Il signor Lorenzo - Memorie del Collegio

  • Scritto da Nightafter il 23/05/2020 - 20:10
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La mia permanenza nel collegio svizzero, oltre che fornirmi una solida formazione culturale, mi consentì nonostante le limitazioni che il luogo comportava, di arricchire la mia acerba esperienza nelle cose del sesso.
Come si dice: “facendo di necessità, virtù”, trovai molteplici occasioni per riempire le lacune che ancora avevo, su molti degli aspetti che attengono alla sfera della sessualità umana.
Ho esperito in quegli anni, tutte le possibili tecniche di masturbazione, qualsiasi oggetto oblungo poteva servire allo scopo: matite, grossi pennarelli, manici di scopa, pomelli sulla spalliera del letto, candele e poi ortaggi o frutta.
Questi ultimi sottratti di nascosto nella dispensa della cucina: cetrioli, zucchine, grosse carote e banane, sparivano a vista d'occhio. La nostra cuoca, proveniente da Zurigo, nel vedersi eclissare quelle numerose derrate vegetali, andava in bestia: la si udiva smadonnare blasfemità irripetibili, nella sua gutturale lingua tedesca, per tutto piano terra.
Alla fine del secondo anno Marika, la mia compagna di stanza, era tornata dalle vacanze con una sorpresa in valigia: era riuscita a procurarsi un dildo di gomma.
Un oggetto meraviglioso a vedersi: morbido lattice, solido e flessibile allo stesso tempo, lucido e nero, aveva la forma assolutamente realistica di un grosso fallo con vene in rilievo.
Era una sberla di oltre trenta centimetri di lunghezza e quasi cinque di diametro, un giocattolino che ingolosiva solo a guardarlo.
Da quel momento iniziammo a fantasticare di avere un uomo di colore a disposizione nella nostra stanza.
La cosa ci piaceva da matti e con quel coso lungo come un avambraccio ci trastullavamo allo sfinimento, lo avevamo ribattezzato: Big Tom.
Ci esercitavamo, tra le altre cose, a inserircelo in bocca per vedere chi riusciva a mandarne in gola di più, senza provocare lo stimolo del vomito, testavamo anche la nostra resistenza nella pratica della fellatio, facendo su e giù con la testa, incuranti che ci dolessero le mascelle e il collo: a turno lo reggevamo con due mani, poggiato sul basso ventre come se fosse un membro umano, mentre l'altra iniziava a fargli un pompino.
Cercavamo di farlo col metodo con cui lo fanno le professioniste: impiegando solo la bocca e tenendo le mani incrociate dietro la schiena.
Era un ottimo esercizio ginnico, poiché nel movimento si impegnava la muscolatura delle spalle, della colonna vertebrale e del collo, ci venivano giù certe bave, interi litri di saliva.
Bisogna dire che quegli esercizi ebbero la loro brava utilità: se avessimo avuto nello studio lo stesso profitto acquisito nella pratica del sesso orale, ci saremmo di certo diplomate col massimo dei voti.
Si scommetteva e quella che cedeva per prima, sfinita per l'impegno profuso, pagava pegno: l'altra le infilava quella gomena da mandingo nella fica umida di succhi, pompandogliela dentro con vigore, mentre le succhiava e mordicchiava le tette impastando lingua e saliva.
In realtà non era una grande punizione, con malizia, ogni tanto si barava e si giocava a perdere volutamente.

Il signor Lorenzo era il giardiniere del collegio, sempre affaccendato e concentrato in ciò che stava facendo, con l'aria perennemente burbera in viso, di chi ha molta da fare e poco tempo da perdere..
Il collegio aveva un grande parco, ricco di alberi secolari e grandi viali, ampie radure curate col prato all'inglese, siepi di cipresso di Leyland alte più di un uomo e grandi cespugli fioriti nella bella stagione.
Tutto questo ben di Dio vegetale, veniva curato in modo perfetto dell'instancabile signor Lorenzo, dipendente interno del collegio con una maturità di servizio impeccabile da oltre quattro lustri, uno dei pochi che alloggiasse all'interno del perimetro dell'istituto, godeva infatti di una dependance privata, situata accanto alle scuderie.
Oltre alla cura del parco si occupava anche della logistica della scuderie, mentre per accudire giornalmente i cavalli veniva uno stalliere dall'esterno.
Lorenzo era un uomo corpulento e massiccio di una cinquantina d'anni, dotato di un viso quadrato adornato da una folta barba rossa, i capelli li portava praticamente rasati a zero.
Era una sorta di factotum: se sorgeva un problema di ordine pratico all'interno della struttura, veniva chiamato a occuparsene.
Spaziava dall'idraulica all'impiantistica elettrica, abile in interventi di manutenzione edile o decorazione, sovente lo vedevi girare in tuta con una cassetta d'attrezzi a tracolla.
Quando l'erogatore della doccia, nel bagno della camera che dividevo con Marika, iniziò a sputare l'acqua a singhiozzo in ogni direzione, intervenne lui per sistemarlo.

