“Dove sei stato stanotte?” domandò Margherita, una donna sui sessant’anni, un po’ sovrappeso, ma ancora bella e avvenente. Aveva i capelli tinti di nero, lunghi e lisci, legati con una molletta. Era alta circa un metro e sessanta. Indossava un pigiama di colore azzurro chiaro e dei disegni neri, macchie senza un significato e sulle spalle uno scialle per coprirsi dal freddo. Ai piedi, zoccoli rosa e calzini neri. Gli occhi erano sporchi del trucco rovinato dal sonno.
Giacomo non rispose. Si stava lavando la faccia e si era già vestito per uscire. Non aveva una meta precisa, ma non aveva voglia di ascoltarla.
“Mi hai sentito?” domandò la madre.
“Non sono cazzi tuoi” rispose Giacomo infuriato.
“Sono tua madre”.
“Ma io non sono un bambino”.
“Già, a cazzi tuoi non sei un bambino, però neanche ci vai a lavorare. Per quello non sei adulto eh?”
Giacomo divenne paonazzo e lo sguardo gli si infuocò, si voltò adirato verso la madre e avvicinandosi al suo volto disse “tu brutta troia, mi hai messo in questo mondo di merda, non ho scelto io di nascere, perciò faccio come cazzo mi pare! Non potevi farti sborrare in bocca da quell’imbecille di mio padre anziché nella fica, maledetta irresponsabile?”
Margherita gli tirò un ceffone fortissimo ed ebbe le lacrime agli occhi “io ti ho cresciuto con tanti sacrifici e tu ti permetti di rispondermi in questo modo? Di dirmi certe parole, ma non ti vergogni?”
Giacomo le afferrò il braccio della mano con cui lo aveva schiaffeggiato e glielo strinse con forza “ma come ti permetti tu? Brutta stronza, non osare mai più mettermi le mani addosso. Chi cazzo ti credi di essere, cessa schifosa? Ci mancherebbe che non facessi sacrifici per crescermi tu, brutta troia, che hai scelto di mettermi al mondo. Chiunque scelga di fare il genitore è un imbecille che dovrebbe pagare a vita. Dovreste prendere calci e pugni dai figli ogni giorno per il solo fatto di averci fatti nascere”.
“Tu sei pazzo” gridò la madre piangendo.
“Stai zitta” fece Giacomo apparentemente tranquillo “e vergognati”.
“Perché cosa dovrei vergognarmi? Per aver fatto quello che fanno tutti?”
“Sì, esatto, proprio per questo, hai centrato perfettamente. Sai dove sono stato io ieri sera? A chiavare con una ragazza. E non sono stato così scemo da sborrarle nella fica, le ho sborrato in bocca”. Stava mentendo a se stesso, in parte, perché anche lui anni prima aveva messo incinta Delia, la quale aveva dovuto abortire di nascosto dai genitori.
“Tu sei un mostro, ma da dove esce questo linguaggio?”
“Meglio essere un mostro che una bigotta di merda” e nel dirlo sputò su tutte le icone dei santi che erano in casa.
Poi sorrise diabolicamente e disse “guarda: sembrano anche loro avere la sborra addosso, ora” e rise come un matto.
“Fuori da casa mia!” fece sua madre tremando “tu sei il diavolo, non ti ci voglio qui, campa come ti pare e vediamo se te la cavi senza di me”.
“Forse non hai capito, mamma. Tu devi camparmi fino a quando non crepi”.
“Ho paura di te. Tu potresti farmi del male. Io chiamo la polizia”.
Giacomo sorrise malignamente, afferrò sua madre e tirò fuori il cazzo “succhiamelo, puttana, ti insegno io a fottere”.
“Ma che cazzo fai! Malato!”
Il carattere sadico di Giacomo gli fece drizzare il membro ancora di più davanti alle proteste di sua madre. Vedendo che lei non faceva altro che divincolarsi, prese a masturbarsi puntando il cazzo su di lei. Non potendo scoparla, si fece venire lo stimolo e le pisciò addosso, ridendo.
“Che schifo, ma che fai? Tu sei malato, tu sei il diavolo” ripeté. E più Giacomo si sentiva dire quelle cose, più rideva.
“Vattene” gridava sua madre, spaventata, a squarciagola.
“Ma dai, è solo piscio. Lo sai che viene utilizzato come terapia?” disse ridendo “fa bene, ti ho fatto un piacere, ah ah ah!”
Lei tremava e piangeva “vattene, vattene…”
Giacomo afferrò sua madre per i fianchi, abbassandole i pantaloni del pigiama.
