Una bambina capricciosa

  • Scritto da geniodirazza il 04/11/2023 - 06:05
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Una bambina capricciosa

Non era abituata a sentirsi dire ‘NO’, la giovane e testarda Marisa, 25 anni, unica figlia di un personaggio ambiguo con grande potere sul territorio del piccolo comune pedemontano in cui abitavano; per suo padre, era pura, vergine a casta come una madonna; in realtà, aveva cominciato assai presto a farsi palpare, quando appena i seni erano abbozzati; poi era passata a tastare i pisellini e infine i sessi dei compagni, meglio definiti, saldi e duri come l’acciaio.

Il territorio dove poteva scatenare l’insorgente libidine era la spiaggia, dove passava con sua madre due mesi interi senza vigilanza; la povera donna, infatti, aveva commesso l’errore di lasciarla libera di scatenarsi e ne aveva perso completamene il controllo; dopo i primi approcci innocenti, più volte la sorprese in camera col ragazzo preferito, che si faceva manipolare la vulva su cui appariva la prima peluria; le raccomandò attenzione per evitare guai grossi.

La ragazza imparò presto a portarsi a letto il ragazzo che al momento la intrigava; sua madre la spiò quando si fece convincere a prendere in bocca il fallo duro e maturo di un diciottenne, quando lei ne aveva quindici ed ormai era aperta ad ogni esperienza; quando un altro ragazzo, sulla battigia deserta dopo una certa ora, le violò l’ano e lei assaggiò la prima penetrazione, se ne accorse dai residui di sperma evidenti sullo slip che indossava la sera prima.

Le chiese se si era lasciata sverginare; saputo che era stata penetrata analmente, le suggerì quella pratica e le consigliò di attendere il momento buono per farsi prescrive la pillola anticoncezionale, visto che ormai la sua strada era segnata e che avrebbe fatto bene a cautelarsi contro maternità inopportune; Marisa colse l’indicazione e andò ad un consultorio per ottenere la necessaria prescrizione; intanto praticava volentieri spesso il coito anale.

A poco meno di diciotto ani, concesse la verginità ad un quarantenne, sposato e con figli, frequentatore abituale dello stesso lido, che la corteggiò a lungo e finalmente colse l’occasione per farla diventare donna; ne fu felice e quasi lo ringraziò per averle aperto quella nuova prospettiva; da quel momento la sua libidine si scatenò; l’altro, naturalmente, sparì quasi subito dopo, incalzato dai sospetti della moglie e dal rischio di uno scandalo distruttivo.

Per soddisfare la sua libidine mentre stava al paesello con il controllo rigido del padre, gli impose, con moine e capricci, di metterla a lavorare in un atelier di cui era il proprietario segreto, una delle attività dietro le quali nascondeva il malaffare di cui era gestore ed artefice; andare e venire ogni giorno dalla città la mise in condizione di crearsi rapporti intriganti; ebbe in pochi mesi un paio di amanti coi quali faceva sesso assai volentieri.

Per evitare la pendolarità, il premuroso padre le comprò un piccolo appartamento in centro ove in pratica si trasferì e che trasformò presto nella personale garconnière dove viveva con l’amante di turno; la situazione resse per oltre un anno; poi sua madre cominciò ad essere preoccupata perché il marito faceva continuamente domande su sua figlia e sul modo che tenesse per vivere da sola in città; le disse chiaramente che doveva mascherare la sua condotta con un matrimonio, anche fittizio.

Marisa cominciò a guardarsi intorno per cercare il soggetto più idoneo a fare da ‘coperchio’ alla sua vita libertina; lo individuò facilmente in un modesto ragioniere di una impresa di costruzioni di cui conosceva benissimo la fama di uomo buono, addirittura ‘tre volte buono’, che, tradotto in linguaggio brutale, equivaleva a stupido; era certa che, con la promessa di una vita di agi garantita dai soldi di suo padre, avrebbe accettato di essere ‘marito’ solo all’anagrafe.

Luigi, detto Gigi, il soggetto prescelto, aveva stabilito di mettere in pratica l’altro detto popolare, secondo cui è comodo ‘fare il fesso per non pagare dazio’; ormai affermatasi la convinzione della sua dabbenaggine, era riuscito coi modi dolci e pacati a conquistarsi la fiducia e l’affetto della proprietaria dell’impresa in cui era entrato come aiutante del ragioniere; Monica, una bella donna di meno di quarant’anni, si era da tempo stancata della pochezza umana e culturale del marito.

