forme di sesso ‘trasgressive’ per il nostro puro piacere; ma fare sesso con te o stare a guardare mentre lei lo faceva con Nicola, questo non me la sentivo di accettarlo; lei si è ribellata, ha cominciato a sfasciare tutto; è vero che ho cercato di riportare anche la ribellione ai miei voleri, ma poi si è scatenata con quei ragazzi e ho perso la testa; ho sbagliato anch’io e il mio errore è costato caro a quei giovani che però se la sono anche voluta; se un marito esasperato picchiasse duro Nicola, direi che è giusto che paghi, perché sa che sta prendendo qualcosa che non è suo e deve essere disposto a pagare per quello che fa.”

“La legge del taglione nell’interpretazione dei talebani; è questa la cosa che ci tiene lontani. Io posso rispondere solo con l’amore; ma non ho tribunali per difenderlo, non ho leggi per regolamentarlo; posso solo regalarlo o negarlo. Per questo, avrai sesso, se lo imponi per legge; ma l’amore lo continuo a dare, solo idealmente, al ricordo che ho del mio uomo, a mio figlio che amo più della mia stessa vita, a mia figlia che spero abbia più fortuna di me; e se dovessi incontrare qualcuno che mi fa emozionare come hai fatto tu un tempo e come fa Nicola adesso, non ti meravigliare se decido di andarmene.”

“Non posso fare niente per riconquistare la tua fiducia, la tua stima?”

“Certo, potresti invocare le tue leggi umane e divine per ricostruire la funzionalità di falli straziati e annullati dalle ‘imprese’ dei tuoi amici, per ridare funzionalità a gambe e braccia storpiate, per impedire che ragazzi in preda alla depressione più nera decidano di ammazzarsi.”

“Ma sai bene che questo è impossibile … “

“Oh, grande genio, meno male che ci sei tu a correggere le cose che dico senza rendermi conto di quello che dico!”

“Ma no, Marisa, non prenderla sempre sul personale; volevo solo giustificarmi dicendo che sono pentito, umiliato, mortificato per quello che è successo; ma che purtroppo non possiamo tornare indietro e ricominciare daccapo; volevo solo invitarti ad andare avanti, insomma!”

“Nicola, Laura, se dobbiamo cominciare da capo, ve la sentireste stasera di essere gli amanti di vostra madre; non i figli affettuosi, ma gli amanti materiali …”

Nicola mi spiazza; si alza, viene da me mi pianta un bacio in bocca che mi fa perdere il senso delle cose; la sua lingua si infila con prepotenza nella bocca e mi perlustra tutta la cavità, facendomi salivare come se avessi un orgasmo; mi alza in piedi, mi abbraccia e mi pianta contro il ventre una mazza che avverto enorme, forse più grossa di quella che ricordo in suo padre.

“Credevi davvero che, dopo anni di masturbazioni e litri di sperma nelle tue mutande, io avrei avuto un attimo di esitazione? Si vede che ti piacciono le domande retoriche!”

“Stupido amore mio, mi piacciono le domande retoriche che nessuno cerca di correggere; te l’ho già detto che ti amo più del mio grande amore, ma so che ti perderò quando troverai la donna giusta per te e lui me lo dovrò tenere, come amico, come amante, come compagno non so come, fino alla morte di uno dei due. E se invece ti chiedessi di essere tu il mio compagno di vita, di stare con me, solo con me fino a che muoio?”

Torna a baciarmi, con furore, premendo ancora di più l’inguine sul mio.

“Fatto. Ti ho risposto; un grosso bacio pieno di amore e basta con le domande retoriche. Mia madre mi ha suggerito di non farmi imporre punti di vista o modi di vita; la mia vita sarà mia; ti amerò sempre, al di sopra di tutto; ma la mia vita sarà mia, amore mio grande, infinito. Non ti ho ancora chiesto abbastanza perdono per come mi sono comportato con te in questi mesi, ma ti prego di credermi se ti dico che mi faccio pena per essere stato un imbecille. Ti amo al di sopra di ogni cosa al mondo e ho voglia di fare l’amore con te, di sentire anch’io qualcosa che mi sconvolge come succedeva a mio padre quando faceva l’amore con te, qualche anno fa, ed io stavo a guardare geloso e mi andavo a masturbare con i tuoi slip.”

