Capitolo 11 - Cameriere in estate al mare - Epilogo 2 - Bruxelles

  • Scritto da Carletto il 27/06/2021 - 13:07
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Prima di leggere questo capitolo consiglio la lettura dei capitoli precedenti altrimenti si fa fatica a comprenderne la trama.

Questo è l’ultimo capitolo, quello che chiude una parte dei miei trascorsi, ma con un finale imprevedibile. Come nel penultimo capitolo non ci sono episodi particolarmente erotici, ma è tutto ispirato alla vita reale e romanzato dalla mia fantasia. Capire ciò che è reale e ciò che è fantasia, lo lascio all’interpretazione del lettore.

 

Ormai è inverno, non mi attira molto l’idea di iniziare la trasferta a Bruxelles, ci sono stato di corsa due anni fa, quando si era deciso di partire con i lavori del nuovo albergo. Col parlamento europeo Bruxelles sta scoppiando e il nostro albergo è in una posizione strategicamente perfetta. L’apertura è avvenuta da un mese, ma ci si è subito resi conto che serve un’altra marcia e perciò, invece di un impegno limitato al lancio, il CDA mi vuole per la totale organizzazione operativa. Cazzo, non basterà un anno. Oltretutto arrivo in un periodo dell’anno molto piovoso, umido e freddo.

Arrivo a Bruxelles-Zaventem nel tardo pomeriggio, come il solito piove, un’auto inviata dall’albergo mi attende. Bene, così non dovrò mettermi in fila per un taxi. Meno di mezz’ora e, nonostante il traffico intenso, arrivo in albergo. Il direttore mi sta aspettando, è giovane, poco più di 30 anni, ma mi dicono molto capace, ha solo bisogno di una guida per fare esperienza. In effetti, già dal primo approccio mi piace, ha un sorriso aperto e una stretta di mano forte e sicura: "Benvenuto a Bruxelles, la ringrazio per essere qui, ho davvero bisogno di una mano”.

Apprezzo il fatto che non sia lui ad accompagnarmi in stanza, non è un suo compito, ci pensa il capo ricevimento.

Anche qui mi hanno assegnato una suite. Andrebbe bene se mi dovessi fermare solo un paio di notti, ma prevedo un soggiorno molto più lungo. Domani mi faccio dare una semplice camera standard che guarda sul retro, mi sentirò più a mio agio ed è più silenziosa.

Lavoro spalla a spalla con Maurice, il direttore, per un’intera settimana senza sosta, 12 ore al giorno che avrebbero sfiancato anche un mulo, lui invece non ha mai mollato un punto, sempre attento, sempre presente con la testa e con soluzioni originali che mi sorprendono. Bravo, sono contento perché mi rendo conto che sarà in grado di raggiungere la piena autonomia prima di quanto previsto e, probabilmente, riuscirò a tornare a Milano prima di un anno.

Ma il diavolo fa le pentole e non i coperchi, me lo dice sempre mia mamma.

Domani è mercoledì, decido di staccare la spina per una giornata, magari vado a fare un giro in un centro commerciale e faccio shopping. Poi però penso che sono quasi 15 anni che non sento Salvo, l’ultima volta al telefono mi aveva detto d’essere diventato papà da due anni e che era diventato il Food&Beverage Manager (direttore responsabile della ristorazione) in uno dei più prestigiosi alberghi della città.

Subito alla fine di quella pazza estate del 1976 era andato a vivere con Evelyne a Bruxelles, un anno dopo erano sposati e due anni dopo è nata Silvye, la loro bambina. Siamo stati in costante contatto per alcuni anni, ma poi le telefonate si sono diradate fino a scomparire. Già alla prima telefonata mi aveva chiesto se ero andato a Torino a fare il culo alla Luisa. Gli dissi che, in effetti, mi aveva chiamato alcune volte, ma dopo la sua monta io non gli interessavo più, chiedeva solo di lui, ho preferito lasciar perdere.

È arrivato il momento di riallacciare i rapporti interrotti. Chiedo al ricevimento di cercare il numero e passarmelo in camera.

Dopo 10 minuti suona il telefono, è la centralinista: “le passo il numero richiesto”.

“Oui, chi parla?”

È una voce giovane, sarà la figlia penso: “ciao, sono un amico italiano di Salvo, scusa, di Salvatore, è a casa?”.

