Catherine percorse gli ultimi metri che la separavano dall’ufficio di Robert con lo stomaco in subbuglio. Teneva saldamente i tacchi nella mano sinistra, mentre i suoi piedi avvolti da un ridicolo strato di nylon toccavano il pavimento in marmo gelato, facendola rabbrividire ad ogni passo. I capelli sciolti le arrivavano fino a metà schiena ed ondeggiavano quasi come se fossero cullati.
Era entrata in silenzio dalla porta della cucina, sgattaiolando nel corridoio per evitare che qualcuno la vedesse o sentisse. L’enorme villa assomigliava più ad un mausoleo e al buio i quadri e i bassorilievi le mettevano i brividi. Bussò piano e dopo alcuni secondi la porta si aprì facendola sussultare, non si aspettava che il suo capo si scomodasse personalmente. Si era immaginata di sentire la sua voce, attutita dallo spesso strato di metallo, che le intimava di avanzare una volta premuto l’apriporta ed invece era lì a fissarla con quel suo solito sguardo glaciale.
«Ti sto aspettando da ore.» Ringhiò a bassa voce sovrastandola minaccioso.
La donna entrò nello studio privato scansandolo senza troppi convenevoli. Si sedette sulla poltroncina accavallando le gambe, non curandosi del vestito troppo corto e del fatto che in quel momento il bordo in pizzo delle sue autoreggenti fosse fin troppo visibile.
Era stanca per via dell’atteggiamento dello stilista, anzi a pensarci bene il termine più corretto era frustrata.
«Inaccettabile», sibilò lui sistemandosi meglio gli occhiali in viso. «Hai persino bevuto.» Sputò velenoso facendo trasparire una vena di disprezzo.
«Che cosa è inaccettabile, di grazia?», rispose lei seccata. «Che mi conceda una sera libera il giorno del mio compleanno?»
Robert tentennò per un attimo, non aveva previsto una risposta simile, in realtà non aveva proprio previsto una risposta. Conosceva bene gli effetti dell’alcol sulla sua segretaria e per lui questo non prospettava nulla di buono o facile. Catherine tendeva a diventare più loquace, senza filtri e molto meno indulgente nei suoi confronti.
«Avresti potuto dirmelo.» Rispose quindi in tono di rimprovero.
«Robert, non ricordi nemmeno il compleanno di tuo figlio. Non mi aspetto minimamente che tu conosca quando é il mio…»
L’uomo accusò il colpo in silenzio e si sedette sulla poltrona davanti a lei. Osservò come il pizzo del négligé le fasciava i fianchi sotto il vestitino di seta nera che stava indossando. Era un capo della sua collezione e le asimmetrie dello spacco e del décolleté, mettevano in risalto ciò che solitamente la donna nascondeva sotto un dolcevita nero a collo alto e un tailleur che la castigava, dandole un aspetto quasi austero e sicuramente una decina di anni in più.
«Perché mi hai chiamata con così tanta urgenza?», gli chiese ravvivandosi i capelli scuri con fare distratto.
«Ormai non ha più importanza, ne parleremo domani», disse lui scacciando un pensiero molesto con la mano. «Vai a dormire.»
Catherine lo guardò con un misto di delusione e stizza, non poteva davvero pensare di aver fatto tutta quella strada per nulla. Si alzò, ma invece di andare verso la porta, arrivò davanti a lui. La sua figura era esile e di certo non poteva sperare di incutere timore, sicuramente non a Robert Gaillard.
Lo guardò dall’alto e con una mano sulla sua spalla lo spinse indietro facendolo aderire con la schiena alla poltrona, mentre continuava a sfidarlo con gli occhi, sfrontata e senza più alcuna remora.
«Non qui», fu la sua per nulla convincente replica. «Non in questa casa.»
La donna osservò l’orologio che segnava l’una del mattino. «Stanno tutti dormendo e la porta è chiusa. Che differenza fa qui ed ora, rispetto a ciò che facevamo sei anni fa nel tuo Atelier?»
Aveva pronunciato le ultime parole in tono provocante e nel dirle si era chinata verso il suo orecchio, lasciando che la scollatura si aprisse proprio davanti ai suoi occhi.
