Vittoria
Non aveva avuto una vita facile, mia madre.
Nata a cresciuta in un paesino nell’interno dell’Appennino meridionale, si era trovata, poco meno che diciottenne, ad affrontare gli esami di maturità, ma soprattutto il giudizio di condanna della famiglia per il ‘disonore arrecato’ facendosi possedere così piccola da un uomo di dieci anni più anziano.
La conclusione inevitabile fu che, dopo un rapido ‘matrimonio riparatore’, si trasferirono, lei e mio padre, nella vicina città spezzando per sempre il rapporto con le famiglie di origine e col paesino.
Per quindici anni la loro vita scivolò serena e, in certo senso, agiata, grazie anche alla lena di gran lavoratore di mio padre ed all’impegno che consentiva a mia madre un lavoro part time di segreteria in alcuni studi professionali.
Ma la bella favola svanì di colpo per un male terribile che mi rese orfano appena diciassettenne e pose Vittoria, mia madre, nella necessità di organizzarsi una nuova vita.
La prima scelta fu di lasciare l’appartamentino in cui aveva abitato fin dall’arrivo in città e cercare un monolocale più economico da attrezzare per la bisogna.
La soluzione fu un ambiente unico e ridotto dove per dormire bisognava usare due divani-letto, uno per me, l’altro per lei, che di giorno facevano ‘salotto’; l’ ‘angolo di cottura’ era una mezza parete attrezzata e il tavolo doveva servire a molteplici funzioni.
Vittoria soleva scherzare.
“In questa casa, è vietato ammalarsi, perché se si apre il letto non si può più apparecchiare tavola.”
L’unica ‘apertura’ era costituita da un balconcino assai ridotto che, con opportuna chiusura a veranda, poteva dare ricetto a un tavolino per molti usi, compreso lo studio.
Come avesse fatto Vittoria a sbarcare il lunario in quegli anni, non lo sapevo; ma non è difficile immaginarlo, considerando che comunque le spese erano notevoli, specialmente in un’economia al limite della miseria nera.
In quegli anni, sapevo solo che molto spesso, di pomeriggio, mia madre mi lasciava a casa di una vicina a fare i compiti e ritornava a recuperarmi prima di cena.
Le malelingue suggerivano che andava a battere fuori città per non essere riconoscibile; altri optavano per un giro di ‘accompagnatrici’, considerata la notevole bellezza di Vittoria; per qualcuno aveva rapporti ‘straordinari’ con i professionisti per cui lavorava part time.
Complessivamente, però, non si esprimevano giudizi severi, se non tra noi giovinastri che fantasticavamo su copule di cui avevamo vaghissime idee e nessuna nozione.
L’edificio in rovina era il punto privilegiato per fantasticare scene cinematografiche inverosimili.
Ed era lì che ci ritrovavamo assai spesso.
Quando non avevamo niente da fare, vale a dire per quasi tutta la giornata, specialmente in estate, uno dei divertimenti era andarcene in un prato incolto dietro la stazione ferroviaria dove sopravviveva a stento un edifico cadente che doveva essere stato un deposito o un’officina; di solito, un gruppetto di quattro - cinque ragazzi di diversa età si avventurava tra le siepi di more e l’erba alta, in genere ci si muoveva fuori a fine primavera o in estate, e andava a caccia di qualunque cosa destasse un’idea di ‘avventura’, dalla raccolta di rottami di metallo da rivendere alla caccia ai primi frutti maturi fino alla classica minzione collettiva ‘a chi spruzza più lontano’ con inevitabile scorno per i più piccoli e per i meno dotati.
Naturalmente, la riservatezza del posto offriva anche spunto per fanciullesche avances sessuali, dal classico ‘vediamo come ce l’hai’ a qualche palpata più o meno innocente fino agli strusciamenti più ‘arditi’.
Antonio era il più ‘vecchio’ e il più cattivo; per questo non risparmiava imposizioni energiche a nessuno, soprattutto ai più piccoli.