“Ciao, con me puoi parlare italiano, lo parlo bene. Si, mio papà è a casa, te lo chiamo subito”.

L’italiano parlato con l’accento francese lo trovo sempre delizioso, riaffiora prepotente il ricordo di Evelyne, il suo modo di parlare italiano era sensuale.

Sento il rumore della cornetta che viene appoggiata sul tavolo: “papiiiii, c’è un italiano al telefono, dice d’essere tuo amico”.

Rumori di passi e la cornetta che viene afferrata: “si, chi parla?”. Riconosco subito la voce di Salvo.

“Ciao vecchio dongiovanni, anche se sono passati un mucchio di anni, ti ricordi ancora di me?”.

Solo una breve pausa, poi quasi urla: “cazzoooo, non ci posso credere, sono 15 anni che non mi telefonavi, che fine hai fatto? Dove sei? Cosa fai? Non hai idea di quante volte abbiamo parlato di te io e Evelyne, ma non sapevamo dove cercarti”.

È un fiume in piena, percepisco la sua gioia di sentirmi.

“Calmati, sono a Bruxelles e ci rimarrò per diversi mesi, devo avviare l’albergo nuovo che è appena stato aperto”.

“Coooosaaa? Ma allora fai subito armi e bagagli e vieni a vivere da noi, la camera degli ospiti è inutilizzata da anni ed è tua”.

“Ti ringrazio, sei gentilissimo, ma non posso accettare, preferisco stare in albergo così sono casa e bottega”.

“Ok, capisco il tuo punto di vista, ma a cena devi venire da noi, cucino io e ti garantisco che nessuna cucina d’albergo lo fa meglio di me. Ti voglio subito domani sera, Evelyne rientra da Parigi alle 18 e gli facciamo una sorpresa, sicuramente rimarrà scioccata, ti do l’indirizzo”.

“Va bene, accetto volentieri, ci vediamo domani alle 17, così abbiamo il tempo per una bella chiacchierata”.

La casa di Salvo, o meglio, di Evelyne, è una bella casetta singola su due piani in stile Liberty, appena fuori del centro nella zona di Ixelles, il quartiere sembra molto tranquillo ed elegante, ha un bel prato davanti e all’ingresso un bel portico con colonnato, un vialetto laterale porta direttamente al garage collegato alla casa, non c’è recinzione, all’americana. Da noi in Italia una cosa del genere è impensabile.

Suono il campanello, sento il rumore di passi e la porta si apre. È come se ricevessi un pugno sullo stomaco, resto imbambolato a bocca aperta come un ebete, non riesco a parlare. Sulla porta c’è una ragazza alta, biondissima, i capelli lunghi sciolti fino sotto i gomiti, un paio di lunghe treccine ai lati del volto, gli occhi incredibilmente azzurri che mi fissano, è la copia esatta di Evelyne, solo più giovane e selvaggia. È Silvye, la figlia diciassettenne. Mi immaginavo una ragazzina tutta brufoli e invece ho davanti una giovane donna con un fisico mozzafiato, è bellissima, da infarto. Le gambe lunghissime come la madre fasciate in dei stretti jeans scoloriti, una maglia di lana attillata fuxia e un paio di Superga bianche.

Continua a fissarmi senza parlare come se vedesse una persona che non incontrava da tempo, la bocca socchiusa, mi sento a disagio, mi sembra di essere sotto esame e non riesco a proferire parola. Dopo un tempo che mi sembra interminabile, finalmente, parlando in italiano: “ciao, ti aspettavamo, accomodati”.

Si scosta, mi fa entrare e mi prende l’impermeabile, mi giro e gli occhi si incontrano ancora, mi sento strano e devo abbassare lo sguardo, lei si volta per sistemare l’impermeabile e gli occhi cadono sul sedere, mio Dio, è la perfezione assoluta, gli stretti jeans non nascondono nulla. Una voce tonante sulla mia destra mi risveglia e mi riporta alla realtà: “Carloooo, sei arrivato finalmente”.

Salvo in questi ultimi 15 anni si è parecchio irrobustito e dall’alto del suo metro e ottantacinque e quasi 100 chili mi travolge, il suo abbraccio mi stritola. Si stacca e mi prende per le spalle: “fatti guardare, cazzo, sei in forma pazzesca, non come me che sono diventato un bue, continui a fare incetta di donne oppure ti sei sposato?”.