Per non dare adito a scandali dannosi per l‘immagine della ditta e, quindi, per la stessa attività, manteneva in piedi un matrimonio di facciata nel quale non trovava niente di interessante, meno che mai la passione e il desiderio che invece in lei sentiva assai vivi; aveva già consumato alcune esperienze con giovani stalloni che l’avevano soddisfatta sessualmente; ma ogni volta si era ritirata nauseata per la pochezza di emozioni che quei rapporti le davano.

Da quando aveva cominciato a vedersi girare intorno, per questioni di lavoro, il giovane ragioniere Gigi, aveva cominciato a provare la solita agitazione che la prendeva quando era vicina a scoppiare per mancanza di stimoli; il ragazzo sembrava cogliere ogni piccolo cambiamento del suo umore e trovava sempre la frase giusta per tirarla su e rasserenarla; quando decise di ‘assaggiarlo’ anche a letto, scoprì assai rapidamente che era l’uomo giusto, in quel momento.

Il piccolo e anonimo travet, in un elegante completo scuro da sera, in un albergo con ristorante lontano una cinquantina di chilometri dalla sede dell’azienda, si rivelò un accompagnatore elegante, di buongusto, pronto ad ogni cenno ma anche deciso nelle scelte, amante del buon cibo e dei modi raffinati; insomma, l’ideale del cicisbeo da esibire in salotti mondani; stabilì sin da quella prima occasione che, al di là dei risultati a letto, sarebbe stato l’ideale compagno per muovere anche l’azienda.

L’impatto maggiore ci fu dopo cena, quando prese una camera per la notte e vi andò col suo accompagnatore sempre più sorprendente; varcato l’uscio, lui la prese alle spalle e la strinse in un abbraccio avvolgente e caloroso; lei si sentì quasi protetta e si appoggiò con tutta la schiena al corpo di lui; avvertì fra le natiche un sesso di dimensioni notevoli; ruotò fra le sue braccia e si baciarono, prima con una certa timidezza poi con sempre più passione.

Si accorse, meravigliandosene, che si eccitava al punto da colare umori di orgasmo prima ancora che lui facesse qualcosa per stimolarla; si abbandonò allo strano piacere e si godette le mani che scivolavano, da sopra al vestito, lungo la schiena fino alla curva delle natiche piene e morbide di cui andava orgogliosa; infilò una mano lungo i corpi e afferrò il sesso che confermò la sua notevole dimensione e una durezza da cemento.

Si sedette sul letto, attirò a se il maschio, gli sfilò insieme pantalone e slip e il sesso le balzò naturalmente sul volto; praticò a quell’asta la fellazione più bella e convinta che avesse mai fatto; era diventata esperta, dopo le numerose esperienze; ma sentiva in quella mazza tanto languore, tanta passione che ritenne di amarlo, in qualche modo; decise comunque che sarebbe stato il suo uomo, almeno finché la passione fosse bruciata.

Lui accentuò le emozioni di lei, perché si spogliò completamente, sfilò a lei vestito ed intimo e si chinò a ricambiare l’omaggio orale alla vulva; le fece provare emozioni violentissime leccandole bene il sesso e succhiando con abilità il clitoride; si dedicò con passione ai capezzoli e la fece arrivare spesso all’orgasmo; in una notte di assoluta frenesia, lei volle provare tutto del sesso e si fece possedere davanti e dietro, sopra e sotto; arrivarono all’alba stremati e dovettero farsi forza per rientrare al lavoro.

Da quel momento, lui fu il vice più autorevole del mondo; prese decisioni e risolse problemi, rappresentò la ditta ed occupò un ruolo primario in tutte le vicende in cui l’impresa era compromessa, dalle gare di appalto agli accordi di collaborazione, dalla progettualità all’esecuzione dei lavori; nel giro di un tempo finanche troppo breve, risultò uno degli uomini di massimo potere; si costruì, segretamente, un proprio capitale, sfruttando i margini in tutti i lavori; presto o tardi, la pacchia sarebbe finita.

Non gli andò benissimo sul piano dei rapporti umani; la richiesta di Marisa lo colse decisamente di sorpresa; quando la fece, lui era ancora l’anonimo travet che trascinava l’esistenza con un stipendio modesto e con poche speranze di crescita; l’idea di imparentarsi con uno dei più autorevoli personaggi del territorio lo catturò e lo costrinse a valutare la possibilità di accettare; non aveva però nessuna intenzione di fare solo il burattino; decise di consultarsi con una sua amica.