Robert aveva stretto con forza i braccioli della poltrona su cui si trovava, ma la sua mente andò subito altrove. Edith, la sua Edith, era sprofondata in un sonno eterno a causa loro. Lui era sempre stato un uomo potente e carismatico, che spendeva più tempo al lavoro che con la sua famiglia. Tornava ad orari tardivi ed era normale che sua moglie si sentisse trascurata. C’erano cose su cui però non transigeva, anche se il lavoro lo teneva lontano. In particolare sull’educazione di suo figlio: voleva solo il meglio per lui ed un’istruzione privata era ciò che aveva scelto per Mathieu. Discuteva spesso con Edith a riguardo, perché lei avrebbe preferito farlo interagire con altri coetanei in una scuola, piuttosto che farlo studiare in casa. All’inizio aveva provato a persuaderlo con dolcezza e pazienza, ma alla lunga aveva finito per farla arrabbiare, anche per giorni, davanti ai suoi “No” categorici. Era stato troppo facile sfogarsi su Catherine al lavoro, dal momento che sembrava vivere solo per renderlo felice. Accondiscendente, docile, ma soprattutto discreta e si era pure dimostrata un’amante focosa e passionale. Robert non si era mai fatto coinvolgere emotivamente, non stava cercando una relazione o altro, voleva solo rilassarsi un po’ e la donna era servita allo scopo.
«Ho detto no!» Rispose infine duramente, distogliendo lo sguardo dalla donna.
«Vuoi dirmi che non ti piaceva scoparmi sulla tua scrivania?» Lo provocò quasi ridendo. L’ottima bottiglia di Gevrey Chambertin, un vino rosso molto pregiato, aveva decisamente rimosso ogni suo possibile filtro.
«Quanto sei volgare!» Esclamò l’uomo con una smorfia infastidita.
«Sì! E ricordo che ti eccitava particolarmente.» Sussurrò sibillina mentre si sedeva sulle sue gambe.
Robert deglutì senza abbassare lo sguardo, non era certo il tipo che si faceva intimorire. Non poteva negare che le attenzioni di Catherine avessero sempre soddisfatto il suo ego, ma in quel momento non poteva ignorare l’enorme quadro di sua moglie Edith, che lo fissava dalla parete.
La segretaria fu molto abile ad intercettare il punto di interesse del suo capo. Poteva capirlo, ma anche lei sentiva di meritare qualcosa dopo tutto quel tempo.
Catherine, infilò le dita affusolate sotto il nodo della cravatta che l’uomo portava al collo. Sciolse la stoffa tirandola verso di sé con delicatezza e poi la stiró con i polpastrelli per cercare di toglierne le pieghe. Quando fu soddisfatta fasció gli occhi dell’uomo con il capo pregiato.
«Sei sempre teso ultimamente», constató in un sussurro. «Lasciati andare, fidati di me».
Robert sospirò profondamente, era abituato a condurre i giochi, non a subire passivamente. Non era affatto convinto del modo in cui si stavano mettendo le cose quella notte, ma doveva ammettere che Catherine sapeva fin troppo bene su cosa fare leva per persuaderlo.
«Lo sai che non avrò mai pretese», aveva ribadito lei per farlo capitolare. «Domani mattina tornerò ad occuparmi del tuo lavoro, dell’istruzione tuo figlio, ti porterò il caffè e i documenti ben fascicolati e rilegati, ma per questa notte... lascia che mi prenda cura di te».
L’uomo tacque, ma acconsentì con un breve cenno della testa.
“È solo sesso…”, continuava a ripetere nella sua mente per cercare di giustificarsi a se stesso e sentirsi meno in colpa. “È un bisogno fisiologico, nient’altro…”
Nel frattempo la donna iniziò ad accarezzare il suo membro da sopra la stoffa dei pantaloni, facendo forza sulle gambe e strusciandosi contro con la sua intimità. Era un contatto piacevole che la fece eccitare dando il via ad un amplesso stimolante.
