Cene con orgia

Cene con orgia

Mi chiamo Maria, titolare e proprietaria unica dell’atelier di moda “da Mary” che ho costruito con pazienza ed amore in decenni di attività indefessa e tormentata; oggi ho cinquantasei anni e da quaranta, ormai, sono la donna, prima, e la moglie poi, di Ettore, quasi sessant’anni, impiegato di banca; lo conobbi appunto quando avevo solo sedici anni e lui ne aveva quasi venti; me ne innamorai pazzamente; da lui appresi i misteri del sesso e non ho conosciuto altri uomini che lui.

Il primo bacio fu uno sconvolgimento totale del mio organismo e delle mie convinzioni, all’epoca legate all’educazione rigida in famiglia; in tempi rapidissimi mi convinse a prenderlo in mano e ad imparare a masturbarlo; mi si era già infilato nel reggiseno e mi aveva fatto andare ai matti titillandomi i capezzoli, che poi succhiò con maestria insegnandomi lo step successivo, quello in cui la sua lingua passò su tutto il mio corpo fino ai limiti delle mutandine.

Quando vi entrò e mi solleticò per la prima volta la figa, lo ricordo come fosse avvenuto ieri, un’ondata di fiamma infernale mi percorse tutto il corpo e avvampai, di piacere e di vergogna; poi imparai a lasciare che mi masturbasse titillandomi il clitoride, mentre io gli praticavo dolcissime seghe; prenderlo in bocca fu conseguenza anche dei suggerimenti delle compagne di scuola con le quali mi confidavo e che già praticavano il pompino.

Insomma, nell’arco di pochi anni, che a me apparvero velocissimi, tutte le pratiche erano ormai un mio appannaggio, compresa l’inculata che imparai a ricevere con amore e dirottando il piacere all’utero per godere quando lui mi sborrava nel retto; lo feci aspettare un poco, prima di farmi rompere l’imene, perché premevano su quello le minacce infernali della mia educazione religiosa; poi imparai a scopare alla grande e a cautelarmi.

Ci sposammo che avevo appena compiuto vent’anni e lui ne aveva ventiquattro; nei primi dieci anni di matrimonio, fummo il prototipo della coppia felice che passava le serate preferibilmente a letto a scopare in tutti i modi, in tutte le posizioni; non ci risparmiavamo niente e non ci fermavamo davanti a niente; il tutto, però, sempre nella logica della coppia monogamica che ci aveva connotato sin dalle primissime esperienze; la fedeltà non ci pesava e la sincerità connotava i nostri rapporti.

Avevo avviato il mio lavoro e trasformato la bottega da sarta, per le amiche del quartiere, in un atelier di alta moda specializzato in abiti da sposa ma aperto a tutte le richieste ed alle novità più ‘in’; ero ‘la sarta’ della città e la mia clientela contava tutte le donne di maggiore peso nella vita cittadina; avevo comprato una grande casa in centro, oltre ai locali della boutique, che contava numerose commesse, e il mio patrimonio era cresciuto; Ettore era rimasto impiegato di banca.

La crisi cominciò a manifestarsi verso l’inizio dei miei quarant’anni, quando mi decisi a prendere in seria considerazione l’ipotesi di un figlio; le visite preliminari rivelarono che per anni avevo trascurato i sintomi di una infezione che aveva logorato l’utero e le ovaie; per uno strano meccanismo della mente, Ettore cambiò totalmente atteggiamento e, da focoso amante quotidiano, si trasformò lentamente in bancario col rito del sabato sera, dieci minuti e dormire.

Feci ricorso a tutta la mia pazienza e accettai la trasformazione in attesa che superassimo la crisi della mia sterilità; voci di bancone mi fecero sapere presto che si scopava alcune mie amiche, molte delle mie clienti e che andava quotidianamente in caccia di figa nuova, specie tra le impiegate della banca più giovani; qualche approfondimento mi mise al corrente di cene speciali che si consumavano in villa e finivano in orge di cui era grande protagonista; coi miei soldi, faceva la bella vita.

Avevo amato follemente ed amavo ancora profondamente il ragazzo di venti anni al quale, ancora minorenne, avevo donato con gioia ed entusiasmo, tutte le mie verginità, e che era stato il mio ardentissimo marito per quasi un quarto di secolo; mi sentii umiliata e mortificata, oltraggiata e offesa, quando i bisbigli subdoli e perversi del pettegolezzo vennero a colpirmi fino sul mio posto di lavoro, punto di ritrovo di tutte le pettegole della città.

Già mi pesava enormemente la definizione di ‘cornuta’ usata liberamente da amiche, conoscenti e clienti occasionali; ma l’oltraggio di sapere che gli stravizi di Ettore pesavano a carico del patrimonio che con sudore e sangue andavo accumulando mi resero feroce, addirittura; in un momento di lucida follia, decisi di fargliela pagare con la stessa moneta e feci in modo da sapere con certezza i movimenti adulterini di mio marito per batterlo sul suo terreno.

L’antico e immutato amore mi suggeriva di riflettere che mi ero arresa prima di lottare, perché avevo fatto prevalere la pazienza e, anziché chiarire e richiamare mio marito alle sue responsabilità, avevo ceduto alla bonomia e perdonato le prime ‘scappatelle’ diventate poi sistema di vita; ma il dato di fatto di essere messa sotto e schiavizzata da un presunto individuo alfa, che imponeva la legge del suo maschilismo con becere manifestazioni, fece scattare la ribellione.

Dalla mia amica Floriana seppi che periodicamente venivano organizzate, per i ‘soliti noti’, gli aderenti ad una certa cerchia di persone, luculliane cene in un piccolo hotel della pedemontana alla quale venivano invitate non solo le signore da tempo note per la loro frequenza dell’adulterio contro mariti distratti ma anche escort e signore che si accostavano all’orgia, perché di quello di trattava, per la prima volta; qualcuna arrivava con la maschera per non essere individuata ed esposta al pubblico ludibrio.

Dopo la ricca cena, consumata insieme nella sala da pranzo, le coppie o i gruppi avevano a disposizione alcune camere dove potevano sfogare la loro fantasia nei giochi erotici più disparati; poiché in tutte le cene lei, organizzatrice e responsabile, aveva il quadro perfetto delle presenze e dei prevedibili incontri, non mi fu difficile accordarmi perché, tramite WhatsApp, mi aggiornasse in tempo reale e mi consentisse di mettere in atto la prima parte della mia vendetta.

Il sabato incriminato, al ritorno dal lavoro, non trovai mio marito che, rientrato, velocemente si era cambiato e vestito per l’occasione, e si era recato alla cena prevista; mangiai da sola e, su segnalazione della mia amica, mi vestii allo scopo, con un combinato perizoma e reggiseno, sotto una tunichetta leggera e facile da sfilare; ai piedi calzai scarpe con tacco vertiginoso, assai raro per le mie abitudini, che sollevava al cielo il culo ancora meravigliosamente magnetico.

Inutile dire che il mio attraversamento della sala da pranzo scatenò il prurito e l’interesse di tutti i convitati e, più di tutti, di mio marito, da sempre abituato a prelibare le novità, specialmente quelle che si annunciavano particolarmente gustose; come d’accordo con Floriana, presi la chiave della numero sedici e raggiunsi direttamente la camera dove avrei consumato il mio primo vero tradimento.

