Avviso per i lettori, ora scriverò una cosa abbastanza forte, non so manco se è concesso in questo sito, ma giuro che è una storia vera, che non ho mai avuto il coraggio di confessare. Sicuramente nessuno arriverà alla fine del racconto. Chi per la lunghezza, utile per immergersi, chi per gli argomenti. Comunque buon divertimento.
Erano passati alcuni giorni dalla nostra avventura con i vicini e da allora non li avevo più rivisti. Eppure mi tornava in mente quella promessa fattami dalla signora. Nel vicinato si diceva che erano tornati in città per lavoro. Sta di fatto che, anche senza averne intenzione, spiavo continuamente la loro casa e il loro giardino, con la speranza di rivederli.
Quando una domenica, una di quelle lunghe giornate estive svedesi, vidi, mentre pulivo i piatti, la signora seduta al molo. Di suo marito nessuna traccia. Agii d’istinto. Lasciai galeggiare i piatti nel lavello e corsi da lei. Appena mi avvicinai notai il suo viso contrariato e decisi che, forse, non era il momento di disturbarla. Tornai indietro dei miei passi. Senza accorgemene, feci cadere un barattolo in acqua. Lei si girò e mi sorrise.
Mi salutò caldamente e mi invitò a sedermi accanto a lei. A quella distanza vidi distintament il suo outfit. Indossava una camicetta attillata senza bottoni. Come accessorio indossava un cravattino. Inoltre indossava una bellissima minigonna di pelle e degli arrapanti stivali a mezza coscia, anch’essi di pelle. Un po’ esagerati per le giornate estive.
Rimanemmo sedute senza dire una parola. A quanto pare non aveva molta voglia di parlare. Mi azzardai di chiedere di suo marito, non rispose.
Improvvisamente si girò, mi fissò negli occhi – “ti va di andare in centro a divertirci?”
Visto che ultimamente mi stavo annoiando, accettai. Mi prese per mano – “Bene andiamo”. Io cercai di contrastare la sua forza, ma mi fu impossibile. Cercai di farla ragionare.
“Aspetta, aspetta, lascia almeno che mi cambi d’abito”
“Va benissimo cosi”
Indossavo un semplice vestito rosso, senza intimo, e delle scarpe di ginnastica.
“Almeno posso avvisare il mio ragazzo?”
“Mi stai annoiando, inviagli un messaggio”
Non me la sentii di contraddaddirla e appena seduta al posto del passeggero della sua macchina, inviai un messaggio a Giovanni, dove gli scrivevo la mia intenzine di recarmi in centro con la signora, lui avrebbe capito, e che sarei tornata tardi. La spunta non divenne blu, a quanto pare si era già addormentato sul divano.
Grazie alla sua macchina raggiungemmo velocemente l’isolotto di GanLa Stan, con le sue tipiche case colorate. Parcheggiammo davanti a un Night Club (non dico il nome altrimenti ci andreste tutti).
Lei scese dalla macchina, io rimasi immobile titubante. Riaprì la portiera – “Allora ti muovi”
Urlai fanculo in italiano, in modo che lei non mi capisse. Lei sorrise, dimenticavo che fosse internazionale. Scesi dall’abitacolo e la raggiunsi. All’ingresso mostrò un tesserino e ci fecero entrare.
Ci ritrovammo in un corridoio buio. Era illuminato da frecce rosse e blu. In lontananza si sentiva una musica rilassante. Apri una porta e una nebbia ci avvolse, purtroppo era fumo di sigarette. Il locale che mi si presentò davanti era pieno di divanetti, occupati da ogni possibile genere di razza umana. C’erano uomini che si masturbavano, uomini che si facevano succhiare il cazzo, donne che, viceversa, si facevano leccare la figa e alcune coppie scopavano direttamente. Tutto questo illuminato da una opaca luce bluastra.
Al centro c’era un piccolo palchetto. Si potevano vedere chiaramente due donne che si baciavano, si avvinchiavano, si leccavano. Lo spettacolo era servito.
La mia accompagnatrice trovò un posto isolato, dove ci sedemmo. Ordinò due cocktail e iniziammo a gustarci lo spettacolo. In quel momento la donna più alta impugnò un padel e sculacciò furiosamente la mora più piccola. Clara affondò le sue unghie nella mia gamba sinistra. Sentii un brivido scorrermi nell’inguine e emisi un urletto.