Erika aveva con lui un rapporto di massima fiducia; erano anche decisamente innamorati, ma lei evitava quel discorso perché lo sapeva sostenitore dell’amore eterno e matrimoniale; a lei bastavano l’intesa e la voglia di stare insieme, senza certificati; per questo, quando lui le sottopose il quesito, non ebbe un attimo di esitazione; quell’ipotesi finiva per risolvere i loro dubbi; lui avrebbe avuto il certificato, con la garanzia del suocero potente; lei poteva liberamente prendersi l’amore.

L’intrigo così elaborato, a cui la sua coscienza si ribellava, fini per affascinare anche Gigi, dopo che una rapida indagine lo convinse che Marisa aveva una vita già definita con amanti che si succedevano con una certa frequenza; l’ipotesi di creare una dimensione parallela, conquistando anche il cuore di Erika, finì per avere il sopravvento; nello stesso periodo giunse l’invito a cena di Monica; la decisione venne fuori naturalmente.

Lo spirito economicistico del ragioniere contribuì non poco a convincerlo; alla trattativa col padre di lei per gli accordi matrimoniali, si presentò un uomo determinato a trarre il meglio dalla situazione che, apparentemente, lo riduceva al ruolo di cornuto contento predestinato; l’unica che aveva coscienza dell’inghippo, sua madre, tremava al pensiero di quello che il capriccio della figlia poteva scatenare.

Il primo ostacolo fu il rifiuto di Marisa a trasformare la ‘sua’ casa nella ‘loro’ casa; cosciente del ruolo marginale che intendeva assegnare al marito, si rifiutò di cedere metà del possesso; suo padre si vide costretto a promettere al futuro genero un assegno di importo pari al valore dell’appartamento; la figlia non fece obiezioni; a lei interessava solo conservare la totale disponibilità della garconnière in cui intendeva continuare a ricevere i suoi amanti.

Tra gli altri accordi, era previsto un sostanzioso contributo mensile per la coppia, che avrebbe versato su un conto da aprire in comune a firme disgiunte; Marisa avrebbe potuto fare aggio anche su un conto personale, frutto del lavoro nell’atelier di cui diventava titolare; allo stesso modo, Gigi manteneva il conto personale su cui incidevano le sue entrate per il lavoro in azienda; di lì a poco, intensificando il rapporto con Monica, avrebbe costruito un suo personale patrimonio in una banca off shore.

La sorpresa, prevedibile forse, attese Gigi quando si ritirarono nell’albergo dove era stato deciso che avrebbero trascorso la prima notte di nozze; quando entrarono nella suite prenotata, trovarono ad attendere l’amante di turno di Marisa che indicò al neo marito, per dormire, il divano del salotto, perché lei avrebbe copulato col suo amante; a lui era proibito anche toccarla; solo nelle carte sarebbe stato suo marito; per il resto, rimaneva un estraneo.

Scese nella hall e trovò la madre di lei che cercò di avviare un discorso di scuse per spiegare l’atteggiamento della figlia; la mandò al diavolo, stizzito, e telefonò ad Erika; le accennò la situazione che si era determinata; la risposta lo lasciò di sasso.

“Amore, lo avevo previsto; prendi un tassì e vieni a casa mia; celebreremo la vera notte di nozze, siine certo.”

La ‘suocera’ aveva intuito e si nascose in un angolo a piangere; si sentì in dovere di consolarla.

“Signora, lei non ha nessuna colpa; va benissimo così; sposati per la legge, liberi di fatto; vado a costruirmi la mia famiglia.”

Erika lo aspettava, come promesso; ed era già ampiamente predisposta ad accoglierlo nel suo letto e nel cuore; lo ricevette a braccia aperte, coperta solo da una vestaglia semitrasparente per offrirsi tutta e disponibile; lui la abbracciò con tutto l’amore che aveva fino a quel momento soffocato dentro di se; il bacio che li incollò era l’esplosione di una passione che avevano per lungo tempo inutilmente represso.

Prima di varcare la soglia della camera, lui volle prenderla in braccio; lei si schernì e gli fece osservare che quel gesto era riservato a spose vergini; lei non lo era da tempo; lui si limitò a dire che, se lei voleva sposarlo, lui lo faceva così, violando con lei il talamo nuziale, visto che quello era il giorno del suo matrimonio.

“Gigi, se le cose vanno come tu vuoi ed io spero, avrai la moglie più attenta e fedele; se davvero desideri costruire la famiglia alternativa, io sono anche disposta a darti un figlio; sappi solo che accetterò malvolentieri che tu dorma con lei o ci faccia l’amore; quello lo voglio solo per me.”

