Vaffan …
Ci conoscevamo sin dal Liceo, io ed Elettra; di un paio dì’anni più grande, feci la maturità mentre lei ancora era in prima; ma avevamo già cominciato a frequentarci, a scoprire insieme l’amore e il sesso; mi iscrissi a Giurisprudenza e lei mi seguì due anni dopo; versatile e creativo, ma decisamente discontinuo, mi dedicai poco allo studio e, appena se ne offrì l’occasione, accettai un posto da impiegato di banca.
Elettra era sicuramente più metodica; non a caso, al liceo era soprannominata ‘Biancanove’, per il candore del personaggio e per la tenace volontà di raggiungere ogni volta il massimo dei risultati; anche all’Università, impegnò tutta se stessa nello studio e riuscì a concludere il ciclo nei tempi previsti dal piano; fece un brillante tirocinio presso uno studio qualificato e, subito dopo, ne aprì uno suo personale costruendosi una credibilità indiscussa.
Arrivati al punto in cui la serenità economica e sociale era garantita, decidemmo di sposarci e per qualche anno le cose procedettero in perfetta armonia; avevo acquistato, con un mutuo oneroso, un appartamentino in centro, adatto alle nostre necessità; per decisione unanime, stabilimmo il regime di beni separati, in realtà perché mi sentivo assai più forte economicamente e, in caso, di rottura, non volevo rogne; Elettra non fece obiezioni.
Col passare del tempo, la situazione si andò modificando; i successi in tribunale di lei divennero anche fonte di guadagni sempre maggiori e lei acquistò, per se stessa, alcuni appartamenti vicini, resi poi comunicanti, in altro edificio della prima periferia, in nuove urbanizzazioni che spostavano il centro della città; continuava a vivere nel mio appartamento, benché l’acquisto le consentisse di disporre di uno studio assai ampio, con personale apposito, e di un appartamento bene arredato.
Probabilmente, fu la presa di coscienza di essere diventato quasi subalterno al suo potere, soprattutto sociale, ad indurmi a guardare con un interesse particolare alle belle colleghe che mi giravano intorno nonché all’entourage di amiche che frequentavo fino a diventare un autentico ‘cacciatore di vagine’, famoso in ogni ambiente per non sbagliare quasi nessun colpo; assai difficile, quando puntavo una, che mi scappasse; di solito finiva in una rapida copula; qualche volta in una breve storia.
Le reazioni possibili di mia moglie mi interessavano poco; nella logica ereditata dalla provincia di origine, era un mio diritto cercarmi i diversivi dalla routine del matrimonio; lei continuava impassibile a svolgere la sua attività, tra studio e casa, mietendo successi ma inducendomi a perdere per lei qualunque interesse; nella mia ottusa convinzione di arbitrio assoluto, neppure mi sfiorava l’idea che lei potesse in un qualche modo ricambiare il mio disinteresse.
La prima a rimanere colpita dalle mie attenzioni fu una cassiera molto procace e disinibita, famosa per le minigonne vertiginose che ostentava in ufficio e fuori, con l’evidente intento di far notare le sue gambe scultoree su cui si innestava un sedere da favola; il seno ricco e prosperoso veniva sottolineato da camicette molto aperte, senza reggiseno, che offrivano larghi squarci del suo ‘balcone’ anche ad un’occhiata fugace.
A completare il quadro, il viso ben disegnato, circondato da un’aureola di capelli neri sempre pettinati in modo da inquadrare la sua bellezza, il nasino birichino, alla francese, e una bocca carnosa, sottolineata sempre da un rossetto di colore acceso; le unghie laccate fantasiosamente e gioielli di ottimo gusto completavano l’aspetto di una donna fatta apposta per essere posseduta, dopo una eventuale cena in un ristorante di lusso; insomma, una femmina da copula.
Paradossalmente, la beccai una volta che la vidi dirigersi ai servizi igienici della banca; la seguii immediatamente e, osservato che non c’erano estranei in giro, la spinsi decisamente verso il bagno dei disabili; non oppose nessuna resistenza, anzi aderì immediatamente, segno che si aspettava o desiderava il mio assalto; la baciai con voluttà e demmo il via ad un particolare gioco di lingue che la fece sbrodolare.
“Non abbiamo molto tempo; prendimi!”
Mi sussurrò all’orecchio; le sollevai un piede sul water, spostai il perizoma e le infilai di colpo il sesso duro in vagina; assorbì gli oltre venti centimetri del mio bastone con un lungo gemito di piacere, mi baciò lussuriosamente, mi strinse al torace il seno prorompente e cominciò a godere ad ogni spinta; la cavalcai per un poco, eccitandomi da morire alla presa dei muscoli del canale vaginale; quando esplosi, con un grugnito, la mia eiaculazione, lei si tappò la bocca per non far sentire l’urlo fuori.