“Zitta” – Qualcosa in lei era cambiato.
Appena arrivò la nostra cameriera, una bella mora in topless, con la nostra ordinazione, le chiese se poteva parlare con il direttore del locale. In men che non si dica, venne invitata nel settore privato da dove ne usci con un tesserino magnetico.
Con un cenno delle dita mi invitò a seguirla e ci ritrovammo davanti a una porta, che portava incisa una scritta in italiano - “Per me si va per…”. Dove mi stava portando all’inferno?
La serratura scattò, mi prese per un braccio e mi spinse all’interno. Anch’essa era buia, avevano problemi con l’illuminazione. Delle luci rosse intenso spuntavano dal pavimento. In quella poca illuminazione potevo vedere solamente un tappeto posizionato al centro della stanze e degli strani attrezzi appoggiati alla parete.
Clara richiuse la porta, si piantò davanti a me, mi morse il labbro inferiore – “D’ora in avanti mi chiamerai solamente Alskarinna”. (mia unica signora)
“Spogliati” – Il suo tono era deciso ed autoritario.
“Cosa?”
Mi diede uno schiaffo violento.
“Spogliati e indossa questo”.
Mi avvicinai a una luce per vedere meglio di cosa si trattasse. Era un completo intimo in simil pelle composto da quattro elementi. Un collare da dove partivono diverse catene, Un corpetto con delle allacciature sul davanti, due polsiere lunghe 20 cm e delle mutande con una cerniera, proprio davanti alla passera.
Mi girai verso di lei – “Clara tu stai scherzando, vero?”
Questa volta mi arrivò una pedata sulla schiena, sentii chiaramente il tacco sulla colonna vertebrale. Caddì per terra, il mio viso sfiorò il tappeto. Ma cosa stava succedendo?
Mi afferrò per i capelli, mi spinse verso il centro della stanza. Accanto a una delle luci più potenti. I suoi occhi erano illuminati da una rabbia repressa – “Come mi chiamo?”
“Alskarinna” – Decisi di obbedire. Molti e molte al mio posto, avrebbero cercato di sfuggire, ma io ne ero stramanente attratta, e aspettavo le mosse successive.
Afferrai lo strano capo intimo e lo indossai. Affrancai il collare al collo, alcune catene contorsero il mio seno, altre penzolarono liberamente. Allacciai il corsetto, lei si avvicinò e me lo strinse, quasi soffocavo. Indossai velocemente le polsiere e le mutande. Lei chiuse la cerniera, non curante dei miei peli vaginali. Cercai di rialzarmi, lei mi ordinò di inginocchiarmi. Ovviamente l’accontentai.
Si recò alle mie spalle, mi afferrò le braccia, le incrociò e me le imprigionò con delle catene. Sentii un dito scorrere sul mio corpo. Lei ricomparse davanti ai miei occhi. Si sfilò le mutandine da sotto la gonna e me le infilò, con forza, nella mia gola. Il mio respiro si fece ancora piu affannoso.
Sparì ancora. Una musica arrabbiata si diffuse per tutto il locale. Sentii un rumore fastidioso, aveva preso una sedia e la stava trascinando verso di me. Si sedette a cavalcioni.
“Quindi mi hai chiesto di mio marito”
Nonostante la presenza delle mutandine in bocca, riuscii a rispondere di si. Mi diede uno schiaffo in pieno volto – “puttana non capisco”.
Allora risposi in modo affermativo con la testa.
“Ti è piaciuto scopartelo vero” – Un’altra volta risposi positivamente. – “Sai quello stronzo ha affermato che avessi esagerato con te, e quindi mi ha lasciato ed è tornato in america” – Mi strattonò – “e tutto questo per colpa tua” – rimasi schioccata da questa dichiarazione – “Non pensi che tutto questo sia ridicolo” – sogghignò – “pensa se ci vedesse ora”.
Si alzò di colpo la minigonna, mi tolse con forza le sue mutandine dalla mia gola e mi sbattè la sua passera in faccia. Senza bisogno di istruzioni gli la leccai. Scorrevo la mia lingua su tutta la sua superficie. Se la stava godendo. Per la prima volta iniziai ad eccitarmi.