“La mia sposa sei tu; forse non ti sarò sempre fedele; ma non ti tradirò mai con la moglie anagrafica; quella si faccia i cavoli suoi, per usare un eufemismo; mia moglie sarai tu e ti darò tutto quello che meriti.”

La adagiò su letto e si spogliò; tolse a lei la vestaglia e la ammirò a lungo nella sua nudità; era veramente bella, la sua Erika, con un corpo statuario ed un viso dai tratti nobili, eleganti e raffinati; si portò sopra di lei e la baciò a lungo su tutto il viso; sentì il seno prorompente premergli sul torace, ma volle che fosse davvero la consumazione di un rito, senza altri gesti di passione; avrebbero avuto tempo per conoscere dell’amore fisico tutte le sfaccettature.

Come se si fossero accordati dopo lunga discussione, si trovarono a convergere su una determinazione banale, all’apparenza, ma sostanzialmente fondamentale; il loro amplesso sarebbe stato quello di due freschi sposi che decidono di fondersi, per amore, la prima volta, su un talamo che speravano essere quello del loro amore incontaminato; lei gli allargò le braccia e lo accolse nella sua passione, nel suo amore.

Appoggiò delicatamente il sesso fra le cosce, lo appuntò alla vagina; le prese il volto tra le mani e la baciò a lungo, su tutto il viso, quasi per imprimersi i tratti nella memoria; lei si lasciò andare al languore, mai provato prima, di quella dolce manifestazione di affetto, si sentì sciogliere dentro e avvertì che tutto il suo apparato sessuale partecipava alla dolcezza di quel contatto; agitò i fianchi per quel che le consentiva il corpo di lui sul suo e fece in modo che il sesso avanzasse dentro di lei di qualche millimetro, forse, ma lasciando in giro un piacere assai intenso che veniva dai muscoli vaginali contratti.

L’amplesso procedette così, per millimetri e piacere diffuso, lungo tutto il canale vaginale finché la cappella urtò la cervice; entrambi sentivano che il possesso si faceva reale e concreto, che si appartenevano per scelta e per determinazione; lei gemette per diversi piccoli orgasmi che le bruciavano il cervello e le facevano perdere il senso delle cose; lui si sentiva liquefare ed annullare nel corpo di lei che amava alla follia; si sentirono pieni quando la mazza fu dentro fino all’utero.

Non si mosse a cavalcarla; si adagiò sul suo corpo e ripresero a baciarsi con passione mai provata prima; sentiva la vagina di lei contrarsi e stimolare il piacere nell’asta che si gonfiava per afflusso di sangue; lei non riusciva a distinguere quanto il suo canale attivasse muscoli per risucchiare dal batacchio lo sperma che voleva la inondasse oppure se fosse la mazza, gonfiandosi, ad eccitare il suo piacere portandolo all’orgasmo; urlarono insieme godendo in simultanea; si abbandonarono al languore.

“Deve essere questa la petite mort di cui parlano … “

“Io non so nemmeno di cosa parli; ma se devo morire adesso, lo faccio con tantissima gioia; sognavo di averti e ti sento mia.“

“Ti sbagli, amore; sei tu che sei mio; sono io che ti tengo in me.”

“Non importa; so che siamo felici, che stiamo bene insieme; sei tu l’amore, la compagna, la moglie perfino … “

“Non ho nessuna voglia di legare questi momenti ad un certificato; ti sento mio, dentro, col cuore, col cervello; solo alla fine, col sesso; quello puoi anche regalarlo in giro, non si consuma; ma quest’amore così intenso, così bello, così nostro, non deve mai essere toccato da niente; promettimi che sarà sempre e solo mio … “

“Te l’ho promesso nel momento che sono entrato in te; e manterrò; ma tu devi consentirmi di creare un nostro nido d’amore e di viverlo con me ogni giorno della nostra vita, anche quando non ci ameremo più come adesso … “

“Fai quello che ritieni giusto; io quest’amore non lo cambio più; avessi ancora decine di stalloni, ti amerei sempre con questa intensità; la smania degli amanti non mi ha mai sfiorato e credo proprio che non mi nascerà adesso che ne ho uno meraviglioso, oltre a un amore intangibile … “

Passarono la notte intera a fare l’amore; si lasciarono andare a tutte le manifestazioni e a tutte le espressioni del sesso e del piacere; Erika, più smaliziata, gli chiese tutto, la fellazione perfino ardita, considerata la sperequazione tra la mazza e la gola non profonda; il cunnilinguo più raffinato che gli insegnò garbatamente a realizzare indicando i movimenti e i punti di massimo piacere; pretese anche che le violasse l’ano, perché una verginità la prendesse, quella notte magica da ‘luna di miele’.