In più occasioni aveva strabiliato tutti mostrando il suo sesso già notevolmente sviluppato, scappellandolo energicamente e disinvoltamente, menandoselo con gusto sotto i nostri occhi sbarrati dalla meraviglia; qualche volta l’aveva anche strofinato sul sedere dei piccoli e aveva accennato a farselo manipolare da uno di noi; io ero quasi sempre il più disponibile e molte volte avevo sperimentato con notevole gusto la sua mazza sia nelle mani, per sapienti masturbazioni, sia in bocca, per una succosa fellatio, sia tra le natiche, ma non dentro il retto, per timore di danni.
Un pomeriggio che mamma doveva uscire come al solito, mi trovai di fronte alla sgradita sorpresa che la vicina dove mi recavo di solito non c’era.
Non sapendo cosa fare, decisi comunque di studiare, me ne tornai a casa; qui però trovai il divano - letto di mia madre aperto a doppia piazza che ingombrava quasi tutto lo spazio; non capivo il motivo della novità, ma mi attrezzai sul tavolino della veranda esterna; la primavera offriva la condizione di clima e di luce ideale.
Ad un tratto sentii la porta aprirsi e mi alzai pensando che Vittoria fosse tornata indietro; ma mi accorsi immediatamente che non era sola.
Nell’imbarazzo più totale, tirai la tenda che chiudeva la veranda e mi fermai a vedere quel che sarebbe successo.
Insieme a mia madre c’era un uomo, a me assolutamente sconosciuto, molto più vecchio di lei, non molto alto, con una leggera pancetta, vestito in maniera elegante e quasi austera.
Appena entrati, Vittoria gli fece togliere la giacca e l’appese all’attaccapanni, poi gli tolse progressivamente la cravatta, la camicia a i pantaloni; venne fuori un fisico, per così dire, rilassato senza muscolatura evidente, con una carnagione bianca e una peluria rada sulle gambe e sul petto; dopo avergli sfilato la maglia, Vittoria gli abbassò le mutande e mise un luce un membro non grande, per non dire piccolo, almeno più piccolo di quello di Antonio e forse anche del mio; lo spinse sdraiato sul letto e gli sfilò per ultimi i calzini.
Poi cominciò a spogliarsi lei, con molta lentezza e sensualità; avevo visto molte volte mia madre vestita solo dell’intimo; qualche volta l’avevo anche spiata nuda, quando era nella doccia; ma non avevo mai preso coscienza di quanto fossero arrapanti le sue tette piene, grosse, con le aureole gonfie e intense che al centro sorreggevano due capezzoli appuntiti come chiodi; e non avevo mai valutato l’eccitazione che provocava il sedere tondo e alto, teso e quasi statuario che si ergeva su due cosce da monumento greco. Quando alla fine, completamente nuda, si stese sul letto accanto a lui ed aprì voluttuosamente le gambe, la sua vulva umida immersa nel boschetto di pelo nero mi scatenò un’erezione che giudicavo imperdonabile; eccitarmi per mia madre, addirittura!!!!.
Il compagno di letto sembrava non avere nessuna intenzione di prendere iniziativa; eppure il suo sesso era duro e ritto, segno di una violenta eccitazione.
Vittoria, che forse sapeva di questa tendenza dell’altro, prima si sedette sul letto e prese in mano il membro menandolo in una masturbazione sapiente, poi abbassò il busto e lo prese in bocca facendolo addirittura scomparire del tutto.
Dal momento che anch’io lo avevo fatto con Antonio, non mi meravigliai dell’agilità con cui lo imboccava e lo succhiava; ma dovetti riconoscere che era una grande performer quando vidi con quale maestria accarezzava l’asta con le labbra e scendeva fino a prendere in bocca i testicoli che, stranamente, erano assai grossi rispetto al piccolo membro; quando poi vidi il gioco della lingua intorno alla cappella e, dal movimento delle labbra, capii che la leccata di cappella continuava anche quando l’asta le stava tutta dentro la bocca, mi resi conto che effettivamente una fellatio fatta da Vittoria poteva portare in paradiso.
