Essendo una gran bella figa, ne sono cosciente e lo sapete benissimo anche voi che leggete questo racconto, non avevo voglia di lavorare come una qualsiasi commessa in un qualche negozio, a massacrarmi ore per uno stipendio da fame. Una come me deve guadagnare subito e facilmente, senza troppa fatica. Fu così che, dal Fantasia, locale lap dance della provincia veronese, dopo un lungo corteggiamento da parte del proprietario, mio cliente sin da quando trasmettevo su Cam4, mi ha convinta, grazie a una cifra a parecchi zeri, a esibirmi da lui. Inutile dire che ero la più figa tra le fighe, là dentro, quella con un nome alle spalle, che attirava clienti. Unica italiana in mezzo a una miriade di ragazze dell’est e africane.
Lèggere Nassie sul cartellone faceva entrare più uomini di quanti non lo facessero in serate normali. I miei ammiratori avevano la possibilità di incontrarmi di persona, finalmente. Era un bene anche per me, visto le carte da venti e cinquanta euro che mi ficcavano nelle mutandine (prima che le levassi del tutto), nella striscetta che mi passava per le chiappe del mio culo sodo, per intenderci. Solo di mance arrivavo a guadagnare anche settecento euro in una sola ora.
Posti come questo sono dei veri e propri raccoglitori di sborra di sfigati a cazzo moscio, ma grandi sganciatori di denaro sonante. Lo spettacolo, questo valeva per tutte, si divideva in due momenti ben diversi. Il primo, quello in cui mi esibivo per tutti sul palco. Lì chiunque aveva modo di vedermi e desiderarmi. Spalancavo le cosce, rimanendo a figa larga e libera davanti le loro facce, facendoli schizzare nei pantaloni. Quando mi andava, a qualcuno permettevo di annusarla. Il mio ragazzo non ha mai accettato di buona lena la cosa, ma quando stai con una come me, storie del genere te le devi aspettare, chinare la testa e accettare tutto. Ero io a mantenerlo, cosa che faccio tutt’ora, quindi con chi ti dà da mangiare e ti offre un tetto sulla testa, non puoi trattare. Non mi sono mai levata le scarpe. Le scarpe col tacco non solo mi slanciavano, ma mi rendevano più sensuale e il mio culo sembrava scolpito da Michelangelo, tanto stava su.
In sala non potevi tirartelo fuori e spararti una pugnetta su di me o una mia collega, in realtà è una cosa che non si dovrebbe fare comunque, ma so per certo che alcune scapocchiavano minchie a due mani facendo dei gran bei pugnettoni nel dietro le quinte, nei privè, previo compenso. Mi riferisco alle rumene. Io non sono una puttana, non ho nulla contro di loro ma adoro essere desiderata, trattata come una dea quale so di essere, posso permetterlo, quindi mi dovete soldi, tanti soldi, senza ricevere nulla in cambio, a meno che non lo decida io.
La seconda parte dello spettacolo, appunto, si svolgeva nei privè. Luoghi appartati e protetti da delle tendine piuttosto logore e sporche di dense macchie di sborra. Sul pavimento c’erano anche aloni di urina o merda mista a sangue usciti dal culo spaccato di qualche africana. Loro fanno così: si lasciano mone da dietro per una decina di euro.
Appartarsi con me costava caro, lo sapevano i miei clienti e lo sapete voi, che sicuramene siete venuti a trovarmi qualche volta. Cinquanta euro per quindici minuti di puro godimento con Nassie. Ci tengo a sottolineare che il mio contratto prevedeva che l’intero guadagno frutto dei privè, per la sottoscritta era netto, nel senso che non dovevo nulla al proprietario del locale. Il privilegio per chi è famosa, attira clienti ed è italiana. Da questo mi veniva un altro millino, all’incirca, a serata. Vi rendete conto di quanto guadagnassi all’epoca? Poi venne il covid a rompere i coglioni, ma questa è un’altra storia.