Lui imparò tutto quello che ignorava, mise in atto tutto quello che aveva sognato a cominciare dalle prime pulsioni sessuali; imparò a conoscere il corpo di lei e se ne impresse i movimenti per amarla sempre con quella intensità; nel giro di una notte costruirono una sintonia a letto che li avrebbe accompagnati sempre e si addormentarono felici di essersi incontrati anche sul terreno spigoloso del piacere fisico che si trasformava, per loro, in amore completo.

Nei giorni successivi, con l’assegno regalato dal suocero, comprò l’appartamento per la ‘sua’ famiglia, due camere, un salone, cucina e bagno per loro due soli; vi trascorreva gran parte della giornata; dalla moglie legittima si affacciava una volta ogni tanto, mediamente ogni due o tre giorni per un’ora, quando era certo che non fosse a letto a farsi sbattere dal suo amante; si limitavano a parlare di scadenze e di bollette, senza nessuna divagazione in frasi di affetto o temi personali.

La madre di lei, unica depositaria del segreto, taceva molto opportunamente; il padre si crogiolava nella convinzione che la figlia fosse sistemata e che, in fondo, gli costasse solo il contributo che, regolarmente, versava sul loro conto comune, senza curarsi di sapere l’uso che ne facevano; non sapeva, e non gli interessava sapere, che ‘suo genero’ era diventato il braccio destro della padrona della ditta dove lavorava e che andava accumulando un grosso capitale all’estero.

Quando, dopo alcuni mesi, Erika fu certa di essere incinta di lui, Gigi decise che avrebbe smesso di lavorare da dipendente; usò i soldi accumulati nel conto off shore per acquistare un terraneo che ospitava un negozio da parrucchiere, rilevandolo proprio dal suocero legittimo, e ottenne anche la licenza di esercizio; intestò tutto alla compagna, madre di suo figlio, ed avviò un ardito progetto per diventare a sua volta imprenditore, forte dell’esperienza maturata al seguito di Monica.

Trovò in Erika, già pregevole compagna di vita, una socia perfetta, capace di gestire con lui e di sostenere gli arditi entusiasmi per arrivare a costituire un’impresa edile che presto si conquistò spazi nel mondo del lavoro; Marisa continuava a guidare il suo atelier e a vivere un vita da single libertina e smodata con il supporto dei soldi che il ‘paparino’ elargiva senza problemi; l’unica che soffriva la situazione senza nessuna possibilità di intervento era sua madre, la sola a sapere che Gigi aveva un figlio.

Era questo il discrimine che avrebbe potuto rompere gli equilibri; la vita di Erika e Gigi era ormai una realtà lampante cui nessuno più faceva caso; la condizione abnorme di lei che viveva con l‘amante di turno mentre lui aveva una dimensione anche sociale assai invidiata, con la donna che era evidentemente quella del cuore, non stimolava neanche più il pettegolezzo che all’inizio era circolato, del cornuto contento.

Marisa neppure si rendeva conto che il suo marito anagrafico si prendeva, sì, le presunte corna perché non l’aveva mai neppure toccata e non viveva con lei; ma non aveva neppure idea che lui avesse già un’altra famiglia radicata, con un bambino che già gattonava sui tappeti davanti ai genitori innamoratissimi; la sorpresa, anzi la mazzata, le sarebbe arrivata più presto di quando avrebbe potuto solo immaginare.

La prima occasione fu quando si incontrarono in un ristorante, lei con l’amante di turno e lui con Erika moglie alternativa; la ‘moglie per legge’ chiese a lui chi fosse quella donna; lui si limitò ad indicarla come un’imprenditrice con la quale aveva un rapporto di affettuosa amicizia; gli rise in faccia e presentò il suo stallone che riempiva le sue notti e il suo letto; i sorrisi degli amici intorno la insospettirono e cercò di approfondire.

Appurato che Erika era la donna che conviveva con suo marito da anni, sentì il sangue andarle alla testa e apertamente minacciò che gliel’avrebbe fatta pagare; neanche quando ne parlò, al telefono, con sua madre, volle convincersi che aveva innescato lei un’escalation che poteva distruggerla; sua madre si limitò a raccomandarle di non sollevare uno scandalo perché, se suo padre avesse conosciuto la verità, per lei sarebbero stati dolori.