Vedo che la figlia ci guarda, sembra infastidita.

“No, non sono sposato, non ho ancora trovato quella giusta. Chissà se mai la troverò, contrariamente a te che, con Evelyne, hai trovato l’anima gemella a 26 anni”.

“A proposito, ti presento Silvye, la nostra bambina e la copia sputata di Evelyne, da me ha preso solo la cocciutaggine ed il carattere un po’ guascone di noi terroni”.

“Papiiii, ho diciassette anni, non sono più una bambina”.

Non posso che essere d’accordo, penso a chissà quanti spasimanti ha già infranto il cuore.

Silvye si allontana, va a preparare la tavola per la cena, non posso non guardare il suo bellissimo sedere e la camminata leggera e sensuale, quanto somiglia alla madre!

Ci sediamo in soggiorno e ci raccontiamo le nostre reciproche esperienze. Lui adesso non lavora più in albergo, anni fa ha comprato un ristorante, dopo due anni un altro e tre anni fa il terzo, tutti a Bruxelles. Adesso segue solo l’amministrazione, in ognuno ha messo un direttore e fa il padrone. Mica male per un ex cameriere.

Mi racconta anche di Evelyne, è diventata una firma free-lance e scrive per le più importanti riviste di moda, che fanno a gara per un suo articolo. È molto temuta dagli stilisti che la ricoprono di abiti costosissimi, le sue recensioni tagliano come rasoi. In pratica scrive tre articoli al mese e guadagna come il mio stipendio di cinque. Per stare vicino alla famiglia ha rinunciato a molte importanti e prestigiose offerte, ma non se ne è mai pentita.

Silvye si è seduta sul divano davanti a noi, ha le gambe incrociate sopra la seduta di morbida pelle, le mani sulle ginocchia, le spalle rilassate, continua a fissarmi in modo strano, non parla, ascolta e mi fissa. Sotto il suo sguardo penetrante, continuo a sentirmi a disagio, mi sento scavato dentro.

Salvo se ne accorge: “Silvye, smettila, metti in imbarazzo il nostro ospite!”.

“Scusa Carlo, fa sempre così con le persone che vengono qui a casa e che non conosce. Li fissa, li fa crollare sotto il suo sguardo e poi se ne va".

Finalmente Silvye parla: “sai papà, non credo che lui abbia bisogno del tuo aiuto, lui non crollerà”.

Sento il rumore di un’auto sul vialetto del garage, Silvye scatta in piedi e si precipita fuori: “è arrivata mammaaa!”

Vedo dalla finestra, attraverso la leggera tenda, una figura alta che scende da una Mercedes e Silvye che gli si butta al collo in un abbraccio travolgente. Mi giro verso Salvo, sembra in estasi: “guarda le mie donne, mio Dio quanto le amo. Dai, vediamo la faccia di Eve quando ti vede”.

Entra prima Silvye, trascina il trolley di Evelyne, poi entra lei. È addirittura più bella di come la ricordavo, elegantissima, dovrebbe avere 48 anni, ma il fascino e il fisico di 15 anni di meno. Deve aver scoperto l’elisir dell’eterna giovinezza, penso, è uno spettacolo per gli occhi. Mi vede, inizialmente resta interdetta, poi butta la borsa a terra e si lancia verso di me a braccia aperte: “Carlo! Mon Dieu!”.

Mi stringe in un forte e interminabile abbraccio, ha sempre lo stesso indimenticabile profumo, me ne riempio le narici, addosso a lei è inebriante.

Non finisce più di abbracciarmi, mi fa mille domande, vuole sapere tutto e, per sommi capi, gli spiego del mio lavoro a Bruxelles.

“Aspetta, mi faccio una veloce doccia e mi cambio, dammi 15 minuti, finché Salvo finisce di cucinare noi parliamo di tutto. Una sorpresa più bella non potevate farmela”.

Io ed Evelyne siamo seduti in salotto, sorseggiamo dell’ottimo Greco di Tufo, è il modo di Salvo per mantenere vivo il ricordo con la sua terra. Lui è Silvye sono in cucina dietro i fornelli, li sento ridere e prendersi in giro, parlano in francese. È da un po’ che chiacchieriamo e cerco di sapere qualcosa di più su Silvye: “hai una figlia stupenda, è una tua copia perfetta, solo più giovane……, e selvatica. Immagino che la fila di spasimanti sia lunghissima”.