Il compagno gemeva docilmente mentre Vittoria leccava e succhiava; si vedeva con chiarezza che era eccitato fino al parossismo ma continuava a non avere iniziative e si lasciava possedere quietamente.
Quando si rese conto che il giochetto rischiava di concludersi in un orgasmo precoce, Vittoria staccò la bocca dal membro, si alzò in ginocchio sul letto, con la gamba sinistra scavalcò il corpo di lui e si sedette sul ventre, col bastone che si appoggiava esattamente nella fessura tra le natiche.
Abbassando il busto in avanti, scendeva a leccare i capezzoli dell’uomo che, evidentemente abituato, le accarezzava il viso e accompagnava la testa sui due capezzoli alternativamente mentre il suo membro, che io vedevo benissimo dalla mia postazione, vibrava come scosso da elettricità.
Spostando il corpo un poco più avanti e sollevandosi leggermente dal ventre, Vittoria gli dava intanto i suoi capezzoli da succhiare ed io riuscivo quasi a vedere con emozione l’intensità con cui l’uomo leccava le mammelle, mordicchiava le aureole, prendeva in bocca i capezzoli e li succhiava.
Ma più ancora, dalla posizione che in quel modo Vittoria assumeva, mi era possibile vedere nettamente l’ano dilatato fino a mostrare l’interno rosa dello sfintere e, più ancora, la vulva in tutta la complessità, dalle grandi labbra grosse, umide e ben disegnate alle piccole labbra che, come uno strano fiore, si aprivano a bocciolo all’interno della spacco sollecitate anche dal leggero movimento ondulatorio che Vittoria assegnava al corpo per succhiare e farsi succhiare; infine, al bottoncino rosa del clitoride che vedevo brillare nel nero dei peli in cima alla vulva, laddove lo spacco si chiudeva sul monte di Venere.
Non mi sarei mai stancato di guardare estasiato il sesso dell’unica donna di cui potevo essere innamorato.
L’entusiasmo dell’uomo per il trattamento a cui il suo corpo veniva sottoposto era indicato dalle vibrazioni di tutto il suo essere, che si agitava sul letto come in preda a scosse elettriche; Vittoria non dava segno di partecipazione attiva e, se aveva avuto un orgasmo, non lo dava certo a vedere.
L’uomo la afferrò alla vita e sollevò il corpo leggermente; Vittoria si alzò qualche centimetro in più, spostò il sedere indietro finché avvertì che la cappella le sfiorava la vulva, infilò tra le cosce una mano e andò a prendere il sesso che guidò alla vagina e sul quale si impalò con un movimento lento e godurioso; il viso dell’uomo si esaltò a mano a mano che il membro scivolava dentro; le mani sui fianchi imposero una sosta quando il sedere di Vittoria giunse a contatto col suo ventre; si mosse un poco per stimolare tutto l’inguine, poi lasciò che la donna lo cavalcasse a modo suo.
La copula andò avanti per un bel po’; Vittoria faceva leva sulla giovane muscolatura delle sue gambe per sollevarsi e abbassarsi dal corpo del maschio facendo scivolare avanti e indietro il membro nella vagina; era abbastanza chiaro che, data la limitata dimensione dell’asta, il maschio non arrivava a toccare punti particolarmente sensibili del suo corpo, sicché spettava a lei procurarsi piacere stimolando il clitoride sul ventre o stringendo i muscoli vaginali; naturalmente, questo esercizio contribuiva anche a far godere il maschio.
Di più, di tanto in tanto si chinava a farsi succhiare le tette o a succhiare lei quelle dell’altro con evidente piacere reciproco.