Era anche un gran ficcanaso il nerboruto signor Lorenzo, in quella occasione non si era, infatti, limitato alla riparazione idraulica, ma approfittando del fatto che fossimo impegnate a lezione, si mise a curiosare tra le nostre cose.
Quella mattina saltammo l'ultima ora di insegnamento per via di una indisposizione della docente di Storia, quindi ci fu permesso di rientrare nelle nostre stanze con un'ora di anticipo.
Marika e io, giungendo alla camera, ci accorgemmo subito della sua presenza per la cassetta degli attrezzi che, giaceva aperta accanto alla porta socchiusa del bagno.
Era evidente che il signor Lorenzo fosse li, intento al suo lavoro, stranamente però non si udiva alcun tramestio che segnasse una qualche attività in opera nel piccolo locale.
Per la verità il silenzio era totale, poi percepimmo un lieve, quanto misterioso gorgoglio, un rumore del tutto simile a quello dei neonati durante la poppata.
Anche noi entrando dovevamo essere state assai silenziose, perché lui dal bagno, non dava segno di essersi accorto della nostra presenza.
A quel punto ci guardammo con aria interrogativa, Marika sicuramente più intuitiva di me fiutò al volo l'anomalia della situazione: mi fece cenno, con un dito sulle labbra, di non fare rumore.
Insieme, in punta di piedi, scivolammo silenziose sulla moquette della stanza e ci apprestammo allo spiraglio della porta dello stanzino.
Ciò che apparve ai nostri occhi fu stupefacente: il signor Lorenzo stava seduto sul coperchio chiuso della tazza del water e teneva in una mano Big Tom, il nostro dildo di lattice nero.
Lo annusava intensamente, poi ci passava sopra la lingua, in fine se lo cacciava in bocca e iniziava a succhiarlo con grande soddisfazione, al contempo, dalla patta aperta, si ergeva il sesso eretto che stava lentamente carezzando.
Era piuttosto dotato il nostro giardiniere: non tanto in lunghezza, benché fosse di una misura di tutto rispetto, ma piuttosto nel diametro, considerato che possedeva mani grandi e robuste, quell'arnese, lo racchiudeva a stento nel pugno.
Sconcertate, restammo a bocca aperta, a osservare quel lento lavorio della mano su quel sesso asinino.
Mai avremmo supposto tanta depravazione in quell'uomo dall'aspetto così serio e misurato.
Immediatamente deducemmo che avesse frugato tra le nostre cose e negli armadietti del bagno, perché Tom lo tenevamo ben occultato, in un sacchetto di velluto rosso al fondo del cassettino degli assorbenti igienici.
Lo annusava a occhi chiusi, beandosi del profumo residuo lasciato dai liquidi delle nostre fighette, gustandone poi in bocca il sapore stuzzicante rimasto.
Che porco! Si segava pensando che quel cazzo di gomma ci aveva slabbrato le fighette e il buchetto del culo, come certamente avrebbe voluto fare lui potendo averci alla mercé delle sue voglie.
Nell'atto autoerotico faceva scivolare la pelle su e giù lungo il membro: il glande, grosso come il pomo d'ottone di un letto, era paonazzo e traslucido, a tratti faceva colare un filo denso di saliva nel palmo della mano per lubrificare la quel suo piacere solitario.
Data la posizione discosta del water, lui non sedeva frontalmente alla porta, pertanto potevamo osservarlo non viste.
Era davvero oscenamente disgustoso. Dio quanto era porco e quanto era maschio!