Lei estrasse dal taschino della camicia, degli occhiali e una cordicella, si infilò gli occhiali e si fece una cosa. Diventò ancora più sexy.
Mi spinse all’indietro con la gamba sinistra, la mia schiena si inarcò a tal punto che pensai che mi si spezzasse. Mi calpestò il seno con la suola, sentii la punta del tacco insunuarsi tra le costole. Mi strupicciò le tette come se schiacciasse un mozzicone di sigaretta. Il dolore fu acuto. Passò la suola sulla mia fronte e il tacco si insinuò nella mia bocca.
“Lecca”
La mia lingua avvolse quel freddo stiletto. – “Min lilla slav” – Sentii la punta del tacco sulle tonsille – “Sapevo che eri portata”.
Per la seconda volta svanì. Io rimasi immobile, del resto non sapevo che altro fare, non potevo decidere nulla. La musica si fece terreficante, in più si aggiunse un rumore stridulo di ruote. Vidi il suo viso davanti al mio, mi baciò – “Alzati” – Lo feci con fatica.
Mi appoggiai all’attrezzo che la signora aveva portato, era una croce di Sant’andrea orizzontale. Mi liberò le braccia, almeno momentaneamente. Prese la catena centrale e mi costrinse a sdraiarmi su quell’attrezzo di tortura. Mi impregionò polsi, caviglie e addome. Cercai di muovermi ma ero immobilizzata. Sentivo i suoi passi felpati che giravano attorno a me. Avevo una luce dritta in faccia, vedevo solo ombre. Poi la luce si spense. Per la prima volta ebbi paura, anche se la mia fregna umida diceva il contrario.
Sentii una pressione alla bocca l’aprii, erano le sue dita le leccai. Sentii qualcosa di grosso scorrere nella mia mano destra lo afferai, successe lo stesso per la mano sinistra. Immaginai che fossero due falli finti. A quanto pare mi sbagliai. Erano troppo viscosi. Lei accese un fiammivero e allora vidi che impugnavo due ceri, che immediatamente accese. Poi accese un altro, ancora piu grosso, che teneva in mano. Spense il cerino sulle mia tetta destra, sentii il bruciore. Lei mi leccò la ferita.
La cera iniziò a colare sulle mie mani, ma stranamento non era doloroso. Quello mi distrasse. Vidi della lava precipitare sul mio corpo, il quale si irrigidi, il mio seno divenne incadescente. Urlati. Mi rimise le sue mutandine in bocca.
Mi leccò le ferite, io rabbrividii. Ora la cera scorreva lungo le mie gambe, mi agitai. Mi leccò l’interno coscia, e mi abbassò la lampo delle mutandine. I miei umori, accumolati, fuoriscirono come se avessero aperte la paratie di una diga. Mi leccò la passera. Mi infilò li cero ancora acceso, alcuni peli pubici si bruciarono. Sentii il contatto con la fiamma, sputai fuori le mutandine e urlai per il dolore.
Iniziò a fottermi con la candela, il dolore cessò, anche se non smettevo di piangere. Ansimai vistosamente. Mi strinse le tette. Ero sua, dimenticai dove fossi.
Giocava simultaneamente sia con le mie tette, sia con la mia figa. Mi morse i capezzoli. Io mi agitavo.
“Liberami ti prego”
“Zitta puttana, decido io” – Mi infilò il cero in profondita e me lo lascio dentro. Era come essere impalata.
Svanì per la terza volta, ancora un rumore rabbrificante di ruote. Le luci si riaccesero, ma questa volta provenivavano dal soffitto. Per la prima volta vidi chiararamente le candefe che avevo in mano, la fiamma stava raggiungendo le mie dita. Sopra di me c’era uno strano macchinario, sembrava una forca multipla, da dove penzolavano delle corde, immaginai di tutto.
Mi tolse tutte le cinghie della croce, per un attimo mi sentii libera, ma il tutto durò pochi secondi. Mi lego ai cappi delle corte che pendavano. Tolse la tortura precedente, e mi ritrovai sollevata da terra. La forza di gravità mi spingeva l’addome verso il basso, e sentivo stringere le corde attorno alle mie estremità.
“Ora cosa posso fare con te, lurida mignotta?”
