Esperienze - Londra 1

  • Scritto da Carletto il 30/06/2021 - 13:20
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Con questa, inizio una serie di storie legate al mio peregrinare in giro per l’Europa volto a studiare le lingue e costruirmi una carriera in ambito alberghiero. Tutto ha inizio dopo la mia prima esperienza fuori casa nel 1976 (vedi i racconti “Cameriere in estate al mare”). Sono racconti legati ad esperienze di vita vissuta e romanzati dalla mia fantasia. Capire ciò che è reale e ciò che è fantasia, lo lascio all’interpretazione del lettore.

 

Londra 1

Il mio percorso professionale prevedeva l’apprendimento approfondito delle principali lingue straniere.

Premetto che sono un ‘alberghiero’ della vecchia scuola e il mio traguardo è sempre stato quello di arrivare nella stanza dei bottoni. Ora, per fare carriera in albergo, oltre alle capacità tecniche ed intellettuali, è d’obbligo poter interloquire con i clienti, non solo italiani, e perciò, subito finito il servizio militare sono partito, destinazione Londra, era il 1980.

Con me portavo il contratto per lavorare nel prestigioso Savoy Hotel, 40 sterline, una grossa vecchia valigia in finta pelle e tanto timore per le incognite che mi aspettavano. Le uniche parole in inglese che conoscevo erano: buongiorno, buonasera, grazie e diverse parolacce.

Appena sceso dall’aereo, scopro che l’aeroporto è Luton, a quasi 60 Km. da Londra. Esco col mio valigione e, senza perdermi d’animo, guardo gli autobus in sosta nella piazzola degli arrivi. Sul primo c’è scritto ‘London Sloane Square Terminal’, ok, prendo questo, dovrebbe essere quello giusto, perlomeno arriva a Londra. Cerco di salire, ma la valigia non passa per la porta, è troppo grossa. L’autista mi guarda in malo modo e sbraita qualcosa che non capisco, mi fermo e lo guardo, sto bloccando tutti quelli dietro di me. L’autista incazzato si alza e mi spinge fuori, scende, mi prende la valigia e la lancia in malo modo dentro il portabagagli, nella pancia dell’autobus, chissà che fine avrà fatto il mio walkman, penso. Risalgo dietro di lui e mi chiede i soldi per il biglietto, non capisco assolutamente nulla di quello che mi dice e gli allungo una banconota da 20 sterline. Altra occhiataccia e finalmente mi dà il biglietto e il resto. Cerco una poltrona dove sedermi, l’autobus è già quasi pieno, una signora dietro di me spinge, mi giro per guardarla e in un attimo mi arriva un suo tremendo calcio sullo stinco, Dio che male! La signora mi guarda come nulla fosse: “I’m so sorry!”. Sorry stò cazzo, mi ha fatto un male cani, non riesco a trattenere un bel “ma vaffanculo stronza”. Trovo posto, mi siedo e lei si siede subito dietro di me.

Al mio fianco, sul sedile lato finestrino, c’è un ragazzo a occhio e croce qualche anno più grande di me, che se la ride di gusto. È anche lui italiano e si è goduto la scena, si presenta: “ciao, io sono Antonio, di Treviso, siamo arrivati con lo stesso aereo e ti avevo notato già alle partenze a Venezia”.

“Ha, è perché mi hai notato? Cosa ho di particolare?”

“Io guardo sempre i bei ragazzi …… sono gay, ti può interessare?”

A posto siamo, l’inizio della mia avventura inglese non mi sembra stia iniziando bene.

Rispondo: “no grazie, mi piace la figa, ma non ho alcun problema con i gay, di solito siete simpatici e grandi amiconi. Perché sei a Londra?”

“A Treviso, per uno con i miei gusti sessuali, è dura. Non riesco neppure a trovare lavoro, appena scoprono che sono gay mi prendono in giro e alla fine devo andarmene via. Qui a Londra, invece, posso vivere liberamente la mia condizione, posso anche tenere per mano un uomo per strada e nessuno si scandalizza. Piuttosto, una cosa che non devi mai fare qui in Inghilterra è quella che hai appena fatto tu, non mandare fanculo una donna a voce alta, fallo con un uomo, ma non con una donna. Sei fortunato che quella non ha capito cosa gli hai detto, altrimenti chiamava subito un poliziotto che ti portava in centrale e ti segnalava”.

“Ho capito, ma quella stronza si è limitata a uno stronzissimo – so sorry – dopo avermi spaccato lo stinco, mi fa un male boia”.