Non dovetti aspettare molto; giocando con la sua indiscutibile classe ed abilità, la mia amica fece in modo che Ettore avesse come destinazione la camera della sconosciuta che lo aveva fatto evidentemente sbavare; quando entrò, mi trovò, come avevo organizzato, a letto con un trentenne assai ben dotato con cui avevo avviato approcci amorosi inequivocabili; si avanzò nella sala e si spogliò; lo fermai con un gesto e, senza una parola, gli indicai la poltrona da dove poteva seguire la scopata.

Si sedette nudo sulla poltrona; vedevo nettamente il cazzo duro ergersi dal ventre come un palo e registravo i brividi di tensione ad ogni movimento dei due corpi sul letto; le mani artigliavano i braccioli fino a rendere bianche le nocche; il ragazzo che mi montava era un bull espressamente richiesto ad un’agenzia, garantito per tutte le sicurezze e dotato di un cazzo da esposizione.

Mi sovrastò col fisico possente e muscoloso e mi baciò con una passione degna di un grande amore, mulinandomi in bocca la lingua con un’abilità che indicava esperienza e maturità; tutto il corpo stimolava il mio, corrispondentemente, ed io mi sentivo titillare tutta, dalle gambe sovrapposte alla figa stimolata da un cazzo enorme che si era infilato tra le cosce e le attraversava tutte fino al lenzuolo, dal seno schiacciato dal torace robusto e forte al viso, preda dei suoi baci.

Dopo una lunga pomiciata che fece gemere ed agitarsi lo spettatore obbligato, il bull si stese al mio fianco; mi piegai in avanti a prendere il bocca il cazzo; mio marito, ora di fronte a me, mi ammirava mentre imboccavo il randello e lo trattavo con la sapienza che nel pompino mi aveva insegnato proprio lui; seguendo antichi consigli, presi in bocca due coglioni grossi e caldi, uno per volta, e li leccai a lungo, prima di dedicarmi al cazzo vero e proprio.

Lo alzai contro il ventre e lo leccai devotamente dalla radice alla punta; la pompa era fatta a regola d’arte, ma nessuno dei due poteva sapere che, in quel momento, la mia mente inseguiva la memoria di un cazzo giovane che imparavo a prendere in gola con difficoltà; stavo seguendo il cuore e il mio gesto di pura ribellione pornografica diventava un atto d’amore alla memoria di pompini ben più intensi e importanti vissuti prima della crisi del mio matrimonio.

Mi sistemai in maniera che Ettore avesse la visione più precisa e ravvicinata del pompino e mi lanciai a godermelo in bocca; percorsi accuratamente e puntigliosamente tutta l’asta, dove disegnai lunghi ed eccitanti ghirigori; leccai bene tutta la cappella ormai viola dalla tensione e me la feci penetrare tra le labbra stringendole per dargli la sensazione di violare lentamente una figa stretta e nuova; mio marito, che me lo aveva insegnato con pazienza ed amore, vibrava.

Quando feci penetrare il cazzo in bocca stringendolo con la lingua contro il palato e tenendo saldamente in mano il grosso della mazza fuori dalla bocca, ebbe smorfie di piacere, forse al ricordo dei pompini miei o di altre sue amanti, ed espressioni preoccupate, quando vide tutta la mazza entrare nella gola fino ai peli del pube; sussultò, quando manifestai difficoltà di respirazione; seguì con interesse tutta la succhiata e la scopata in gola.

Il bull si fermò e mi bloccò, quando evidentemente la pressione dell’orgasmo fu troppo alta perché non poteva sborrare prima dell’ora concordata; mi spinse indietro delicatamente, mi trascinò verso il fondo del letto, divaricò le gambe, spinse indietro le ginocchia a spalancare la figa; in ginocchio al mio lato, si abbassò a leccare le grandi labbra e infilò la punta della lingua nella vagina; mi contorsi e vibrai tutta; esplosi in un orgasmo, perché mi aveva succhiato il clitoride.

Mi leccò a lungo, dolcemente e delicatamente con l’intenzione di farmi sballare succhiandomi tutto, e in particolare il clitoride; quando, con una sorta di cronometro incorporato, si rese conto che si avvicinava la conclusione, mi fece stendere supina in mezzo al letto, divaricò le gambe coi suoi piedi, prese in mano il cazzo, appoggiò la punta alla vagina e cominciò una lentissima penetrazione; non vedevo il viso di mio marito, se non da uno specchio dell’armadio.

L’unica cosa che poteva ammirare da vicino era il mio culo con l’ano che pulsava dal desiderio, la figa spalancata e piena di quella enorme mazza che vi si muoveva avanti e indietro regolarmente, e i coglioni che pendevano battendo sull’ano; la scopata fu regolata a puntino coi tempi e fu lenta, cadenzata, provocatoria di infiniti piccoli orgasmi, per larga parte; spesso il ritmo diventava quasi violento, mi picchiava forte sull’inguine e sull’utero; io godevo e urlavo ad ogni colpo.

Mio marito seguiva tutto come calamitato dalla visione e partecipava al godimento, sia mio che del bull, agitandosi sulla sedia come per un fuoco di Sant’Antonio che gli impedisse di stare fermo un momento; aspettava, con noi, il momento dell’esplosione della borrata nella mia figa; arrivò, di colpo, con un urlo animalesco del mio stallone che mi riversò nell’utero una fiumana di caldo sperma; io urlai fino al cielo il mio orgasmo ed Ettore sembrò rilassarsi felice sulla sedia.

Il ragazzo, dopo qualche momento per riprendersi ancora piantato nella mia figa, alla fine si sfilò, andò verso il bagno; sentii che si sciacquava, uscì, si rivestì in fretta ed andò via; Ettore se ne stette per un poco seduto; evidentemente aspettava che mi andassi a lavare; io mi crogiolai un poco nel piacere dell’orgasmo, poi mi distesi languida; si decise e montò sul letto, cercando di accostarsi; mi salì sul corpo, ma lo respinsi indietro e lo feci scivolare in basso finché la testa non fu all’altezza della figa.

Spalancai le gambe e sollevai le ginocchia; gli presi la testa e premetti la bocca sulla figa; cercò di resistere, ma gli avvolsi le gambe intorno alla testa, in una presa che avevo imparato dalle arti marziali; rimase qualche minuto pressato, a bocca chiusa, sulla figa; non ci eravamo detti una sillaba e non azzardavo di farmi riconoscere dalla voce; finalmente sentii la punta della lingua sfiorare le grandi labbra, poi le piccole, poi il clitoride; ebbi un brivido di piacere ma strinsi la testa.

Capì e finalmente sentii la punta della lingua varcare la vagina; gli presi le tempie e lo guidai finché la lingua scivolò in vagina e raccolse tutto lo sperma e gli umori che avevo scaricato nell’orgasmo; si rassegnò e allentai la presa, prese fra le labbra il clitoride, lo strinse tra i denti e cominciò il suo inconfondibile titillamento che tanto piacere mi aveva dato negli anni ‘buoni’; lo ricevetti con passione e in un pochi colpi esplosi uno squirt che gli finì in gola; bloccai la testa e glielo feci ingoiare.

Era chiaramente incerto tra il piacere dell’orgasmo, che aveva innescato anche la sua eccitazione massima, e la ripugnanza a bere lo sperma di un altro; forse valutò che era valsa la pena e mi scivolò addosso fino a sovrapposi a me; mi sarei aspettata che mi succhiasse i capezzoli; ma non mi baciò neppure, forse perché mi aveva visto ingoiare il cazzo; mi penetrò in figa in un sol colpo, quasi con violenza, e mi montò a lungo; frenò non so quante volte l’orgasmo ma non uscì dalla figa.