Purtroppo eravamo molto giovani e con gli ormoni in effervescenza, non capitava sovente di assistere a una masturbazione maschile, né di osservare un sesso di quelle proporzioni teso e turgido un quel modo, nostro malgrado quella visione tanto sconcia iniziò a turbarci.
Marika rossa in viso e accaldata, respirava come dopo una lunga corsa, per quel che la conoscevo, stava già inzuppando le mutandine, io non ero da meno, sentivo una vampata di calore all'interno delle cosce e un siero liquido iniziava a rendermi appiccicose le labbra della vagina.
Eravamo allibite e incerte sul che fare: come in uno stato di trance, non riuscivamo a staccare gli occhi da quello spettacolo, allo stesso tempo, nel restare, vi era l'incognita che volgesse lo sguardo nella nostra direzione e ci scoprisse.
Ma temevamo, per contro, che nel tentare di lasciare la camera, si rischiasse di rivelare la nostra presenza creando un qualche rumore.
Stavamo di fatto in bel cul de sac: benché avessimo scoperto quel lato assai biasimevole del signor Lorenzo, era vero che lui aveva scoperto l'esistenza del nostro dildo Tom, che di per sé, per il solo fatto di averlo introdotto nel collegio, rappresentava una seria motivazione per motivarne la nostra cacciata.
Nell'incapacità di muoverci, ci sentivamo combattute da sentimenti ambigui.
Marika, esasperata dalla tensione e dalla visione di quel membro nodoso, carezzato in quella maniera oscena, non riuscì a contenersi: prese coraggio e senza il minimo fruscio, sollevo la corta gonnellina, infilò il pollice nell'elastico degli slippini e li fece scivolare alle ginocchia, poi sbottonò la blusa e fece emergere le tette dal del reggiseno.
Iniziò a plasmarsi i seni come pasta frolla: non li aveva voluminosi come i miei, ma possedeva capezzoli grossi e scuri, ben disegnati, turgidi come amarene mature.
Mentre li strizzava tra i polpastrelli, a capo chino ci passava la lingua insalivandoli, poi iniziò a toccarsi la fighetta slabbrandola con con le dita tese.
Si mordeva le labbra la troietta, era piena di voglia, completamente partita: le dita torturavano il clitoride ed erano zuppe di secrezioni dense.
Vederla dilatarsi la fica e guardare il cazzo superbo di quel maiale, duro allo spasimo che si masturbava, mi procurò una vertigine: mi sentì improvvisamente eccitata in maniera indecente.

La situazione era incandescente, non ce la facevo più a resistere: desideravo che quel cazzo mi sbattesse fino a farmi male, lo volevo in bocca per sentirne il sapore animale, desideravo leccare le goccioline che stillava alla sommità del glande, infilargli la lingua nel culo, se me lo avesse ordinato.
Volevo che me lo affondasse in gola, dandomi della troia, mentre glielo riempivo di bava calda e filante.
Presa da un raptus scostai le mutandine e affondai le dita nella mia carne frolla e vischiosa, presi a stringermi la nocciolina del clitoride, volevo farmi male, squirtare nella mano e godere
Piegai le ginocchia, calai ai piedi le mutandine divaricai le cosce e mi slabbrai la fica con tutte le dita unite, massaggiandomi con vigore, ero piena di succo scivoloso.
Con frenesia mi leccai due dita dell'altra mano e le affondai lentamente nel buchetto dell'ano, lo sfintere si dilatò morbido a inghiottirle: le ruotai all'interno, procurandomi un lieve struggente spasimo, un diaframma al confine del piacere.
Avrei voluto il cazzo del signor Lorenzo con la sua grossa cappella ad allargarmi il budello in quel momento, mi sentivo così lasciva e sudicia, degna di quel depravato maiale.

Non so dire se il gemito sfuggì dalle mie labbra o da quelle della mia compagna, ma ruppe in maniera nitida quel silenzio umido dei respiri e dei nostri umori.
Lorenzo lo sentì, sollevò il capo, ci vide, balzò in piedi: gli occhi mandavano bagliori di un fuoco cattivo.
Cercò di riporre il suo coso duro nella patta dei pantaloni, dopo concitati tentativi, paonazzo in volto, con gli occhi che mandavano scintille infernali e  imprecando in maniera sacrilega, ebbe alla fine ragione dell'orpello, riuscendo a riporlo nella sua custodia.
Quando ebbe ritrovato una parvenza di decenza, rivolse la sua funesta attenzione a noi che, per la rapidità con cui tutto era accaduto, non avevamo trovato modo neppure di tirarci su le mutandine.
Irruppe nel riquadro della porta, squadrandoci dall'alto del suo metro e novanta, con un misto di disgusto e collera in viso che non prometteva nulla di buono.