La cosa che più mi intrigava era però la capacità di resistenza di quell’uomo che era apparso così fragile e che invece se ne stava lì a sesso duro copulando con gioia anche senza evidente entusiasmo una femmina veramente molto ben fatta e capace di una vasta ginnastica di copula.
Fu il maschio a mettere fine al primo round dell’accoppiamento; prese Vittoria per i fianchi e la sollevò finché il sesso si fu sfilato dalla vagina, spostò la donna di lato e la fece cadere sul letto, distesa al suo fianco.
Forse per tacita intesa, Vittoria ruotò su se stessa e si portò col viso sul sesso ancora ben ritto; contemporaneamente, il suo bacino si spostò sull’uomo che la sollevò un poco e la poggiò delicatamente sul suo corpo facendo coincidere l’inguine con la sua bocca; Vittoria si sistemò meglio e si dedicò al sesso che ingoiò interamente e prese a succhiare mentre lo teneva nella bocca; l’uomo usò le mani per allargare le natiche e portare in piena vista l’ano e la vulva davanti alla sua bocca; poi cominciò a leccare dall’ano al clitoride e viceversa cercando ogni volta di inserire la lingua profondamente nel retto e nelle grandi labbra.
Dal mio angolo di visuale, vedevo bene il viso di mia madre che godeva intensamente.
Stettero per un po’ a succhiarsi e leccarsi i sessi; poi lui le fece capire, tirandola per i fianchi, che doveva sollevarsi in ginocchio; Vittoria si accosciò sulle ginocchia e appoggiò pesantemente il sedere sulla faccia di lui che rumorosamente succhiava dal retto e dalla vagina umori che colavano ininterrotti.
Il nuovo gioco non durò a lungo; prendendo una sua gamba e spostandola di lato, l’uomo fece capire a Vittoria che doveva scavallarsi dalla posizione; lei lo fece e si andò a sedere di nuovo sul suo ventre con il membro ben accostato all’ano, in mezzo alle natiche; si scambiarono qualche parola sottovoce, poi Vittoria scese dal letto e andò verso il piccolo bagno.
Quando tornò, porse all’uomo un tubetto e si riposizionò col sedere sul suo viso piegandosi in avanti per essere totalmente aperta e completamente esposta; l’uomo aprì il tubetto, raccolse del gel su un dito e cominciò a manipolare l’ano di lei; dalla mia postazione vidi entrare nel retto di Vittoria prima un medio che scivolò interamente e rapidamente, poi il medio e l’indice insieme che cominciarono a ruotare.
La manovra mi meravigliò ma solo perché Antonio non aveva mai pensato a gel lubrificante o a dita utili per allargare lo sfintere, quando chiedeva di penetrare qualcuno analmente.
Me ne sarei ricordato la prossima volta e forse lo avrei sperimentato personalmente, visto il piacere che vedevo promanare dal viso di mia madre.
Quando anche un terzo dito, l’anulare, si fu affiancato ai primi due e tutti e tre ebbero per qualche secondo provveduto a dilatare in ogni senso lo sfintere, l’uomo spinse il sedere di Vittoria che capì e si mosse per posizionarsi di nuovo sul ventre di lui, col sedere rivolto dalla mia parte.
Vidi così nettamente la mano di lei che afferrava il membro e lo guidava all’ano, la cappella forzare il buco ed entrare decisamente nel retto; ci fu una prima sosta in cui Vittoria sembrava assorbire la nuova penetrazione; poi si riprese e spinse decisamente; il membro entrò fino in fondo e i testicoli andarono a sbattere sulla vulva.
La penetrazione anale fu stranamente rapida; ma evidentemente il tizio era arrivato al limite di tenuta del suo orgasmo; dopo pochi colpi, infatti, emise un urlo soffocato di piacere, rilassò tutto il corpo e spinse il corpo di Vittoria, dalle anche verso il basso, ad appoggiarsi interamente sul suo ventre, quasi gustandosi la scarica di sperma.
