Sento lo pneumatico scoppiare, l’automobile sbanda un po’, ma per fortuna riesco a controllarla e ad accostare a lato del lungo viale. Scendo dal veicolo in preda all’ansia, ripetendo “merda! merda!”. È come temevo, la gomma è completamente lacerata e io non ho quella di scorta che, d’altronde, non saprei montare. Cerco di tranquillizzarmi. Il mio bilocale di studentessa universitaria è lontano da dove mi trovo, ma posso sempre chiamare un taxi. Avvio la chiamata, ma il servizio è fuori uso. Tento, allora, di chiamare un’amica, ma il suo telefono è spento. Sono le tre di notte, fa un freddo cane e io indosso solo un abitino rosso fuoco che mi copre a malapena il culetto, delle autoreggenti nere, scarpe con tacco alto e una giacca in pelliccia. La piazzola in cui mi trovo è sporca, a terra ci sono dei frammenti di vetro e dei preservativi usati, in lontananza, scorgo dei piccoli falò accesi da prostitute o da senzatetto. Sento l’aria fredda insinuarsi sotto il nylon delle calzette. “Stasera dovevo stare a casa, lo sapevo”, mi ripeto mentre muovo le gambe nel tentativo di scaldarmi.
Siccome sono un ragazzo con la passione per il travestitismo, di conseguenza adoro andare nei locali notturni, soprattutto se frequentati da uomini maturi, a mettere in mostra il mio corpo femminile, questa notte sono andata in una discoteca a sculettare. La serata è stata piuttosto deludente, salvo verso la fine, quando mi sono ritrovata a civettare con quattro uomini, quattro rozzi maschioni dall’aspetto per nulla rassicurante, che mi guardavano insistentemente le cosce e il culo, provocandomi con fischi e urla. Ho già vissuto esperienze del genere, sempre piacevoli, dunque ho risposto ammiccando esageratamente. Ma per poco. Proprio quando uno dei quattro si è fatto avanti, mi sono dileguata tra la folla e sono uscita. Era troppo tardi, ormai, per una scopata che si sarebbe protratta fino all’alba.
Ecco perché mi trovo qua, a bordo strada come una puttana. Vedo, finalmente, una macchina percorrere il viale nella mia direzione. Mi metto in mostra, cerco di farmi notare, sperando che qualcuno voglia dare un passaggio a due belle gambe e a delle labbra turgide, gonfie di acido ialuronico. Il mio seno finto straborda dal vestitino, sobbalza mentre mi sbraccio verso il veicolo, che mi sorpassa e si ferma poco più avanti. Dall’auto scendono i quattro maschioni che avevo abbandonato nella discoteca.
Cerco di spiegare loro la mia situazione, ma non sono interessati, poi uno di loro dice sbeffeggiandomi: “la cerbiattina ora non scappa più”. I quattro mi circondano. Sono tutti più alti di me di una ventina di centimetri, massicci, con tutta probabilità gente abituata al lavoro pesante. Uno di loro mi scompiglia i capelli, che porto tagliati alla maschietta, dopo di che dice: “arruffata è ancora più scopabile”, suscitando una ilarità generale. Balbetto qualcosa, ma percepisco una mano strizzarmi una chiappa, mi giro di scatto, spaventata da tanta impudenza, ma immediatamente un’altra mano mi tasta un seno. Grosse mani, un paio tatuate, mi pizzicano le cosce. Uno degli energumeni m’infila una mano tra le gambe, tasta il mio cazzetto duro, e con sorpresa esclama: “ah regà, questo c’ha il cazzo, è un trans”. Si accorgono solo adesso che sono un maschio, la cosa mi rende felice, significa che sembro davvero una femmina. “Che cazzo me ne frega, io me la scopo lo stesso”, ribatte un suo amico, passandosi la mano sulla patta dei pantaloni gonfia. Mi tremano le gambe, ma il buchetto inzia a pulsare; penso che non avrei dovuto provocarli in quel modo, ma al tempo stesso la situazione mi sta eccitando. Il più deciso dei quattro, quello con la mano tatuata, nota il mio cambiamento di carattere, da puttanella sfacciata a bambolina impaurita, e decide di andare fino in fondo: mi afferra forte per le guance, le stringe, facendo assumere alle mie labbra voluminose la forma a “culo di gallina”. Poi aggiunge: “ti faremo passare la voglia di fare la puttana in giro”.
Strattonandomi un po’, mi scortano fino alla loro auto, mi fanno accomodare dietro. Sono schiacciata tra uno con una folta barba e il tatuato, che mi dice di chiamarsi Walter, poi mi presenta i suoi compari: Mauro, Franco e Marco. Sento i loro corpi enormi premere contro le mie membra, mi accarezzano le gambe, mi tastano i seni, sono eccitatissima. Walter prova a baciarmi, per non sembrare troppo troia, oppongo una finta resistenza, ma alla fine intrecciamo le nostre lingue. Lo stesso faccio con Mauro, seduto alla mia sinistra.