Posti di periferia, degradati, anche, se vogliamo, vedono al loro interno clienti di ogni tipo: sfigati, cazzi mosci, vecchi, maleducati e gente coi soldi. Noi abbiamo l’indicazione di trattare ognuno alla stesa maniera ma di spillare loro quanto più denaro possibile. Se vi è capitato di fare un privè con una professionista, avrete sicuramente notato che vi tengono dentro il più a lungo possibile, facendovelo venire duro che quasi vesce dai jeans e solo dopo che avete speso un po’ e un po’, trascinati al godimento dalla tipa di turno, potete esplodervi nei pantaloni senza che vi siate nemmeno resi conto che avete pagato un bot per non ottenere un cazzo di niente. Non vi sentiate degli idioti ora che leggete queste righe, ci siete passati tutti, ma è così che funziona e non potete farci nulla: siete solamente dei limoni da spremere. E noi quello facevamo.
Capitò poi una sera, e qui viene il bello, in cui entrò questo uomo sulla quarantina. Non era bellissimo, tutt’altro, ma era gentile, il tanto che bastava in un night club. Mi allungò una mano sul culo (prassi) e mi chiese di fare un privè con la migliore. Mi piaceva come mi guardava, non so il perché, ma mi eccitò la cosa. Come al solito lo presi per mano, sculettai quel tanto che bastò per condurlo dietro la tendina.
L’interno della stanza era ricoperto da morbide pareti bianche. Lo feci fermare davanti alla seduta sulla quale si sarebbe dovuto accomodare e lo spinsi appena appena dal petto, facendogli sbattere il retro delle ginocchia contro il sedile, così che si sedesse, finendo con la schiena al muro. Sganciai il vestito dalla spalla. Rimasi nuda, o quasi. Avevo solo la mutandina a coprirmi la figa neanche tanto liscia, il pelo cominciava a ricrescere e lo strusciare delle labbra contro il suo pantalone grattavano, dandomi un po’ di piacere.
Sapeva come ci si comportava, il tipo. Non mosse un solo dito finché io stessa non gli presi le mani e gliele misi sulle tette. Lasciai che giocasse con i miei capezzoli, belli dritti come dei chiodi. Stavano in tiro. Abbassai lo sguardo e mi finì sul suo cazzo, coperto dai calzoni. Muovevo il bacino su quello che era praticamente un serpente duro. Quel cazzone, in tutti i sei, era capace a resistermi. Tutte le altre volte, appena cominciavo a ballare sopra di loro, i clienti sborravano dopo qualche secondo. Mi resi conto che, per la prima volta: avevo un vero uomo sotto di me.
Principiai a eccitarmi anche io. Non posso scordarlo perché mi successo solamente quella volta. Volevo che schizzasse nelle mutande, era una questione di principio per me, ero la migliore, la più bella, mi irritava che potesse dirigere lui il gioco, ma il tipo doveva essere un gran chiavatore, abituato a fighe rare come me. Voi che state leggendo sapete benissimo che non mi avrete mai perché sono troppo per voi e che non siete degni neppure di sforarmi, sfigati del cazzo. Pagate e basta, solo per guardare, questo vi compete. Ricchioni impotenti.
Quella minchia che, a occhio e croce, misurava un ventidue centimetri, la sentivo sotto la coscia. Era dura, potente. Ci portai la mano, cercando la capocchia, anzi: il capocchione. Iniziai a stuzzicarglielo con l’unghia dell’indice, mentre saltavo sopra di lui, che mi stringeva le tette tra le mani e succhiava come se si stesse allattando dal mio seno. Succhiava forte, tanto da farmi male. Mi morsi le labbra per il piacere: godevo, godevo come mai prima di allora.