Evelyne sorride, ma vedo che è un sorriso strano.

“Cosa c’è, intuisco che qualcosa non va”.

“No, è che, vedi, non lo so, faccio fatica a comprendere certe sue scelte e sono davvero preoccupata”.

“Cioè, spiegati”.

“Silvye ha uno stuolo incredibile di ammiratori, ma lei continua a scartarli tutti. Sono arrivata a pensare che avesse tendenze lesbo, lo avrei comunque accettato. L’ho presa a quattrocchi e gli ho parlato, in pratica sta aspettando il principe azzurro. Ha diciassette anni ed è ancora vergine, al massimo qualche bacetto e un po’ di petting, nulla di più, praticamente zero esperienza. Io alla sua età avevo già una collezione imbarazzante di scopate, ma è quello che mi ha permesso di costruire le mie difese e la corazza contro il mondo fuori. Ha detto chiaramente che quando incontrerà l’uomo giusto lei lo saprà, lo guarderà negli occhi e glielo dirà il suo cuore, lo farà innamorare e quello diventerà il suo uomo. Con questa idea in testa, il primo che trova che lei crede quello giusto, se è un mascalzone, la distrugge, è completamente indifesa”.

“Ma cosa dice Salvo?”.

“Salvo adora sua figlia, la vede ancora come una bambina e non vuole affrontare l’argomento”.

“Ma non riesci a fargli cambiare idea?”.

“Non conosci Silvye, nessuno mai è riuscito a fargli fare qualcosa se lei non ha voluto. È testarda come un mulo e se decide qualcosa lo porta avanti a qualsiasi costo. È al limite del masochismo”.

“Non so cosa dire, spero davvero che incontri un bravo ragazzo e non l'orco cattivo".

Prontoooooo, a tavola!

La voce di Salvo ci interrompe, sul volto di Evelyne ritorna il sorriso e ci accomodiamo a tavola. Io sono seduto di fronte a Silvye, Evelyne, alla mia sinistra, ha di fronte Salvo.

La cena è favolosa, Salvo è davvero un cuoco bravissimo, le sogliole di Dover cotte alla mugnaia sono enormi e buonissime, accompagnate dal suo vinello fresco, poi, un perfetto abbinamento.

Per tutta la cena Silvye non mi stacca gli occhi di dosso, li sento, mi perforano la testa, non perde un mio movimento e parla pochissimo. Non c’è la faccio più e decido di affrontarla, la guardo anch’io dritta negli occhi, non ho mai abbassato lo sguardo davanti nessuno, sono sempre gli altri che non riescono a sostenere il mio. Non stavolta, non c’è la faccio, sembra mi stia guardando dentro, mi legge l’anima, mi sento nudo davanti la profondità azzurra del suo sguardo.

Evelyne se ne accorge e capisce che sta succedendo qualcosa, si drizza come un cane da guardia e ci guarda.

“C’è qualcosa che mi vuoi chiedere Silvye?”. Formulo la domanda un attimo prima di cedere.

Un lungo sospiro, poi, con le guance leggermente arrossate ed il volto tirato: “voglio sapere alcune cose di te”.

“Ok, dimmi pure”, rispondo.

“Non sei sposato, ma hai una fidanzata?”.

Salvo ancora non si è accorto della tensione e fa una battuta sgangherata: “Carlo non ha una fidanzata, ne ha molte, almeno una in ogni capitale europea”. E si mette a ridere a crepapelle. Evelyne lo fulmina con un’occhiata e la risata gli muore in gola.

Silvye non commenta, non ha mai distolto lo sguardo da me, attende una risposta.

“No, non ho la fidanzata, solo delle amiche che incontro ogni tanto”.

“Hai avuto tante…..amiche?”.

La domanda è come uno schiaffo, non so come rispondere ad una ragazza di 17 anni, interviene Salvo: “Silvye, ma ti sembrano domande da fare al nostro ospite? È maleducato e inopportuno”.

Evelyne continua a rimanere in guardia e attentissima: “Salvo, è una conversazione tra loro due, non intrometterti, per piacere”.