Si avvicinò all’orecchio di Robert respirando profondamente e iniziò a leccare e suggere il suo lobo per fargli capire quanto quella situazione le stesse piacendo. Lui in risposta inclinò leggermente indietro la testa per lasciarle più spazio. La giugulare pulsava sul suo collo e Catherine ne approfittò per baciare e lambire la pelle tesa con la sua lingua. Premette più forte con il bacino sulla neo erezione del suo capo, facendogli produrre un suono basso e gutturale. Fu così che iniziò a scendere con una scia di baci umidi fin dove la camicia dell’uomo le concedeva spazio, poi scivolò all’indietro inginocchiandosi a terra mentre con le mani liberava il membro duro e pulsante dall’ingombro degli abiti.
Si chinò accogliendolo nella sua bocca, leccando con perizia tutta l’asta per renderla più lubrificata ed evitare di fargli male. Concentrò la lingua sul suo glande facendo così tendere maggiormente la pelle del prepuzio. Lo sentì respirare più profondamente in cerca di ossigeno e lei si prodigò a cercare di dargli più piacere. Con le mani stimolò i testicoli accarezzandoli e continuando a muoversi sul membro gonfio, mentre con la lingua lappava la carne non lasciandogli tregua. Le piaceva vedere come piano piano l’autocontrollo dell’uomo stesse venendo meno: le mani artigliavano con forza la pelle del divanetto ad ogni suo affondo e sapeva che presto le avrebbe sentite stringere con possessione il suo corpo.
Quando dalla bocca del suo capo sfuggì un’imprecazione a mezza voce per una stilettata di piacere, si alzò in piedi, fece scivolare velocemente a terra le mutandine in pizzo che indossava e si sedette a cavalcioni su di lui, pronta a reclamare per sé quell’erezione.
Le mani di lui cercarono il suo corpo, aggrappandosi al fondoschiena e lei sorrise vittoriosa sfregando le grandi labbra sul suo pene turgido.
Era una sensazione piacevole, pelle contro pelle, sapendo che cosa ne sarebbe conseguito di lì a poco. Continuò stimolando il clitoride per aumentare la sua lubrificazione e quando sentì gli umori bagnarla gradevolmente si alzò quanto bastava per farsi penetrare.
Fu un gesto veloce ed inaspettato e la mente di Robert tornò alla loro prima volta. Ne era passato di tempo da quando, ancora giovane ed innocente, l’aveva vista arrossire dal riflesso del vetro della finestra mentre la prendeva da dietro sulla sua scrivania. Quella volta gli era bastato scostare la stoffa leggera del perizoma per avere accesso alla sua femminilità. Da prima aveva accarezzato la vulva in superficie, non perdendosi nemmeno il più piccolo fremito della sua segretaria, così solerte nel suo lavoro, ma che non poteva nascondere la profonda attrazione che provava nei suoi confronti.
Poco a poco aveva infilato le dita fra le sue pieghe calde e avvolgenti ed aveva stuzzicato il clitoride con il pollice facendola gemere di piacere. Quando era stato soddisfatto di vederla alla sua mercé, le aveva divaricato ancora di più le gambe e alzandole la gonna del completo firmato fino alla vita, aveva esposto il suo sesso in bella vista. Era bagnata, eccitata e non aspettava altro che essere presa da lui. Solo in quel momento aveva abbassato i pantaloni quel tanto da rivelare un’erezione notevole, che difficilmente sarebbe sparita se non lo avesse soddisfatto completamente. Con la mano sinistra aveva afferrato la vita esile, non trovando carne a cui potersi aggrappare, mentre con la destra aveva indirizzato il suo membro verso l’entrata della vagina e l’aveva penetrata con decisione. Lei aveva inarcato la schiena non riuscendo a trattenere un gemito, cosa che lo aveva portato ad eccitarsi ancora di più. Gli umori della donna gli avevano permesso di muoversi con facilità dentro di lei ed aveva iniziato una lenta tortura fatta di spinte e schiaffi sulle natiche. Ogni colpo era stato puro piacere e Catherine era sicura che sarebbe impazzita se si fosse fermato. Il ritmo piano piano era diventato sempre più veloce e la segretaria non sembrava voler trattenere gli ansiti, dimostrando al suo capo tutto il piacere che provava in quel momento. Gli affondi sempre più forti avevano portato l’uomo ad emettere dei brevi versi gutturali e Robert aveva sentito un’onda calda salire dai suoi lombi: di quel passo non sarebbe resistito a lungo. Si era fermato provocando uno sbuffo contrariato della sua amante e l’aveva fatta sedere sulla scrivania. Lei in risposta aveva stretto le gambe intorno ai suoi fianchi potendolo finalmente guardare negli occhi. Lo stilista continuava a non parlare, gli bastava uno sguardo per plasmarla e farla diventare pura creta nelle sue mani. Così l’aveva penetrata di nuovo aggrappandosi al sedere tonico, così da facilitare i suoi movimenti. Lei si era avvinghiata al suo collo sporgendo in avanti il bacino, offrendogli ancora tutta la sua femminilità. «Non trattenerti!» Lo aveva supplicato e lui era stato ben felice di accontentarla. La presa sulle natiche si era fatta più serrata e le spinte più energiche e profonde. Con una mano le aveva rimosso gli occhiali e poi si era tolto lo sfizio di poterla vedere finalmente con i capelli sciolti, liberandoli da quel fastidioso chignon. Non vi era traccia sul volto di Catherine della segretaria morigerata che aveva assunto, ma piuttosto dalle sue pupille dilatate, era evidente la lussuria che l’aveva travolta in quel momento.