Sembravamo vittime di un maleficio che ci aveva pietrificate: gli occhi sbarrati, le facce congestionate e sconvolte, le mutandine abbandonate intorno alle caviglie, piene di timore e vergogna, prossime alle lacrime.
Tentammo di balbettare qualche squittio di scuse che lui, ci mise a tacere con una sola scudisciata d'occhi.
L'espressione arcigna del signor Lorenzo con la sua barba color fiamma, unita all'imponenza del fisico, evocava l'idea di una antica divinità barbarica, dotata di potenza e ferocia disumane.
- Piccole troiette, così vi piace guardare, oltre che slabbravi le fiche con questo cazzo di gomma, vero? -
La voce baritonale esprimeva una collera incontenibile.
- Puttanelle, vi godevate lo spettacolo in silenzio e intanto vi dilatavate i buchi con le dita. Ma bene!. -
Con calma raggiunse l'uscio alla stanza, diede due giri di chiave alla toppa e infilò la chiave in tasca.
- Ora che nessuno può venire a disturbarci, vi farò togliere la voglia che vi infiamma le cosce e il vizio di spiare. Parola mia. -
Una luce di crudeltà gli brillava negli occhi, un brivido d'angoscia ci corse lungo la schiena: eravamo terrorizzate da quello che avrebbe potuto farci e non solo da quello.
C'era anche l'idea che potesse denunciare alla Preside di aver trovato quel fallo di lattice nel nostro bagno.
Avrebbe tranquillamente potuto mentire, negare ciò che avevamo visto ed essere creduto: per la semplice ragione che godeva di fiducia e credibilità consolidata negli anni, mentre l'unico fatto concreto era l'esistenza del dildo trovato tra le nostre cose.
Aveva sul viso un ghigno di cattiveria, l'essere stato scoperto nel suo vizio lo mandava in bestia.
- Meritate una severa punizione e io vi infliggerò un giusto castigo per la vostra condotta di lascive troiette -
Ci prese entrambe, con rudezza, per un braccio e ci costrinse a stenderci supine, di traverso e affiancate su uno dei nostri letti, con le ginocchia che toccavano il pavimento.

Si posizionò in mezzo a noi, alle nostre spalle, ordinandoci di restare in assoluto silenzio, poi volle che portassimo le braccia conserte sotto al mento, come se ci accingessimo a dormire.
Ma non aveva certo intenzione di farci riposare, aveva ben altri progetti quel perverso maiale.
Infatti lo sentimmo armeggiare alle nostre spalle: con la coda dell'occhio intravidi che si stava slacciando la cintura dei pantaloni, poi li calò scalcandoli in là sul pavimento, restando nudo dalla cintola in giù.
Si chinò a strapparci dalle caviglie le mutandine, ci sollevò gonnelle sulla vita, poi prese i nostri cuscini e li sistemò sotto le nostre pance, lasciandoci col bacino sollevato e le natiche in bella vista.
Vidi nuovamente crescere quell'organo d'animale che gli pendeva fra le cosce.
- Ora vi scalderò questi bei culetti piccole bagasce. Guai a voi se sento un solo strillo. -
Detto questo, fece delle piccole palle delle nostre mutandine e ce le cacciò in bocca per zittirci.
Sentimmo le sue mani ruvide percorrere le nostre cosce dall'incavo delle ginocchia alle fessure delle nostre topine, palpò con cura le natiche tastandone la carnosa consistenza, indugiò introducendo lascivamente le dita callose nei nostri orifizi.
- Avete bei culi sodi, molto invitanti. Sono perfetti per essere castigati. - sogghignando aggiunse: - E pronti per ricevere grossi cazzi. Ma chissà, sporcaccione come siete, quanti ne avrete già presi. -
Provava gusto nell'insultarci, i nostri buchetti ancora bagnati e morbidi per le carezze a cui ci eravamo abbandonate, li trovò,
nostro malgrado, già pronti ad accogliere quelle sudice intrusioni: le dita affondavano in noi, con la cedevolezza del burro caldo.
Non pago di quei maneggi osceni, ci impose di divaricare la cosce, in tal modo aveva impudicamente esposti il solco tra le natiche e le nostre fighe aperte.
Poi iniziò il nostro castigo: Marika ricevette il primo colpo di cintura, la sentì sussultare affianco a me, ma morse le mutandine ed emise solo un lungo, sofferto, sospiro, il secondo colpo fu per me, ma non fu immediato, il signor Lorenzo lascio trascorrere qualche interminabile secondo, in maniera da accrescere l'ansia di riceverlo.
Lo fece con perfida, di certo aveva esperienza di quelle punizioni e di come gestirle, non eravamo sicuramente le prime due collegiali a provare il morso della sua cintura, di certo la cosa lo eccitava molto.
La punta della cinghia mi colpì nel solco tra le natiche, un bruciore intenso morse la carne: addentai le mutandine per non esplodere in un urlo.