“Per favore Clara, ora liberami” – In realtà non lo pensavo, me ne pentii subito.
Mi afferrò per la gola – “come ti permetti” – mi sputò in faccia – “Come mi chiamo”
“Alskarinna” – Stavolta diedi la risposta giusta, ma questo non la fermò. Avvicinò un carrello, quello degli attrezzi, afferrò qualcosa e sentii una scudiciata in aria. Una punta di ferro scivolò sul mio corpo. Lo ispezionò millimetro dopo millimetro, ancora una volta sentii una scudisciata in area. Mi appoggiò la punta sulle labbra, si introdusse nella mia bocca. Spinse la mia pancia verso il basso. Sentii un dolore intenso. Urlai nuovamente – “come ti permetti?”
La punta di ferro si abbattè sul mio seno, la pelle si aprì, sentii scorrere il sangue verso il basso. Un’altra frustata raggiunse l’altro seno, ma questa volta nessuna ferita, ma il solito intenso dolore. Mi morsi la lingua, impazzii.
“Ancora” – l’avevo detto sul serio.
Non si fece pregare e ancora una volta le mie tette vennero dilaniate.
Mi baciò – “inizi a divertirti vero” – non lo negai.
Senza avviso mi arrivò una frutata tra le gambe, questa fu davvero terrificante. Imprecai.
Mi afferrò la faccia, mi slinguo – “Chi è la tua signora” – immediatamente risposi – “lei, Alskarinna”.
Rimise a posto la frusta. Questa volta prese un enorme cazzo, che indossò. Notai per la prima volta che era ancora vestita e, come intuii, non si sarebbe mai spogliata.
Mi girò intorno, strinse i miei capezzoli con le dita, un brivido percorse il mio corpo. Si diresse verso la mia apertura. Me la leccò. Mi infilò tre dita in figa e spinse. Sputò sopra il clitorite, mi prese per i fianchi, e inizio a penetrarmi. Quella spada entrò di getto dentro di me e la mia testa crollò all’indietro.
Mi stava letteralmente violentando e la cosa mi eccitò parecchio. Con un grande sforzo, mi sollevai con le braccia, cosi ottenni una angolazione migliore e il dolore diminui. Mi mossi velocemente per gustarmi quel enorme cazzo dentro di me. Ormai poteva farmi qualsiasi cosa. Quel coso di gomma scivolava dentro di me stantuffandomi, come successe con suo marito, mi senti riempita.
Poi, senza avvisare, mi lasciò. Il mio corpo crollò verso il basso e il dolore si rifece sentire. La vidi armeggiare una manovella attaccata all’attrezzo che mi lasciava sospesa. Guardai alle spalle, il pavimento si allontanò sempre di più. Raggiunsi un tale altezza che la signora poteva passarmi sotto tranquillamente. Cosa che fece, mi lecco il culo, mi mise dentro due dita e le spinse. Prese una paletta di legno, come quella usata nello spettacolo precedente, e il culo mi diventò di fiamme.
“Ora il gran finale” – Stranamente la sentii meno arrabbiata. Forse mi sbaglaii, visto che la vidi prendere un coltello che, a vista, sembrava affilato. Lo passò di piatto sul mio corpo, poi con due rapidi gesti, tagliò le corde che mi tenevano immobilizzate le gambe e mi ritrovai a penzolare vistosamente, senza raggiungere il pavimento con i piedi.
Svanì ancora. Questa volta riapparse con un cappuccio, che mi infilò in testa. Il buio mi raggiunse. Potevo respirare solito tramite due fori posizionati davanti al mio naso. Mi mancò il respiro.
Non solo ora non capii piu dove fossi, ma non capii più lo scorrere del tempo. MI sembrò di essere in quella stanza da ore, addirittura giorni.
Sentii una lama calda scorrere sul mio seno, a quanto pare aveva riacceso una candela e l’aveva scaldata. Quel pezzo di metallo incandescente scese sui miei addominali e raggiunse la mia passera, bruciò il mio clito. Cercai di urlare, ma non avevo ossigeno a sufficienza. Questa volta sentii la lama vera propria. Percepivo, nettamente, la mia superficie cutanea aprirsi, in punti strategici. In quel buio imposto, i miei senti aumentarono e sentivo chiaramente ogni goccia del mio sangue, scendere sul mio corpo. Qualcosa di umido si uni al mio fluido corporeo, erano le sue labbra che succhiavano il mio liguido rosso.