Non poteva neanche immaginare quanto godessi, mentalmente, di averlo obbligato a succhiare lo sperma di un altro e gli umori miei insieme; non capiva che gli orgasmi che si susseguivano nascevano dal mio cuore, dal ricordo di un ragazzo di vent’anni che mi riempiva figa e cuore proprio con quel cazzo; il mio amore per il ‘mio’ Ettore a quel punto esplodeva in tutta la sua forza; era il mio amore che mi stava scopando, non la montagna di fango che l’aveva soffocato.

Sentivo che era quasi orgoglioso di provocarmi tanto piacere; non sapeva che la mia gioia nasceva da una piccola parte di quello che era diventato, da quel ragazzo che non avrei mai buttato con l’acqua sporca; amavo in lui quello che mi aveva saputo dare; sapevo anche che se avessi parlato in tempo, non mi sarei trovata a dover fingermi estranea per riprendermi nel corpo quel cazzo che mi aveva fatto donna; ma, intanto, mi accontentavo di amare il ragazzo che mi amava tanto.

Esplose troppo rapidamente, per i miei gusti; quando si scavallò e si adagiò al mio fianco, mi precipitai in bagno, espulsi sperma e orina nel water, mi lavai sul bidet, tornai in camera, ripresi i miei vestiti, li indossai e scappai via senza dargli il tempo di obiettare; lo lasciai che ancora si gustava il languore di un orgasmo che finalmente ci trovava soddisfatti, per me molti anni dopo che avevamo fatto l’amore con passione l’ultima volta, prima della visita del ginecologo.

Tornata a casa, feci una doccia per liberarmi da scorie e odori delle scopate, indossai il ‘pigiama da massaia’, nascosi nell’armadio il vestito ‘da scopata’ e mi misi a letto, con l’orecchio teso ai rumori; passò molto tempo, prima che arrivasse, forse perché si era fermato a chiedere notizie a Floriana ricevendo poche informazioni utili; lo sentii entrare, andare sotto la doccia per ripulirsi anche lui delle scorie e venire in pigiama verso il letto.

Forse per un senso di responsabilità, tentò un timido approccio per scopare; fingendo una voce assai assonnata gli dissi che poteva ritenersi soddisfatto delle scopate fatte nel dopocena e mi lasciasse dormire perché ero stanca; e lo ero davvero, dopo una maratona a cui da anni non mi sottoponevo; ci girammo di schiena e dormimmo; prima di crollare, sognai le scopate fatte col mio giovane marito che mi lasciavano sempre distrutta; una montagna di fango le sommerse anche nel sogno.

Con mia somma sorpresa, una mattina lo vidi entrare nella boutique con un collega che conoscevo; sapevo che aveva una storia con una mia amica, annoiata di suo marito; vista la dimensione e l’allestimento dei camerini di prova, dotati di ampi divani, mi aveva chiesto di lasciarla scopare una volta con la scusa di un prova d’abito; era già capitato, con la mia complicità; non me l’ero sentita di dirle di no; quello che non sapevo, era che il suo amante fosse collega e amico di Ettore.

Quando gli chiesi cosa ci facesse in un posto che lo riguardava solo per le carte di credito che usava senza criterio, mi rispose che non aveva potuto lasciare uscire l’amico da solo per motivi burocratici; anziché aspettarlo al bar, saputo che veniva al mio negozio, ne aveva approfittato per incontrarmi; osservò, naturalmente, che era assai sorpreso che, con il mio puritanesimo, mi prestassi a favorire certi amori illeciti.

“Ettore, ma hai dimenticato il campo sportivo?”

“Oh, dio, quello dove non avevamo macchina e spiavamo quelli in macchina mentre ci masturbavamo in piedi? … non mi dirai che anche qui fai il giochetto dei guardoni per masturbarti insieme a qualcuno!”

“Si, con quel cornuto di tuo nonno! Visto che ormai il cazzo è un accessorio fuori dalla mia portata, faccio la guardona e mi masturbo, ma solo perché ormai non si scopa più … “

“Mi faresti dare un’occhiata? Dai, solo così, per gioco, senza malizia … “

Mi lasciai convincere e lo portai nel mio ufficio, accesi il computer riservato e apparvero i due che, in piedi davanti al divano, si divoravano in un bacio sensualissimo; lui le stava sfilando il vestito e rapidamente mise a nudo due tette da sballo, gonfie e tese, con aureole evidenti e ben disegnate e con capezzoli grossi e ritti; il commento di Ettore fu istantaneo.

“Cazzo, che tette meravigliose!”

Si beccò all’istante un pizzicotto sul braccio.

“Imbecille, da quanto tempo non osservi le mie? Sono altrettanto belle, ma per te sono come le sedie, ti ci siedi senza guardarle.”

“Perdonami, hai ragione, è stata una gaffe terribile; anche senza analizzare, si vede che sei molto più bella.”

“Non commettere una gaffe ad ogni pezzetto che ammiri!”

Lui si era lanciato su quelle tette e se ne cibava con l’ansia di chi è a secco, con la gioia del bimbo affamato; lei aveva più chiaro il senso del tempo tiranno, si tirò via il vestito e restò in intimo; la mano di Ettore mi scivolò sul culo; lo lasciai fare; mi piaceva sentire che almeno quella emozione gli era rimasta; allungai la mano e gli aprii la patta; il cazzo era duro come acciaio e pronto alla sega; non ci pensai un attimo a cominciai a menarlo.

Si accostò di più e mi baciò un orecchio; sapeva che andavo in deliquio, se mi stimolava le orecchie e sentii che mi mordicchiava i lobi, mi leccava il padiglione, mi baciava sul collo; lo masturbai con passione; chiusi gli occhi e lui era il ragazzo a cui, dietro le barche in secca, facevo seghe interminabili perché amava essere masturbato da me, ‘ti amo’ mi dissi nella testa; lo stavo dicendo a quel ragazzo, non alla montagna di fango che lo copriva e che era l’uomo che mi stava vicino.

Mi accorsi delle dita che mi erano entrate in figa solo quando strinse il clitoride e me lo tormentò; dovetti soffocare l’urlo, quando l’orgasmo mi colse, tanti anni dopo le grandi scopate di due sposi innamorati; lui stava per sborrare e mi avvertì; misi una mano davanti alla punta, a coppa, e raccolsi gli spruzzi che sparava; mi portai alla bocca la mano piena di sperma e leccai.

“Maledetto, hai sempre un ottimo sapore che mi fa impazzire.”

“Ti amo, Maria, anche se non mi credi più, ormai!”

“Lo dici a tutte quelle che ti scopi o solo a quelle delle cene?”

“Non lo dico a chi do solo sesso; lo dico all’unica donna che ho amato, che amo e che amerò sempre.”

“Allora, bastardo, perché mi riempi di corna e non mi dai più amore come fai in questo momento?”

“Non lo so; i momenti come questi servono a fare outing; ma ancora non ho preso coscienza dei miei errori.”

“Se non ti allontani immediatamente, domani entri nel coro di voci bianche; le forbici da sarta possono essere micidiali!”

Uscimmo dall’ufficio tra i sorrisetti allusivi delle commesse, non so se per la mia breve assenza o per la lunga sosta della signora col cavaliere nel camerino di prova; suggerii ad Ettore di andare nel bar, perché il suo amico ne avrebbe avuto ancora per un bel po’; mi sfiorò le labbra con un bacio e gli presi la mano; era mio marito e, comunque, ci amavamo.