“Mamma, anch’io non riuscirò mai a chiederti completamente perdono per come mi sono comportata con te; ma voglio che sappia che ti amo da morire; non ti voglio solo bene; ti amo, da donna a donna; ma io voglio sentire nel mio corpo la verga che mi ha prodotto, quella che per anni con gelosia ti ho visto prendere dappertutto, nella vagina, nel retto, in bocca, in mano; mi sarei accontentata anche solo di tenerla in mano, sotto la doccia, io e lui; se tu ti prendi Nicola, io voglio tuo marito; Luciano, non puoi scappare; devo fare le corna a tua moglie nel vostro letto; sai che gusto copulare con un talebano leguleio, calpestare tutte le regole, possederti fino a farti svenire, farti visitare il paradiso di allah e riportarti alla vita con l’amore che ho per te.”

Nicola continua a stringermi a se, la sua mano si sposta verso il seno e cerca di entrare nella camicetta.

“Pazzo, che fai? Qui, davanti a tutti, è assurdo.”

“Voglio succhiarti un capezzolo, dammelo!”

“Amore, non sai quanto lo vorrei anch’io; ma qui non si può proprio!”

“Vieni in bagno con me, tutti i ragazzi copulano in bagno quando non hanno altri posti.”

“Oh, mio dio, adesso anche le tette nel bagno; e se mi scatta la voglia maggiore?”

“Non ti preoccupare, te lo gratto io il prurito!”

“Dai, facciamola questa pazzia!”

Mi prende per la mano e mi porta nel bagno; mi sento stordita a comportarmi da ragazzina con mio figlio; lo spazio è quasi inesistente ma il mio amore mi riesce ad aprire la camicetta, tira fuori un seno e comincia a succhiarmi il capezzolo; un’ondata irresistibile di memorie, di voglie, di desiderio, di passione si accavallano in me; c’è Luciano che mi svergina sulla spiaggia, c’è Nicola che mi succhia il latte e la vita dal seno, ci sono i ragazzi che mi sbattono con la foga dei vent’anni e c’è Nicola che mi stimola, anche con le dita nella vulva, adesso; mi penetra in vagina e quasi non me ne do conto, tanto sono eccitata.

“Che membro meraviglioso; è il più grande che abbia conosciuto. Ti voglio dentro, ora, senza pietà; prendimi, fammi male se vuoi, ma fammi sentire il mio amore che torna in me da dove è uscito. Ti amooooooooo!!!!!”

Sono esplosa in un orgasmo meraviglioso e sento il suo sperma spruzzarmi nell’utero con violenza, con dolcezza, con amore, con gioia; mentre ci scambiamo bacetti dolcissimi, mi ricompongo alla meglio, torniamo al tavolo dove sono arrivate le pizze; Laura si è spostata accanto a suo padre e, da quel che posso capire, gli ha messo una mano sulla patta; la provoco volutamente.

“Stringi un poco, ci prova più piacere.”

“Voi mi pare che già avete fatto …”

“Si, un ottimo antipasto; a casa voglio la pietanza.”

“Letto per quattro, allora?

“No, due più due; non siamo ancora maturi per una vera armonia!”

Ci occupiamo delle pizze e le divoriamo; ma la testa è già a quello che sta per succedere e, conoscendo Luciano, mi accorgo che è più interessato di quanto lascia trasparire; parcheggia nel posto riservato e andiamo su; in ascensore, Nicola mi incastra nell’angolo e non smette di accarezzarmi da sopra il vestito; Laura ha più difficoltà con Luciano, che non perde l’aplomb neanche quando è molto eccitato; sono io a dargli una spinta sul fianco, ma resiste; allora gli prendo la mano e la accompagno fra le cosce di sua figlia; poi gli sussurro all’orecchio.

“Se ha preso da sua mamma, sta già smaniando; imbecille, non cominciare già a farla soffrire; masturbala!”

Mi ritraggo verso Nicola che mi stringe a sé con forza mi fa sentire fra le cosce la sua enorme virilità; Luciano titilla la vulva di Laura che si perde nel languore del suo godimento, ma allunga un mano sul sesso di Nicola, stimolando contemporaneamente la mia vulva, al di là di gonna e perizoma; riusciamo ad arrivare in qualche modo al piano e usciamo; Luciano apre la porta e, in un lampo, siamo tutti e quattro sul lettone.