 “Ci farai l’abitudine allo snobismo tipicamente british, sai, loro sono ancora convinti d’avere un impero con milioni di sudditi”.

Antonio è simpatico e si rivela un grande aiuto, vive a Londra già da un paio di anni, la conosce bene e parla un discreto inglese. Il viaggio dura oltre un’ora, durante il quale mi spiega un sacco di cose e si raccomanda sul come affrontare gli ostacoli più ostici per uno appena arrivato in terra inglese. Appena l’autobus si ferma al terminal, quasi tutti si alzano per uscire, sembra che abbiano una fretta del diavolo, i ritmi della grande metropoli sono implacabili. Mi alzo anch’io, ma la solita signora dietro di me mi anticipa sullo stretto corridoio dandomi una leggera spinta alla spalla che mi fa ricadere sulla poltrona, il mio malizioso piede sporge sul corridoio e la signora inevitabilmente vi inciampa, rovinando addosso al tipo in piedi davanti, il quale si sposta lasciando che la poveretta si sostituisse alla moquette del pavimento, un colpo forte e un grido. Madonna che botta sul gomito, ma anche le tette non devono stare meglio. Qualcuno l’aiuta a rialzarsi, si gira verso di me con occhi incazzati di brutto, io sfoggio il mio più innocente sorriso di circostanza: “so sorry” balbetto, ma la gente spinge e tenendosi il gomito con la mano è costretta a scendere.

“Tu sei pazzo!”, mi dice Antonio, e si mette a ridere come un matto, “ma mi piaci”, aggiunge.

Antonio si offre di farmi da cicerone e mi accompagna all’ingresso ‘Staff’ del Savoy. Per la prima settimana sarò alloggiato in una cameretta in un’ala riservata al personale, poi mi daranno un indirizzo per una camera che mi dovrò pagare.

Sono arrivato il sabato e perciò prima di lunedì non inizierò a lavorare, Antonio mi propone una tipica serata da sballo londinese, accetto, sono qui per la lingua, ma anche per divertirmi.

Chi non conosce la Londra di quegli anni farà fatica a capire, da non molto, sia la musica rock che quella melodica dei numerosi e conosciuti gruppi inglesi era stata spazzata via in favore di una nuova tendenza musicale: il Punk (per fortuna nello stesso periodo stavano emergendo anche i Dire Straits, che hanno salvato la reputazione della musica inglese) e quella prima sera Antonio mi porta al Marquee (un locale entrato ormai nella leggenda), si entrava gratis, bastava farsi vedere con una birra in mano e nessuno rompeva. Un mare di persone accalcate, nebbia fitta a causa del fumo di sigaretta, aria irrespirabile, sul palco si esibisce un gruppo musicale che fa un baccano terribile, i volumi sono altissimi, si riesce a parlare solo urlando all’orecchio. Scoprirò solo dopo che quel gruppo era i ‘The Clash’, diventato poi famoso a livello planetario, ma meno di un’ora da quando sono arrivato e devo uscire, non fa per me. Di quella esperienza, ancora oggi, ricordo soprattutto il baccano assordante e le tante ragazze strafatte di birra, prenderne una a caso, portarsela nei cessi per farsi fare un pompino, era la cosa più semplice del mondo. Saluto Antonio che mi spiega come rientrare al Savoy, mi sconsiglia l’Underground, troppo pericoloso a quell’ora e prendo 2 bus rossi, a mezzanotte sono arrivato.

Sono stanco, faccio il giro da dietro sulla Savoy Way, dove c’è l’ingresso al mio alloggio, bisogna attraversare la postazione della security che registra chi entra e chi esce, un lungo corridoio porta all’ascensore, di quelli che hanno fatto la guerra mondiale, con le porte formate da una grata di ferro a fisarmonica e due antine di legno, puzza di vecchio e muffa, intorno almeno 4 postazioni antincendio, devono avere il terrore degli incendi a Londra. Vedo una ragazza che cerca di aprire la grata e impreca in francese, si è incastrata.

Gli arrivo alle spalle, mi sente e si spaventa, mi guarda con gli occhioni spalancati. Capisco che deve fare parte dello staff perché indossa una divisa blu e foulard in tinta al collo, sembra una hostess, sulla spilla appuntata sul petto vedo scritto ‘Eleonore’ – The River Restaurant.

Tiro la grata di ferro, assesto un robusto calcio dove si è incastrata e la apro: “prego signorina, prima lei”.

Glielo dico in francese, che nel frattempo ho imparato abbastanza bene grazie ad alcune ‘amiche’ conosciute durante le stagioni in Italia, mi guarda e vedo che si rilassa: “Merci beaucoup”, risponde.