Si sa che il lupo perde il pelo ma non il vizio; l’episodio nell’ufficio dell’atelier fu solo un caso più unico che raro; subito dopo, la nostra guerra sotterranea riprese; Ettore continuava a limitare le sue effusioni ai dieci minuti del sabato sera; nei giorni della settimana, continuava a tampinare ragazzine e mature senza differenza, solo per manifestare ancora e sempre la sua vocazione di individuo alfa, di maschio dominante; io continuavo a meditare la mia rivendicazione.

Le cene con orgia si tenevano mediamente una volta al mese; quindi qualche settimana dopo, Floriana mi avvertì che mio marito si era prenotato per la cena; le chiesi di organizzare come la volta precedente e tutto filò come su un copione recitato al meglio da attori provetti; solo il sabato mattina Ettore mi avvertì che non avrebbe cenato a casa né con me; passò velocemente per prepararsi alla cena e sparì.

Io ripescai l’abbigliamento già usato e mi presentai nella sala da pranzo dell’hotel mentre la cena volgeva al termine; presi la chiave della camera 16 e salii sopra, dove già il mio bull mi aspettava; stavolta era un ragazzo moro, di origini forse meridionali, molto palestrato, con un fisico da statua greca ed una dotazione apprezzabile; ci abbracciammo da veri innamorati e lui mi riempì immediatamente la bocca con la lingua larga e pastosa, che mi sollecitò desiderio e libidine in tutto il corpo.

Mi spogliò con abilità e accompagnò lo spogliarello con sapienti carezze eccitanti sui punti erogeni che a mano a mano emergevano; si dedicò infatti ai seni con aria da buongustaio e mi fece esaltare carezzandoli tutti e prendendoli a piene mani; poi passò a leccare aureole e capezzoli; la lingua morbida che avevo apprezzato in bocca fu sublime sui globi delle mammelle e titillò goduriosamente le punte; le labbra grosse e carnose succhiarono abilmente .

Gli tolsi maglietta e pantaloni e mi fermai incantata davanti alla mazza rigida del cazzo superbamente ritto; ci stendemmo sul letto e ci accarezzammo per ogni dove; quando vidi entrare Ettore, recitai la pantomima precedente, invitandolo a starsene seduto a guardare, mentre col ragazzo avviavo una scopata più lunga ed intensa; dopo un lunghissimo pompino quasi rallentato a favore dell’unico spettatore, mi feci succhiare la figa per molto tempo.

Gli orgasmi furono sempre più forti e spesso caricati nelle mie reazioni per segnalare a mio marito un piacere assai maggiore di quello che mi squassava; cominciò a scoparmi in figa e lo fece in tutti i modi, dalle classiche missionarie e pecorine, attraverso le mie cavalcate più diverse su lui sdraiato, faccia a faccia e di spalle; seduta sul cazzo di lui seduto, di fronte e di spalle, mentre mi masturbavo con gusto; sdraiata su un fianco con lui dietro che mi fotteva e mi masturbava, facendomi alzare la gamba libera.

Mi portò sul bordo del letto, sollevò le mie gambe al collo e, in piedi, mi fece entrare in figa tutta la mazza fino alle palle; mi batteva l’asta sulla figa e me la spatolava con la cappella; gemevo godendo e urlavo quando avevo un orgasmo; a pecorina, carponi sul bordo del letto, mi chiavava da terra, in piedi e mi faceva sentire tutta la mazza; per tre quarti dell’ora concordata, il suo cazzo non uscì quasi dalla figa e godetti come mai avevo fatto; mio marito guardava incantato.

Per l’ultimo quarto, decisi che toccava al culo; mi preparò per benino con leccate e gel spalmato finché l’ano fu pronto e me lo infilò una prima volta a pecorina; mi fece girare, sollevò i piedi molto in alto, finché avevo solo le spalle sul letto, e penetrò dall’alto riempiendomi il retto tutto quanto; mi spostò sul bordo del letto, supina, alzò entrambe le gambe e infilò il cazzo nel culo, in piedi da terra; mi fece ruotare e, carponi, mi inculò sempre coi piedi sul pavimento; mi sentivo sventrare ma godevo.

Ettore si godeva lo spettacolo, nudo, con il cazzo duro ritto dal ventre; ogni tanto si masturbava, ma aspettava il suo turno per sfondarmi; quando il bull mi fece segno che doveva sborrare, gli indicai il culo; si scatenò sul buchetto con una violenza inaudita e mi fece arrivare il cazzo al cervello, finché esplose in una violentissima sborrata che scaricò nel retto; al limite della resistenza, si sfilò con garbo e lasciò il posto ad Ettore, invitandolo a subentrare; ‘leccala’ fu un ordine imperioso.

Memore della precedente esperienza, lui si accostò al culo martoriato e passò la lingua sulle chiappe e sul perineo; il moro gli prese i capelli e guidò la testa all’ano; benché riluttante, mio marito passò la lingua sul buco ed io gli espulsi la sborra in bocca; infoiato e incazzato, al tempo stesso, infilò a fondo la lingua e leccò con rabbia tutta la sborra che l’altro aveva scaricato; carezzò a lungo il buchetto martoriato e allargò le natiche con le mani per aprire l’accesso; raccolse tutta la sborra.

Poi si alzò, appoggiò la cappella al buco e spinse; sapevo bene che la sua mazza, più grossa, avrebbe fatto più fatica e mi sarebbe costata un po’ di dolore, ma strinsi i denti e ricevetti il cazzo fino in fondo, accompagnandolo con l’amore per il ragazzo che era stato e che amavo ancora; lo trattenni per le natiche quando mi fu completamente dentro e per un attimo fummo fusi come a me sarebbe piaciuto.

Cominciò il capolavoro di inculata che da lui avevo avuto per poi dimenticarmene e che ora si riproponeva; non sapevo se gli tornassero alla mente quelle meravigliose che mi aveva praticato; a me tornavano nitide ad ogni sensazione che il cazzo nel ventre produceva; colse che volevo farla durare e la volevo complessa, varia, esaustiva; mi palpava le natiche con passione e mi teneva per i seni, tirandomi verso di sé e spingendomi a seconda del movimento.

Mi spinse sul letto, bocconi, e mi montò; mi inculava con tutto il corpo, scivolando su di me; sentivo la mazza sfondarmi mentre andava su e giù ma anche il resto del corpo chiavarmi in un unico esaltante e lussurioso; mi metteva, su un lato, davanti al suo cazzo e scivolava avanti e indietro dal culo; mi fece sollevare il corpo, lasciando le spalle sul cuscino e mi inculò dall’alto; sentivo la mazza entrare fin oltre il possibile.

Dopo un lunghissimo esercizio di inculata in tutti i modi, mi distese supina e mi venne sopra, senza sfilare il cazzo dal culo, scopò per qualche minuto e, senza avvertire, sborrò come una fontana rotta; lo conoscevo bene ed avevo avvertito la sborrata in arrivo; riuscii a sborrare in simultanea e godetti della sua faccia meravigliata per l’improvvisa sintonia che scopriva, molto più che dell’enorme scopata che, senza volerlo forse, mi aveva dato.

Uscì dolcemente e si stese supino; filai in bagno senza dargli tempo di articolare verbo, mi lavai e rientrai che ancora si gustava il piacere della sborrata; mi vestii veloce come il lampo e sparii, lasciandolo agli interrogativi a cui nessuno avrebbe mai dato risposta; presi la mia macchina e rientrai; passai sotto la doccia e usai una pomata per il culo che mi doleva; come la volta precedente, indossai il pigiama da massaia e mi ficcai a letto.