Mi accorsi, dopo tanto tempo, che pure la musica aveva finito di fare il suo dovere. Quindi oltre all’oscurità mi sentii avvolta nel silenzio. Sentivo solo un respiro lento e inesorabile.
“Come mi chiamo”
“Alskar..” – quella maschera di pelle non faceva uscire il suono. Avvertii sul mio fondoschiena un urto tremendo.
“Non ho capito?” – questa volta recuperai il fiato e urlai – “Alskarinna”.
“Brava” – Mi baciò le tette, mi spinse e ricominciai a dondolare. Ormai non sentivo più le braccia.
In un attimo tutto intorno a me fu silenzio, immaginai di essere sola nella stanza, ormai mi aspettavo di tutto.
Delle mani mi presero i fianchi. Il mio dondolio si fermò. Sempre le stesse mani scesero verso i polpacci e mi tirarano all’indietro, ancora una volta ebbì la sensazione che la mia schiena si spezzasse. I miei umori scorrevano copiosi lungo le mie gambe, mi chiesi come fosse possibile.
Mi spalancò le articolazione inferiori, sentii qualcosa di duro premere sul mio buco del culo e farsi largo all’interno. Quelle mani liscie mi afferrarono le ginocchie, e fenni inculata senza fine.
Quel pene raggiungeva il fondo poi ritornava indietro dei suoi passi, e poi ancora dentro, così per attimi infiniti. Le mani lasciarono a presa, e le mie gabbe crollarono miserabilmente, ero esausta, ma dentro di me sapevo che non era ancora finita, anche se percepivo un inizio di orgasmo.
Tornò a fottermi, questa volta pero stringendomi per le tette, mi strizzo i capezzoli. Poi una mano si insinuo all’interno della mia figa e iniziò a masturbarmi. Intanto non smetteva di possedermi nel culo. Ci volle davvero poco tempo. Nello stesso istante raggiunsi sia l’orgasmo anale, sia squirtai copiosamente. Il piacere fu cosi intenso che svenni.
Appena mi risveglai, una luce intensa mi raggiunse il viso, a quanto pare mi aveva tolto il cappuccio e qualcuno aveva acceso, finalmente, la luce. Mi ritrovai per terra appoggiata a qualcosa di confortevole, il seno di Clara, o meglio dovrei dire della mia padrona. Mi passava delicatamente uno straccio sul corpo, e ogni tanto ci spruzzava sopra dell’alcool etilico, per disinfettare le ferite. Appena si accorse che mi ero ripresa, mi baciò. Mi accarezzò e mi chiese – “come mi chiamo?”
Io ancora timorosa risposi – “Alskarinna”.
“No cara, ora sono Clara, semplicemente Clare” – mi porse un pacco informe – “Ecco i tuoi vestiti, rivestiti”. Per la prima volta mi lasciò sola. Cercai il telefono e mi accorsi che erano le 4 di notte, dannazione.
MI rivestii velocemente, tornammo nel locale, molti erano addormentati, nudi, sul divano. Non ci curammo di loro ed uscimmo. Raggiungemmo la macchina e ci avviammo verso casa, tutto questo in rigoroso silenzio. Io, sinceramente, non avevo le forze per parlare.
Lei ogni tanto si girava verso di me per controllarmi.
Arrivati a casa. La baciai sulla guancia e la salutai. Scesi, Lei abbassò il finestrino e mi disse due parole che ricordo ancora oggi. “Scusami” e “Grazie”. Quella fu l’ultima volta che la vidi.
Una volta entrata in casa, mi feci una doccia, ne avevo bisogno. Raggiunsi il mio ragazzo, che si svegliò. Blaterò una frase del tipo – “Vedo che ti sei divertita” e io risposi imbarazzata – “In effetti è stata una piacevole serata”. Però non gli dissi mai la verità di quello che era successo. Guardai il soffittto, mi scappò un sorriso, stranamente mi sentivo in pace e rilassata, chiusi gli occhi e mi addormentai immediatamente.
Giovanna
Cactus
Er
Carletto
Lizbeth
tony
Lucetta
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