Onde di piacere avevano cullato il ventre Catherine, mentre la presa delle mani di Robert si era fatta sempre più forte su di lei. Con un colpo di reni l’aveva trascinata indietro, quel tanto da costringerla a sdraiarsi con la schiena, spargendo i suoi capelli su tutta la scrivania. A quel punto aveva messo una mano sul suo monte di venere e con il pollice aveva iniziato a vezzeggiare il clitoride gonfio con dei cerchi concentrici. Respiri affannati misti al nome dell’uomo avevano appagato il suo ego e doveva ammettere che vederla così succube della sua persona era uno spettacolo non indifferente.
«Resta con me.» La voce calda di Catherine lo riportò alla realtà e lui strinse la presa sui suoi glutei trovandola vera e tangibile mentre continuava a procurargli piacere.
La donna sentì che il ventre le stava per esplodere, mentre affondava con decisione sul membro eretto del suo capo. Inarcò la schiena aggrappandosi al collo dello stilista smettendo di trattenere gli ansimi di piacere per lasciarsi andare senza vergogna.
l suoni prodotti dalla sua voce risultavano melodiosi alle orecchie di Robert che iniziò a partecipare attivamente all’amplesso assecondandola nei movimenti.
«Non ti fermare.» Lo supplicò sentendolo entrare sempre più in profondità dentro di lei.
Con un movimento rapido lo stilista si liberò della cravatta che gli copriva la vista ed osservò che cosa si fosse perso fino a quel momento: Catherine era di una sensualità prorompente, una meravigliosa amazzone che senza pudore lo stava cavalcando in bilico sulle sue ginocchia. Il viso era madido di sudore ed attraversato da un’espressione estatica di puro piacere. I capelli le rimbalzavano sulle spalle ad ogni affondo e sembrava essere sull’orlo dell’orgasmo.
«Alzati!» Le ordinò perentorio e fu solo in quel momento che la donna si accorse che la stava guardando. Lo osservò senza fiato, annaspando e cercando di capire se volesse mettere fine al rapporto, ma qualcosa sul suo volto le fece sperare nel contrario.
Si sollevò senza riuscire a trattenere un sospiro frustrato quando l’erezione dell’uomo scivolò fuori dalla sua vagina, lasciandole una sensazione di vuoto incolmabile. Lo vide slacciarsi i primi bottoni della camicia perché evidentemente era molto accaldato e si tolse la giacca lasciandola ricadere sulla poltrona.
Catherine fece scendere la zip del vestito verso il basso lasciandolo cadere a terra, rimanendo nuda e vulnerabile, con solo le autoreggenti addosso.
Un lampo balenò negli occhi dello stilista che senza troppi convenevoli la spinse verso la scrivania, incastrandola tra lui e il ripiano.
Posò una carezza sulla sua guancia, mentre con il pollice schiudeva le sue labbra gonfie e morbide. Quella bocca lo aveva deliziato fino a poco prima e ora non osava parlare per paura di farlo smettere. Scese tracciando il suo profilo lungo il mento, più giù sul collo. Sentì le ossa appuntite delle clavicole sotto il suo tocco leggero e quando arrivò all’altezza del seno indugiò per un attimo. Il respiro concitato le alzava e abbassava ritmicamente il petto e la sentì fremere sotto le sue mani ancora insoddisfatta. Continuò il suo percorso lungo il ventre, affondando nell’ombelico per poi spostarsi più in basso, sul monte di venere.