Mi sentivo come racchiusa in una bolla di paura e sensazioni confuse, ero immersa in una specie di sogno o meglio di incubo, potevo solo serrare gli occhi, mordere il tessuto che avevo in bocca e attendere la prossima staffilata.
La cosa proseguì distribuendo equamente le scudisciate tra me e la mia compagna di sventura, ne contammo una decina a testa.
Non si limitava a colpirci le natiche, era molto abile, infatti, nel calibrare quei colpi: sapeva centrare con la punta della cintura ora il buchetto del culo, ora lo il solco delle grandi labbra delle nostre vulve.
Quando le colpiva si dischiudevano come petali sgualciti e frementi, il bruciore era intenso, ma dopo un po' avvenne una sorprendente trasformazione nella mia percezione fisica.
Non era più solo dolore, anzi la carne intorpidita ora si accendeva come per uno stimolo indecente, una carezza rude, rivelando nel fondo un crudo, insano piacere malato, masochistico .
Ne fui allarmata, la natura di quella sensazione mi era incomprensibile: quasi senza rendermene conto divaricai maggiormente le cosce, affinché potesse colpirmi con più agio.
Sentivo crescere il desiderio inconfessabile che, dopo ogni colpo, il signor Lorenzo mi strizzasse il clitoride tra due dita, per accrescere quella sensazione sfinente che si tramutava in una scossa di calore ai terminali nervosi dell'ano.
Il sesso mi pulsava in un crescendo di contrazioni, sentivo che iniziavo a secernere liquidi.
Allora, trasgredendo i suoi ordini che imponevano l'immobilità, portai una mano sotto il ventre e iniziai a toccarmi il sesso: ero umida come una susina matura aperta in due.

Il signor Lorenzo credette fosse un tentativo di proteggermi dai colpi e mi richiamò duramente, ma poi osservando quel movimento di affondo della dita, unito al languore dei miei sospiri, comprese con stupore, che mi stavo masturbando mentre lui mi puniva.