Decise di seguire una strategia diversa; invitò il marito legittimo a pranzo e si intrattenne con lui in un colloquio dove l’ipocrisia si leggeva anche nei vestiti che indossava; decisa a mettere in atto la sua nuova tattica, parlò con lui a lungo toccando argomenti mai discussi e cercando piuttosto di scandagliare i punti deboli del suo comportamento; in particolare gli contestò che si era arreso troppo presto alla cacciata dal talamo e di essersi costruito una realtà a suo danno.

Ipocritamente, oltre alla relazione con Erika di cui era ormai a conoscenza, gli rimproverò anche quella con la titolare della sua ditta, Monica, dalla quale era derivato il benessere di cui godeva; considerata la fanciullaggine delle motivazioni che proponeva, Gigi si limitò a deriderla semplicemente; perse ancora di più le staffe e lo accusò di avere voluto lui quella situazione perché era un cuckold bisessuale e aveva costretto lei, anima candida, a fare la scelta delle famiglie divise.

Le contestò sarcastico che poteva chiamare a testimone persino sua madre, che lei l’aveva cacciato dalla camera la sera del matrimonio; tutto il personale della reception aveva sentito i loro colloqui; le fece presente che suo padre era l’unica persona, in tutta la regione, ad ignorare il suo comportamento negli anni; se fosse stato messo al corrente, poteva stare certa che sarebbe ricorso ai suoi metodi arcaici per punirla.

Lei lo sfidò a creare lo scandalo; certamente sarebbe finita male, ma lui non se la sarebbe cavata, nel terremoto che la situazione rischiava di scatenare; ‘muoia Sansone con tutti i Filistei’ fu l’ultima minaccia, con la quale intendeva metterlo all’angolo; intanto, elaborava tra se e se la convinzione che poteva ancora obbligarlo a dichiararsi cuckold e bisex portando la vicenda tutta a suo vantaggio.

Lui notò che aveva montato un impianto di telecontrollo che copriva tutto l’appartamento; si annotò il nome della ditta; grazie alle aderenze che aveva nel settore, riuscì a farsi creare una app con cui poteva tenere la moglie sotto controllo ventiquattrore al giorno; avendo deciso di chiedere la legalizzazione della separazione di fatto e il divorzio, sapeva che quei documenti avrebbero pesato molto nel momento in cui avesse presentato l’istanza e sua moglie si fosse opposta.

Continuando testardamente la sua opera di demolizione del marito, Marisa dopo qualche settimana lo invitò ancora a casa sua con la scusa di un chiarimento tra di loro; Gigi ci andò abbastanza sereno; appena entrato, scorse in poltrona il suo amante vestito solo di un paio di slip che facevano vedere netto il grosso fallo che esibiva; compreso che aveva deciso di incastrarlo, azionò dal telefonino la ripesa; vide il led della web cam accendersi e inviò il segnale per seguire la registrazione da remoto.

Lei prese con una mano l’amante e con l’altra lui, avviandosi alla camera; invitò Gigi a sedersi su una delle poltrone ai piedi del letto; si spogliò e spinse l’amante sul letto.

“Adesso, caro il mio maritino, io e Thomas faremo tutto quello che la fantasia sessuale ci suggerirà; tu te ne starai su quella poltrona e farai quello che un bravo marito cuckold dovrebbe fare, guardare voglioso e non azzardarsi neppure a toccarsi; quando avrà finito con me, Thomas si occuperà anche del tuo didietro e ti sfonderà come sei abituato a fare; alla fine, tornerai da me e ti consentirò di essere il marito cornuto e contento che dovevi essere già da due anni a questa parte.”

Lui guardò in giro e vide i led accesi delle videocamere nascoste; aprì il telefonino come per controllare qualcosa e si accertò che la ripresa della camera fosse nitida; si sedette con aria sottomessa al posto indicato e lei passò dalle minacce ai fatti; salì sul letto e accostò la bocca al fallo, notevole, al quale si capiva che era largamente abituata, da come lo prese fino in gola in un solo colpo, senza dare nessun cenno di fastidio o di difficoltà.

“Guarda che significa fare sesso con una mazza meravigliosa!”

Non obiettò e portò la mente lontano, al suo bambino che in quel momento si godeva le coccole della sua mamma, alla sua Erika che, lo decise in quel momento, doveva sposare a costo di portarla davanti al sindaco con una pistola alla tempia; lo squallore del comportamento della moglie solo per legge lo induceva a vedere nella madre di suo figlio la compagna ideale per una vita serena; pensò per un attimo anche a Monica, ma la cancellò per non eccitarsi.