Come prevedevo, appena arrivato Ettore entrò subito in camera nudo, direttamente dalla doccia; mi finsi addormentata, mi si stese a fianco e mi abbracciò.

“Non vorrai saltare anche questo sabato!?”

“A cena non hai scopato abbastanza?”

“Ho scopato meravigliosamente; ma non è mai abbastanza … “

Scoprì il lenzuolo e mi guardò tutta intera; osservò il mio pigiama; mi chiese se mi ero armata per combattere per il ruolo di individuo alfa; gli obiettai che da quarant’anni il capobranco era lui; la mia corazza era ben poca cosa.

“Maria, ho capito quasi tutto dall’inizio; prima una domanda; chi dei due è il mio sostituto?”

“Tu non vieni da un’agenzia e mi sei costato assai di più, economicamente … “

“Quindi hai preso due bull e mi hai obbligato a fare il cuckold?”

“Quando l’hai capito?”

“Credi davvero che si possa dimenticare una figa come quella che ho svezzato io e che amo da sempre? Credo che al mondo non ci sia niente che possa paragonarsi al tuo culo; una volta leccato e scopato non si dimentica più. Mi hai voluto far pagare la mia stronzaggine; ammetto la sconfitta. Cosa succederà ora?”

“Mi ami?”

“Come il primo giorno, troppi anni fa … “

“Perché mi hai fatto quel gran palco di corna?”

“Non lo so; me lo chiedo ogni giorno e non trovo una risposta … Ma tu mi ami ancora, dopo quello che ho fatto?”

“Ci penso spesso e non ho un’idea precisa; forse tu hai cambiato registro nei miei confronti quando hai saputo della mia sterilità, perché non potevi sperare di essere padre e me ne incolpavi; ma era anche colpa tua; fu quella la prima volta che mi tradisti ed io stupida tacqui; anche per questo, forse sono colpevole come te; se avessi urlato, ti avessi offeso, minacciato, picchiato, il bubbone sarebbe esploso; ma tacqui per bonomia, per generosità; e tu continuasti.

Ma neanche tu hai avuto il coraggio di scegliere, perché sei rimasto a fare il marito che mi fa l’elemosina della scopata al sabato; non hai avuto il coraggio di lasciarmi e di fare un figlio con un’altra; forse potevamo pensare a un’adozione, insomma fare chiarezza; ti sei nascosto sotto il velo del parassita che sfrutta la moglie ricca e le fa le corna con le amiche sapendo che avrei potuto farti ancora più male e distruggerti; ti sei fermato in mezzo al guado per venti anni.

Io mi sentii morire quando scoprii che ero una femmina buona da scopare senza possibilità di procreare; le due cene hanno detto anche che sono molto bella e brava a letto; mi inebetii e ti lasciai andare; so che ho la mia colpa; trovai un rimedio nel lavoro; sono diventata ricca ma ho perso te e l’amore che ci legava, che mi dava la felicità; ora mi sono svegliata, mi trovo anch’io in mezzo al guado con il terrore di dovere dare un taglio netto, o ad una storia passata o a te.

Io ho amato, amo e amerò sempre un ragazzo di vent’anni che mi diede tutto e si prese tutto; sono stata felice, totalmente felice con lui, per venti anni; poi tu hai gettato su quel ragazzo una montagna di fango e l’hai fatto scomparire; ma io continuo ad amare quel ragazzo, anche sotto una montagna di fango; se riuscissi a portarlo fuori, a ripulirlo e ridargli quella dolcezza che aveva, ti potrei anche amare tutto intero.

Tu non lo puoi sapere, ma almeno in tre occasioni, le due alla cena e quella volta nel mio ufficio, ho scopato con mazze anonime, due prese addirittura in affitto, mentre davo l’amore a quel ragazzino che è sommerso dentro di te; ma se non riesci a fare a meno di sguazzare nel fango e sporcare tutto il bello tra di noi, non so se varrà più la pena di offenderti e umiliarti senza trovare un momento di amore.

Ora so che l’hai capito, questo, se sei riuscito a ritrovare anche tu, nella mente ma spero nel cuore, il piacere che mi dava, inculandomi, quel ragazzo amatissimo; fino a questa sera ero decisa a farti pagare a carissimo prezzo il male che mi hai fatto; avevo deciso di spezzarti, di umiliarti, di mortificarti come hai fatto con me in questi anni; potrei anche cacciarti dalla mia vita e non ti resterebbe niente, perché è tutto mio e posso farti a pezzi in tribunale.

Ma non voglio restare sola; per questo, dopo averti umiliato a leccare la sborra, ti ho offerto l’unica via per ritrovare il ‘nostro ragazzo’, il nostro amore adolescente; non sai quanto ho pregato che te ne accorgessi; ma ancora non mi riesce di perdonarti tutto il male che mi hai fatto e che mi porto addosso; cosa penso di fare? Non voglio buttare al vento i miei primi 56 anni; non è mai tardi per ricominciare, lo so.

E so anche che, tagliando il cordone col passato, cancellando tutto, troverei un compagno disposto a seguirmi senza atteggiarsi a dominatore; ma sarebbe un surrogato e, dentro, non potrei cercare una ragazza di sedici anni ed un ragazzo di venti; pensi che sia possibile frenare la rabbia e cercare di ricominciare, ma con te, con la larva di quello che era il mio amore? Tu pensi di valerne la pena?”

“Perché continui ad andare avanti guardando indietro? Trovi così difficile preparare una nicchia nel cuore, nella memoria e conservarci un ragazzo e una ragazza che oggi possono essere solo un pericoloso impedimento alla crescita? Trovi così difficile scavare una fossa e buttarci l’incomprensione e la divaricazione per una sterilità di cui ci sentiamo tutti e due colpevoli, con risposte opposte e similmente assurde?

Io ti ho ritrovato quando tu mi hai massacrato; guarda che le mazzate che mi hai tirato valgono assai più di banali corna, anche ventennali; se volevi dimostrare che sei assai più creativa nelle trappole, chapeau, sei immensa; vuoi che ti dica che sei stata di una raffinatezza ineguagliabile? E’ vero; farmi leccare sperma, farti scopare con quei piccoli movimenti che solo io e te potevamo conoscere … siamo ancora sintonici, assai in armonia, se questo volevi indagare, sei grande.

Io vorrei andare avanti, con te se tu ci stai, perché anche io ho una teca sacra che conserva quel ragazzo e quella ragazza; la masturbazione in ufficio non te l’ha dimostrato? Ma, se non ci stai perché la tua sete di vendetta deve durare vent’anni, mi dispiace per te; temo che me ne andrò, prima che tu mi cacci; posso anticipare la pensione, con la liquidazione comprare una casetta nell’Appennino e andarci a invecchiare; non sono un parassita; credevo di essere in sintonia.”

“Cosa potremmo fare per andare avanti insieme?”

“Ragazza, la scoperta della sterilità è stata il punto di rottura; ho accettato che tu non potessi darmi un figlio ma ti amavo e ti amo; mi sono dedicato al sesso, visto che solo quello potevi fare per tenere insieme il nostro amore; ho esagerato ma aspettavo sempre che ti convincessi; tu sei rimasta ancorata ad un desiderio di maternità che ti ha fatto deviare verso il lavoro; non sono riuscito a dissuaderti e mi sono arreso, ma sapevo e so che puoi riprendere la funzionalità del tuo corpo e sfruttarla per fare sesso a go go per dare l’amore al tuo ragazzo nel cuore; si può amare profondamente anche mentre si fa sesso. Non mi dire che non te ne sei accorta perché coi bull sei stata perfetta! A loro davi sesso a al tuo ragazzo tanto amore.”