Salvo si zittisce, inizia ad intuire che c’è qualcosa di strano, ma non capisce.

Silvye è con il busto eretto, i palmi delle mani compostamente appoggiati sul tavolo, sguardo fisso su di me e attende.

“Si, non lo nego, ho avuto diverse avventure”.

“Ti sei mai innamorato sul serio?”.

“Ci sono arrivato vicino, molto vicino, ma no, ancora mai sul serio”.

“Un’ultima domanda, la più importante”, respira a fondo, Evelyne invece trattiene il respiro, è impietrita, Salvo è inebetito, non capisce più niente.

“Io ti piaccio?”.

Un pugno in piena faccia, la domanda ha lo stesso effetto, Evelyne ha capito tutto e guarda fissa la figlia senza fiatare, Salvo invece va in escandescenze: “insomma! Silvye smettila con queste domande stupide, mi vuoi spiegare?”.

Finalmente Silvye stacca il suo sguardo dal mio, si gira calma verso i genitori, parla con voce bassa scandendo bene le parole: “mamma, papà….. ho trovato il mio uomo, è lui, è Carlo, è l’uomo che scelgo e che mi amerà per sempre, l’ho capito appena ho aperto la porta e l’ho guardato negli occhi”.

“Cosaaaaa? Ma sei fuori di testa? Carlo ha 20 anni più di te, tu ne hai solo 17, sei ancora una bambina”. Salvo è sconvolto, il tono della sua voce ha raggiunto volumi preoccupanti, Evelyne continua a non parlare.

Io ho la gola secca, mi sembra d’essere stato travolto da un treno.

“Rispondimi, ti prego…..io ti piaccio?”, Silvye, con le guance arrossate, mi ripete la domanda.

Fatico a parlare, ma quando lo faccio le parole escono da sole, come se le conoscessi da sempre.

“Mi piaci tantissimo, come potrebbe essere altrimenti, non credo esista nessuno su questa terra, uomo o donna, al quale tu non piaccia e io, credo d‘essermi innamorato di te il primo momento che ti ho visto, quando mi hai aperto la porta”.

Mi giro verso Salvo ed Evelyne. “Scusami Salvo, scusami Eve, ma non so davvero cosa fare”.

Il volto di Silvye si distende, è sollevata, capisco che temeva la mia risposta.

Salvo guarda la moglie: “Eve, parla, di qualcosa, ti prego, diglielo a Silvye che questa cosa è impossibile!”.

Evelyne espira fuori tutta la tensione accumulata nell’ultimo quarto d’ora, si gira verso il marito, la sua voce è piatta ma ferma: “Salvo, esiste qualcosa che, sia io che tu, siamo riusciti a far fare a nostra figlia se lei non lo voleva? Siamo mai riusciti a fargli cambiare idea?”.

Salvo abbassa la testa, è rassegnato, la sua voce è solo un sussurro: “no”.

Silvye si alza, appoggia le mani sul tavolo e si piega leggermente verso di me, la voce tradisce una certa emozione, detta le condizioni:

“Fra 3 anni finisco gli studi qui a Bruxelles, poi mi trasferisco a Milano e vengo a vivere con te, con l’aiuto di mamma voglio seguire le sue stesse orme nel giornalismo dell’alta moda, tu dovrai chiudere per sempre le storie con le tue amiche sparse per il mondo, dovrò essere io l’unica tua donna”.

Balbetto: “va….va bene”.

Si gira per allontanarsi, ma si blocca subito e torna indietro: “un’ultima cosa….., io sono vergine, sarai tu il mio primo e…..unico uomo. Sbrigati a chiudere le tue storie, ti rimane poco tempo”.

Un leggero sorriso sulle sue bellissime labbra, fa il giro del tavolo, si avvicina, si china e sento il palmo della sua mano che mi accarezza la guancia, poi con un lieve bacio sfiora l’altra, si rialza, imbocca le scale e la vedo sparire.

Sono sconvolto, non so cosa dire, sento un imbarazzo pesantissimo in presenza dei miei amici di sempre, all’improvviso Evelyne parte con una risata fragorosa, ha le lacrime agli occhi, non riesce a fermarsi. Io e Salvo la guardiamo allibiti, non capiamo.