Luciano vorrebbe me e cerca di salirmi addosso, ma Nicola lo ferma, mi slaccia la camicetta e reclama per se il mio seno; Laura sta aprendo il pantalone di suo padre e sfila il sesso ormai d’acciaio per cominciare una masturbazione assai sapiente; nel tentativo di dare ordine alla copula scomposta, mi stendo supina; Luciano non si arrende e mi sfila gonna e slip, mi costringe ad allagare le cosce e piomba con la bocca sul mio sesso che prende a lappare di gusto, mandandomi alla stelle come sa fare ormai da anni; comincio ad urlare i miei orgasmi e mi perdo nel piacere; Nicola si accosta alla mia testa e mi offre davanti alla bocca il membro meraviglioso e immenso; comincio a leccarlo col piacere di una bambina golosa e mi faccio possedere in bocca invitandolo a spingere fino a farmi soffocare; Laura ha preso in bocca l’asta di suo padre e la sta ‘lavorando’ con una sapienza che non avrei immaginato se non l’avessi vista in azione; anche mio marito è abbastanza sconvolto dalla perizia della nostra ‘bambina’ a trattare con la bocca un arnese così grosso; Nicola, che si è accorto della nostra sorpresa, ironizza.

“Da una parte, c’è un vero talento ereditato dalla mamma; dall’altra, un lungo esercizio sulla mia dotazione; chiaro che, così, esce un miracolo della natura; Laura è la più ricercata nell’ambiente per le sue meravigliose fellazioni.”

Stacco un attimo la bocca dal suo fallo.

“Solo per quello o anche per altre specialità?”

“Posso farti una confidenza pregandoti di tenerla per te?”

Mentre mi rificca in gola il suo arnese, mi sussurra.

“Per Laura è la prima volta; è l’ultima vergine rimasta in città; ha promesso a se stessa che solo papà le avrebbe preso la verginità; tra poco otterrà il suo scopo e sono sicuro che sarà al settimo cielo; aspetta da anni.”

Quasi ci avesse ascoltato, Laura si stende a fianco a me, supina, allarga leggermente le gambe e invita suo padre a mettersi davanti a lei, tra le cosce; lui lo fa e il suo membro si stende in tutta la dimensione; è meraviglioso e pauroso, allo stesso tempo; prendo la mano di Laura e la stringo forte; Luciano le prende tutte e due insieme e lentamente si china sulla figlia; uso l’altra mano per prendere la sua mazza e guidarla alla vulva, dolcemente; lo obbligo a procedere millimetro per millimetro; guardo la vagina che si lubrifica di umori che colano fin sul letto; guardo intensamente negli occhi mia figlia che, risvegliandosi per un attimo, mi sorride; vorrei baciarla ma non posso interrompere l’estasi di quell’attimo; spingo Luciano contro il corpo di lei che lancia un urlo, poi si aggrappa a suo padre e si accoccola sotto di lui gemendo.

“Ti amo, sono tua, finalmente, sei il mio unico grande amore!”

“Sai, amore mio, non volevo crederci ma questo è stato davvero l’urlo di una deflorazione; ti sei fatta sverginare, finalmente, e da tuo padre, come volevi; ora devo iscriverti nel registro delle nemiche o in quello delle concorrenti?”

“Marisa, se non hai un registro degli amori condivisi, ti consiglio di prepararlo; io amo Luciano, ma amo anche te e, stasera, vi ho tutti e due insieme con me; non puoi capire quanta gioia mi ha dato sentirti vicina in questo momento unico. Vi amo!”

Nicola non ha smesso un attimo di leccarmi tutta, dalla testa ai piedi, mentre io ero distratta con sua sorella; mentre Luciano si guarda l’inguine insanguinato dalla verginità offertagli da Laura, io prendo la testa di mio figlio e le porto decisamente sulla vulva, apro le cosce in atteggiamento volgare e lo costringo a lappare la vulva spalancata; conto ad alta voce gli orgasmi che mi procura con la lingua; poi gli chiedo.

“Vuoi prendermi in vagina o assaggiare il mio ano, che non è affatto vergine?”

“Tutti e due????”

“Hai già avuto un orgasmo in bagno; se entri in vagina non ti faccio uscire finché non mi spruzzi nell’utero; se entri nell’intestino, ti succhio l’anima; ce la fai, ancora due volte?”