Da quella volta, cominciai a copularci tutti i giorni, prevalentemente dopo l’orario di chiusura; approfittando del fatto che mia moglie si tratteneva in ufficio fino a tardi, me la portavo a casa e copulavamo come ricci almeno per un paio d’ore ogni volta; per un paio di mesi fu la mia amante preferita e non mi preoccupavo di far sparire le tracce del nostro passaggio, nemmeno degli orecchini, dei perizoma o degli accessori che lasciava nel letto e che Elettra raccoglieva in silenzio.
Nella mia frenesia sessuale, agganciai anche un’amica di mia moglie, sposata e insoddisfatta del marito; una volta che mi confidò le sue lamentele per la ‘distrazione’ di lui che, preso dal lavoro, non la possedeva mai, riuscii a portarmela a casa di un amico scapolo che mi lasciò le chiavi del suo appartamento, mentre lui era fuori per un viaggio, e ci passai un sabato e una domenica, consentendole solo di rientrare per la notte per non assentarsi dal letto matrimoniale.
In quella due giorni di sesso, ottenni da lei tutto, compreso l’ano che il marito aveva sempre tenuto fuori dai rapporti sessuali perché la riteneva pratica da omosessuali; scoprii che aveva una voglia ed una capacità di succhiare l’uccello che il rapporto con suo marito non le aveva mai consentito di manifestare; per tutto il tempo, si limitò a farsi copulare a lungo e a dedicare una buona ora alla penetrazione anale che accolse come una novità assoluta; il tempo residuo lo passò col fallo in bocca.
Quel ritmo forsennato andò avanti per molto tempo e mi dimenticai completamente di mia moglie che divenne meno importante delle sedie su cui mi sedevo; stavo pochissimo in casa perché trascorrevo mattina e pomeriggio in banca o con le amiche della banca; all’uscita, andavo al bar solito e lì cercavo sempre una conquista da realizzare o un’amica con cui copulare; normalmente, rientravo ad ore piccole; per non disturbare, me ne andavo nello studio, sul lettino.
Non avrei saputo dire se mia moglie dormisse in camera o se vi facesse sesso con qualcuno; nella mia logica, un amante era fuori da ogni possibile immaginazione; che dormisse in casa, lo davo per scontato perché ‘doveva’ essere così; dimenticavo che aveva un altro appartamento, annesso allo studio, e che avrebbe potuto fare di tutto e di più, nella sua abitazione; la mia arroganza era tale che per mesi non la vidi ma non me ne curai affatto.
“Ciao, Dario, finalmente ci si incontra!”
Mi colpì come uno schiaffo la voce di mia moglie che mi sorprese alla festa organizzata da amici in una villa di loro proprietà; la guardai meravigliato; era straordinariamente bella, in un abito smeraldo che la fasciava delicatamente e ne sottolineava le forme piene e aggraziate, come se la vedessi davvero per la prima volta; mi chiesi ad un tratto dove fosse stata fino a quel momento; gli amici mi guardavano con aria sorniona.
“Come mai sei qui?”
“Sono un’invitata, anzi forse l’ospite d’onore!”
“Che vuol dire?”
“Non sai niente? Non hai ancora capito?”
“Cosa dovrei sapere? Cosa dovrei avere capito?”
“Mi pare che tu ti illuda ancora di essere mio marito … “
“M’illudo? TU SEI MIA MOGLIE!”
“No, caro; IO ERO, da mesi non siamo più niente; siamo separati di fatto e, se guardi la tua posta, dovresti avere ricevuto l’ingiunzione del tribunale che dichiara la separazione legale; è da mesi che vivo con Mauro nella mia abitazione annessa allo studio!”
“Le ingiunzioni del tribunale non valgono la carta su cui sono scritte. Tu sei mia moglie ed hai dei doveri; in quanto al tuo amante, farà i conti con me!”
Si erano avvicinati gli uomini della sicurezza; solo in quel momento mi si chiarì che il Mauro di cui parlavamo era il padrone di casa, un costruttore di grande potere, padrone di mezza città; da quel che mi aveva detto Elettra, da qualche mese era il suo uomo; di colpo, mi resi conto che non avevo rapporto da circa sei mesi con mia moglie, da quasi un anno non ci facevo l’amore e che lei non si era più vista in casa; anzi, io non l’avevo vista perché non mi ero preoccupato di cercarla; l’ingiunzione l’avevo cestinata senza leggerla.
Tutto si bloccò perché il padrone di casa doveva fare degli annunci; il primo fu che aveva vinto uno dei tanti appalti per costruire un nuovo tribunale, su incarico del ministero; applausi scroscianti; comunicò che ufficialmente lui ed Elettra vivevano insieme e, ciliegina sulla torta, aspettavano un figlio; tutti si congratularono; a me, il bicchiere cadde dalle mani e si frantumò.
Loretta, una delle mie scopamiche che era presente alla cerimonia, sorpresa dal gesto, mi venne vicino e cercò di parlarmi; mi sganciai con uno sgarbo e mi allontanai.
“Vaffanculo.”
Fu il saluto con cui mi accompagnò mentre uscivo; mi sedetti al posto di guida con la testa che mi scoppiava; appoggiai le braccia sul volante; mi tenevo la fronte e lasciai scorrere le lacrime sulla mia arroganza inutile.
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