“Scusate, davvero, scusatemi tanto, mi rendo conto che può sembrare una risata isterica, ma in realtà è di grande sollievo. Salvo, puoi immaginare un compagno migliore di Carlo per nostra figlia? Per mesi ho davvero temuto che Silvye si perdesse con la persona sbagliata, con un mascalzone che c’è la portava via e la faceva soffrire, adesso questa paura si è improvvisamente dissolta. La nostra meravigliosa figlia è riuscita a sorprenderci di nuovo”.

Salvo si gira verso di me, ha la voce strozzata dall’emozione: “Carlo, promettimi che farai felice la mia bambina, promettimi che non la farai mai soffrire, giuramelo! Io non ho più sfiorato un’altra donna da quando ho incontrato Eve, riuscirai a fare altrettanto?”.

Prendo la mano di Salvo, la stringo: “te lo giuro sulla cosa che ho più cara al mondo, la nostra amicizia”.

Evelyne si alza, va in entrata e ritorna con un piccolo mazzo di chiavi, mi abbraccia stretto: “benvenuto in questa famiglia, credo fosse il destino, adesso questa è anche la tua casa. La camera degli ospiti è tua, sentiti libero di andare e venire quando vuoi”. E mi consegna le chiavi.

Salvo mi sorride: “La camera degli ospiti, ricordalo, non la camera di Silvye, e non guardargli il culo, guarda che ti ho visto prima……benvenuto amico mio”.

Continuo a vivere in albergo, ma ogni sera sono a cena con loro, Salvo fa di tutto per cercare d’ingrassarmi, negli ultimi due mesi ho utilizzato la camera degli ospiti solo una volta, ci ho rinunciato subito, impossibile dormire nella camera a fianco di Silvye senza poterla toccare e sentire i gemiti di Evelyne e Salvo quando fanno all’amore nella camera in fondo al corridoio, non me la sento di dormire con Silvye con loro in casa e mi rifiuto di portarla in albergo, trovo squallido che la sua prima volta sia in una camera dove è passato il mondo. Ne abbiamo parlato insieme e, pur se a malincuore, è d’accordo.

In questi due mesi ci siamo conosciuti a fondo, Silvye è incredibile, ha atteggiamenti ancora di una bambina, ma il carattere di ferro di un capitano d’industria, mai un’incertezza o un dubbio, a scuola eccelle in tutto e si è fissata d’insegnarmi il fiammingo, una lingua gutturale parecchio ostica. Quando usciamo per andare al teatro o solo per una pizza, va a pescare i vestiti dagli armadi di Evelyne e ogni volta sconvolge tutti quelli che la incrociano, come la madre è uno spettacolo per gli occhi e si fermano a guardarla passare con la bocca aperta.

È venerdì, sono quasi le 18, sono appena atterrato all’aeroporto di Bruxelles, sta nevischiando e il freddo umido sembra trapassare il cappotto, una tre giorni full immersion col CDA a Francoforte che mi ha esaurito, mi consola il pensiero che mi attende il week-end di riposo, da passare interamente con Silvye.

Squilla il cellulare, è proprio lei: “ciao, mamma e papà sono partiti per Parigi, tornano domenica sera …… siamo a casa da soli”.

Un tuffo al cuore, sappiamo ambedue cosa significa questo, lo aspettavamo con ansia.

“Dammi il tempo di passare un attimo in albergo per cambiarmi e farmi una doccia, poi passo a prendere della pizza, non credo che avrò voglia di cucinare stasera, e arrivo”.

Entro in casa con la pizza, vado dritto in cucina e l’appoggio sul tavolo, sento il passo leggero di Silvye dietro di me, mi prende il cappotto e lo butta sulla sedia, la guardo, ha il volto un po’ tirato, sembra in ansia e preoccupata. La mia Silvye, un cucciolo di tigre che rivela la sua paura per l’inevitabile, ma che non arretra di un centimetro. Ci baciamo lì in piedi e non ci stacchiamo più. Solo dopo un tempo lunghissimo mi prende per mano e mi porta in camera sua. Mi sembra di rivivere l’esperienza di 20 anni prima con Evelyne, lentamente mi spoglia e io spoglio lei, ci accarezziamo, ci annusiamo, non usa profumi, il naturale profumo della sua pelle è buonissimo, ci tocchiamo, arrivo a sfiorarle la vagina, la sento già eccitata, ansima, lei tocca con mani inesperte il mio membro in erezione e mi guarda con occhi preoccupati.