Riuscì, con non poca fatica, a far entrare un po’ d’unghia, sempre da sopra i pantaloni e le mutande, dentro il buco della sua grande capocchia rossa (che era rossa lo avrei visto da lì a poco). <<Fammi vedere quello che sai fare, fallito del cazzo!>>, lo insultai, suscitando una sua reazione. Da seduto che era, con me sopra di lui, si alzò in piedi. Non smise neppure per un secondo di succhiarmi i capezzoli, divenuti incredibilmente turgidi. Le cosce mi colavano. Non volevo darlo a vedere, non volevo dargliela vinta, ma mi stava sottomettendo, dirigeva lui il gioco, non io, una professionista.
Fece un giro su se stesso e mi attaccò al muro. Aveva il suo cazzone che pulsava proprio contro la mia figa umida. Come spingeva, mi usciva del caldo liquido dal buco.
Gli cingevo la vita con le cosce.
D’improvviso si staccò da me, abbassò la zip e tirò fuori una minchia davvero grossa, grossa e spessa. Non ne avevo mai visto una così grande in vita mia. Mi prese la testa e spinge verso il basso. Feci resistenza, non si poteva, era contro il regolamento, contro la legge. Volevo mettermi a urlare ma ero davvero troppo eccitata.
Notai, con la coda dell’occhio, che dalla tenda, un po’ scostata, qualcuno stava spiando all’interno. Erano le rumene. Se la ridevano. Anche l’italiana, la star, pensarono, fa la puttana nel privè. Odiai quegli sguardi.
Senza più il tempo di pensare, mi sentì quella bestia di cazzo in bocca. Il tipo spingeva con foga. La gola mi si gonfiò, mi ci entrò tutto dentro. Mi bruciava e faceva male, ma con uno simile, uno che merita rispetto per come chiava, decisi che dovevo sottostare e fare la femmina e così feci.
Mi chiavò letteralmente la bocca fino a sborrarmici dentro. Credevo fosse finita. Vomitai tutto fuori e mentre ero a quattro zampe, con il capocchione rosso e pulsante di un bestia ancora incredibilmente in tiro, lui me lo piazzò in culo senza tanti complimenti. Ricordo il mio grido strozzato: cazzo che male! Nemmeno ci aveva sputato sul mio buco del culo per lubrificarlo.
Penetrava duro, grattandomi le pareti dell’ano. Il sangue e la merda fecero da lubrificante. Più c’era la possibilità di farlo entrare dentro, più lui ci dava con foga. Aggrediva, ci sapeva fare. Bastonava e bastonava. Mi stava dando una bella lezione.
Le rumene mi sputarono in faccia. Non sono mai stata loro simpatica così come loro non lo erano mai state a me.
Il tipo mi abbassò la testa, facendomela arrivare a terra. Mi ci mise un piede sopra. Ero sottomessa lui, mi piaceva. Meritavo quel trattamento. Poteva permettersi di comportarsi così con me, lui se l’era guadagnato: era un chiavatore.
Sentivo la pancia che si gonfiava e sgonfiava al ritmo del suo cazzo che faceva avanti e indietro dentro di me.
Finalmente la seconda sborrata, che mi riempì il culo. La sborra era talmente tanta che mi schizzò fuori dall’ano.
Mi gridò il suo piacere nell’orecchio, mentre schizzava nel mio intestino.
Una volta finito, ero esausta. Tirò fuori il suo cazzo, divenuto ormai moscio e mi diede una pedata sul fianco, girandomi e facendomi restare sulla schiena. Avevo il fiatone. Con la minchia ancora in mano, tirò indietro la pelle, scoprendo la capocchia. Prese a pisciare. Mi pisciò il faccia. Non chiusi la bocca, nonostante scuotevo la testa come a ribellarmi. Aprì le labbra e lasciai che un po’ di pisciazza mi entrasse dentro. Volevo berla.
Un volta finito mi camminò sopra e se ne uscì, lasciandomi là a terra, umiliata, ma stranamente eccitatissima per come mi aveva trattata.
Le altre per trattamenti neppure simili a quello subito da me, prendevano dei soldi extra, a me, lui, mi stuprò gratis e la cosa mi piacque parecchio.
Darkside87mi (Kaji)
sabrytro
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