Poco dopo entriamo nel parcheggio di un motel. Scende Walter, si reca alla reception, e dopo qualche minuto si affaccia dalla porta d’ingresso e ci fa cenno di entrare. Il portiere, vedendomi passare col vestito rosso, i tacchi di quindici centimetri, il trucco abbondante, mi fa un sorriso sornione, scambiandomi per una baldracca.
La stanza è squallida. I quattro bestioni mi guardano allupati, mi palpano, mi strizzano, mi mettono le dita in bocca, mi sollevano il vestitino e a turno mi schiaffeggiano il cazzetto. Sono intimotita, ma anche eccitata. Walter preme il bacino contro i miei glutei, dicendomi: “sei proprio un bel troione. Stasera ti rovino il culo”. Mi tirano in modo brusco, mi rimpallano tra di loro, mi levano l’abito striminzito e mi fanno inginocchiare. I loro cazzi entrano nella mia bocca a turno, la usano come un mero buco per il piacere. Qualcuno mi sbatte il membro sulla fronte, qualcun’altro m’infila la cappella nelle orecchie, li sento ridacchiare e ansimare; ho sempre la bocca piena, mugolo in continuazione. Uno dei quattro, credo Marco, mi mette il suo cazzone dalla enorme cappella violacea in bocca, tenendolo premuto contro la parete interna della guancia e mi obbliga a ripetere alcune frasi oscene. La mia voce esce strozzata mentre ripeto “sono una troia inutile” oppure “sono un buco per il cazzo”. Ricevo diversi schiaffi e qualche sputo.
Ho le guance arrossate e la lingua piena di peli pubici e sperma quando mi fanno mettere a quattro zampe sul letto. Mi strappano le mutandine e iniziano a frustarmi il culo con le cinture, qualche sferzata mi colpisce i testicoli e allora lancio un gridolino. Sono fuori di me per l’eccitazione, dunque riprendo a provocarli gemendo e ripetendo “sì, stalloni, sì, sono una femminuccia cattiva, castigatemi”. Mi aprono il culo con le mani, mi sputano sulla rosellina anale ben depilata e capisco che è arrivato il momento della monta. Il primo a cominciare è Walter, che mi trafigge con la sua nerchia e mi trivella in modo brutale, mettendomi un piede sulla faccia e tenendola schiacciata sul materasso. Il suo cazzone mi picchia la prostata, facendomi quasi svenire per il godimento. Tutti e quattro mi scopano in diverse posizioni, sempre con durezza, sculacciandomi duramente o afferrandomi con forza per la gola. Mentre qualcuno mi cavalca, facendosi strada per il mio retto elastico, qualcun’altro mi conficca il cazzo in gola o mi tira un braccio in modo da usare la mia mano per farsi una sega. Sono al centro di un’ammucchiata e, quando non ho una minchia in bocca, incito i quattro fottitori a fare di meglio.
Sdraiata sul letto, sono ridotta come un preservativo fradicio di sborra. I quattro mi sono venuti tutti, almeno tre o quattro volte, nel culo o nella bocca. “Fatti una sega per noi, troietta”, mi dice Mauro. Obbedisco alla sua richiesta e inizio a menarmi il cazzetto, che non ne vuole sapere di diventare duro. Mi dicono che sono un “frocetto del cazzo”, un “maschio fallito”, una “pattumiera per la sborra”, “una troia senza cervello” e via così. Sono esausta, il mio cazzino rimane molle, allora Franco m’infila il fallo in bocca, me lo spinge fino in fondo, togliendomi il respiro e facendo fuoriuscire due misere schizzate dal mio pisellino (chiamarlo “cazzo” o “pene” sarebbe un’offesa al genere maschile). Franco, infine, mi spruzza sul viso dello sperma vischioso.
È l’alba quando finiscono di usarmi come una bambola gonfiabile. Li sento sciacquarsi il cazzo mentre mi abbandono come un rifiuto sul letto. Il mio ano spampanato e frusto continua a pulsare facendo uscire fiotti di sperma che mi colano tra le cosce, macchiando ulteriormente le autoreggenti. Non mi fanno lavare. “La camera la paghiamo noi, puttana, adesso ti riportiamo a casa. Alla tua macchina ci pensa Walter, che fa il meccanico”, mi dice Marco.
Salgo le scale di casa mia senza tacchi, evito di fare rumore, sperando che nessuno mi veda così sfatta. Metto il vestitino a lavare e mi rendo conto che sulla chiappa sinistra ho disegnate una “T” e una “R”, mentre su quella destra una “I” e una “A”. Realizzo così che, col rossetto che tenevo nella pochette, mi hanno scritto “TROIA” sul culo, facendo fare al mio buchetto il ruolo della lettera “O”. Dopo essermi lavata mi butto sul letto. Dopo qualche minuto, ripensano alla serata, sento un fremito di desiderio e inizio a sperare che Marco, il meccanico, che si faccia sentire al più presto.
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