Nell’ascensore percepisco subito il suo leggero profumo, molto francese e piacevole, la guardo bene, è appena più bassa di me, capelli castani mossi che gli arrivano alle spalle, snella, quasi magra, viso molto carino, dolce, occhi castani e poi, con quella divisa addosso la trovo davvero sexy. 

“Lavori qui?”, gli chiedo.

Ha gli occhi bassi, sembra molto timida: “si, lavoro alle casse del ristorante River”.

“Ho, bene, io inizio a lavorare in ristorante lunedì prossimo, credo che ci vedremo spesso allora”.

“Si, ma la nostra tutor ci ha detto che non dobbiamo familiarizzare con i camerieri, soprattutto gli italiani”.

“Ma scusa, quanti anni hai?”.

“Ho 19 anni, sono qui con uno stage della mia scuola, mi fermo ancora 3 mesi”.

“E, a 19 anni, non credi sia arrivato il momento di decidere con la tua testa quello che puoi o non puoi fare?”.

Si mette a ridere, e alzando lo sguardo: “in effetti, ci hanno dato un mucchio di regole che mi sembra di stare in prigione, sono qui da due settimane e conosco solo le colleghe alle casse.

“Bene, non lo dire a nessuno, adesso conosci anche me, un cameriere italiano!”

L’ascensore arriva al piano, anche lei ha la camera al quarto, come la mia. Usciamo e, con una certa fatica riesco a chiudere l’ascensore.

Non corre verso il suo alloggio, ha voglia di chiacchierare: “Sei simpatico, come mai parli così bene il francese?”.

“Leggo molto! ….. Scherzi a parte, in Italia ci sono molti turisti francesi ed io faccio presto ad imparare una lingua. Ho questa fortuna”.

“Come ti chiami?”, chiede ancora.

“Carlo, tu invece, ho letto sulla spilla che ti chiami Eleonore”.

Quasi quasi ci provo, al limite mi manda a quel paese e chiedo: “senti, domani è domenica e ancora non lavoro. Tu cosa fai?”.

“Il River la domenica è chiuso, riprendo a lavorare lunedì alle 11”.

“Magnifico, abbiamo tutta la notte per noi e domani ci facciamo un giro qui intorno alla scoperta di Londra”.

Mi guarda un po’ imbarazzata, non si aspettava un approccio così diretto, ci conosciamo da 15 minuti. Le guance si sono arrossate, ha capito benissimo ciò che gli ho detto e mi aspetto un rifiuto netto. Pazienza, penso, vorrà dire che me ne andrò a dormire.

Mi squadra con attenzione, poi: “spiegami bene cosa vorresti fare questa notte”. La sua risposta mi spiazza, ero convinto di dover andare a dormire, e invece, forse …….

“La mia idea è di passarla insieme, ci divertiamo, possiamo giocare a carte oppure possiamo fare all’amore. Decidi tu, cosa ne dici?”

Sgrana gli occhi, mi fa segno di abbassare la voce: “dico che ci conosciamo da troppo poco tempo”.

“Peccato, ti trovo molto bella, abbiamo pressappoco la stessa età e nessun impegno per le prossime 36 ore, mi sa che è meglio se vado a dormire”. Gli sfioro la guancia con un casto bacio e mi volto per allontanarmi.

La sua voce mi blocca: “ti arrendi sempre così facilmente oppure hai davvero sonno?”

Torno a voltarmi verso di lei, con la luce fioca delle lampadine del corridoio sembra ancora più bella: “vuoi giocare a carte?”, scherzo.

“Io non so giocare a carte”, dice sottovoce.

“Bene”, rispondo, “allora ci resta solo la seconda opzione. In camera mia c’è solo un letto singolo, ma ci possiamo adattare”.

“Per forza in camera tua, io divido la camera con una collega tedesca. Vado a togliermi la divisa e arrivo”.

Ho lasciato la porta socchiusa così sento quando arriva. Ne approfitto per farmi un bel bidet, anche se in Inghilterra non esiste (ma come cazzo fanno), vado in doccia e mi lavo velocemente.

Aspetto già da 20 minuti e lei non arriva. Deve aver cambiato idea, penso, quando sento dei passi nel corridoio, il vecchio legno scricchiola un casino. Entra e velocemente si richiude la parta alle spalle, è scalza, si è messa una tuta da ginnastica blu, rossa e bianca, ricorda la bandiera francese.

“Scusa, ma ho voluto farmi anche la doccia – dice – Non so cosa sto facendo, ti ho conosciuto solo mezz’ora fa, io non ho mai fatto queste pazzie, devo essere fuori di testa”.