“Con te?!?! Chiama il pronto soccorso e fammi venire a prendere quando il mio cuore non reggerà, forse tra una ventina di orgasmi intensi. Solo allora mi dichiarerò sazio della vulva più bella e affascinante del mondo!”

“Esagerato! Basta quella semivergine di tua sorella, che Luciano ha appena violato, per far diventare la mia una vecchia ciabatta per membri impotenti!”

“Bene, assaggia questo membro impotente, intanto!”

La botta che mi rifila spingendo il suo mostro nella vagina è di quelle che ti fanno riflettere sui limiti del piacere; reagisco aggrappandomi coi piedi e spingendo l’inguine contro di lui, fino ad ottenere la penetrazione totale; mi guarda sorridendo e mi urla.

“Ti amo; siamo meravigliosi; non vi azzardate più a mettere in pericolo questo grande amoreeeeeee!!!!”

Luciano si sta coccolando la figlia e quasi non crede a se stesso, quando guarda i peli del pube che ancora conservano il sangue verginale di sua figlia.

“Qualcuno, mi dia un pizzicotto; non posso crederci; ho sverginato mia figlia, sono un padre indegno; ma sto anche facendo l’amore con la persona più bella, più intensa, più mia di tutto il mondo. Tesoro, perdonami; non dovevo farlo …”

“Senti, amore mio; tu non hai fatto niente; sono anni che io mi costruisco in mente questa serata; fosse stato solo per te, avrei atteso ancora una vita; meno male che hai, senza meritarla, una moglie straordinaria ed io una mamma piena zeppa di vero amore; lei mi ha incoraggiato e aiutato; e tu non saprai mai quanto io sono felice di aver dato a te la mia prima volta; non mi è mai piaciuta l’idea di darla ad un imbecille nel bagno di una discoteca, come ormai è di moda; io l’ho data all’uomo che amo di più al mondo, nel talamo dei miei che è stato anche il mio, avendo vicino la mia meravigliosa mamma ed anche il fratellone che mi ha svezzato.”

“Che significa; mi ha svezzato?

“Luciano, cancella la domanda, caccia il talebano e vieni nel mondo reale; sono cresciuti insieme; hai capito che ci hanno spiato da bambini; hanno fatto insieme le prime esperienze; se poi vuoi che ti maltratto, ti faccio presente che lui è tuo figlio, ha una mazza più grossa della tua e copula più di te, come una scimmia insaziabile; lei è mia figlia, ha un apparato sessuale, dalla vulva all’ano a tutto il resto, che farebbe risuscitare un morto, ha una voglia di sesso che supera quella di sua madre che tu hai sempre considerato una mezza ninfomane. Cosa diamine ti aspettavi, una monaca di clausura e un frate missionario? Sono i nostri figli ed amano copulare, come e anzi molto più di noi; hanno imparato e, quello che per me conta, sanno controllarsi e non correre rischi; o almeno spero che usino preservativi, per sicurezza.”

“Visto che ormai le regole le dovrai dettare tu, quando mi consentirai di fare l’amore con te, fino in fondo, come vuoi tu ma come anche piace a me?”

“Io non voglio, non posso e non so perdonarti, perché tu sapevi; i miei figli forse sono stati presi alla sprovvista ed hanno reagito di conseguenza, ma tu ti sei comportato da mafioso e non intendo perdonarti. Non ti ho risposto quando mi hai chiesto se le condizioni si potevano ridiscutere, perché non so se voglio ripensarci, dopo che tanti giovani sono stati massacrati. Intanto, a tutte le tue malefatte, dovresti aggiungere lo stupro di tua figlia; rispetto ai tuoi valori, è il massimo della colpa e meriteresti il massimo della pena; invece, per la mia logica, è stata la cosa migliore che tu potessi fare. Per quello che riguarda noi due, l’odio mi acceca ancora; però, se non vedo male quel che sta succedendo su questo letto, forse potrebbe succedere qualcosa molto presto; sicuramente, non prima che Nicola mi abbia mollato dopo avermi preso da tutte le parti e in tutti i modi; forse adesso ha capito le mie scelte.”

Padre e figlia sorridono; Nicola mi stringe delicatamente i seni da dietro, e spinge con violenza la verga nell’ano; Luciano si abbassa a leccarmi la vulva ed io lo lascio fare.

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