Vittoria, per parte sua, si appoggiò volentieri al corpo dell’altro e lasciò scaricarsi la sua tensione con un leggero movimento del bacino che accompagnava probabilmente gli schizzi che le entravano nell’intestino.
Con molta precauzione, mia madre si staccò dall’uomo e fece lentamente uscire il sesso dal retto; si tamponò alla meglio l’ano che colava sperma e filò dritta in bagno a pulirsi.
Il maschio, rimasto solo, prese dei fazzolettini dal pantalone rimasto lì a terra, si pulì approssimativamente il sesso e si alzò anche lui; appena Vittoria uscì dal bagno, lui vi entrò.
Subito dopo cominciò la ‘fase della vestizione’ che fu, in realtà, assai più rapida dello spogliarello.
Dopo pochi minuti, i due si erano ricomposti e uscirono dalla camera.
A quel punto, entrai io e la prima cosa che feci fu di fiondarmi sul letto e cercarvi gli odori di mia madre che li aveva sparsi per tutto il letto ed anche quelli del maschio, il primo di cui avessi goduto per intero le fasi di una copula e, più ancora, perché poteva riguardarmi, di un coito anale.
Vittoria mi sorprese così, mentre annusavo golosamente le lenzuola alla ricerca di quei sapori e cercavo quelle tracce di orgasmo che non avessero pulito.
“Tu cosa ci fai qui?”
Fu il suo esordio; le risposi con un sorriso.
“Maria non c’era ed ero venuto a casa a studiare; poi è successo che siete venuti voi e non ho potuto fare altro che stare a guardare.”
“Quindi, hai visto tutto!”
Accennai di si con la testa.
“E allora? Cosa pensi?”
“Fai davvero la prostituta?”
“Intendi dire come quelle che battono sulla strada?”
Accennai di si con la testa.
“No! Abbiamo bisogno di soldi e guadagnare trecento euro per un’oretta di sesso non mi pare tanto assurdo. Ma lo faccio poche volte, con persone selezionate e danarose.”
“Sempre prostituta sei! Ma a me non dispiace affatto!”
“Ah! E che cercavi sul letto?”
“Sognavo di esserci io!”
“Vorresti copulare con tua madre?!?!”
“Perché no? Ma anche farmi possedere come mia madre …”
“Ma cosa dici? Sei omosessuale?”
“No. Sono ancora in una fase incerta e tutte le situazioni possono essere interessanti. Ad esempio, il modo in cui l’hai preso nel retto mi ha affascinato … ”
“E, di ribaltare la situazione, cosa ne penseresti?”
“Cioè?”
“Fare tu il maschio e spingere la fase incerta verso l’eterosessualità?!?!”
“E tu mi aiuteresti, in questo percorso?”
“E’ ovvio! Sono sempre tua madre … vedo che ti è venuto bello duro … vuoi che ti dia una mano?”
“Certo. Anche qualcosa in più, semmai … ”
“Non correre, ragazzino, cominciamo con una mano … poi si vedrà.”
Detto fatto, Vittoria salì sul letto, mi spinse supino sulle lenzuola, mi aprì il pantalone e tirò fuori il mio sesso, non molto grande ma ben duro e ritto.
Sentire la sua mano sul membro mi colpì come una scudisciata e mi scatenò una sorta di fulmine nel cervello; sentivo caldo dappertutto e d’improvviso ero vivo, anzi, eravamo vivi, solo laddove la sua mano si muoveva lungo la mia asta per mandare su e giù la pelle.
Non ebbe bisogno di molte manovre, con la tensione che avevo accumulato nell’ultima ora; le sparai tra le mani un fiume di sperma, forse tutta quella che da sempre avrei voluto regalarle.
Accostò alla bocca le dita che colavano e assaggiò il mio succo.
“Sai di buono; forse penseremo a qualcosa per noi due …”
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