Marisa intanto si era scatenata nella più lussuriosa fellazione che a lui fosse mai capitato di vedere, anche in video; la sua bocca assorbiva l’enorme mazza fino a che le labbra affondavano nei peli del pube; leccava goduriosamente l’asta per tutta la lunghezza; passava lunghi minuti e lambire e leccare la cappella che faceva ruotare nella bocca usando il palato e la lingua; scendeva fino ai testicoli e, dopo averli leccati, li prendeva in bocca uno per volta.

Il partner resisteva meravigliosamente duro; più volte si vide che faceva sforzi per frenare l’orgasmo che il trattamento gli procurava; finalmente Marisa si spostò ma solo per sdraiasi sopra di lui, a sessantanove, e gli offrì ano e vulva da leccare; si fermò con la cappella in bocca e lasciò che lui spaziasse infinite volte dal pube all’osso sacro, infilando spesso la lingua profondamente in vagina e nell’ano, ambedue elastici abbastanza per farsi penetrare per lungo tratto.

Quando furono sazi del gioco di lingue, lui la fece disporre gattoni sul letto e la leccò ancora, vogliosamente, per tutto l’apparato, mentre le teneva i seni tra le mani e pastrugnava, accarezzava e tormentava, soprattutto i capezzoli, con enorme goduria di lei che ebbe diversi orgasmi ed arrivò a squirtargli in bocca; la rovesciò supina sul letto e si lanciò a succhiare i seni e i capezzoli che reagivano con forza; alla fine si baciarono voluttuosamente.

Si fermarono esausti e lei ne approfittò per fargli più volte il segno delle corna e minacciarlo che anche il suo ano avrebbe ricevuto il doveroso trattamento; lo chiamò cornuto più volte e incitò il suo amante a fare altrettanto; l’unica reazione di lui fu un rapido controllo del telefonino per accertarsi che tutto fosse correttamente registrato; anche quel gesto, frainteso dalla moglie, fu oggetto di scherno perché lo attribuiva al desiderio di avere una chiamata che interrompesse la tortura.

Ripresero la copula e stavolta lo stallone mise a pecora la donna e la infilò in vagina con un solo colpo che fece schioccare le natiche urtate dal ventre; lei sobbalzò e gemette per la violenta scossa che le scatenò la penetrazione; la montò per molti minuti, finché lei non segnalò un potente orgasmo; sfilò la mazza dalla vagina e spostò la punta più in alto; l’ano ricevette senza sforzo la grossa massa di carne che la penetrò forse fino all’intestino; la mano di lei si mosse verso il clitoride e si masturbò.

Gigi era nauseato dalla disinvoltura con cui quella che la legge considerava sua moglie si lasciava sfondare da una bestia e godeva anche di umiliarlo con quel comportamento; non gli riusciva di capire a che cosa fosse dovuta tanta rabbia; certamente giocava la sua realizzazione, nella società e nell’amore, che sua moglie non era neanche lontanamente stata capace di sfiorare; ma più ancora giocava forse il fallimento che lei registrava delle sue illusorie capacità di dominio e di potere.

Dopo essersi fatta violentare a lungo nel retto, finalmente lei , al terzo orgasmo, si sfilò e si stese sul letto supina; lo invitò, allargando le braccia, a montarle addosso e finalmente si fece possedere alla missionaria; il bull, che non aveva dato nessun segno di cedimento e che non aveva mai raggiunto l’orgasmo, finalmente le esplose in vagina la più lunga eiaculazione che fosse possibile immaginare.

Fu solo il primo tempo della seduta; per due ore, gli amanti non smisero di possedersi, di titillarsi, di godersi, di maciullarsi in atteggiamenti al limite, di farsi fare persino male nell’illusione di darsi quanto più piacere possibile; quando dichiararono chiusi i loro giochi e lei si apprestava ad incitare il suo amante a penetrare analmente suo marito, lui le mandò un messaggio sul telefonino, la avvertì che lo stesso sarebbe arrivato a suo padre, si alzò e andò via indisturbato.

Quando Marisa si fu ripresa dalla meraviglia per lo strano comportamento di lui, prese il telefonino, aprì l’allegato e rivide tutta la scena da quando avevano cominciato a parlare; guardò in giro e gli occhietti luminosi delle cam sembrarono deriderla; bestemmiò, urlò, imprecò in tutte le lingue e cercò immediatamente di trovare un rimedio; provò a contattare suo marito, ma si rese conto che aveva chiuso ogni comunicazione e aveva imposto il divieto di chiamata al suo numero.