“Aiuto!” gridò Margherita e prontamente Giacomo le tappò la bocca con la mano destra, mentre con la sinistra le calò le mutande, scoprendo il culo flaccido di sua madre. Giacomo si sputò sul cazzo, leccò il buco del culo della madre e ci ficcò dentro la cappella. Margherita continuava a piangere, a protestare. Provò persino a mordere la mano del figlio che la zittiva, ma egli sembrava non avvertire dolore o che addirittura persino questo lo eccitasse.
“Brutta troia, puttana” mormorava Giacomo mentre inculava sua madre, toccandole il seno ancora sodo “che belle tette che hai, mamma” e dopo aver pronunciato quella frase gli venne voglia di incularla ancora più forte.
“Non piangere, troia” continuò “che così mi fai arrapare di più e ti faccio ancora più male, capito, puttana? Perciò stai zitta”. La mano scivolò dalle tette per tutto il corpo fino alla fica. Giacomo le infilò il dito dentro masturbandola. “Dai” disse Giacomo ridendo “se ti rilassi, vedrai che è bello, ti farò godere come non è mai riuscito a fare quel frocio di mio padre né nessun altro”.
“Ti prego, smettila…” singhiozzava Margherita disperata.
Più lei protestava, più Giacomo la inculava forte e veloce. “Sì, sì, mamma, sì, finalmente ti fotto. L’ho sempre voluto, lo sai? L’ho sempre sognato fin da bambino” parlava ansimando mentre la fotteva “sì, sì, puttana…sì…”
Tolse finalmente il cazzo dal buco del culo e disse “ora voglio rientrare da dove sono uscito, mammina”. Le sorrise in modo cattivo, con un ghigno sardonico, spaventoso. Con molta fatica provò a cambiare la posizione della madre, per infilarle il cazzo dentro. Lei si divincolava, si dimenava, provò persino a dare un pugno sul braccio al figlio, ma egli insistette, aveva una forza sovrumana, afferrò entrambe le braccia di sua madre e la immobilizzò. Avvicinò il proprio volto a quello di Margherita e la baciò sulla bocca sporca di piscio. Le succhiò le labbra e provò a infilarle la lingua dentro, ma invano, perché Margherita non apriva la bocca. Irritato, Giacomo le sputò in bocca. “Troia schifosa” ruggì. Poi le leccò la faccia e le tette, succhiandole i capezzoli. La afferrò e la sbatté sul divano, allargandole le gambe e premendola con la forza per non farla muovere, le leccò tutta la fica pelosa, infilando la lingua dentro e leccandola tutta, mentre si masturbava. Ora era arrivato il momento: il cazzo era durissimo e doveva assolutamente entrare nella vagina di sua madre. Giacomo si alzò e puntò la cappella sulla fica di Margherita e poco a poco cominciò a penetrarla. Più la chiavava, più Giacomo si eccitava a vedere il corpo di sua madre muoversi in quel modo, come lui aveva sempre sognato. Gli piaceva vedere le palle sbattere sulla pancia lardosa di sua madre.
“Sì, dai, mamma, sì, lasciati fottere, brava…così…”.
Sua madre, infatti, non si muoveva più, si era arresa, inerme dinnanzi alla violenza del figlio. Era come morta, non gridava neanche più, le uscivano soltanto le lacrime dagli occhi.
“Brava, la mia troia” continuava Giacomo fottendola sempre più veloce, assestando colpi sempre più forti.
“Ah, ah, sì” ansimava chiavandola e godendo “ah, ah….ecco, sto per venire, brutta troia. Che ne dici se ti sborro dentro? Facciamo un figlio tu ed io? Ahahah o forse alla tua età non puoi averne più? Perché se è così ti sborro dentro” e scoppiò a ridere. Estrasse il cazzo dalla fica e disse “non voglio correre il rischio” e masturbandosi velocemente sborrò in faccia a sua madre, passandole il cazzo sulla bocca per pulirselo e poi per tutto il corpo della madre, sulle tette e sulla pancia.
“Dai, troia, puliscilo con la lingua e con la bocca, ingoia tutta la mia sborra, brutta puttana”.
Il volto di lei si contrasse ancora di più in un’espressione estremamente disperata.
“Vattene…ti prego…”
“Me ne vado, me ne vado” disse Giacomo rialzandosi i pantaloni e le mutande e riabbottonandosi “zoccola di merda” e le sputò in faccia. Aprì la porta e andò via, mentre la madre si lasciò cadere sul divano, piangendo, con la casa sporca di urina e macchie di sperma.
Che cosa aveva sbagliato per meritare un figlio del genere?
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