- Che piccola cagnetta viziosa. - Disse con un rantolo di soddisfazione.
- Ti piace essere castigata, è vero? -
- Signor Lorenzo, ho tanta voglia. Guardi la mia fighetta: è tutta aperta e bagnata. La prego continui, mi frusti la fica, ho tanta voglia di godere... -
- Te la farò diventare rossa quella figa polposa, sudicia puttanella. Forza, tienila aperta con le dita. -
Portai entrambe le mani sotto a spalancare il sesso, protesi il culo all'insù affinché le labbra disgiunte sporgessero all'infuori, per meglio ricevere le cinghiate.
Si produsse in una nuova serie di frustate, avevo il clitoride in fiamme e brividi intensi, se mi fossi toccata con vigore, sarei giunta all'orgasmo.
Lorenzo aveva il volto trasfigurato, paonazzo e accalorato, con quella barba ramata pareva che l'intera testa stesse prendendo fuoco: grondava sudore dalla fronte, mentre il sesso era congestionato dal turgore, goccioline candide gli brillavano sulla punta dell'uretra
Allora prese per i cappelli la mia compagna e le trascinò bruscamente la testa davanti al mio sesso.
- Leccala! - Disse autoritario.
Sentì la lingua calda di Marika spalmarsi sulla figa: la punta penetrò tra le grandi labbra fendendole e affondò nella morbidezza liquida delle mucose, poi salì a ripetere la stessa carezza col mio ano, lo vellicò insalivandolo con foga.
La porcella ci prendeva gusto, sapevo quanto le piacesse leccarmela.
Fu un lavoro impetuoso, sfrenato, di labbra e saliva che si mescolava alle mie secrezioni allagando l'interno delle cosce, il suo viso era completamente affondato nella mia carne.
Dio come ciucciava bene quella troietta, sapeva come succhiare la fica, la porca.
Inarcando il bacino, spingevo il pube verso la sua bocca: desideravo che mi mordesse, che si cibasse del mio sesso frollo e tumido, invocai che mi penetrasse con le dita e lei esaudì prontamente usandone quatto serrate strette.
In un bagliore vidi che nelle mani del signor Lorenzo era comparso il nostro dildo Tom, ora sorrideva con un ghigno bestiale e aveva gli occhi sbavanti di libidine, disse rivolto a Marika: - Brava!Piccola cagna. Ora prendi questo e fammi vedere come giocate tra di voi, quando siete vogliose di cazzo. - le mise in mano il dildo nero.
Lei lo prese e si apprestò a fare ciò che richiesto: fece colare saliva filamentosa sulla superficie del fallo, iniziò a strusciarmi lentamente la cappella di Tom sul clitoride, mi sentivo liquefare di voglia, mossi il bacino verso lei e chiusi gli occhi, in attesa che mi penetrasse: lo sentì scivolare lentamente, era grosso, mi sentivo riempire, a carponi con la testa affondata nel letto e il bacino in alto, ansimavo come una cagna durante la monta.
Marika sapeva maneggiava quel dildo in maniera divina: nell'introdurlo lo ruotava, iniziò a spingerlo avanti e indietro con un ritmo continuo, rumori liquidi e osceni si producevano in quel movimento.
- Più forte Marika! Più forte, fammi godere! Tesoro. – La mia voce era un'invocazione delirante.
Lei continuando si portò in avanti e sentì la punta della sua lingua penetrare la rosetta del mio ano, stavo letteralmente impazzendo.

Il maturo porco era infoiato come un mandrillo, era chiaro che aveva voglia di affondare quel grosso cazzo nei nostri buchetti morbidi, non più pago di assistere passivamente a quella scena eccitante, decise di prendere l'iniziativa: si parò col membro in mano davanti al mio viso :
- Prendilo in bocca troietta, fammi sentire come sai succhiare il cazzo vero, oltre che giocare con quell'affare di gomma. –
Mi prese la testa tra le mani e mi spinse il membro fra le labbra: puzzava di un afrore ripugnante, sudore e cattiva igiene da mozzare il fiato.
Vedendo che ero restia ad aprire la bocca, mi strinse le narici con una presa delle dita, fui costretta per respirare a spalancarla: il suo cazzo mi scivolò sulla lingua, la cappella toccò il fondo del palato e sfiorò l'epiglottide.
Un conato di vomito mi riempì la bocca di saliva, gli inzuppai la verga e i testicoli, lui con fredda indifferenza, tenendomi ferma la testa con le mani, prese a scoparmi la bocca.
La sua faccia era una maschera di concupiscenza e volgare soddisfazione: mi stava usando, come la più squallida delle puttane.

Ma non sopportavo che mi reggesse la testa come fossi una bambola di gomma, mi scossi e afferrai il suo membro con la mano: lo guidai nella bocca, feci scorrere la pelle lungo l'asta madida di saliva, lo masturbavo mentre mi scivolava nel pugno, tesa e innervata, come un'anguilla.
Gli frullai la lingua dal prepuzio ai testicoli, poi glieli risucchiai in bocca, tornai al glande ingoiandolo fino in gola, producevo versi e rumori sconci, mi sentivo porca come mai avrei creduto di essere.
Il pompino dovette piacergli molto, mugolava come un maiale felice di crogiolarsi  nel letame, mi lasciò fare carezzandomi i capelli.
- Brava la mia puttanella, che sa succhia il cazzo così bene. –
Marika aumentava la cadenza col dildo e la lingua: avevo le scosse nervose che precedono l'orgasmo.
Il porco fulvo a quel punto ebbe una nuova fantasia, mi tolse il cazzo di bocca e mi ordinò di voltarmi verso la mia compagna.
- Voglio che vi guardiate negli occhi mentre sborro, piccole bagasce. –