«Robert...» Provò a chiamarlo esitante, ma lui in risposta la zittì posando la mano a coppa sul suo sesso per poi penetrarla con le dita della mano e iniziando a stimolarla nuovamente. Le si mozzò il fiato e si aggrappò alle spalle solide dell’uomo come se non vi fosse altro al mondo.
“È solo sesso…” Si ripeté lui mentalmente.
Si chinò su di lei sfiorandole piano le labbra e chiuse gli occhi cercando di mantenere il controllo.
“È chimica, reazioni indotte dal cervello: dopamine, ossitocine ed endorfine che fanno il loro lavoro. Nient’altro…”
La baciò, posando le labbra contro le sue assaggiandone la consistenza soffice. Catherine gemette contro la sua bocca, schiudendola per lasciarlo entrare. I respiri si mischiarono, le mani si cercarono febbrili, aggrappandosi l’uno all’altra. Infine, le lingue si intrecciarono ed iniziarono una lenta battaglia e Robert sentì una rinnovata urgenza ad infiammare i suoi lombi.
Scese piano con una scia di baci umidi, si soffermò sul collo suggendo e mordendo la pelle delicata. L’afferrò per le cosce e la sollevò fino a farla sedere sulla scrivania. Le accarezzò le gambe da sopra la stoffa delle autoreggenti e le portò sopra alle sue spalle, costringendolo a sdraiarsi. Si insinuò dentro di lei penetrandola con il membro ancora turgido e la sovrastó mantenendo una posizione di potere. Le bloccò gli avambracci sopra la testa, mentre si dedicava ai piccoli seni appuntiti. Affondò i denti nella carne morbida e poi titillò i capezzoli con la lingua. Un gemito acuto sfuggì dalle labbra di Catherine, mentre il suo sesso iniziò a stringersi sempre di più intorno al suo pene. L’orgasmo come una lenta marea stava prendendo il sopravvento sul suo corpo e non si trattenne dal pronunciare il nome dell’uomo.
Il suo capo diede un affondo energico, beandosi della sensazione di piacere che le contrazioni del corpo della segretaria esercitavano sul suo membro. Le afferrò le caviglie e lasciò che toccasse di nuovo terra e appena vide che poteva reggersi in piedi la fece voltare e le circondò la vita con le braccia facendo aderire la schiena nuda al suo petto.
«Non urlare.» Le intimò con voce calda all’orecchio per poi prenderla da dietro, come la prima volta che avevano fatto sesso insieme.
L’amplesso durò ancora qualche minuto, mentre la donna cercava di non emettere un fiato, cosa che trovò estremamente difficile data la sensibilità per l’orgasmo appena raggiunto.
L’uomo sentì il calore crescere dai suoi lombi e con un ultimo sforzo aumentò il ritmo tenendole premuta una mano sulla bocca, fino a quando non riversò in lei tutto il suo seme, lasciando che gli spasmi del coito si esaurissero con calma. Si accasciò su di lei, schiacciandola sulla superficie ormai calda del tavolo e respirando profondamente cercò di riprendersi dall’orgasmo.
Si staccò dandosi una sistemata, richiuse la zip dei pantaloni e si avviò verso il divanetto a riprendere la cravatta. La annodò velocemente e con una scrollata di spalle si sistemò la giacca sul braccio.
Si voltò a guardare per l’ultima volta la sua segretaria, ancora stesa sulla scrivania mentre godeva della risacca del piacere intenso che aveva provato. Aveva i capelli scompigliati, una calza più bassa dell’altra e non sembrava interessata a nascondere la sua intimità arrossata per l’amplesso appena consumato.
«Catherine.» La chiamò piano quando fu quasi sulla porta.
«Sì?» Chiese lei girando leggermente la testa per guardarlo da sopra la sua spalla.
«Domani mattina mi servono i documenti di Couturière siglati e pronti da firmare».
«Sì, Monsieur Gaillard».
Giovanna
Maitresse_Jasmine
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