“Vorresti dire che dovremmo scopare ogni giorno con un bull tra noi? E l’amore?”

“Onestamente, mentre ti scopavano amavi solo il ragazzo della tua memoria o anche me?”

“Ti amavo, ti ho amato e ti amo sempre; e l’ho capito meglio quando avevo in figa un cazzo estraneo, assai meno importante di uno zucchino o di un vibratore.”

“Ti sei risposta da sola; se approfondisci, scopri che esistono per esempio gli scambi di coppia; ti lasci scopare da uno ed io mi scopo la lei dell’altra coppia; una sola stretta di mano tra noi e sapremo che è il nostro amore che si cementa … se l’amore c’è, se hai voglia di fare sesso perché la tua figa a quello è predisposta, se hai voglia di dimostrare amore.”

“Mi ci lasci pensare?”

“Vuoi fare l’amore?”

“Lo sai che il culo mi duole; il mio amore è tornato finalmente a sfondarmi … “

“Te lo curo con la dolcezza e te lo medico coi baci e con la lingua, se mi lasci fare; ma in figa ti scopo, con violenza e alla grande.”

“No, alla grande e con tutta la dolcezza che il mio amore mi sa dare.”

Capivo che aveva ragione, che mi ero anchilosata sul desiderio di maternità e non avevo mai pensato all’amore e al sesso , ma neppure ad una possibile adozione; lui, colpito dalla stessa mazzata, aveva cercato di dirottare sul sesso la passione; si aspettava che lo seguissi e che diventassimo la coppia di amanti implacabile consumatrice di sesso e viva di un amore cementato dalla complicità e dal ricordo di quello che eravamo stati per anni; c’era anche tanta ottusità mia, nello sfacelo.

Decisi di ricominciare da lì dove ci eravamo allontanati e lo amai, quella sera, come non avevo mai fatto in tutta la nostra storia; il culo non glielo potevo dare perché solo poche ore prima lui stesso me lo aveva martoriato scopandolo con tutto l’amore di cui era capace, ed era tanto; solo adesso riflettevo che aveva leccato dal culo la sborra del bull da cui mi ero fatta sbattere poco prima; ora sapevo anche che era perfettamente cosciente di quello che faceva.

Era stata una grande prova di amore e di accettazione della mia ‘devianza’, perché ‘sentiva’ che c’era amore nel sesso che gli davo; dovevo solo partire da quel dato e cominciare un nuovo percorso, di complicità stavolta, e di lealtà, che ci portasse a vivere l’amore insieme alla passione, il sesso con il sentimento; sentivo di averne desiderio e sapevo che lui era determinato; non aveva cercato una donna che gli desse un figlio, era tornato a me nonostante le amanti; voleva me ed io lui.

Mi ricordai che una mia cliente ed amica, Lorena, mi aveva accennato spesso a ‘seratine’ che col marito organizzava per altre coppie, al termine delle quali finivano a letto in quattro, scambiandosi partner; aveva detto che il loro amore ne usciva rafforzato e io, scettica, avevo pensato, sorridendo nauseata, che era solo libidine mascherata; ora sapevo che era vero e capivo anche che, avendomene parlato più volte, era chiaro l’intento di una serata a quattro con noi.

Poiché non riuscivo ancora a distinguere se fosse lei a puntare a mio marito o suo marito a puntare a me, ne parlai con Ettore che mi prese un poco in giro; mi disse scherzando che non aveva nessuna intenzione di innamorarsi dell’altra e che mi avrebbe uccisa se avessi perso la testa per suo marito; il problema era solo di compatibilità ‘a pelle’; se ci fossimo resi conto che una certa ‘chimica’ c’era, tra i quattro, noi ci saremmo amati anche con i cazzi alternati, lui in figa a lei e l’altro in figa a me.

Riuscivo finalmente a guardare con occhio diverso quello che avevo vissuto indirettamente, favorendo gli adulteri delle amiche nei camerini, ascoltando le confessioni di donne con amanti che riempivano vuoti lasciati dai coniugi, ascoltando racconti di serate allegre tra coppie che, lo sapevo per certo, si amavano anche scopando indifferentemente; mi chiedevo perché non avevo voluto seguire mio marito su quella strada; gli chiesi se ci si conosceva prima o se si accettava a scatola chiusa.

Mi sorrise con amore, mi assicurò che non mi avrebbe mai fatto un regalo se non fosse stato certo che fosse di mio gradimento; a conferma, chiese a Lorena se potevamo incontrarci per un caffè un pomeriggio, vista l’amicizia tra me e lei e la cordialità tra i nostri mariti; Lorena dovette cogliere qualcosa che mi sfuggiva e con gioia decise per quella stessa sera, un aperitivo prima di cena, in un bar elegante e discreto del centro.

Alla chiusura del negozio, Ettore era ad aspettarmi, mi abbracciò e mi baciò, per la prima volta dopo tanto tempo, con un amore che lessi immediato e coinvolgente; scusandosi se appariva troppo pedante, mi suggerì di comportarmi con la massima naturalezza ma di non meravigliarmi di niente; solo nel caso che qualcosa mi avesse turbato, potevo accusare un’emicrania e saremmo subito andati via; intrecciò la dita delle nostre mani; mi suggerì quel gesto come segnale che tutto andava bene.

L’ambiente era molto elegante; fummo dirottati ad un separé d’angolo, assai ben protetto, con un tavolino tondo ricoperto da una tovaglia che scendeva fino a terra; sedetti fra i due maschi con di fronte Lorena; dopo alcune banalità di prammatica, avvertii che la mano di Romolo, marito di Lorena, mi sfiorava il ginocchio; guardai Ettore; lui intrecciò le dita alle mie, sul tavolo; seppi che era l’avvio della conoscenza, mi rilassai e spostai il corpo verso Romolo.

Da alcuni movimenti, capii che anche tra Ettore e Lorena qualcosa stava accadendo e, in particolare, che lei aveva spostato una mano verso la patta di mio marito; mi fu chiaro che si valutavano le dimensioni in rapporto al proprio desiderio; presi la mano di mio marito, stavolta al riparo della tovaglia; allungai l’altra mano verso il cazzo dell’amico e mi trovai a massaggiare una massa notevole che indicava una stazza interessante, non credevo superiore a quella di Ettore ma decisamente grossa.

Essermi fatta scopare, anche violentemente, da due bull in un hotel anonimo mi era parso un peccato veniale, un capriccio da cancellare subito; assaggiare un cazzo da sopra a pantalone e boxer, di nascosto, coperta da una tovaglia, al tavolino di un bar, era la prima azione da adultera che sentivo di commettere; strinsi con forza la mano di mio marito e lo guardai con occhi da cane bagnato, come mi diceva quando avevo quello stato d’animo di colpa.

Spostò l’altra mano e mi carezzò il volto; sentii immediato l’odore del sesso di Lorena; stava già masturbandola, mentre Romolo ancora mi carezzava la coscia e scivolava appena verso l’interno; era chiaramente il punto di svolta; o decidevo di smettere e tornavo alle mie rivendicazioni, o aprivo un nuovo percorso; baciai mio marito sulla bocca e portai la mano di Romolo sulla figa, sopra il vestito; ci mise un niente a scivolare sotto la gonna e raggiungerla viva; Ettore ruppe l’incanto.

“Mi pare che la tua amica Lorena, fuori dai ruoli, sia molto più che amica!”

Gli fece eco Romolo.