Così dicendo tolse Tom dalle mani della mia amica, lo bagnò di saliva e me lo introdusse nel culetto: mi sfuggì un gemito, mentre lo spingeva al fondo del budello, dovetti stringere i denti, mentre quella grossa gomena nera mi dilatava lo sfintere in maniera estrema, ne lasciò sporgere fuori solo due dita.
La bocca di Marika si incollò alla mia, la sua lingua mi cercò frenetica, gliela catturai e iniziai a succhiargliela, aveva la bocca che sapeva della mia fica, era il mio gusto che avevo in bocca.
Mentre ci baciavamo, Lorenzo passo alle sue spalle e le assestò due sberle sulle natiche: gliele scostò con le mani e lasciò scendere un filo di saliva sull'ano, affondò poi il grosso pollice nel buchetto slabbrandoglielo.
Marika lanciava fievoli urletti e profondi sospiri, quando reputò di averle dilatato a sufficienza l'anello dello sfintere, ci puntò sopra la cappella e agevolandosi col solito pollice iniziò a spingerla dentro.

L' urlo della mia amica, quando quel  membro nodoso le sprofondò nel retto fino ai testicoli, venne smorzato dalle mie labbra incollate alla sua bocca, lui grugnendo inizio a sodomizzarla.
La penetrava con affondi possenti, lei guaiva piano, come un cucciolo intimorito: quei lamenti lo eccitavano e prese a pomparla con maggior foga, grosse gocce del sudore gli cadevano dalla fronte e si spargevano sulle natiche la schiena della ragazza.
- Ti sto rompendo il culo troietta, ti piace vero? Lo senti come ti sta sfondando? Era da molto che ne sognavi uno così? –
Ansimava il maiale, in un crescendo di foia animalesca.
Marika subiva quella sorta di stupro ad occhi chiusi, concentrata nelle sensazioni voluttuose e violente che le rimescolavano il ventre.  

     
- Oh!!! Sì, mi fotta il culo... Più forte signor Lorenzo, la prego!... -
Non ce la facevo a guardare passiva: mi spostai col bacino davanti al suo viso e le incollai nuovamente la fica alla bocca.
Lei ricominciò a leccarmi e succhiare il mio brodino, come una bestiola assetata, con la mano si assicurava che Big Tom non uscisse dal mio culetto.
Lorenzo la stava sfondando, Marika invocò fremente: - Mi piace! Continui. Non smetta Signor Lorenzo...Nooh! -
Il suo lamento soffocava fra le mie cosce, era in bilico, stava per venire e io con lei.
Vidi gli occhi del nostro carnefice dilatarsi in una tensione parossistica che esplose in un rantolo di bestia, diede dei sussulti d'affondo nel budello di Marika, il suo seme schizzò a fiotti caldi nell'intestino di lei.
Era così abbondante che rivoli candidi e cremosi tracimarono del retto della mia amica, mentre lui le era ancora affondato in lei, incapace a staccarsi come per il nodo di un cane in orgasmo.
Marika venne, accasciandosi nel mio grembo: gli ultimi affondi del dildo, inferti con ritmo scomposto nel profondo del mio ano, mi fecero precipitare in un orgasmo orgiastico.
Urlai tremando come una foglia, come se una scossa ad alto voltaggio mi avesse travolta, lasciandomi esanime e boccheggiante sul letto.
Un silenzio appagato scese sulla stanza, ne percepivo i contorni sfumati, l'odore del sesso fatto impregnava l'aria: sudore, sperma e afrori di liquidi intimi aleggiavano come una caligine densa su noi.
Dopo una decina di minuti Lorenzo parlò: - Dunque piccole sporcaccione, voglio essere magnanimo con voi: vi propongo un compromesso. Preferite che denunci le vostre lussuriose abitudini alla Preside del collegio, o decidete di accondiscendere a soddisfare le mie richieste future, ogni volta che ne avrò desiderio? -
La sua voce era insinuante, non era un baratto quello, era un infame ricatto.
- Se accettate avete 10 secondi da ora per rispondere. - Aggiunse con una nota di soddisfatta cattiveria.

Non ci guardammo neppure, non avevamo scelta: le nostre teste si mossero all'unisono in un cenno di assenso.

Che altro avremo potuto fare?

(Fine)

Storia meravigliosa! Leggendo mi sembrava di essere li al posto del vichingo barbuto! Io però mi sarei inculato anche la seconda! D'altronde chi si accontenta gode... ?????

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