Mi avvicino, ha chinato il capo come se si vergognasse di sé stessa, sento che si è messa dell’altro profumo, gli alzo il mento e mi guarda negli occhi, gli cingo il fianco, la sento tremare un po’, le sue labbra sono invitanti e fresche, percepisco l’odore del dentifricio appena sciacquato, la bacio piano, le punte delle lingue si toccano appena e si esplorano, poi il bacio si fa più profondo e mi mette le braccia intorno il collo. Sento un leggero gemito, con le mani accarezzo la sua schiena, arrivo sulla nuca e la stringo di più a me, il bacio diventa qualcosa di più, restiamo incollati con le lingue aggrovigliate per almeno 5 minuti. Non è una novellina, ma neppure esperta, la sua lingua però sembra affamata e non smette di incrociarsi con la mia.

Così, vestiti come siamo, ci stendiamo sul letto, continuiamo a limonare e la mano si appoggia sul suo seno, è piccolo e sodo, mi fermo un attimo, lentamente faccio scendere la zip della giacca della tuta, i suoi occhi sui miei sembrano approvare la mia azione, vedo che sotto la tuta indossa solo il reggiseno, nessuna maglietta. Lo scosto piano, il capezzolo fuoriesce, è piccolo, le aureole color caffelatte, avvicino la lingua e inizio a leccarlo piano, lei chiude gli occhi e geme, lo prendo in bocca con più decisione e succhio, sento il profumo del bagnoschiuma, la scosto un po’ e mi dedico all’altro capezzolo, ma continua a tormentare il primo con i polpastrelli.

Sono con la bocca sul seno e sento la sua mano che scende con decisione a stringere il mio membro, già in completa erezione. Questo non me lo aspettavo, sembrava così timida!

Visto come gira, decido che è ora di fare sul serio, mi rialzo dal letto e la invito a fare altrettanto. Inizio a spogliarla, gli tolgo prima la giacca e poi faccio scendere i pantaloni della tuta. Rimane solo con il reggiseno bianco e le mutandine dello stesso colore. Mi chino a baciarla sul collo così posso vedere il fermaglio e gli sfilo il reggiseno. Io nel frattempo mi sono tolto la camicia e lei mi aiuta a sfilarmi la t-shirt, accarezza i pettorali e gioca ridendo con i peli ricci sul mio petto, mi bacia lievemente i capezzoli, si siede sul letto e mi apre la cintura dei jeans, tira giù la zip e li fa scendere, io mi chino per sfilarli dai piedi. Uso degli striminziti slip che non riescono a contenere niente, appena liberato dalla morsa dei pantaloni il cazzo esce prepotentemente svettando in alto.

Eleonore lo guarda sgranando gli occhi, mi guarda e ride: “oui, ça c'est bon”.

“Ti piace? ­– chiedo – dalla tua espressione sembra di sì, vuoi assaggiarlo?”

Non faccio a tempo a finire che se lo mette in bocca. Inizia un pompino delicato, infilando solo parzialmente l’asta in bocca, ma facendo girare la lingua dappertutto, lecca lo scroto e risale alla pancia fino all’ombelico, ride per i miei peli scuri, scende ancora e riprende a pompare, ma è sempre delicata, è un pompino delizioso che mi eccita un casino. Capisco che non è il suo primo pompino, ma non deve averne fatti molti finora.

Tocca a me, la stendo sul letto e gli sfilo le mutandine, lei si mette un cuscino sotto la testa, incrocia le braccia sul petto e mi guarda, sembra tornata la ragazza timida appena conosciuta. Ha la vagina tutta coperta da dei riccioli castani, ma non sono lunghi e incolti, al contrario si capisce che sono stati curati, accorciati, e intorno, verso le gambe, intuisco dai molti puntini rossi il lavoro della ceretta. I suoi umori fuoriescono come gocce di rugiada, hanno un buon odore, mi ci ficco con la lingua subito in profondità. Lei ha uno scatto, schiaccia la testa sul cuscino, inarca la schiena e trema: “hooooo, mon Dieu, ouiiiii”. Lecco forte e tormento il piccolo clitoride che è diventato duro, la bocca mi si riempie dei suoi umori, ha avuto un orgasmo sommesso, solo un lungo sospiro con il bacino che trema. Riesco a guardarla in faccia, ha la bocca aperta e gli occhi chiusi. Continuo, gli alzo le cosce e arrivo a leccare anche lo sfintere del culetto, probabilmente non lo ha mai fatto nessuno perché geme, alza la testa dal cuscino e guarda cosa sto facendo, gli occhi sono sorpresi, artiglia con le mani il lenzuolo, e continua a ripetere la stessa frase: “oui, encore, s'il te plait, comme ça, encore”.