“E Maria è assai più che una stilista, quando esce dalla boutique … “

Dopo due minuti stavamo organizzando la cena; rifiutai l’idea del ristorantino in campagna o dell’hotel in pedemontana, ambedue evidentemente con camere; dissi che mi sarebbe piaciuta l’intimità di una casa, la nostra o la loro; Ettore ci mise un niente a smontare tutte le obiezioni; io non potevo preparare una cena per quattro ma la trattoria sotto casa poteva mandarla già pronta e dovevamo solo apparecchiare.

Le nostre case non distavano molto; alla fine, se non si fermavano a dormire da noi, potevano tornare anche a piedi; avremmo organizzato per un sabato sera per avere un giorno libero davanti; tutti i discorsi vertevano su una cena tra amici, ma la mia mano era già entrata nel pantalone di Romolo e stringeva il suo cazzo duro e grosso come me l‘ero immaginato, mentre due dita mi titillavano il clitoride e mi costrinsero a manovre per soffocare gli orgasmi.

Le dita dell’altra mia mano erano intrecciate a quelle di Ettore e sentivo passare un’energia amorosa che sembrava partire dalla mia figa al cazzo di Romolo; da lui, alla figa di Lorena titillata da Ettore e al cazzo di quest’ultimo che lei masturbava; il percorso si concludeva nelle dita intrecciate tra noi; mi sentivo stordita e meravigliata di una verità tanto semplice che per anni avevo ignorato; avrei voluto dirlo a voce alta a mio marito; dovetti aspettare che ci salutassimo.

A casa, rinviai la cena perché avevo bisogno di sesso; lo spinsi sul letto, gli dissi con le labbra sulle labbra tutto quello che mi era passato per la testa e gli chiesi di scoparmi, con foga, con passione, e di metterci dentro solo quel poco d’amore che le dita intrecciate potevano significare; mi zittì con un bacio che mi soffocò e mi inondò la bocca con la lingua, con cui giocò a lungo, facendomi versare fiumi di orgasmo arretrato.

Poi mi montò addosso e mi scopò, ancora vestiti tutti e due, sussurrandomi che era solo l’anticipo sull’amore che pretendeva di avere e di dare a me quella sera; sentivo il suo cazzo assai più duro e voglioso di come mai fosse stato; la mia figa si dilatò da sola, non solo lo accolse con una pioggia di umori, ma se lo tenne stretto dentro come cosa sua e incedibile; era il mio cazzo, l’avrei dato in prestito, per amore, ma restava mio finché ne avessimo avuto la forza; sborrammo insieme, forse troppo presto.

La serata si annunciò splendida; avevamo fatto l’amore, la sera prima, ed Ettore era stato delizioso; era durato molto a lungo e si era risparmiato, sborrando un sola volta, in gola, perché glielo avevo chiesto; in compenso, mi aveva preso in tutti i modi, aveva tenuto il cazzo in figa per lunghe ore e mi aveva inculato alla grande, da tutte le posizioni; aveva goduto tra le mie tette e mi aveva fatto andare ai pazzi leccandomi senza stancarsi, figa e culo, capezzoli e viso.

Io mi ero scatenata a prendere il suo cazzo in bocca fino a soffocarmi, passandomelo per tutta la bocca, su tutto il viso, su tutto il corpo; lo sentivo come una protesi che tornava a sollazzare i punti erogeni con grande amore, prima che con grande abilità; lo amavo mentre lo scopavo a cavallerizza, gli sparavo addosso amore ad ogni squirt che mi provocavano i suoi titillamenti, le sue carezze, le sue scopate in ogni dove; mi fermò alle due, perché avevamo una lunga serata, in previsione.

Passai la giornata a far provare modelli, a suggerire e modificare, con la testa alla grande scopata che mi attendeva e all’amore che avrei cementato con Ettore, libera finalmente dall’oppressione di uno stupido desiderio di vendetta; il più grande assillo, alla fine, fu come vestirmi per la cena; optai per un abito di mia creazione, che si richiamava alla vestaglia da camera, da sfilare solo sciogliendo una cintura, senza intimo, da stordire chiunque avesse aperto il nodo; Ettore mi guardò estasiato.

Lui, dopo la mattinata passata per obbligo in ufficio, aveva impiegato il pomeriggio a concordare col trattore la cena a base di crostacei e frutti di mare, particolarmente afrodisiaci secondo l’opinione corrente; aveva scelto con cura i vini, il dolce, la frutta e tutto quello che poteva rendere la cena indimenticabile; fu una vera sorpresa per me, vedermi consegnare le ceste con tutto pronto; dovetti solo scegliere le tovaglie più belle, le posate più pregiate e i piatti di ceramica da tempo disusati.

Aggiunsi qualche candela, per fare atmosfera e guardai orgogliosa il risultato; baciai Ettore che aveva ideato la soluzione; mi invitò a calmarmi perché, se lo avessi eccitato, non ci sarebbe stata cena; ironizzai sui suoi anni e gli chiesi se volesse aggiungere alla tavola qualche pastiglia blu; mi afferrò per i fianchi e mi fece sentire sulla figa la sua mazza durissima.

“Non vuoi lasciare niente per Lorena?”

“Sarà lei che lascerà tanto che ti sventrerò, quando andranno via! … se dico che ti amo, mi perdoni?”

“Te lo impongo! E ti dico che amo te, non solo i due ragazzi che abbiamo dentro!”

Per fortuna, gli ospiti erano arrivati; lei aveva indossato una tunichetta, anche quella di mia creazione, fermata da una spilla su una spalla e sandali leggeri, facili da sfilare; ero certa che sotto fosse nuda ed ero curiosa di vederla al naturale; lui indossava pantalone di lino e maglietta, con mocassini; eravamo davvero un bel vedere; ci baciammo; Romolo mi strinse forte e mi titillò la figa col cazzo durissimo, stretto in uno slip per evitare deformazioni evidenti; Lorena mi baciò sulla bocca ed infilò la lingua.

La cena si svolse all’insegna del garbo e dell’eleganza; ma non mancarono gli accenni erotici, quando Ettore sganciò la spilla dell’abito di Lorena e mise in mostra il suo seno prosperoso, su cui si piegò deferente e coprì di baci, per arrivare infine a prendere in bocca il capezzolo; Romolo giocò più di fino, prese tra le labbra un’ostrica e si sporse verso di me; mi piegai verso di lui e catturai l’ostrica tra le labbra; mentre la ingoiavo, lui allungò la lingua e limonammo a lungo.

Le sue mani erano scivolate verso il vestito e sciolsero il nodo; la vestaglia si aprì e fui nuda; mi sfilò l’abito dalle spalle, lo adagiò sulla spalliera della sedia e non ebbi più nulla da nascondere; aprii il pantalone e lo spinsi in giù; si sollevò dalla sedia e fece cadere l’indumento, insieme allo slip; vidi il cazzo emergere maestoso dalla peluria e lo afferrai a due mani, una sui coglioni e l’altra sull’asta che masturbai un poco per sentirla crescere al tocco delle mie mani; una mano di Ettore mi carezzò la testa.

Mi girai a guardarlo e gli comunicai amore con lo sguardo; Lorena era china su di lui e gli succhiava il cazzo; mi alzai in piedi e guardai Romolo che in un lampo si spogliò nudo e mi venne vicino; mi sedetti sul divano, me lo tirai davanti e presi in bocca la mazza che si ergeva; vidi Lorena venire a sedersi accanto a me, nuda, guidando Ettore che teneva per il cazzo; riprese il suo pompino, mentre mio marito mi carezzava testa e spalle e Romolo mi titillava un capezzolo.