Chiamò sua madre, la mise al corrente della follia commessa e la pregò di attivarsi per evitare che suo padre, messo al corrente di quel che aveva fatto, ne decretasse la morte o una fine pietosa; la poveretta non sapeva che piangere osservando che l’aveva pure avvisata che stava distruggendosi con le sue mani; cosa poteva proporre al marito umiliato, bistrattato, offeso, trattato da pezza da piedi?

“Mamma, per pietà, fagli capire che sta giocando con la mia vita; farò tutto quello che vuole; firmo l’istanza di separazione e concedo il divorzio senza fare obiezioni, scompaio dalla sua vita e non lo disturbo più, mi inginocchio a chiedere perdono; ma quel video non deve arrivare a papà e, se può, lo deve distruggere; ho un paura terribile; non voglio rischiare di dovermi guardare in giro perché potrebbero ammazzarmi in qualsiasi momento; cerca di farglielo capire.”

“Marisa, io gli parlerò e sono convinta che saprà essere ragionevole; vorrei solo ricordarti che ero alla reception quando, il giorno delle nozze, lo cacciasti dalla camera da letto per stare col tuo amante; io ho visto il dolore che gli hai dato; dopo quello che mi hai detto, so che lo hai accoltellato ancora spietatamente; gli parlerò perché sei mia figlia e non voglio perderti, perché sarebbe mio marito a dare l‘ordine e non voglio perdervi tutti e due in un solo colpo.

Ma mi fai ribrezzo; anche aiutarti mi ripugna e mi sento ribollire all’idea di rendermi complice delle tue malefatte; sappi che è l’ultima volta che cedo al tuo ricatto morale; se ricadi nell’errore, sappi che sarò io stessa a dare l’ordine al killer di ammazzarti con le più terribili sofferenze per farti pagare in una sola volta i capricci di una vita.”

Riattaccò e lei rimase col suo terrore, con la vergogna per quello che addirittura sua madre le aveva detto; cacciò l’amante in malo modo, si ficcò sotto la doccia per cercare di ripulirsi dal male fatto, ma riuscì solo a nascondere con l’acqua corrente le lacrime che le scorrevano a rivoli; uscita dal box doccia, indossò un accappatoio e, ancora umida, si gettò sul letto dove sino a poco prima sadicamente godeva di umiliare suo marito; le furono necessarie molte compresse di ansiolitici per dormire.

Gigi era ancora per strada e cercava di sbollire la sua rabbia, quando lo raggiunse la telefonata della ‘suocera’; era stata informata di tutto, dalla figlia, ed era profondamente addolorata; non aveva neanche bisogno di dirlo, perché lui lo sentiva da ogni singola parola, dalla flessione della voce sul punto di essere rotta dal pianto, dall’accoratezza con cui lo pregava di risparmiarle il doppio dolore per la perdita di figlia e marito, che non avrebbe esitato a condannarla per quel che aveva fatto.

Si rendeva perfettamente conto delle conseguenze, a cui neppure aveva badato sua figlia; voleva solo definitivamente rompere un legame falso e ipocrita che gli aveva dato dolore e umiliazioni; spiegassero come volevano al marito la rottura tra gli sposi; lui avrebbe consentito a tutto quello che avessero detto; ma esigeva la firma immediata sulla domanda di separazione e di divorzio; Marisa si doveva impegnare a scomparire dal suo orizzonte e dimenticare che si erano sposati per burla.

Se il patto fosse stato rispettato, avrebbe distrutto il video incriminato e avrebbe vissuto in pace con la sua compagna e col figlio avuto da lei; la suocera accettò e promise di farsi garante che la sua lurida figlia andasse a fare le sue porcate altrove; solo, lo pregava di non far arrivare notizie al marito, dei motivi della separazione e del divorzio; se avesse avuto in qualsiasi modo bisogno di loro, lo considerava ancora una persona cara, vittima dei capricci stupidi di una bambina cresciuta male.

Non poteva nascondersi che gran parte della colpa era anche nel lassismo con cui avevano educato la ragazza e ne aveva favorito le devianze; ma, poiché non è possibile portare indietro le lancette del tempo, non poteva che sperare in un ravvedimento di Marisa ed augurarsi che trovasse la strada per crescere e diventare autonoma e razionale.

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