È bagnatissima e mi metto sopra di lei nella maniera più tradizionale, non mi piace molto far gravare il mio peso, ma in questo momento mi sembra la posizione migliore, lei mi accoglie aiutandomi a dirigere l’asta, così posso fare leva con le braccia e tenere il mio busto sollevato, spingo, lei si attacca ai bicipiti, reclina la testa indietro ed emette un gemito roco, profondo. È stretta, cerco d’essere delicato, sono tutto dentro e mi muovo lentamente, quando sento che si è adattata inizio a stantuffare con decisione, ha gli occhi sbarrati come per implorare aiuto, la bocca cerca aria, geme, continuo a pompare con ritmo veloce e costante, di colpo vedo che si toglie il cuscino da sotto la testa e se lo schiaccia davanti la bocca, un urlo soffocato la scuote tutta. Toglie il cuscino, continua a guardarmi e tremare tutta, con decisione la giro, la sollevo e mi ficco sotto di lei, è magra e leggera, mi sembra di poterla rigirare come voglio, lei fatica a capire e mi lascia fare, la siedo a cavalcioni sopra il cazzo, gli metto una mano sulla bocca e la impalo di colpo, tutto, fino alla radice. L’urlo sono riuscito a stoppalo, ma se qualcuno era in corridoio l’ha sicuramente sentito, speriamo che non mi caccino prima ancora che inizi a lavorare.

In questa posizione riesco ad alzarmi a sedere, la stringo a me e la bacio, continuo a muovermi sotto di lei e sento che accompagna il movimento muovendo il bacino, la sua lingua si muove a scatti, si stacca e sospira, si ferma un attimo e mi sussurra: “vieni anche tu, vienimi dentro, ti voglio sentire”. Non mi trattengo più, riprendo a muovermi velocemente, sento che un altro suo orgasmo sta per arrivare, stringe i muscoli interni della vagina e anch’io esplodo. Veniamo insieme, rivoli dei reciproci umori mi bagnano l’inguine, si stende sopra di me esausta, continua a sussurrare: “mio Dio che bello, che bello”. Restiamo così, stringendoci e baciandoci per un tempo interminabile, ormai il membro si è rilassato completamente ed esce da solo.

Mi viene un dubbio: “ma tu prendi la pillola?”

Si mette a ridere: “è un po’ tardi per chiederlo, non credi? Ma non preoccuparti, io seguo il metodo Ogino-Knaus, mi verranno le mestruazioni fra 3 o 4 giorni, perciò in questo periodo non sono fertile”.

Ne ho già sentito parlare, so che a volte qualcuno è rimasto fregato, speriamo bene, penso. Scaccio il pensiero: “allora, prima che ti arrivino dobbiamo approfittarne, che ne dici di replicare domani?”.

Eleonore mi risponde: “la proposta che ti faccio è questa, domani mattina andiamo a visitare un po’ Londra, mangiamo qualcosa al McDonald’s, ma il pomeriggio rientriamo e riprendiamo. Erano mesi che non stavo con un ragazzo e devo recuperare, con te poi ……, dobbiamo farlo finché non ne possiamo più.

Con Eleonore abbiamo continuato a vederci fino al giorno che è dovuta rientrare in Francia, tre mesi dopo. Durante il servizio in ristorante la vedevo sempre appollaiata nella sua postazione ad incassare conti e potevamo solo scambiarci delle occhiate furtive, tuttavia la tutor deve aver capito qualcosa, ma poteva farci ben poco. Sono stati tre mesi bellissimi, ma la cosa più buffa è che quando è partita conosceva l’inglese come quando era arrivata, in compenso parlava con una certa padronanza l’italiano, mentre io ho perfezionato tantissimo il mio francese. Un giorno l’ho fatta conoscere ad Antonio, hanno subito fraternizzato, ma continuava a ripetermi scherzando: “che spreco, un ragazzo come te con una donna, che spreco assurdo”.

Abbiamo continuato a scriverci spesso negli anni, sempre in francese così che la lettera successiva mi evidenziava gli errori di ortografia commessi, si è fatta una famiglia ed ha due bambini, vive ancora nei paesi Baschi dove è nata, a Biarritz. Ancora oggi ci scriviamo via mail un paio di volte l’anno e non manchiamo mai di ripercorrere i bellissimi momenti passati assieme. Ho invidiato a lungo suo marito, ha sposato una donna stupenda.

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