I due maschi, quasi d’intesa, si inginocchiarono davanti a noi, divaricarono le gambe e si piegarono a succhiarci le fighe; mi emozionai a sentire la lingua di Romolo, sottile ed aguzza, percorrere il perineo e infilarsi in figa; i denti afferrarono il clitoride; mentre lanciavo il mio urlo di orgasmo, Lorena mi prese la testa, mi girò verso di lei e mi baciò sulla bocca; la lingua sottile e lunga mi percorse tutta la bocca e mi eccitò più di quella del marito che mi leccava la figa.

Ettore fece alzare Lorena, la fece girare ed appoggiare alla spalliera del divano; le andò dietro e le infilò di colpo il cazzo fino ai coglioni; lei emise un lungo gemito e mi artigliò un seno; mi stringeva tra due dita i capezzoli ed io trasmettevo il piacere alla bocca di Romolo; lui mi fece alzare, si sedette al mio posto e mi invitò a sedermi sul suo cazzo; mi afferrò, da dietro, un seno con una mano e la figa con l’altra; infilai una mano fra le cosce e guidai il cazzo alla figa; Lorena non mollava il capezzolo.

Quando Ettore si piegò a baciarmi la bocca, mi sentii ad un tratto presa da tutti e tre gli altri e amata in maniera diversa da ciascuno; mio marito mi comunicava il suo godimento attraverso la lingua che combatteva con la mia nella bocca e mi procurava libidine e dolcezza; la mano della mia amica sul seno mi iniziava ad una forma nuova e particolare di amore che mai avrei ammesso possibile; il cazzo di Romolo nella figa mi scavava nel ventre e mi scatenava libidine infinita.

Quando Romolo spostò con una mano la cappella dalla vagina all’ano, ebbi un momento di preoccupazione per la mancanza di lubrificazione; ma fu questione di un attimo ed il cazzo era scivolato nel ventre con naturalezza; vidi Ettore lasciare Lorena ed abbassarsi a leccarmi la figa rimasta momentaneamente vuota; Lorena ne approfittò per prendere in bocca il suo cazzo e succhiarlo quasi con l’intento di farlo sborrare.

Decisi che un’aggressione da tre parti era nociva per il mio piacere, perché mi impediva di concentrarmi; mi sfilai dal cazzo e mi stesi sul tappeto ai piedi del divano; attesi che Romolo venisse sopra di me e mi penetrasse alla missionaria; con le gambe strette intorno ai lombi, mi gustai la mazza fino ad urlare per il piacere quando lo sfregamento del clitoride e le spinte sull’utero mi portarono all’orgasmo; immediatamente dopo, sentii la sborra spruzzarmi in figa con grande mio piacere.

Quando mi fui rilassata, mi trovai a fianco Ettore col cazzo duro rivolto al cielo; mi fece rotolare sopra di lui e mi fece infilzare sulla sua mazza; mentre lo cavalcavo, Lorena gli andò sul volto e si sedette su lui per farsi succhiare la figa; alle mie spalle, avvertii la presenza di Romolo che, senza preamboli, infilò il cazzo nel culo facendomi fare la mia prima esperienza di doppia penetrazione; il piacere mi bruciò il cervello e partii per un mondo sognato e mai visto; mi svegliai piena di sborra.

Avevano goduto, contemporaneamente a me, tutti due, nel culo e in figa; io avevo spruzzato umori di ogni specie sull’inguine di mio marito; per le due ore successive non so più quante volte mi chiavarono in figa e nel culo, quante varianti della doppia penetrazione misero in atto con me; soprattutto, mi trovai più volte a sessantanove con Lorena mentre i due ci penetravano, in figa o in culo, lasciandoci lesbicare.

So che ad un certo punto crollai per il languore, per la stanchezza, per la soddisfazione di tutti i desideri che potevo avere avuto; Ettore mi lasciò adagiata sul letto dopo avermi fatto fare l’ultimo pompino che non concluse come desideravo; dal mondo di pace in cui ero immersa, sentii che i due si rivestivano, mi baciavano con affetto, salutavano Ettore e andavano via; rimanemmo soli io e mio marito, con una bottiglia di cognac e con due bicchieri, per bere in pace; intrecciai le dita e fu amore.

“Ciao, bella principessa quasi addormentata, come stai?”

“Aspetta che esca dal sogno e te lo dico; forse sono un poco acciaccata, perché il pavimento è duro, alla nostra età, ma sono ancora in cielo e non vorrei tornare a terra; lo sai che ti amo infinitamente?”

“Davvero!? E pensare che credevo di avere il privilegio di essere l’unico innamorato; non è per caso che ti sei innamorata di Romolo e trasferisci a me perché sono qui?”

“Le corna di tuo nonno, pace a lui; mi hai sconvolto la vita; hai fatto spesso questo gioco di scambiare la tua compagna con  la moglie di un altro?”

“Tecnicamente, mi è capitato di andare a una festa con una compagna e di trovarmi a scopare con molte altre; la cosa peggiore è che la mia dama non vedeva tra noi il fantasma della donna che amo da sempre e che ricorreva nel mio pensiero … “

“Vuoi dire che tutte le corna che mi hai fatto erano un omaggio a me?”

“Dico solo che spero che tu, mentre ti prendevi il cazzo dell’altro, avessi me nella testa … “

“Ti avevo in testa, nel cuore, nel sangue, nel desiderio, nella decisione di scoparmi l’altro; lo avevo deciso con te, lo facevo con te, lo avevamo preparato insieme; sai bene che sei rimasto sempre il mio unico amore; stasera ho sperimentato quello che per anni ho respinto senza accorgermene; c’ero io mentre chiavavi con Lorena; era me che sfondavi appena potevi; mi hai insegnato a scoparvi in due contemporaneamente e perfino a fare l’amore con una donna.

Non so quanto questa serata inciderà sui nostri rapporti, ma è certo che ho imparato ad essere in sintonia, ad essere complici, leali e chiari; se questo ci offre gli spunti per far sesso con tantissima gioia ed amarci come non ci siamo mai amati; se era una ipotesi di contratto per la convivenza, ci sto; se ci intendiamo che siamo liberi di fare sesso amandoci, allora io sono pronta a cambiare rotta.”

“Maria, non sempre tutto è così lineare; non tutte le coppie sono così ben armonizzate ed eleganti; dobbiamo elaborare strategie che ci consentano di cogliere dalla vita il meglio senza fastidi; dovremo essere di nuovo come quei due ragazzi che scoprivano il sesso; dobbiamo imparare a conoscere un altro aspetto del sesso, quello della lussuria, dell’estetismo, della bellezza dell’accoppiamento; non è un percorso facile … “

“Sei riuscito a insegnare a me sedicenne le vie per un sesso tutto d’amore; non puoi educarmi ad un sesso tutto libidine e gioia di vivere? Sto tirando via dalla tua teca sacra i due ragazzi che si amavano e voglio che ricominciamo da zero, con lo stesso impeto e con lo stesso entusiasmo; mi sono affidata a te da ragazzina; vuoi guidarmi ora che siamo adulti?”

“Sei troppo stanca o hai ancora spazio per un assalto? E’ molto tempo che non facciamo sesso con tanto amore!”

TROPPO BELLO E MOLTO ATTUALE. MI DOMANDO E VI DOMANDO, COSA SI PROVA VEDERE L'AMATA/O CHE VIOLA IL SESSO DELL'ESSERE AMATO PER 40 ANNI? NON SAREBBE STATO MOLTO PIU' BELLO FARLO DA SOLI?

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