“Non avere paura, ti amo così tanto che mi sembra d’impazzire, non potrei mai farti del male”.

Facciamo all’amore con una dolcezza come non mi era mai capitato in vita mia, lei si affida a me completamente e, con un sommesso gemito, mi dona la sua verginità. Ci amiamo tutta la notte, i nostri corpi e le menti in totale fusione, la sua camera è il nostro universo, tutto il resto del mondo fuori non esiste più, ci addormentiamo per brevi momenti e poi riprendiamo come se non ci fosse un domani. Il lenzuolo è lordo dei nostri umori, di sudore, di lacrime e del suo sangue, ma continuiamo, non ne abbiamo mai abbastanza l’uno dell’altra e solo le campane che in lontananza battono mezzogiorno ci riportano alla realtà.

Siamo stesi, i nostri corpi incollati, Silvye mi guarda con i suoi occhi azzurri: “che ne dici se ci facciamo una doccia e scendiamo a mangiare qualcosa? Ho una fame da lupi, e poi mi sembra di puzzare un po’”.

Ci alziamo e si rende conto della condizione disastrosa delle lenzuola, raccatta tutto e fa un mucchio, esce dalla camera e fa partire la lavatrice.

“Meglio cambiare le lenzuola, non credi?”.

L’aiuto a rifare il letto e ci ficchiamo insieme sotto la doccia.

Scendiamo, le pizze ormai fredde della sera prima ancora sul tavolo, il cappotto è scivolato dalla sedia ed è per terra, ci guardiamo e scoppiamo a ridere: “ti va pizza per colazione?” mi chiede.

“Ho una fame tale che mangerei anche il tavolo”.

Mangiamo guardandoci negli occhi, senza badare al gusto un po’ stantio delle pizze fredde, abbiamo troppa fretta di tornare in camera, mezz’ora da quando ci siamo sciolti dal nostro abbraccio e ci sembra già passato un secolo. Non riusciamo a finire di mangiare, ingolliamo un bicchiere d’acqua e torniamo su facendo le scale di corsa.

Salvo ed Evelyne rientrano la domenica nel tardo pomeriggio, come sempre Silvye li accoglie fuori, appena scendono dall’auto li travolge con l’abbraccio. Salvo entra in casa con le valige, le donne si fermano sul vialetto del garage a parlare. Silvye parla per prima: “grazie mamma”.

“Grazie per cosa?”, risponde Evelyne sorridendo appena.

“Credi non abbia capito che hai trascinato papà a Parigi per lasciarci la casa?”

Il volto di Evelyne si apre in un bellissimo sorriso: “come hai passato il week-end, tesoro mio?”.

“È stato meraviglioso mamma, Carlo è un amante dolcissimo. Ci amiamo così tanto, come non credevo possibile”.

Evelyne ha gli occhi gonfi di lacrime, madre e figlia si abbracciano e ambedue scoppiano in lacrime.

Salvo ha seguito tutta la scena dal soggiorno, in piedi, davanti la finestra. Io sono seduto sulla poltrona dietro di lui, si gira e vedo che è commosso: “grazie Carlo”, mi dice, poi riprende la sua baldanza: “e vedi che, quando arriverà il momento, voglio almeno due nipotini!”

 

Tutto questo succede nel 1996 ed è l’anno quando ho smesso d’essere un donnaiolo, non ho più toccato una donna che non fosse la mia futura moglie, non è stato difficile, con una come Silvye al mio fianco non ne sentivo la necessità. Ma prima di quell’anno ho avuto una vita piuttosto movimentata, anni pieni di storie che meritano d’essere raccontate.

Per coloro ai quali piacciono i miei racconti ….. alla prossima.

 

Per Giovanna: non so come contattarti, ma se puoi raggruppare tutti gli 11 capitoli in Libri & Raccolte, ti ringrazio

 

 

Gran finale mi è piaciuto tantissimo la tua storia ? Non vedo l'ora di leggere altro !
Non so... ti faccio sapere.
Una Strega non si smentisce... giusto? Ciao @Baxi! Stai diventando un concorrente troppo PERICOLOSOOOOO!!!!!

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